BONCOMPAGNI di Mombello, Carlo

Enciclopedia Italiana (1930)

BONCOMPAGNI di Mombello, Carlo

Francesco Lemmi

Nato a Torino il 25 luglio 1804 dal conte Ludovico e da Sara Pastoris di Saluggia e di Lamporo, morto a Torino il 14 dicembre 1880. Fu avvocato dei poveri a Chambéry (1830), assessore nel tribunale di Aosta (1831), avvocato fiscale a Pallanza (1832), sostituto avvocato generale (1834) e infine senatore a Torino (1845). "Fin dalla mia prima gioventù - scrisse molto più tardi ad un amico - pensai che il popolo italiano doveva essere rigenerato dalla educazione e dalla libertà". A questi due scopi ispirò infatti tutta la sua vita. Nel 1838, insieme col Cavour e con pochi altri, si fece iniziatore d'una società per gli asili d'infanzia, nei quali non sdegnò d'impartire lezione egli stesso. Gli articoli da lui pubblicati nei giornali del tempo, specialmente nelle Letture di famiglia del Valerio, e il libro sulle Scuole infantili (1839), al quale seguì poi (1851) un Saggio di lezioni per l'infanzia, collocano il suo nome accanto a quelli di R. Lambruschini e di F. Aporti. Sua moglie, Barberina Pullini di Sant'Antonino, lo secondò fervidamente in quest'opera di educazione degli umili: fu fondatrice anche, a sollievo delle madri bisognose di lavoro, d'un ricovero per i lattanti.

La sua vita politica incominciò nel dicembre 1847, quando Cesare Alfieri, allora ministro della Pubblica istruzione, lo volle presso di sé come primo ufficiale. Nel 1848 fu ministro egli stesso nei gabinetti Balbo, Alfieri-Pinelli e Perrone-Pinelli. Fece promulgare la legge del 4 ottobre 1848 per il riordinamento dell'istruzione elementare, media e universitaria, e costituì i convitti nazionali, nei quali si fecero sin d'allora i primi tentativi d'insegnamento tecnico. Nel 1849 fu uno dei negoziatori della pace di Milano. Nel 1852, ministro di Agricoltura e Commercio, Istruzione pubblica e Grazia e Giustizia (maggio-novembre), presentò il disegno di legge sul matrimonio civile che venne approvato dalla Camera, ma respinto dal Senato. Tenne la presidenza della Camera dall'ottobre 1853 sino alla fine del 1856. Nel gennaio 1857 andò a Firenze a rappresentarvi il re di Sardegna e vi svolse un'azione diplomatica, spregiudicata e molto discussa, che contribuì non poco a preparare il rivolgimento del 27 aprile 1859. A Firenze rimase allora, come commissario, sino all'armistizio di Villafranca, e vi tornò poi di nuovo, come governatore dell'Emilia e della Toscana per il principe di Carignano. In tale ufficio riuscì a conciliare fra loro gli sforzi del Farini e del Ricasoli con il governo sardo per l'annessione di quelle provincie al Piemonte. Partecipò attivamente, nel parlamento e fuori, anche con opuscoli (Napoli e il regno d'Italia, Torino 1860; L'unità d'Italia e le elezioni, Torino 1861; Il ministero Rattazzi e il Parlamento, Milano 1862), a tutte le grandi questioni politiche del tempo: l'ordine del giorno del 27 marzo 1861, che proclamava Roma capitale d'Italia, fu concertato da lui d'accordo col Cavour. Avverso al potere temporale dei papi ch'egli riteneva dannoso anche alla chiesa (La chiesa e lo stato in Italia, Firenze 1866), desiderava però che il pontefice fosse rispettato e venerato nel libero esercizio del suo alto ministero religioso. Con questo spirito presiedette, nel 1870, la commissione incaricata di redigere il disegno di legge per le guarentigie. Dopo il 1871 rinunziò alla politica attiva. Dal 1848 aveva appartenuto, quasi ininterrottamente, alla Camera dei deputati: il 15 novembre 1874 fu nominato senatore. In quegli anni volse l'animo ai casi di Francia, e col desiderio di contribuire al ristabilimento dell'antica amicizia tra le due nazioni scrisse: Francia e Italia, Lettere politiche (Torino 1873) e La Francia dopo il 24 maggio 1873 (ibid. 1875).

Sin dal 1866 aveva ottenuto d'insegnare nell'università di Torino il diritto costituzionale, di cui anzi, un po' più tardi a Roma, fu maestro al principe ereditario. Sebbene riconoscesse egli stesso, e non senza rammarico, che il parlamentarismo in Italia non dava tutti i frutti che se n'erano sperati, tuttavia conservò intatta l'antica fede nella forza educatrice della libertà, e ne inculcò dalla cattedra l'amore nei giovani. Ingegno tenace, capace e vasto, se non sottile, era chiamato dalla natura agli studî giuridici e sociali, ma non trascurò quelli storici e filosofici che dovevano esserne la base. L'Introduzione alla scienza del diritto (Lugano 1848) è in questo campo la sua cosa migliore. Certo, egli non fu una figura di prim'ordine, né negli studî né nella politica, ma erano in lui, insieme con una grande modestia d'abitudini, raro equilibrio di facoltà e accordo perfetto tra il pensiero e l'azione.

Bibl.: G. Parrini, C. B., Torino 1864; G. Carle, La vita e le opere di C. B. di Mombello. Commemorazione, Torino 1882; A. Manno, L'opera cinquantenaria della R. Deputazione di storia patria di Torino, Torino 1884; L. Amedeo di Lamporo, Della vita e delle opere di C. B., Milano 1882; B. Manzone, Cavour e Boncompagni, in Il Risorgimento italiano, II (1909).

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