Brigata spendereccia

Enciclopedia Dantesca (1970)

Brigata spendereccia (o godereccia)

Eugenio Ragni

Per condannare un altro gravissimo vizio di che è macchiata la gente sì vana di Siena, il falsario Capocchio, che seconda D. contra i Sanesi, dopo aver addotto quali esempi di tale colpa Stricca / che seppe far le temperate spese, e Niccolò che la costuma ricca / del garofano prima discoverse, nomina la brigata in che disperse / Caccia d'Ascian la vigna e la gran fonda, / e l'Abbagliato suo senno proferse (If XXIX 130). D. vuol riferirsi a un sodalizio che, come altri formatisi nella seconda metà del Duecento - e si ricorderà la " brigata nobile e cortese " cui Folgore da San Gimignano dedicò la corona di sonetti dei mesi, spesso erroneamente identificata con questa-, raccoglieva giovani gaudenti appartenenti per lo più all'abbiente ceto mercantile e alla nobiltà.

Il Buti è il primo a precisare - ma non ne conosciamo le fonti - che la b. senese era composta di dodici giovani (" Fuerunt enim, ut audivi, duodecim iuvenes ditissimi, qui convenerunt concorditer inter se "). La discordanza delle chiose antiche non permette di determinare con certezza se facessero parte del sodalizio soltanto gli ultimi due espressamente citati da D., Caccia e l'Abbagliato, ovvero tutti e cinque i personaggi nominati, e cioè anche Stricca, Niccolò e lo stesso Capocchio, come intendono il Bambaglioli, il Lana, l'Ottimo, Pietro, lo pseudo Boccaccio, il Buti, l'Anonimo e il Serravalle. Secondo alcuni commentatori (l'Ottimo per primo, poi il Boccaccio tra gli altri), anche Lano, lo scialacquatore di cui in If XIII 115 ss., appartenne al sodalizio senese. Nelle chiose anonime si accenna a due distinte b.: " Messer Stricca fu sanese della Brigata spendereccia... e ogni cosa distrusse in pazzie e in sciocchezze cattive... Appresso [D.] dice d'un'altra Brigata, con la quale uno, nome Caccia d'Asciano... ogni cosa consumò... E simile fece un altro, nome l'Abagliato " . Insomma soltanto Guido da Pisa chiaramente intende che D. citi la b. come " quintum exemplum " della vanità senese. Del resto proprio il testo dantesco sembra far escludere che Stricca, Niccolò e, a maggior ragione, Capocchio siano da considerare componenti la b., la quale è nominata espressamente solo al v. 130; e lo stretto legame sintattico stabilito dal pronome relativo (in che) sottolinea appunto che D. intese citare solo due dei (probabili) componenti il sodalizio, cioè Caccia e l'Abbagliato. In quanto a Lano, sembra senz'altro lecito concludere che il semplice fatto d'essere senese abbia indotto a ritenerlo della brigata.

I commentatori più vicini a D. non danno molti particolari che concretamente illustrino la scioperataggine e gli sprechi pazzi della b. senese; si potrebbe anzi dire che essi non ne sappiano nulla e che genericamente amplifichino il testo dantesco: si veda per es. il Bambaglioli (" qui prodigaliter et fatuate vixerunt ") o Guido (" societas quae multum vane in expensis et moribus se habebat "). È a partire dallo pseudo Boccaccio che si trova qualche particolare più preciso: " Questa Brigata non pensava se none in godere e in distruggiere e in far cene e disinari e in bestialità, e distrussono il valere di più di dugiento migliaia di fiorini d'oro in male spese ". Benvenuto ne dà più ampie e più colorite notizie: " Posuerunt ergo singuli decem et octo milia florenorum, videlicet in summa ducenta sexdecim millia in cumulum: et statuerunt quod quicumque expenderet aliquid parce, statim tamquam indignissimus expelleretur de tam liberali sodalitio ". Durante splendidi banchetti che si tenevano " semel vel bis in mense " in un palazzo ove ciascuno possedeva una camera sontuosa, i servi gettavano dalla finestra il primo dei tre piatti e le posate d'oro e d'argento di cui i commensali si erano serviti. Inoltre " faciebant coqui florenos in sapore, et illos apponentes ori sugebant et abiciiebant "; ferravano i cavalli con ferri d'argento. Le loro ‛ vanità ', che Benvenuto enumera, avvertendo però di averne solo sentito parlare, sicché può darsi siano tutte inventate (" quae vel ficta sunt, vel aliorum dicta fuerunt "; si veda anche il Buti, che parla di " novelle e istorie moderne ") durarono soltanto " per viginti menses: nam cito devenerunt ad inopiam... Unde factae sunt duae cantiones placibiles de eis; quarum altera continet delicias et delectationes eorum, altera vero calamitates et miserias quas habituri erant ".

Non pochi commentatori (cfr. anche Toynbee, Dictionary 112) hanno inteso che queste " cantiones " possono essere identificate con la corona ‛ dei mesi ' di Folgore e con la parodia che di questa scrisse il poeta aretino Cenne della Chitarra, in cui di contro alle piacevolezze di vita di una b. " nobile e cortese " sono enumerate le miserie di una b. " avara e senza arnesi ". Ma a parte la considerazione, non certo secondaria, che è mera forzatura voler scorgere nei dodici sonetti di Cenne un elenco di miserie conseguenti a stravizi e lussi (si tratta evidentemente di un'occasione retorica, ove si oppongono a determinati e topici ‛ plazer ' altrettanti e volutamente contrappuntistici ‛ enueg '), è improbabile che Benvenuto usasse il termine " cantiones placibiles " per due corone di sonetti (si sarebbe indotti a pensare piuttosto a composizioni occasionali), tanto più che con l'uso del singolare (" quarum altera... altera... ") egli intese parlare con ogni probabilità di due composizioni singole; e se infine si considera - come ha ben dimostrato F. Neri, al quale rinviamo (I sonetti di Folgore da San Gimignano, Città di Castello 1914, 17-21) - che la b. di Folgore non può essere per inoppugnabili ragioni cronologiche la stessa citata da D., anche le " cantiones placibiles " citate da Benvenuto saranno di necessità altra cosa che le due corone di sonetti.

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