BUONARROTI, Michelangelo, il Giovane

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUONARROTI, Michelangelo, il Giovane

Lovanio Rossi

Nacque a Firenze, ove fu battezzato il 4 nov. 1568, da Lionardo, nipote del grande Michelangelo, e da Cassandra Ridolfi, nella casa di famiglia di via Ghibellina. Fu avviato agli studi assieme ai coetanei delle migliori condizioni, fra cui Maffeo Barberini, col quale condivise la passione per le lettere. Seguì forse anch'egli la scuola dei gesuiti, ebbe come maestro delle lettere latine Iacopo Borghini, si interessò di disegno e di musica, almeno in teoria. Cominciava intanto giovanissimo a introdursi nell'ambiente dotto e aulico della vita culturale fiorentina e a mostrare i primi segni della sua inclinazione: nel 1585 fu accolto nell'Accademia fiorentina, nella quale lesse nel 1591, fu censore nel 1598 e console l'anno successivo, pronunciando le orazioni di rito nell'assumere e deporre la carica. Dal 1586 al 1591 frequentò lo Studio di Pisa, ancor compagno di tetto e di spensieratezza goliardica del Barberini, legandosi di amicizia per sempre devota col Galilei. Di quegli anni sono i primi amori, e i rapporti di simpatia con i pittori del suo tempo.

Rientrato a Firenze, già noto per le sue composizioni petrarchesche, dirette a varie donne, per cui aveva ottenuto l'ingresso nella Crusca come l'Impastato, il B. si dedicò completamente all'attività letteraria, che lo impegnerà poi per tutta la vita. Così, presso la Crusca, si "difese" (1591) dall'aver lasciato alcune adunanze, presentò una corona di nove madrigali di carattere bacchico, che sembrano anticipare il Redi, partecipò ai primi lavori per il Vocabolario. Lesse la Cicalata sopra il ferragosto nello "stravizzo" del 3 ag. 1594, collaborò all'edizione della Divina Commedia (1595), fu arciconsolo e pronunziò le consuete orazioni nel 1596, appartenne alla commissione per il Vocabolario l'anno successivo. Nel 1599 pronunciò la commemorazione di P. F. Cambi e nello stesso anno, proprio la sera della morte del padre, dette lettura della "diceria" Spiegazionedi un sogno, volta anche a conciliare gli accademici Alterati e i Desiosi. Le prime due edizioni del Vocabolario (1612-1623) e la preparazione della terza (1691) lo ebbero fra i più attivi curatori.

Con Piero de' Bardi, col quale aveva iniziato scherzosamente una prima stesura dell'Avinavoliottoneberlinghieri (componevano a canti alterni, ma il B. non terminò il suo terzo canto), con Iacopo Soldani, col Barberini e altri amici conveniva dal Bardi stesso nella villa dell'Antella, ove si tenevano le liete adunanze e le letture che dettero origine ai "Pastori Antellesi" (il B. ne fu archimandrita come Alfesibeo nel 1600), quasi un preannunzio dell'Arcadia. Frutto di quelle riunioni furono componimenti pastorali in forma lirica e drammatica, fra i quali la Favola di Antillae Mompello.

In due canti in ottave, composti verso il 1601, il B. narra l'origine del ruscello e del colle della campagna fiorentina sull'esempio di Ovidio e, ancor più, del Boccaccio. Gli amori di Antilla, figlia del pastore Esone, con Mompello vengono interrotti dal richiamo della fanciulla da parte del padre (c. I). L'infido Mompello si invaghisce allora di un'altra ninfa ma, per la durezza verso le suppliche di Antilla, si trasforma in monte, mentre ella si scioglie in lacrime, fino a divenire fresca sorgente: formeranno un trofeo, insegna di Tirsi (Iacopo Soldani), le vesti di lei, raccolte da un pastore (c. II). Il poemetto, misurato e grazioso, mostra già gli aspetti e le tendenze dell'arte del Buonarroti.Il B. avrebbe desiderato rimanere lettore nello Studio di Pisa, ma ne fu forse distolto dalla morte del padre, cui seguì, dopo pochi mesi, quella del secondo fratello Lodovico. Verso il 1600fu ammesso a corte, caro soprattutto alla granduchessa Cristina di Lorena (della quale, nelle nozze con Ferdinando I, aveva detto le lodi in un sonetto), e divenne uno dei poeti incaricati delle rappresentazioni e delle celebrazioni ufficiali. Nell'ottobre 1600 descrisse le cerimonie per lo sposalizio di Maria de' Medici con Enrico IV, e si sarebbe anche recato a Parigi per le congratulazioni alla nascita del delfino Luigi (1601)se non si fosse ammalato. Produsse quindi allestimenti di commedie, invenzioni per mascherate, cartelli per giostre. Nell'ottobre 1605, alla venuta a Firenze di Alfonso e Luigi d'Este, dette Il Natal d'Ercole, melodramma in 5atti, cui fece seguire, in rivalità col Rinuccini, l'altro melodramma Il giudizio diParide, per le nozze di Cosimo e Maria Maddalena d'Austria (25ott. 1608), con gli "intermedi" del Franceschi, dell'Adimari, dello Strozzi. Trascorse così vita brillante e fortunata - ebbe legami con la "Cecchina", la figlia di Giulio Caccini, la quale cantò e musicò i suoi versi -, intensa di lavori e di contese nelle accademie (appartenne col Peri, il Caccini, il Cini, il Cicognini, l'Adimari, il Rinuccini agli Elevati, l'accademia fondata nel 1607 da Marco da Gagliano per continuare le Camerate dei Bardi e dei Corsi) e operosa nei pubblici uffici: fu magistrato di Dogana (1613-14), dei Nove (1615), della Grascia e dei Conservatori delle leggi (1619-20), del Sale (1624).Coltivava anche le amicizie con artisti come il Tacca, il Cigoli, il Finelli, l'Allori, e iniziava i restauri della propria casa (1612), che arricchì della "Galleria" per riunire e conservare i ricordi del grande prozio. Il 25maggio 1611rappresentò per la corte La Tancia.

È una "commedia rusticale", in ottave, in 5atti, sugli amori contrastati di Cecco con Tancia, giovani del contado, affiancati da un'altra coppia: Ciapino e Cosa. Quando Tancia sta per andare sposa del cittadino Pietro e il padre di lei Giovanni si compiace di crescer in grado, giunge notizia che Cecco e Ciapino si sono gettati in un precipizio per disperazione. L'arresto di Pietro, perché la famiglia si oppone al matrimonio con una non sua pari, e l'incolumità dei due giovani risolvono felicemente la favola, adornata da intermedi musicali. Tutto corre con brio e scioltezza di forme, nel solco della tradizione che dal Boccaccio e dal Magnifico arriva fino all'Aminta e al Pastor fido; il linguaggio è ricco e colorito, con accentuata intonazione idillico-burlesca. Ne risulta il lavoro migliore e più congeniale del B., quanto mai rappresentativo dell'ambiente fiorentino del primo '600, accademico e linguaiolo, compassato e motteggiatore. La commedia ebbe varie edizioni e rifacimenti, come La Tancia ovvero il podestà di Colognole del Moniglia, con musica del Melani, e La Togna e LaBernarda, in dialetto bolognese.

Dalle consuetudini fiorentine (nel febbraio 1614preparò Il Passatempo, con il Balletto della Cortesia, danzato dai granduchi) il B. si allontanava poche volte: fu a Roma nel 1609 e l'anno dopo vi tornò col Cigoli; si recò a Pisa per un nipote malato nel 1614, coi conforti del Galilei, cui aveva offerto l'ospitalità della villa di Settignano. Frattanto stringeva amicizia anche con Niccolò Arrighetti e con Mario Guiducci e portava a termine una vasta composizione per teatro, iniziata nel 1607 e data a corte l'11 febbraio del 1619dagli accademici del Cicognini, con le musiche di Marco da Gagliano e il canto della "Cecchina": La Fiera.

Se ne hanno due stesure: quella della rappresentazione, più breve e meno complicata, e una ritoccata ancora a lungo, di cui il B. mandò saggi a Carlo Barberini (1627-29)e che pensò di pubblicare con l'aiuto del card. Francesco Barberini, ma che vide la luce solo nel 1726ad opera di A. M. Salvini con un esorbitante commento. È composta da cinque lunghe "giornate", ciascuna in 5atti e con un prologo, in metri lirici, recitato da personificazioni (la Mercatura, l'Interesse, il Negozio, le Leggi e simili), per un totale di 25atti e di oltre 25.000versi. Il podestà Evandro arriva in una cittadina, dove si tiene una fiera, della quale sono date innumerevoli scene che ne ritraggono talvolta con vivezza i vari aspetti (fra le più felici quelle di Equilio giudice, del medico Nastagio, delle dame e dei giovani gentiluomini, di madonna Pericolosa, degli scolari dello Studio, dell'infermiere). Gli episodi sono, però, privi di un intreccio, gli intenti moraleggianti si esprimono in prolissi ragionamenti e quelli satirici non riescono a tener vivo l'interesse, che cede a tanta verbosità. La commedia è stata accusata di essere soltanto una raccolta di voci per il Vocabolario (Leopardi, Zibaldone, n. 774): difetto ancor più grave nella seconda redazione, la sola edita.Dopo la morte di Cosimo II, per cui pronunciò l'orazione funebre, il B. si sentì sempre meno accetto a corte; nel 1623 pubblicò l'edizione delle Rime del prozio, dedicata a Maffeo Barberini, da cui, eletto pontefice, sperò invano grandi fortune, non ricavando che una magra pensione da due viaggi (1629-30) presso l'antico amico. Non cessò tuttavia di adoperarsi, in unione col Castelli, in favore del Galilei con lettere ai Barberini. Dolori domestici, la salute cagionevole, i rapporti irrigiditisi fra Firenze e Roma gli fecero desiderare la vita privata e la campagna. Dopo la rappresentazione della Siringa in Palazzo Vecchio (24 febbr. 1634) cessò di scrivere per il teatro e visse nel conforto delle amicizie: fu in corrispondenza col Tassoni, soggiornò a Montedomini dall'Arrighetti, alla cui morte prese cura del figlio, compose le Satire, discorsive e meditative sull'esempio del Soldani.

Ne sono state pubblicate nove dal Carrer e dal Fanfani - ma alcune restano inedite -, composte dopo il 1633 e dirette all'Arrighetti e al Soldani, sulla quiete e la bellezza della campagna (I-II), al Guiducci, sull'incostanza degli amici e dei signori (III-IV), al Giraldi, sull'esperienza della vita (V), al Segni, sulle fogge straniere e sui doni del poeta (VI e VIII), al Panciatichi, sull'amor di sé (VII), al Rondinelli, sul fine della vita (IX).

Il B. continuò a occuparsi di arte, antichità, araldica - per la sua casa ebbe i disegni decorativi da Pietro da Cortona e chiese opere al Rubens, fu "operaio" per la facciata di S. Maria del Fiore - impegnato pur sempre nelle lettere, con lavori come l'Ajone, favola burlesca in due canti sulle origini di Montaione in Valdelsa, e le Mascherate, veglia per il carnevale con spunti di satira del costume. Nuovi lutti di famiglia, la perdita di beni nel fallimento del banchiere Corsi (1640) gli rattristarono gli ultimi anni dell'esistenza, conclusasi l'11 genn. 1646. Fu sepolto in S. Croce.

Pur restando fedele alla regolarità fiorentina, il B. sentì viva l'aspirazione a nuove esperienze (La Fiera)e a una linea poetica più spezzata e cantabile (drammi), con una vena del folclore popolare, accordata agli studi della lingua. Difettò nella capacità di costruzione e nell'ampiezza del respiro, ma ha lasciato espressioni originali e caratteristiche.

Le opere mss. sono a Firenze nell'Archivio Buonarroti, ora nella Bibl. Laurenziana: Lettere (codd. 31-57), Favole per musica (codd. 58-60 e 75), La Tancia (cod. 61), Il Passatempo (codd. 62-63), La Fiera (codd. 64-74), Commedie (codd. 76-78 e 81), Poemetti eroicomici (codd. 79-80), Poesie (codd. 82-87), Prose e traduzioni (codd. 87-92, fra le traduz. l'Ecuba di Euripide in polimetri); nella Bibl. Marucelliana: Composizioni varie e satire (cod. A. 37); nella Bibl. Riccardiana: intermedi alla commedia La Gratitudine di Niccolò Arrighetti.

Di esse sono a stampa: Descrizione delle feliciss. nozze... di Madama Maria de' Medici, Firenze 1600; Il Natal d'Ercole, ibid. 1605 (in Opere varie, a cura di P. Fanfani, Firenze 1863); Il Giudizio di Paride, ibid. 1608, Roma 1609 (cfr. ediz. Fanfani); La Tancia, Firenze 1612 (in Teatro del Seicento, a cura di L. Fassò, Milano-Napoli 1956, pp. 855-1004); Il Balletto della Cortesia..., ibid. 1613 [ma 1614]; Delle lodi del gran duca di Toscana Cosimo II, ibid. 1622; Orazioni,Lez. sopra il son. del Petrarca,Cicalate, in Prose fiorentine, ibid. 1722, parte 1, III e VI; parte 2, III; parte 3, I; La fiera e La Tancia, con le annotaz. di A. M. Salvini, ibid. 1726 (cfr. anche ediz. a cura di P. Fanfani, Firenze 1860); Della saccenteria e ambizione, satira inedita, ibid. 1842; Satire, a cura di L. Carrer, Venezia 1845; Novelle ovvero apologhi di M. B. il Giovane, a cura di E. Marcucci, in L'Etruria, II (1852), pp. 757 ss.; Ajone, a cura di P. Fanfani, ibid., pp. 485-512, 557-76, 598-613, 617-57; Opere varie in versi e in prosa (Il Natal d'Ercole,Il Giudizio di Paride,Le Mascherate,Satire,Capitoli,Intermedi alla comm. di N. Arrighetti,L'Ajone,Indovinelli,Descriz. delle feliciss. nozze,Oraz. per il Cambi, "nella fondaz. di un'accademia", per Cosimo II,Lez. sul sonetto del Petrarca,Cicalate,Lettere), a cura di P. Fanfani, Firenze 1863; Sonetto inedito sovra la sua Galleria, ibid. 1875; Gliesercizi emendati, commedia, ibid. 1881; Ilpassatempo,Il Balletto della Cortesia,La Siringa, in A. Solerti, Musica,ballo e drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1637, ibid. 1905.

Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2352; A. Rado, Azifjabb M. B., Budapest 1896; L. Tonelli, Il teatro ital. dalle origini ai giorni nostri, Milano 1924, ad Indicem;M. G. Masera, M. B. il Giovane, Torino 1941; M. Petrucciani, La Fiera di M. B. il Giovane, in Riv. di critica, I (1950), 2, pp. 19-26; 3, pp. 12-19; S. D'Amico, M. B., il Giovine, in Enc. dello Spett., II, Roma 1954, coll. 1331 ss.; I. Marchetti, Note sulla poesia rusticale, in Studi secenteschi, I (1960), pp. 71-88; U. Limentani, La satira nel Seicento, Milano-Napoli 1961, pp. 66-84; C. Jannaco, Il Seicento, Milano 1966, pp. 312-19; C. Varese, in St. della lett. it., diretta da E. Cecchi e N. Sapegno, V, Il Seicento, Milano 1967, pp. 543-48; G. Petrocchi, Società contadina e società borghese nel teatro di M. B. il Giovane, in Atti del Convegno sul tema "La poesia rusticana nel Rinascimento", Problemi attuali di scienza e di cultura dell'Acc. Naz. dei Lincei, 129, Roma1969, pp. 223-232; T. Poggi Salani, La lingua rusticale di Michelangelo il Giovane,cenni di esemplificaz. nella Tancia,ibid., pp. 233-244; Id., Il lessico della "Tancia" di M. B. il Giovane, Firenze 1971.

CATEGORIE
TAG

Maria maddalena d'austria

Francesco barberini

Cristina di lorena

Pietro da cortona

Marco da gagliano