BONAPARTE, Carlo Luciano, principe di Canino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BONAPARTE, Carlo Luciano, principe di Canino

Fiorella Bartoccini

Nacque a Parigi il 24 maggio 1803, dall'unione, legalizzata nell'ottobre dello stesso anno, di Luciano e di Alessandrina Bleschamps, vedova Jouberthon. Poco dopo era avviato, esule con la famiglia, sulla strada di Roma.

Il secondo matrimonio di Luciano, rimasto vedovo di Christine Boyer, era stato vivamente ostacolato da Napoleone, che non gli perdonò mai più questo atto di ribellione: "Tout pour Lucien non marié, rien pour Lucien marié" sarà il motivo ricorrente della sua risposta ai concilianti tentativi di mediazione della famiglia. Non amava in Alessandrina l'intelligenza e l'ambizione, la sua capacità soprattutto di influenzare il fratello; e al fondo del contrasto era anche la diffidenza verso questo fratello, che se lo aveva molto aiutato nel colpo di Stato del 18 brumaio e nello stabilimento del regime successivo, continuava ad ostentare velleità di indipendenza e ad assumere atteggiamenti di teorico politico, di ideologo rivoluzionario.

Particolarmente benevola fu, a Roma, l'accoglienza di Pio VII e dell'alta società, lieta di offrire ospitalità ai protagonisti di così romantica vicenda, protezione ai "ribelli" parenti di quel potente personaggio, la cui autorità cominciava a farsi pesantemente sentire anche nello Stato del papa. Con l'acuirsi del dissidio fra questo e l'imperatore, con l'occupazione della città, Luciano decise di mettere fra sé e il fratello l'oceano, e s'imbarcò nel 1810 con tutta la famiglia per gli Stati Uniti; caddero invece nelle mani degli Inglesi, che li confinarono in Gran Bretagna, in un castello del Worcestershire.

Precipitati gli avvenimenti nel 1514, Luciano riuscì, sotto falso nome, a raggiungere Roma, dove lo attendevano particolari onori e riconoscimenti da parte del pontefice, grato delle sue passate prove di fedeltà. Ricevette anche il titolo di principe di Canino. Poco dopo perdeva quasi tutto: durante i Cento giorni era corso a Parigi accanto a Napoleone, finalmente con lui riconciliato. Inutile prospettare il diverso avvenire che sarebbe stato riservato alla sua famiglia se gli avvenimentiavessero preso una piega diversa: non ci fu che l'amaro ritorno a Roma, il difficile rapporto con il mondo della Restaurazione, la sospettosa sorveglianza delle potenze alleate, la dura inquisizione della Francia e delle Due Sicilie, i paesi che si sentivano maggiormente minacciati dai maneggi rivoluzionari dei Bonaparte.

Come i fratelli, Luciano era però alieno da ogni impresa politica; angustiato anche da forti difficoltà finanziarie, si ritirò a vivere sempre più a lungo nelle sue proprietà di campagna, specialmente a Canino, presso Viterbo, dedicandosi, con la moglie, alla stesura di opere letterarie e a scavi archeologici. Non mancarono tentativi di illustrazione del materiale ritrovato (Catalogo di scelteantichità etrusche negli scavi del principe di Canino, Viterbo 1829) e di discussione sul valore e sull'originalità dell'arte degli Etruschi e sulla loro origine autoctona, e in genere sull'esistenza di un'antichissima civiltà italica che avrebbe preceduto quella ellenica (cfr. F. Duranti, L. Bonaparte,G. B. Vermigliolie glistudi sulle origini dellaciviltà italica, in Boll. d. Deput. di storiapatria per l'Umbria, XLIV [1947], pp. 51-56; M. Pavan, C.Balbo e la questione delleorigini italiche, in Rass. stor. delRisorg., XLVIII [1961], p. 76).

La famiglia era divenuta numerosa: ai figli dei rispettivi primi matrimoni se ne erano aggiunti altri dieci. Particolarmente difficile l'educazione dei maschi, che univano - quasi tutti - a indubbie doti intellettuali - una particolare tendenza alla ribellione e alla violenza: oltre a Carlo Luciano e a Pietro, ricordiamo Luigi (1813-1891) e Antonio (1816-1877), che saranno personaggi illustri del secondo impero, studiosi insigni rispettivamente di chimica e di linguistica, per il momento noti solo alle polizie dello Stato pontificio e della vicina Toscana. Non mancavano ai genitori anche le preoccupazioni del loro atteggiamento politico: Paolo (n. nel 1809) morì nel 1827 piuttosto misteriosamente, per un colpo di pistola, forse accidentale, sulla nave che lo portava a combattere per la libertà della Grecia (S. Pappas, Un napoléonien mort pour la Grèce, in Revue d'hist. diplom., XLIX-L [1934-1935], pp. 499 ss., 43 ss.). Ricordiamo anche, tra le figlie, quelle che si sposarono in Italia, dando origine a quei rami italiani della famiglia che troviamo presenti nelle vicende liberali e nazionali della penisola: Cristina Carlotta (1795-1865), sposata a Mario Gabrielli, Giovanna (1807-1865), sposata a Onorato Honorati, Alessandrina Maria (1818-1874), sposata al conte Vincenzo Valentini.

Questo l'ambiente in cui crebbe Carlo Luciano, che, apparentemente il più tranquillo dei fratelli, si dedicò sotto la guida del francescano Maurizio da Brescia all'approfondimento di studi scientifici: botanica, zoologia, astronomia. Nel 1823, ricevuto dal papa il titolo di principe di Musignano, sposò a Bruxelles la cugina Zenaide, figlia di Giuseppe Bonaparte, con la quale raggiunse il suocero negli Stati Uniti. Nella grande proprietà di Point-Breeze, presso Filadelfia, trascorse anni di raccoglimento e di studio, di viaggi e di osservazioni, mentre si precisava la sua specializzazione nel settore zoologico.

Nel 1828 il B. si ristabiliva a Roma, con lunghi soggiorni a Firenze, sempre dedito a studi e a ricerche. Numerosi i viaggi per visitare musei e per stabilire relazioni di lavoro: fu in Inghilterra, in Germania e persino in Francia, dove il bonario Luigi Filippo tendeva a ignorare la legge di proscrizione che colpiva ancora i Bonaparte. Si aprivano, per lui, più ampi orizzonti scientifici, ma si approfondivano anche l'interesse politico e la conoscenza, in un ampio quadro europeo, della società e dei suoi problemi di rinnovamento e di sviluppo. Apparentemente, interesse e conoscenza non si tramutavano in forme di azione: la notizia della sua appartenenza alla Giovine Italia (data dal contemporaneo ed avverso Balleydier, ma ripresa successivamente) non appare confermata: sono, anzi, anni di inerzia politica e di stretti rapporti con il pontefice (il che gli varrà poi l'accusa di aver condotto un abile doppio gioco). Nel 1831, mentre i suoi giovani parenti s'impegnavano, nelle vicende rivoluzionarie dell'Italia centrale, egli sembrava solo timoroso di inconsulte avventure: alla famiglia dichiarò che voler unire le fortune dei Bonaparte con quelle d'Italia era perderle tutte e due, ed ebbe un colloquio chiarificatore con Gregorio XVI, da lui giudicato un brav'uomo, animato dalle migliori intenzioni (V. de Masuyer, Mémoires.... Paris 1937, pp. 103 ss.). Pochi anni dopo era invece personaggio di primo piano sulla movimentata scena politica della penisola e si proclamava italiano ("I Corsi sono nazionali e italiani come i Lombardi. Qual colpa è la loro se soggiaciono a straniero dominio?": cfr. R. Ciasca, L'origine del "Programma per l'opinione nazionaleitaliana", Milano 1916, p. 407).

L'evoluzione si giustificava nel clima storico del momento: le inquietudini e le esigenze dei popoli sembravano esser colte ad alto livello, e anche se non sempre trovavano da una parte formulazioni chiare e dall'altra rispondenze assolute, era divenuta più facile la manifestazione di una idealità di progresso civile che finiva per identificarsi con un'aspirazione politica di libertà. Il momento è ben delineato dall'atteggiamento dello stesso B., divenuto nel 1840, alla morte del padre, il secondo principe di Canino. Il nome gli apriva molte porte, ed egli era divenuto frequentatore assiduo di corti e di ambienti di governo, fiducioso in una possibilità d'intesa e di collaborazione. Le sue dichiarazioni sembravano riecheggiare quelle dei liberali moderati: in realtà era viva in lui una profonda aspirazione democratica e repubblicana, che, innestandosi sulle tradizioni rivoluzionarie della famiglia, si ampliava e si sviluppava nel quadro delle sue personali esperienze sia della vita politica negli Stati Uniti sia della lotta sociale in Europa. Ma sono idee, queste, che appariranno più tardi, per il momento velate dalla speranza tattica di un accordo fra principi e sudditi che avrebbe reso iniziali vantaggi.

Nel 1838 il B. riuscì a strappare al granduca di Toscana, dei sovrani d'Italia quello che "parea meno sgomentarsi di chi sapeva leggere e scrivere" (A. Brofferio, Storia del Piemonte, parte III, Torino 1850, p. 89), il permesso di organizzare l'anno seguente un congresso scientifico a Pisa, sul modello di quelli stranieri che ben conosceva: nel clima di conciliazione che abbiamo delineato, ospitati da altri sovrani, compreso quello austriaco e quello napoletano, ne seguirono altri, a Torino (1840), Firenze (1841), Padova (1842), Lucca (1843), Milano (1844), Napoli (1845), Genova (1846) e Venezia (1847). Il solo Gregorio XVI si mostrò sempre ostile, rifiutando non soltanto l'ospitalità, ma anche il permesso ai propri sudditi di prendervi parte.

Questi congressi, frequentatissimi, hanno avuto una funzione storica importante nello sviluppo del Risorgimento italiano: rappresentano il superamento di confini e barriere, il tentativo di dare dimensione nazionale alla scienza e alla cultura, il pretesto per un contatto diretto e per un'ampia intesa fra i sudditi dei vari stati. Il terreno scientifico era facilmente superato nelle prospettive di un progresso che investiva tutti i problemi della società civile. Vari studiosi hanno già messo in rilievo il valore politico di questi incontri, che meriterebbero, però, un ulteriore approfondimento - non ancora compiuto - da un punto di vista più strettamente culturale: sono come uno specchio in cui si riflettono, con le loro formazioni e i loro interessi, con le loro aperture e i loro limiti, le élites intellettuali dei vari stati italiani.

La partecipazione del B. ai convegni è esempio significativo del loro carattere e della loro evoluzione, nelle dotte comunicazioni sempre più ribadendo egli la necessità, per lo stesso progresso delle scienze, di una trasformazione della società in un largo quadro di sviluppo generale. Trasparivano le sue idealità di democrazia radicale: voleva divulgata l'istruzione scientifica a livello di più ampie masse popolari, accusava l'Inghilterra di aver comprato la propria potenza industriale a prezzo di sangue, difendeva i negri dai pregiudizi razziali. Non meno significativo era il lavoro da lui svolto fuori dalle aule: visite ai sovrani e ai membri dei governi ospiti, contatti e scambi di idee con gli intervenuti alle riunioni, in una piena libertà di argomenti e di discussioni che il controllo esercitato dalle autorità nelle sedute ufficiali non permetteva.

E fu in occasione dei congressi che cominciarono a manifestarsi alcuni particolari aspetti del carattere del B.: promotore del primo, cercava d'imporre anche nei successivi convegni la propria direzione, incontrando sempre maggior resistenza nei colleghi infastiditi ("ingiusto troppo sarebbe se non venisse ogni sua volontà e direzione seguita..." gli scriveva il 25 luglio 1841 Luigi Masi, che era sempre al suo fianco, amico, segretario, precettore dei figli); la sua impetuosa irruenza e la sua esuberante verbosità, così contrastanti con la schematica rigidezza della sua formazione scientifica e con la lucida razionalità delle sue idee, gli alienavano molte simpatie e preannunciavano il futuro isolamento, anche politico.

Malgrado le onorifiche accoglienze ufficiali, gli occhi delle varie polizie non lo abbandonavano un momento. Accortamente l'Austria rispolverava il fantasma del bonapartismo, facendo circolare la voce che lo guidavano ambizioni dinastiche; i reazionari, come Solaro della Margarita (cfr. Memorandum storico-politico, Torino 1851, p. 171), ne temevano le tendenze settarie e sovvertitrici, e anche nell'ambito dei democratici la sua attività veniva seguita con diffidenza. "Solo mi duole - è detto in un opuscolo - che segga primo tra quei scienziati e li diriga un principe Bonaparte! In nome di Dio: che hanno a fare costoro all'Italia?... Lungi da noi costoro che Italia rinnega e non conosce per suoi...". (Corsini, p. 115). Lo accettavano nel proprio schieramento, ma con una certa diffidenza, e per poco tempo ancora, solamente i liberali moderati.

L'ascesa al trono pontificio di Pio IX aprì all'attività del B. una dimensione più decisamente politica: frequentatore assiduo del nuovo papa, fu tra gli animatori delle grandi feste popolari che accompagnavano le sue prime concessioni. Mentre l'entusiasmo si diffondeva in Italia e spingeva gli altri sovrani a imboccare la stessa strada, per la prima volta i sudditi pontifici poterono, nel 1846, partecipare liberamente al congresso scientifico di Genova, che prese un aspetto talmente politico da esser da taluni definito una "convenzione nazionale": si parlò di progresso civile nel quadro di avanzate riforme e di indipendenza dallo straniero. E il B. cominciò da allora a rivelarsi "notevole faccendiero di spettacolosa politica" (Farini, I, p. 190).

Nel 1847 il B., che aveva stretto amicizia con lord Minto, giunto a Roma in missione, iniziò un lungo viaggio in Europa: fu in Francia, in Inghilterra, in Danimarca, in Svezia e in Austria; fu ricevuto da Federico Guglielmo e, persino, da Metternich. Ma l'atmosfera stava mutando. A Roma era divenuto uno degli esponenti del Circolo popolare: in tale veste egli fu tra gli organizzatori di quelle imponenti manifestazioni di popolo che, con richieste sempre più avanzate, facevano esitare il pontefice sulla strada delle concessioni, turbavano l'atmosfera del suo idillio con i sudditi, dissolvevano il mito del papa liberale. Ci fu un tentativo di reazione da parte dell'autorità, e il B. fu il protagonista principale del primo processo politico di Pio IX, un processo che, invece di arrestare lo sviluppo delle agitazioni, finì per rivelare maggiormente lo stato d'incertezza e di debolezza delle forze governative.

Arrivata a Roma la notizia della buona accoglienza fatta in Toscana a mons. Corboli Bussi, inviato dal papa a iniziare le pratiche della Lega doganale, e della concessione da parte del granduca della Guardia civica, il B. era stato, con B. Galletti, tra gli organizzatori di una manifestazione popolare che si era conclusa con atti ostili davanti all'ambasciata austriaca e alla casa generalizia dei gesuiti. Pio IX aveva ordinato la loro espulsione dalla Guardia civica, ma il B. era già partito alla volta di Venezia, sede di quello che sarebbe stato l'ultimo dei congressi scientifici; il suo viaggio era stato caratterizzato, in Toscana e in Emilia, da dimostrazioni di folla e da appelli patriottici. Giunto a Venezia, egli aveva fatto un discorso che univa all'esaltazione di Pio IX quella della "gloria e prosperità nazionale": il giorno seguente la polizia austriaca lo accompagnava alla frontiera. A Roma lo attendevano un ordine di arresto domiciliare e un processo, la cui istruttoria si trascinò a lungo, invano sollecitata dallo stesso B.: essa denunciava da parte delle autorità pontificie, accanto alla volontà di dare un significativo esempio, il timore per la reazione popolare; da parte del B., che aveva tentato invano di avere come difensore quello che, tra i democratici italiani, era forse a lui il più vicino, F. D. Guerrazzi, il desiderio di utilizzare il processo come clamoroso elemento per la sua ascesa politica. Ed effettivamente egli divenne una figura ancor più popolare nella città dopo una dichiarazione d'incompetenza da parte del tribunale, che rivelava l'umiliante cedimento delle autorità (altro processo non ci fu), sempre presente in quelle manifestazioni pubbliche che tendevano ad esigere concessioni ancor più liberali e guerra all'Austria, e in quelle riunioni più o meno clandestine che dovevano studiare i mezzi per favorire i moti rivoluzionari scoppiati nella penisola.

Iniziata la guerra con l'Austria, il B., in divisa di guardia civica, si avviò verso il teatro delle operazioni, ma più che del campo di battaglia fu assiduo frequentatore del quartier generale di Carlo Alberto. Compì anche una missione ad Ancona presso il gen. G. Pepe, comandante delle truppe napoletane, i cui scopi non furono mai completamente chiariti, ma che quasi certamente mirava a spingerlo a valicare, senza autorizzazione sovrana, il Po (cfr. G. Pepe, L'Italia negli anni1847,48 e 49, Torino 1850, p. 60; P. S. Leopardi, Narrazioni storiche..., Torino 1856, pp. 162 ss.).

Il B. non era a Roma quando l'allocuzione di Pio IX del 29 aprile aveva segnato il limite invalicabile della sua azione, ma si prodigò poi ampiamente a manifestare la propria opinione alla Camera dei deputati, dove era stato inviato dagli elettori di San Ginesio (Viterbo).

Sedette a sinistra e condusse un'opera, continua, serrata, di critica ai ministeri moderati di Mamiani e di Fabbri, di difesa della sovranità popolare, di esaltazione della uguaglianza sociale (sostenne l'abolizione della pena di morte, la fine di ogni privilegio giuridico, nuove tasse sul lusso e sulla ricchezza, la soppressione dell'imprigionamento per debiti, la concessione dei pieni diritti civili e legali agli ebrei e alle donne, l'abolizione della mano morta, dei fidecommessi, dei diritti di primogenitura, il miglioramento e l'allargamento dell'istruzione a livello di più larga massa di popolo). Mostrò profonda competenza anche per questioni finanziarie, ma il suo interesse più vivo era accentrato sul problema della guerra, vista su un piano di collaborazione nazionale (proponeva di ospitare a Roma una dieta italiana) e di scavalcamento dei diritti del papa e, anche, dello stesso governo ("Le Camere stesse prendano l'iniziativa, e si dichiari una volta questa necessaria guerra all'austriaco. La dichiari la Camera, la dichiari il Ministero, a nome del Popolo e del Sovrano").

Il terreno parlamentare deludeva, però, il B. che preferiva svolgere - accanto a P. Sterbini, ma spesso con lui in contrasto - la sua azione nell'ambito del Circolo popolare per l'organizzazione e la guida di quella massa di popolo, divenuta ormai una forza di significativo rilievo sulla scena politica romana, in un clima sempre più arroventato di passioni, esasperate dal ritorno dai campi di battaglia dei volontari sconfitti e dalle manifestazioni di sosta, se non di ripiegamento, della politica riformatrice. Il 15 nov. 1848 una pugnalata troncava, con la vita di P. Rossi, l'ultimo tentativo di Pio IX di ristabilire con un "uomo forte", sul piano ancora di un moderato riformismo, l'ordine nello Stato.

La voce pubblica fece subito correre accuse di responsabilità nei confronti di alcune persone, fra cui era lo stesso B., successivamente riprese dalla stampa reazionaria. Egli si difese sempre strenuamente, arrivando a sostenere a Parigi un duello con un figlio di Rossi. Nella ricchissima documentazione del processo, voluto da Pio IX dopo la restaurazione, dove la sua figura appare velata - data la parentela con Napoleone III - sotto l'indicazione di "un ricco signore ora contumace", la responsabilità diretta del B. non appare; quella morale, nell'opera di eccitazione e di odio contro un avversario politico ingiustamente accusato di voler ristabilire l'antico dispotismo gregoriano, è indubbia.

Più difficile fu, quindi, per il B. controbattere le polemiche della pubblicistica e della storiografia liberale moderata, che lo accusavano di esser stato membro autorevole di quel gruppo che aveva impedito, con un'azione prevalentemente demagogica, l'esperimento liberale che si stava faticosamente tentando, facendo così rifluire sul terreno della riscossa le mai sopite forze della reazione. Noi possiamo porci un altro quesito: se opponendo, insieme con Sterbini ed altri democratici romani, ai diritti del pontefice, alla responsabilità dei governi, alla funzione del Parlamento, le manifestazioni della piazza egli avesse comunque prospettato e offerto una chiara alternativa politica e dato inizio a una concreta azione rivoluzionaria. In realtà, a livello dei capi, e quindi anche dello stesso B., dietro gli atteggiamenti tribunizi la parola "repubblica" non appare mai chiaramente, quella della "rivoluzione" neanche: la massa popolare restò incerta, frastornata, slegata, sotto vaghe etichette democratiche, ma senza chiara coscienza di una meta e di una strada, esaurendosi in manifestazioni di amore deluso verso il pontefice e di odio esaltato verso le alte sfere del potere.

Il giorno stesso della morte di Rossi il Circolo popolare aveva diramato un indirizzo che conteneva dure, perentorie richieste sul piano dell'unificazione italiana, della Costituente, della guerra di indipendenza, della scelta dei ministri. Roma era sconvolta dai tumulti, e il B., con Sterbini e S. Vinciguerra, fu in primo piano anche nella violenta dimostrazione del 16 novembre che si concluse davanti al Quirinale. Poco dopo Pio IX era in fuga verso Gaeta.

La situazione si faceva ancora più fluida: il popolo, ieri agitato, era ora come annichilito da un evento di cui non riusciva a capire la genesi, la portata e lo sviluppo; la Camera appariva dominata da una maggioranza moderata, che non trovava l'accordo ed era, inoltre, ancora profondamente condizionata dall'atteggiamento del lontano pontefice. Abbandonata la piazza, dove ormai regnava incontrastato Sterbini con una complicata politica di compromessi e di rinvii il B. si dedicò al Parlamento, dove condusse un abile gioco per far avanzare la rivoluzione nell'ambito della legalità costituzionale, adottando una tattica realistica che, smorzando punte troppo accese, teneva conto della forza degli avversari e dell'incertezza del momento.

Con una lunga serie di interventi e di richieste, egli tese a intralciare la ripresa del dialogo con il papa e l'azione dilazionatrice dei moderati; affrontò il problema della sovranità vacante con il suggerimento di una commissione, di nomina parlamentare, che ne assumesse l'esercizio fino a un eventuale ritorno del pontefice. Ma la sua attenzione andava al di là di Roma, verso l'Italia sconvolta dalle rivoluzioni: combatté la Costituente "federativa" di Mamiani, rilanciandone una "italiana", eletta a suffragio universale, in gran parte simile a quella di Montanelli; e la stessa Costituente romana, quando egli iniziò a sostenerne la proposta, era vista in funzione di una soluzione globale, nazionale. Le sue proposte cadevano spesso nel nulla o venivano respinte con le votazioni: a parte lo scontro con i moderati, di cui pareva essersi fatto alfiere D. Pantaleoni, il B. era quasi solo nel campo dei democratici romani, in opposizione netta a Sterbini, ormai troppo condizionato dai difficili umori della popolazione e ondeggiante in una linea politica di compromessi.

In definitiva fu proprio Pio IX che, respingendo qualunque possibilità di intesa e di accordo, favorì il trionfo dell'ala radicale (e lo stesso B. dichiarerà più tardi, velando la propria parte, che "ce ne fut pas le peuple mais le Souverain qui fit la révolution": Discours..., p. 503). Anche l'aumentata presenza dei democratici italiani (il B. aveva votato contro la loro espulsione) favorì il mutamento della scena politica e lo sviluppo delle tendenze estremiste. Sciolta la Camera, bandita la Costituente, il B. fu eletto a Roma e a Viterbo (optò per quest'ultima dove era riuscito primo, invece che per la capitale dove era l'ultimo degli eletti); nella nuova Assemblea fu vicepresidente, capo di sezioni, membro della commissione che doveva elaborare la nuova costituzione.

"Viva la Repubblica!" fu la sua risposta all'appello nominale, quando ancora il problema istituzionale non era venuto in discussione. Cadute l'ambigua confusione del periodo di Pio IX e la cauta tattica di quello di transizione, la sua opera divenne lucida e coerente, la sua ideologia più netta, nella pienezza della libertà di espressione. Lo stesso temperamento sembrò placarsi sotto il peso di una diretta responsabilità: finiti gli atteggiamenti istrionici e passionali, restò a caratterizzarlo solo qualche spunto di aggressiva ironia.

Anche nella Costituente il B. appare un isolato: per l'ampiezza della sua visione politica poco s'intendeva con i deputati "romani", ed era spesso in aspro conflitto con Sterbini, legato più strettamente alle realtà e alle esigenze locali. Avrebbe dovuto, logicamente, militare nel gruppo dei democratici "italiani", per la comune visione anche di quella funzione che voleva fare di Roma repubblicana il centro motore della futura Repubblica italiana (e continua fu la sua lotta per la Costituente montanelliana e per l'unione con la libera Toscana). Ma, in realtà, pur in questo ambito, anche se egli fu - come sembra - il principale finanziatore del Tribuno di F. De Boni, il B. era solo: in parte per la profondità e il radicalismo dei suoi ideali politici, che tendevano a superare i concetti-base di indipendenza e repubblica per un'analisi più profonda del processo di rinnovamento della società e dello Stato, non priva di spunti a carattere sociale, in parte per la diffidenza suscitata dal nome che portava, evocatore di antiche tirannidi e di fresche ambizioni dinastiche. Con Mazzini, che egli accolse calorosamente in Assemblea, dopo averne difeso la legittimità dell'elezione, e verso cui si mostrò apparentemente rispettoso, l'accordo non era possibile: il B. non aveva l'animo del gregario, e lo scontro - più intuibile che aperto - dei loro autoritarismi e delle loro volontà si acuiva per la reciproca insofferenza dei caratteri e delle formazioni, all'empito messianico di Mazzini opponendosi la razionalità scientifica dell'altro. E talvolta vi era cortese ma duro contrasto su alcune idee, come quando il B. opponeva all'unione sacra e al rafforzamento del potere esecutivo, chiesti da Mazzini, l'esaltazione della libera espressione dei partiti e i diritti del Parlamento (cioè del popolo che esso rappresentava) che dovevano limitare quelli del triumvirato, "sentinella avanzata dell'Assemblea".

Pur isolato e spesso inascoltato, il B. esercitò ugualmente una funzione importante in seno alla Costituente, una funzione di chiarificazione dei problemi e di pungolo per il loro sviluppo. La costituzione, alla cui elaborazione aveva partecipato direttamente, non lo vide completamente favorevole. Gli emendamenti da lui proposti, quando ormai le truppe francesi stavano per entrare a Roma, sono testimonianza significativa di alcune sue deluse idealità: 1) abolizione del riferimento alla "religione di Stato", e opposizione all'inserimento di una formula attinente alla "libertà dei culti" (la religione doveva essere abbandonata alla libera coscienza dei cittadini); 2) concessione della cittadinanza della Repubblica a tutti i nati in suolo italiano; 3) contribuzione dei cittadini alle spese della Repubblica in proporzione ai loro mezzi (auspicabile un'unica tassa proporzionale), nel quadro di un più giusto assetto sociale; 4) dualità dei consoli e investitura del potere esecutivo non per opera del Parlamento, ma del popolo.

Attivissimo per la difesa a oltranza della città e in visita al teatro dei combattimenti, il B. fu tra i firmatari della protesta emessa contro gli invasori francesi dai deputati dispersi con la forza mentre erano in Assemblea; ricevette anche l'incarico di difendere il diritto alla vita della Repubblica romana presso gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Francia. S'imbarcò a Civitavecchia, ma, per ordine del cugino Luigi Napoleone, che ne aveva già sconfessato l'attività sul Journal des Débats del 9 dic. 1848, a Marsiglia venne fatto dirottare per l'Inghilterra. Poco dopo gli venne concesso di stabilirsi a Parigi, con l'impegno a non esercitare politica, un impegno che, a parte un clamoroso processo intestato contro il visconte d'Arlincourt, il reazionario autore de L'Italie rouge, e la pubblicazione dei suoi Discours,allocutions et opinions dans leConseil des députéset l'Assembléeconstituante de Rome (Leide 1857), egli cercò di mantenere, non mettendosi particolarmente in luce nell'animato quadro dell'emigrazione italiana. Continuava ugualmente a svolgere attività politica, nell'ambito della dissidenza antimazziniana e in stretto contatto con alcuni esuli, fra cui G. Pepe.

Nel 1852 un suo improvviso colpo di testa allarmava la diplomazia europea: era sbarcato a Civitavecchia con l'intento di raggiungere Roma. Solo motivi di famiglia lo avevano spinto all'audace gesto, ma il governo pontificio si spaventò, e mentre il papa stesso dichiarava che se l'ingombrante personaggio avesse rimesso piede nella capitale sotto la protezione delle truppe francesi, egli avrebbe ripreso subito la via dell'esilio, il B. fu fatto reimbarcare immediatamente alla volta della Francia.

Al bando della società politica e mondana del Secondo Impero (si vedano le pungenti osservazioni di H. de Viel-Castel, Mémoires sur le règne de Napoléon III, Paris 1884; anche a Roma l'aristocrazia lo aveva tacitamente e definitivamente espulso dal proprio seno), ma molto apprezzato nel campo delle scienze e della amministrazione, il B. morì a Parigi il 29 luglio 1857.

Aveva avuto dodici figli, fra cui Giuseppe (1824- 1865), Luciano, il futuro cardinale, Napoleone Carlo (1839-1899). Alcune delle figlie si sposarono nella penisola, continuando ad alimentare il ramo italiano dei Bonaparte, presente, con le sue tendenze liberali e nazionali, alla corte di Napoleone III: Giulia (1830-1900), sposata ad Alessandro del Gallo di Roccagiovine, Carlotta (1832-1901) a Pietro Primoli, Maria (1835-1890) a Paolo Campello della Spina, Augusta (1836-1900) a Placido Gabrielli.

Parallelamente a quella sociale e politica il B. svolse un'attività scientifica molto intensa e produttiva, rivelando un intelletto chiaro e ordinatore, oltreché una conoscenza ampia e profonda dei problemi biologici. Il suo interesse andò dapprima alla botanica né si spense negli anni seguenti, essendosi egli convinto della utilità che le conoscenze scientifiche hanno per lo "sfruttamento del suolo". Il B. si occupò infatti di coltivazioni agricole nelle sue terre di Canino, fu sostenitore della necessità dell'insegnamento dell'agricoltura in Francia e sperò invano di ottenere la direzione dell'Istituto agronomico di Versailles; riuscì invece, assai più tardi, ad ottenere la direzione del Museo di storia naturale di Parigi, grazie all'appoggio di I. Geoffroy Saint-Hilaire.

Facendo sua l'affermazione del Lacépède, che l'uomo avrebbe trovato la soluzione di molti suoi problemi nello studio delle scienze naturali, il B. ben presto affiancò alla ricerca botanica quella zoologica, tradizionale nella scienza francese e che presto prevalse sulla prima. Già durante la traversata dell'Atlantico, nel viaggio che intraprese, appena sposato, verso gli Stati Uniti, egli raccolse alcune osservazioni sulle procellarie e ne fece oggetto di pubblicazione poco tempo dopo a Filadelfia (An account...). Subito dopo iniziò quello studio organico delle specie di uccelli presenti nel Nordamerica che si sarebbe concretato prima in un lavoro minore e tuttavia di notevole impegno scientifico, il Genera..., poi in quella che fu considerata una delle più importanti opere di ornitologia americana e che rese subito noto il nome dell'autore negli ambienti scientifici degli Stati Uniti: The Natural History..., complemento al lavoro di A. Wilson (American Ornithology, Philadelphia 1808-13), arricchito di un gran numero di specie nuove o poco conosciute.

Dopo il ritorno in Italia, il desiderio di farne progredire il livello scientifico, desiderio che si espresse in particolare nella organizzazione e nella partecipazione ai congressi degli scienziati italiani, insieme al suo genuino interesse per la zoologia, suggeriva al B. di realizzare un progetto grandioso: la sinossi ed il riesame delle numerose descrizioni della fauna regionale italiana già esistenti, Iconografia della fauna italica per le quattro classi diVertebrati, Roma 1832-1841.

Vi elencava circa un migliaio delle quindicimila specie di Vertebrati presenti in Italia, scegliendo tra quelle più rappresentative della classe o meno note alla letteratura zoologica ufficiale o infine affatto sconosciute: queste ultime erano descritte riferendosi ai caratteri meglio definiti e meno artificiosi. Ricorre in tutta l'opera la critica ai modi e ai metodi dell'indagine naturalistica, soprattutto ai criteri della classificazione, spesso messi a confronto nei vari autori. Il testo è integrato da pregevoli tavole illustrate molto superiori al livello medio della iconografia corrente della fauna italiana. Il lungo intervallo di tempo trascorso tra l'inizio e la fine della pubblicazione di questo grosso lavoro è responsabile di certe disarmonie e di qualche contraddizione. Infatti il B. andava via via migliorando e modificando le sue conoscenze con le frequenti visite ai più ricchi musei zoologici d'Europa, con la partecipazione ai congressi scientifici e con la corrispondenza incessante con i più grandi naturalisti del tempo. Era amico di L. Agassiz, con il quale aveva progettato un ritorno in America per uno studio comune sulla fauna di quei luoghi (cfr. le lettere di Agassiz al B. in E. C. Agassiz, Sa vie et sa correspondance, Paris 1887, pp. 282 ss.); il progetto non si realizzò ed il B. si limitò a rivedere le parti ornitologiche del Nomenclator Zoologicus dell'Agassiz; corrispondeva con l'ornitologo americano J. J. Audubon e con lo svedese S. Nilsson, con cui scambiò notizie ed opinioni su alcune specie di Mammiferi, con G. R. Gray, che usò in gran parte la classificazione del Bonaparte. Al Cuvier mosse critiche a proposito dei criteri adottati nel suo sistema classificatorio e le esternò nel suo Sulla seconda edizione...; qui seguendo pagina per pagina l'opera dell'autore francese rilevava incongruenze e squilibri nell'ampiezza data ad uguali categorie classificatorie. Nel 1831 faceva seguire a questa critica un suo modello di classificazione dei Vertebrati (Saggio di una distribuzione...).

Nel 1841, in occasione del III convegno degli scienziati italiani, esaminando la situazione della ricerca zoologica in Europa (Osservazioni sullo stato...) il B. poneva l'accento sulle difficoltà che ancora si frapponevano a una sistemazione naturale delle specie animali ed in particolare sulla tendenza di alcuni zoologi ad allargare, di altri a restringere, il concetto di specie. Contributi a quel chiarimento che il B. auspicava possono considerarsi due suoi lavori degli anni precedenti: Lista degli uccelli di Romae Filadelfia, Pisa 1827, ed A geographical and comparativelist ofthe birds of Europeand North America, London 1838; quest'ultimo, oltre ad esserne un completo elenco, ordina per specie gli uccelli dei due continenti segnalando le già descritte e provvedendo ad un utile raccordo della nomenclatura usata dai vari autori, in particolare dal Gould e dall'Audubon. In questo lavoro è possibile fare una comparazione tra le faune di zone climatiche analoghe; motivo che tornerà nella ornitologia americana con i lavori di S. F. Baird, che nel 1850 inizierà uno studio sulle variazioni geografiche degli uccelli americani.

Negli ultimi anni della sua vita il B. sentì la necessità di unificare il lavoro e la ricerca di quasi trenta anni nel Conspectus generumavium, che doveva avere il significato del Prodromus di A.-P. de Candolle. Per la elaborazione di quest'opera egli si trattenne otto mesi a Leyda, confrontando i suoi cataloghi con le collezioni di quel museo di storia naturale; fu aiutato dal C. J. Temmink e da H. Schlegel, allora rispettivamente direttore e vicedirettore del museo. L'opera scritta in latino comprendente la descrizione di circa settemila specie, e arricchita dei dati raccolti anche nelle assemblee scientifiche, malgrado fosse rimasta incompiuta, per la morte del B., fu ritenuta utilissima e tradotta in molte lingue.

Opere: An account of fourspecies of StormyPetrel, in Journ. of theAcad. of nat.sciences of Philadelphia, III (1824), 2, pp. 217 ss.; Suppl. to "An account ...", in Zool. Journ., III (1828), pp. 89 ss.; Amer. Ornithologyor Natural Hist.of Birds inhabiting theUnited States,not given by Wilson, Philadelphia 1825-1833; The generaof North American Birds, in Annals of the Lyc.of Nat. History ofNew York, II (1826), 3, pp. 1 ss.; Sulla seconda edizione delregno animale del barone Cuvier, Bologna 1830; Saggio di unadistribuzione metodicadegli animali vertebrati, Roma 1831 e 1832; Description d'uneespèce inéditede Lacertidefrançais du genrePsammodrome, in Annales des sciences naturelles, s. 2, XII (1839), pp. 60 ss.; Osservazioni sullo stato della zoologiain Europa inquanto ai Vertebrati nell'anno1840-41, Firenze 1842; Catalogo metodico degli uccelli europei, Bologna 1842; Catalogo metodicodei pesci europei, Napoli 1846; Conspectus generum avium, Leyda 1850; Ornithologie fossile, Paris 1856.

M. CappellettiAlippi

Fonti e Bibl.: Nell'Archivio Segreto Vaticano, molte carte riguardanti il B. nel fondo Segreteria di Stato,ad annum, in partic. rub. 165 e in alcune buste "Bonaparte", in cui è raccolta documentazione sulla famiglia dal 1814 in poi. Corrispondenza, d'interesse soprattutto familiare, presso alcuni discendenti, Valentini a Canino e Campello della Spina a Spoleto, e nella biblioteca della Fondazione Primoli a Roma, che conserva anche le numerose lettere, d'intonazione politica, a lui inviate da L. Masi. Materiale scientifico è stato donato dal B. al Museo di storia naturale di Parigi. Tra le più import. fonti edite: gli Atti dei congr. degli scienziati, editi ad annum nelle varie città; Le Assemblee del Risorg., Roma, I-IV, Roma 1911. Sulla sua formaz. e l'ambiente fam. Comte de Châtillon, Quinze ans d'exil dansles Etats romains, Paris 1842; F. Wouters, Les Bonaparte dépuis1815, Paris 1847; T. Yung, Lucien Bonaparte…, Paris 1882; P. Campello della Spina, Storia documentata di una famiglia umbra, Città di Castello 1899; Id., Ricordi di più che cinquant'anni, Roma 1910; F. Masson, Lucien Bonaparte..., Paris 1889; G. Bertin, Joseph Bonaparteen Amérique, Paris 1893; D. Angeli, I Bonaparte a Roma, Milano 1938, pp. 135-147; F. Pietri, Lucien Bonaparte, Paris 1939; P. Fleuriot de Langle, Alexandrine Lucien Bonaparte,princesse de Canino, Paris 1939; F. Charles-Roux, Rome asile des Bonaparte, Paris 1952; A. Corsini, I Bonaparte aFirenze, Firenze 1961. Per la numerosa discendenza italiana: J. Valynseele, Le sang des Bonaparte, Paris 1954. Sommarie biografie e saggi particolari: Biographie du prince Ch-B., tradotta dall'ital. da J. Pautet, Paris 1844; Notice biographique sur sonAltesse Impériale le princeCh. B. B., extrait du Panthéon Biogr.Univ., Paris 1856; M. Menghini, Una mancata visita delGuerrazzi a Roma, in Nuova Antol., 16 ag. 1921, pp. 289 ss.; R. Ferrari, Il principe di Canino e il suo processo, Roma 1926; L. Sandri, Ancora sul processo Rossi. Il principe di Canino, in Rass.stor. del Risorg., XXVII (1940), pp. 526-533; F. Bartoccini, Ilprincipe di Caninoe i congressi degli scienziati, in F. Bartoccini-S. Verdini, Sui congressi degli scienziati, Roma 1952, pp. 5-25; A. M. Ghisalberti, Acque mosse a Civitavecchia, in Momenti e figuredel Risorg. romano, Milano 1965, pp. 203-212. Sulla partecipazione del B. ai congressi scientifici: A. Corsini, Il primo congresso degli scienziati in Nuova Antol., 1º genn. 1914, pp. 110 ss.; A. Hortiz, Le riunioni degli scienziati ital.prima delle guerred'indipen., Città di Castello 1922; R. Cessi, Retroscena politicidel primo congresso degli scienziati ital., in Rass. stor. del Risorg., X (1923), pp. 445-507 (per ulteriore bibliografia, v. F. Bartoccini-S. Verdini, op. cit.). Numerosissimi i riferimenti al B. in fonti e opere contemporanee sul movimento liberale e nazionale italiano dopo il 1840: si ricordano solo, per le astiose calunnie di tono reazionario, Ch.-V. d'Arlincourt, L'Italie rouge, Paris 1850; A. Balleydier, Hist. de la révolution de Rome, Paris 1851; la più viva polemica di parte moderata in L. Farini, Lo Stato romanodall'anno 1814 all'anno 1850, Torino 1853; nel campo dei democratici, che non lo accettano completamente nelle proprie file, la maggiore considerazione in G. Gabussi, Memorieper servire alla storia della rivoluzionedegli Statiromani, Genova 1851. Sull'assassinio di P. Rossi, in partic.: G. Brigante Colonna, L'uccisione di Pellegrino Rossi, Milano 1938. Isolato, per idee e per azione, senza responsabilità di potere, senza seguito, il B. trova nella bibliografia critica posteriore frequenti citazioni ma scarso risalto: fa eccezione L. Rodelli, La Repubblicaromana del 1849, Pisa 1955. Un accenno alla sua dissidenza antimazziniana dopo il 1849 in F. Della Peruta, I democratici e larivoluz. ital., Milano 1958, ad Indicem.

F. Bartoccini

Per quanto riguarda la sua attività scientifica, cfr.: J. Geoffroy Saint-Hilaire, La famiglia Bonaparte dal 1183al 1834, Napoli 1840, p. 161; E. de Beaumont, Notices sur les travauxscientifiques de son altessele prince Ch. L. B., Paris 1866; A. Richard, Notices sur le travaux scient.de Ch. L. B.par M. de Beaumont: réflexionssur ce travail, Paris 1866; C. G. Giebel, Thesaurus ornithologiae, I (1872), pp. 17-19; A. Agassiz, Bibliographia zoologiae etgeologiae, London 1848-54, I, pp. 352-355.

M. CappellettiAlippi

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