BIANCHI, Bruno

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

BIANCHI, Bruno

Luciano Segreto

Nato a Perugia il 30 genn. 1901 da Alfredo e da Pompilia Priorelli, compì gli studi laureandosi nel 1922 in ingegneria presso la Scuola superiore per ingegneri di Bologna. Dopo aver iniziato la carriera presso le aziende elettriche municipali di Foligno e di Spoleto, passò alla direzione della Società elettrica Alta Umbria e della Società elettrica umbra. Quindi divenne direttore alla distribuzione e all'esercizio presso l'Unes-Unione esercizi elettrici. Dal 1938 fu nominato direttore centrale del settore commerciale della Società romana di elettricità (SRE). Qui ben presto egli divenne uno degli uomini più fidati di Luigi Bruno, il potente e indiscusso capo della Centrale, la holding finanziaria nella quale si intrecciavano gli interessi di due grandi famiglie del capitalismo italiano, gli Orlando e i Pirelli.

Il periodo nel quale il B. era entrato alla SRE è di cruciale importanza per la storia di questa azienda, che cominciava ad acquisire una funzione strategica all'interno delle partecipazioni della Centrale. L'impresa si trovava allora al centro del sistema di interconnessione elettrica che prevedeva a nord la Società elettrica Selt Valdarno (controllata anch'essa dalla Centrale) e la Terni e più a sud la Società meridionale di elettricità (SME), oltre agli impianti e alle linee gestiti dalle Ferrovie dello Stato. E proprio alla vigilia della guerra la SRE rafforzò la propria posizione procedendo all'incorporazione di alcune società che già controllava da tempo (la Società idroelettrica tirrena, la Società mediterranea di elettricità e la Società romana immobiliare). Da alcuni anni intanto era stata avviata una nuova politica di costruzione (dopo la prima ondata conclusasi alla vigilia della prima guerra mondiale e la seconda degli anni Venti) e di porenziamento degli impianti che avrebbe dovuto portare la società a possedere una capacità produttiva di 368 milioni di kilowatt/ora annui e una potenza installata di 127 mila kilovolt-ampère. Questo programma era a buon punto nel 1943, quando l'incremento della producibilità rispetto a sei-sette anni prima era dell'86% contro una media nazionale del 27%. I bombardamenti e il passaggio del fronte nelle zone servite dalla SRE comportarono per la società notevoli danni che, tra il 1943 e il 1944, provocarono una riduzione della potenzialità dei suoi impianti di circa l'85%. Non appena però la capitale venne liberata furono iniziati immediatamente i lavori di ricostruzione, cui diede un contributo non indifferente il B., salito nel frattempo nella gerarchia interna dell'impresa.

Fu proprio sulla questione dei rapporto tra potenzialità degli impianti elettrici esistenti e il fabbisogno di energia del paese che si sviluppò il dibattito tra forze politiche, governo e aziende elettriche nell'immediato dopoguerra. Accantonato, almeno per il momento, il tema della nazionalizzazione del settore (i primi progetti messi a punto da esponenti governativi e dai partiti di sinistra durante la Costituente e nel periodo immediatamente successivo vennero abbandonati di colpo dopo la rottura dei governo tripartito DC-PCI-PSI e la svolta centrista), tornò in primo piano un altro argomento -quello del ritocco delle tariffe - che stava particolarmente a cuore agli elettrici. Adducendo, tra l'altro, a pretesto che gli aiuti del piano Marshall non avevano favorito sufficientemente (a loro parere) la ricostruzione e lo sviluppo degli impianti elettrici, gli industriali dei settore chiesero ed ottennero una cospicua revisione delle tariffe prebelliche. La nuova nòrmativa del 1948 (giudicata da parte loro ancora insufficiente a garantire le entrate necessarie per porre mano alla costruzione dei nuovi impianti e, al contrario, da parte della sinistra e di alcune forze liberaIradicali, troppo favorevole ai loro interessi) prevedeva un aumento ventiquattro volte superiore al prezzo per l'energia elettrica praticato nel 1942; manteneva ancora la differenziazione tariffaria a seconda delle aree geografiche del paese (si pagava di più al Nord che al Sud). Un anno prima, inoltre, era stata istituita la Cassa conguaglio, uno strumento ideato per rendere conveniente la produzione termoelettrica nonostante l'alto costo dei combustibili in caso di penuria di energia idroelettrica. Alla Cassa affluiva il sovraprezzo applicato all'energia di origine termoelettrica, che veniva poi redistribuito alle società elettrocommerciali a rimborso dell'onere termico (tra il 1947 e il 1953 venne spartita una somma pari a 33.414 milioni di lire). In cambio di questo pacchetto di provvedimenti le imprese elettriche definirono un programma di costruzione di impianti che negli anni seguenti venne comunque in larga parte disatteso.

In realtà gli aiuti del piano Marshall non potevano dirsi poi tanto disprezzabili. Lo stesso B., intervenendo nell'estate del 1948 ad un convegno di studi dedicato all'economia laziale, ne diede un giudizio largamente positivo. A suo avviso (e come lui la pensavano molti suoi colleghi) i problemi stavano altrove, nel mondo politico ed amministrativo, e per eliminarli era necessario superare "la viscosità delle nostre procedure, sorvolare la gora dei normali consessi, consigli, prassi amministrative".

L'euforia neoliberista di quegli anni puntava, insomma, al ripristino completo dell'iniziativa privata in tutti i campi e all'abbandono di ogni intervento statale in economia. Per un certo periodo venne in discussione anche l'ipotesi di uno scioglimento dell'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI, considerato alla stregua di un'istituzione fascista e come tale da smantellare) e di una riprivatizzazione delle sue partecipazioni industriali. Respinta questa proposta dall'impegno congiunto delle sinistre e di settori della Democrazia cristiana (soprattutto delle correnti di sinistra), l'insieme dei settori ad intervento pubblico (dalla siderurgia alla cantieristica, dal petrolio all'elettricità) poterono avviare una serie di programmi di riorganizzazione delle loro attività.

Così, ad esempio, e nonostante la forte opposizione delle imprese private raggruppate attorno all'ANIDEL (Associazione nazionale imprese distributrici di energia elettrica), l'IRI operò finalmente una razionalizzazione delle sue partecipazioni nel settore elettrico. Nell'aprile 1952 venne costituita la Finanziaria elettrica nazionale (meglio nota come Finelettrica). La sua fondazione venne salutata inizialmente dalle forze di sinistra e radicali (il gruppo di E. Rossi, M. Pannunzio, E. Scalfari) come un primo possibile strumento per giungere alla nazionalizzazione dei settore elettrico. In effetti le aziende elettriche controllate dallo Stato producevano allora il 23% dell'energia disponibile, trattandosi inoltre di società che godevano spesso di un'autentica posizione di monopolio in determinate aree del paese. Alla sua costituzione la Finelettrica possedeva nel portafoglio titoli il 18,6% della SIP (Società idroelettrica Piemonte) e due anni più tardi la quota era salita al 31,5%); l'11,2% della SME (che a sua volta controllava la Unes, la Generale pugliese di elettricità, la Società elettrica calabra, la Società elettrica della Campania e la Lucana per imprese idroelettriche), una quota che sarebbe aumentata al 18,1% nel 1954 e al 21,1% nel 1959, il 20,3% della Temi e, congiuntamente con l'IRI, l'85% della Trentina di elettricità. In realtà, però, i privati erano stati solo parzialmente sconfitti. I grandi gruppi elettrici (Edison, Centrale, Società adriatica di elettricità-SADE e SME) riuscirono infatti ad imporre un proprio uomo alla testa della Finelettrica. E la scelta cadde sul B., nominato consigliere e direttore generale della nuova finanziaria IRI.

Per il B. questo improvviso lancio nel firmamento della finanza elettrica italiana costituì una autentica svolta. Tre anni dopo, nel 1955, lo si ritrova in una dozzina di consigli d'amministrazione (Vizzola, Ente finanziamenti industriali, Trentina di elettricità, Elettrica della Campania, Samet meridionale metano, Unes, Generale pugliese, Termociettrica pugliese, Piemonte centrale di elettricità e Lucana per imprese idroelettriche), mentre nel 1957 il suo nome compare anche tra gli amministratori delle Assicurazioni d'Italia, della Temi, della Società italiana forze endogene, della Compagnia nazionale imprese elettriche e della SME.

Gli ambiziosi programmi iniziali della Finelettrica (promozione, sviluppo e coordinamento di produzione, trasporto e distribuzione di energia elettrica) vennero ben presto ridimensionati e comunque dovettero fare i conti con i mezzi e gli strumenti di intervento di cui essa disponeva. Solo una forte volontà politica di differenziarsi dalle iniziative dei privati avrebbe potuto garantire migliore fortuna agli obiettivi fissati nel 1952. Ma la finanziaria elettrica dell'IRI e il suo direttore generale non fecero alcuno sforzo per battere strade diverse da quelle percorse dai privati. Al contrario la Finelettrica si mosse quasi sempre al traino dell'ANIDEL, alla quale continuarono ad essere associate tutte le aziende da essa controllate anche dopo una circolare del 1957 del ministro delle Partecipazioni Statali G. Bo che disponeva l'interruzione di tale rapporto associativo.

Apparentemente, qualche elemento di differenziazione si può cogliere nella politica delle costruzioni di nuovi impianti. Infatti, se a livello nazionale l'aumento della produzione di energia elettrica fu, nel decennio 1948-58, pari al 100% (ma in Gran Bretagna e in Francia, dove il settore era nazionalizzato, la crescitaera stata, rispettivamente, del 124 e del 115%, con investimenti di 400 e 300 miliardi di lire all'anno, laddove in Italia ci si era fermati a 150 miliardi all'anno), le aziende della Finelettrica operanti nel Meridione avevano accresciuto la produzione annua del 250% tra il 1952 e il 1962. Ma, in realtà tali risultati andavano raffrontati al livello di partenza - piuttosto basso - che ne inficia almeno in parte il carattere eccezionale. È facile ad ogni modo arguire che molto di tutto ciò era dovuto ai primi, generosi impieghi della Cassa per il Mezzogiorno, di cui il B. era consigliere fin dalla costituzione e per la quale nel 1956 propose l'istituzione di una speciale sezione industriale autonoma.

Su tutti gli altri fronti, dalle tariffe al dibattito sulla nazionalizzazione, la Finelettrica e il suo massimo dirigente mostrarono di voler procedere di pari passo con i privati. Nel corso della discussione sulla nazionalizzazione, ritornata di attualità dopo la nascita della finanziaria IRI, venne lanciata anche la proposta della "irizzazione" o "finelettricizzazione" delle aziende elettriche, un'idea che acquisì più forza nel 1959, all'indomani del passaggio allo Stato delle società telefoniche attraverso un meccanismo del genere. Mantenimento dello status quo o, come minor male, passaggio dei soli pacchetti di maggioranza delle elettriche nelle mani della Finelettrica (un'operazione che avrebbe causato alle casse statali una autentica emorragia, senza la garanzia di una effettiva guida pubblica di tali imprese): erano queste le parole d'ordine agitate dai grandi elettrici. Ma questioni analoghe - controllo formale e sostanziale da parte statale, utilità pubblica e ruolo dell'iniziativa privata - furono anche i punti discussi dalla commissione per l'attuazione dell'articolo 41 della Costituzione, istituita dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) fin dalla sua costituzione (gennaio 1957) e della quale era membro il Bianchi.

All'inizio degli anni Sessanta, in piena campagna per la nazionalizzazione, questi era all'apice della carriera. Alle cariche assunte in precedenza aveva aggiunto quelle di consigliere dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni (INAIL), di vicepresidente della Elettronucleare nazionale - SENN (l'azienda che aveva in costruzione la centrale nucleotermoelettrica sul Garigliano) e della Società italiana meridionale energia atomica (SIMEA; l'altra impresa statale del settore, dipendente dall'AGIP e dalla Finelettrica, cui era stato affidato il compito di realizzare una centrale a Latina). Nel 1961 era inoltre stato confermato presidente del Sindacato romano dirigenti di aziende industriali e vicepresidente della Federazione nazionale dirigenti industriali.

Nel frattempo, mentre divampava la discussione sulla nazionalizzazione, le iniprese elettriche erano riuscite, nell'agosto del 1961, ad ottenere una revisione delle tariffe particolarmente favorevole, in cambio dell'unificazione tariffaria a livello nazionale e dell'avvio effettivo dell'interconnessione delle grandi linee. A questo scopo, anzi, venne costituita la Società interconnessioni elettriche altissima tensione alla cui presidenza venne posto il Bianchi. Il quale ancora una volta mostrò apertamente per chi parteggiava quando, nell'ottobre del 1961, la Finelettrica rifiutò l'ennesimo invito del ministro delle Partecipazioni Statali a staccarsi dall'ANIDEL.

Quando, nonostante i molti ostacoli frapposti dai grandi gruppi elettrici, la nazionalizzazione dell'industria elettrica sembrò inevitabile, nella ridda di candidature circolanti per la nomina a presidente dell'ENEL (la più prestigiosa era senz'altro quella di D. Menichella) venne lanciata, ad un certo punto, anche quella del Bianchi. Secondo taluni, in fondo, era pur sempre meglio scegliere un tecnico con un recente passato di dirigente pubblico (anche se non molto autonomo dai privati) piuttosto che una personalità poco competente o un uomo legato agli ambienti politici. La scelta - voluta dalla Democrazia cristiana e patrocinata in particolare da A. Moro - cadde invece sul presidente della Finelettrica V. Di Cagno; il B. venne quindi nominato, fino al 1965, presidente della finanziaria elettrica dell'IRI, mantenendo nel contempo anche la carica di direttore generale.

Da questa posizione egli controllò l'intero smobilizzo delle partecipazioni della holding nel settore elettrico, le complesse operazioni di fusioni e scambi di pacchetti azionari tra le ex società elettriche e l'impiego dei 521 Miliardi di lire di indennizzi che vennero attribuiti alla Finelettrica (e che furono in gran parte investiti nei settori telefonico e siderurgico). Si trattò di un compito prestigioso, ma forzatamente limitato nel tempo. In realtà nel mondo dell'industria elettrica, dominato dall'ENEL i non c'era più posto per personaggi come il Bianchi.

Nel 1968 egli era ancora nei consigli d'amministrazione di alcune ex elettriche: la SME, la SGES (Società generale elettrica della Sicilia), la SIP (dal giugno 1964, Società italiana per l'esercizio telefonico) e la Temi. Ma i suoi impegni maggiori erano ormai in campi totalmente nuovi, con particolare predilezione per quello automobilistico. In quell'anno figurava infatti negli organismi dirigenti della Società applicazioni industriali FIAT-OM (AIFO) e dell'Istituto finanziario automobilistico. Inoltre era anche consigliere del Consorzio per il centro ortofrutticolo e impianti di refrigerazione di Novoli (Firenze).

Il B. morì a Roma il 30 ott. 1969.

Opere: Problemi dell'industria di Roma e del Lazio, in Roma economica. Bollettino mensile della Camera di commercio industria e agricoltura di Roma, I (1948), n. 7, pp. 277-290; Aspetti attuali e prospettive dell'industria elettrica in Italia, Roma 1956; L'industrializzazionenelMezzogiorno, ibid. 1956, pp. 77-81 (risposta ad un questionario); Fonti di energia e sviluppo economico al Sud, ibid. 1961.

Fonti e Bibl.: E. Lodolini-A. Welczowski, Guida degli amministratori e dei sindaci delle società anonime. Biografia finanziaria italiana 1933-34, Roma 1934, p. 83; Chi è? nella finanza italiana 1955, Milano-Varese 1956, p. 87; Quaderno del Chi è? Senatori deputati (terza legislatura). Giudici della Corte costituzionale. Consiglieri dell'economia e del lavoro, Roma 1958, pp. 184, 186; Chi è?, Roma 1961, p. 80; Notizie IRI, 1962, n. 34-35, p. 16; 1963, n. 49, p. 683; Finelettrica, Società finanziaria elettrica nazionale, Relazione e bilancio al 30aprile 1964, 12° esercizio, Assemblea generale ordinaria del 13 luglio 1964, Roma s.a., p. 5, Corriere della sera, 10 nov. 1969 (necrol.); Il Chi è? nella vita economica, Milano 1972, pp. 68 s. (per errore lo dà ancora vivente). Si veda anche E. Rossi, Elettricità senza baroni, Bari 1962, pp. 67, 136.

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