BOLLI LATERIZI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi BOLLI LATERIZI dell'anno: 1959 - 1994

BOLLI LATERIZÎ (v. vol. II, p. 124)

F. Taglietti; C. Zaccaria

Roma e dintorni. - Gli studi degli ultimi anni, dovuti soprattutto alla scuola finlandese che ha continuato la tradizione dei fondamentali lavori di Herbert Bloch, hanno delineato un quadro assai articolato e complesso della produzione laterizia e del funzionamento delle fabbriche che fornivano il mercato romano. La situazione delle ricerche sui b. laterizi nel resto dell'Italia centrale e meridionale e nelle isole non è invece andata oltre una sporadica e non organizzata pubblicazione di singoli materiali che poco aggiunge alle edizioni dell'instrumentum domesticum del CIL. Manca ancora una ricostruzione di insieme per aree omogenee, che è resa difficile anche dalla tipologia dei b. attestati fuori dell'area urbana, in cui si riflette con tutta probabilità una organizzazione della produzione poco complessa; i b. laterizî, per lo più di forma rettangolare e con l'indicazione di un solo nome, assai raramente consentono la ricostruzione di serie. Se si escludono le aree vesuviane, recentemente indagate, è da Roma e dal mercato urbano che vengono le maggiori novità.

È noto che l'uso del mattone cotto in fornace si diffonde a Roma grosso modo sotto Augusto, dapprima episodicamente e poi in maniera più sistematica, a partire dai Castra Praetoria tiberiani interamente costruiti in cortina laterizia; anche a Roma l'utilizzazione del laterizio nell'edilizia però non va certamente limitata all'età imperiale. Fuori della città appare più precocemente solo l'uso di bollare tegole con data consolare, soprattutto in relazione a una funzione pubblica (v. supra). Già Vitruvio (II, 8, 17-19), nell'evidenziare la poca convenienza economica dell'utilizzazione del mattone cotto a Roma, testimonia lo scarso sviluppo dell'industria laterizia a lui contemporanea e nel contempo ne attesta anche per l'Urbe l'esistenza in epoca precedente.

Dalla tarda età repubblicana quindi, in conseguenza dell'adozione delle nuove tecniche edilizie, sorgono a Roma e nella campagna romana, soprattutto nelle zone argillose già sfruttate per la produzione ceramica, figlinae specializzate nella produzione di opus doliare che bollano i loro prodotti con marchi di fabbrica impressi, dopo un primo parziale essiccamento, mediante timbri per lo più lignei (di bosso) e, in minore quantità, anche metallici; questo tipo di timbro, usato sporadicamente nel corso della prima e media età imperiale, sarà poi, come è noto, tipico dell'età dioclezianea. e postdioclezianea.

Il termine opus doliare attestato sui testi dei b. laterizi comprende una grande quantità di prodotti diversi: bipedales, sesquipedales, bessales, tegole, coppi, mattoni di formato speciale, dolia, mortaria, sarcofagi fittili, tubuli, lastre Campana, terrecotte architettoniche. All'inizio le figlinae urbane, quelle cioè che rifornivano essenzialmente il mercato romano, producevano tutta la gamma dell'opus doliare, come testimonia anche Plinio il Vecchio (Nat. hist., XXXI, 46, 130; XXXIV, 113; XXXV, 66; XXXVI, 189), ma certamente l'accresciuta domanda di materiale edilizio determinò una progressiva specializzazione: troviamo infatti fabbriche attive nella piena età imperiale che producono di preferenza mattoni piccoli, bessali di qualità meno buona e che richiedono anche una manodopera meno specializzata (p.es. opus Salarese, figlinae Sulpicianae, praedia Quintanensia), e altre che producono mattoni grandi, tegole, ceramica pesante (dolia, mortaria, sarcofagi fittili, ecc.), lastre Campana, antefisse, ecc. (p.es. figlinae Caninianae, Castricianae, Macedonianae, Marcianae, Oceanae).

Dalla tarda età repubblicana fino a tutto il I sec. d.C. disponiamo per lo più di b. rettangolari (forma che all'infuori di Roma resta sempre la più comune) con un solo nome al genitivo. La formulazione assai semplice lascia quindi dubbi sul ruolo rivestito dal personaggio all'interno del processo produttivo; quasi mai poi viene indicato il nome delle figlinae in cui il personaggio in questione è attivo, così che è difficile stabilire un qualsiasi rapporto tra persone nominate su b. diversi, se questo rapporto non è esplicitamente indicato. Il nome delle figlinae appare solo in età Claudia, assai raramente in alcune fabbriche che presentavano una organizzazione interna più complessa e con una maggiore varietà di prodotti (p.es. figlinae Caninianae, Castricianae, Marcianae, Macedonianae, Naevia- nae). La forma rettangolare diviene a Roma più rara da Nerone in poi e termina, almeno nel tipo con una sola riga di testo, agli inizi del II sec. d.C., mentre con due righe di testo compare ancora in età adrianea in alcuni bolli con data consolare (p.es. di T. Statilius Maximus, Arria Fadilla, Q. Aburnius Caedicianus, Domitia Lucilla, ecc.). Accanto a essa compaiono fino a tutto il I sec. d.C. forme circolari (la maggior parte dei b. circolari però si colloca nei primi due decenni del II sec.) e circolari con centro in rilievo; b. semicircolari appaiono attestati dagli anni 30 fino a Nerone, forme lunate, rarissime al di fuori dell'area urbana, compaiono in età flavia.

Dalla fine del I - inizî II sec., certamente in relazione a una più articolata organizzazione delle figlinae, che corrisponde a un aumento della produzione, il testo dei b. diviene più esplicito con conseguente modificazione della forma. Appare il tipo orbicolato, che da Domiziano fino all'inizio del III sec. sarà tipico dei b. urbani e che sembra esclusivo di quest'area. Sulla base dello sviluppo dell'orbicolo, che tende nel corso del II sec. a chiudersi e rimpiccolirsi, è possibile dare una datazione di massima alla maggior parte di questi materiali.

Accanto al tipo orbicolato compaiono dagli inizî del II sec. d.C. fino al 134 d.C. b. a lettere incavate con testo disposto su una o due righe, senza riquadratura, riservati esclusivamente a bessali.

Nei b. rettangolari e nelle prime forme orbicolate, accanto al testo scritto si inserisce spesso un elemento decorativo che svolge la semplice funzione riempitiva (stella, freccia, palmetta, ecc.) e che sparisce più o meno con il 123 d.C.; oltre a questo tipo di decorazione compaiono inoltre nel testo dei b. motivi più complessi inseriti al centro (bucranio, palma, corona, sistrum, busto di divinità tra due attributi, tipico dell'età traianea). Gradatamente, dall'età adrianea in poi, il testo si arricchisce di una seconda riga e si definisce con più precisione lo spazio centrale riservato a questi signa, che cambiano; compaiono nuovi soggetti (divinità a figura intera, personificazioni, forse anche scene di spettacolo, di circo, ecc.).

Il testo del b. nella forma più completa, che viene adottata più generalmente solo nel II sec., come è noto, fornisce l'indicazione dei domini, dei praedia, delle figlinae, il nome degli officinatores e più raramente dell'operaio; in un periodo cronologicamente ben definito, dal no al 164 d.C., compare talvolta la data consolare.

Tra i molti studî che in questi ultimi anni hanno affrontato il problema della produzione laterizia urbana, dopo la lunga pausa seguita ai lavori del Bloch, si segnala quello di T. Helen, seguito nelle sue conclusioni da P. Setälä nell'indagine prosopografica sui domini privati nell'industria laterizia dei primi III secoli d.C., che ribalta la tradizionale interpretazione del testo dei b.; egli ha voluto vedere nel dominus il proprietario del terreno su cui era situata la cava di argilla (praedium), ma non quello della struttura produttiva, mentre il fabbricante dei mattoni vero e proprio, indicato al genitivo dopo opus dottare, sarebbe in realtà l'officinator. In tal caso i termini praedia e figlinae verrebbero quasi a equivalersi poiché con quest'ultima parola sarebbe indicata la cava di argilla e non la fabbrica, e il dominus, padrone del terreno, limiterebbe la sua funzione alla semplice recezione di un pagamento per l'uso delle cave; l'officinator resterebbe proprietario del prodotto finito e ne curerebbe la distribuzione.

È stato più volte messo in rilievo però che i personaggi attestati sui b. laterizî come proprietari (domini) di praedia e di figlinae sono in larga misura di rango senatorio. Un posto di particolare rilievo è inoltre occupato, come è noto, dall'imperatore e dalla sua famiglia e attraverso un processo di concentrazione nelle mani dell'imperatore si giunse a una monopolizzazione della produzione che si è definitivamente compiuta in età antonina (v. vol. II, p. 125).

Tra i casi recentemente analizzati si vedano quello di C. Asinius Pollio, che va probabilmente connesso con le figlinae Curtianae e che, avendo al suo servizio C. Cosconius attestato in CIL, XV, 145, anteriore al 36 a.C., è stato con buona probabilità identificato con il console del 40 a.C.; e il caso di L. Sestius, figlio di quel P. Sestius difeso da Cicerone, forse da riconnettere alle figlinae Sex(tiane), attive ancora fino all'età adrianea. Si può ricordare ancora la gens senatoria degli Haterii della quale sono stati di recente evidenziati gli interessi sia nel settore dello sfruttamento della proprietà terriera per la produzione di materiale edilizio (figlinae Narnienses), sia in quello degli appalti imperiali attraverso liberti, senz'altro favoriti nella concorrenza dalla posizione sociale del patrono.

Gli officinatores sono invece per lo più liberi che lavorano alle dipendenze del dominus, quest'ultimo mantiene un ruolo attivo nella produzione e il controllo di tutte le sue fasi, comprese quelle del magazzinaggio, del trasporto e della distribuzione del prodotto finito. È stato infatti notato di recente che tutti i prodotti p.es. delle figlinae appartenenti alla gens Domitia (Caninianae, Domitianae, Fulvianae, Terentianae), protagonista della produzione laterizia fin dagli inizî, con Cn. Domitius Afer già attivo sotto Caligola (v. vol. II, p. 124), passavano attraverso il magazzino Portus Licini (tegularium nominato ancora da Cassiodoro, Var., I, 25), situato probabilmente nei praedia Liciniana, dove dovevano avere sede anche le figlinae Domitianae e forse altre di proprietà della famiglia; anche i ritrovamenti documentano spesso le stesse associazioni di materiali di differenti figlinae, fenomeno che suggerisce un magazzinaggio e una distribuzione comune. La forte presenza di senatori, dei quali è ormai pienamente accettata la partecipazione diretta a svariate attività economiche (cui si aggiungono degli equites, qualche liberto e schiavo imperiale), unitamente a quanto segnalato sulle vicende della distribuzione del prodotto finito, pare quindi piuttosto confortare l'ipotesi tradizionale sui ruoli dei domini e degli officinatores; è infatti assai difficile ammettere che dei senatori abbiano mantenuto una posizione così passiva e secondaria nella produzione laterizia. Recentemente M. Steinby ha dimostrato che i testi dei b. laterizî nella loro forma più completa riproducono in maniera abbreviata un contratto del tipo locatio- conductio operis, stipulato fra il proprietario delle figlinae (dominus) e l'officinator, funzione quindi del b. non doveva essere quella di garantire la qualità del prodotto nei confronti dell'acquirente, qualità che peraltro era immediatamente giudicabile a un esame esterno, mentre il b. difficilmente sarebbe risultato comprensibile a tutti anche per la forma fortemente abbreviata del testo. Questo riproduceva invece, a fini interni di controllo di produzione, i termini del contratto intercorso.

In questo contesto si inserisce anche il fatto che, almeno da Antonino Pio, nelle figlinae di Domizia Lucilla e dei suoi successori, i signa che compaiono al centro del bollo sono stati riconosciuti come distintivi di officinatores; il collegamento tra certi signa e certi officinatores (che sembrano poi aver cambiato signum cambiando figlinae) con la conseguente possibilità di creare delle serie anche quando il nome dell'officinator non compare, permette di concludere che la marca di fabbrica era legata all'officina ovvero al settore delle figlinae del quale il titolare del b. era responsabile, e il b. forniva quindi un'ulteriore informazione in merito al controllo della produzione, ovviamente per il dominus.

È noto che l'origine del prodotto è indicata sui mattoni con le formule ex praediis o ex figlinis seguite dal nome che a volte fornisce delle precise indicazioni topografiche. In generale nell'età imperiale poche sono le fabbriche localizzate a Roma e nelle immediate vicinanze (p.es. le Brutianae nella Regio XIV presso il Vaticano, le Quintianae in Trastevere, le Sulpicianae presso le Terme di Caracalla); di alcune è indicata con chiarezza la localizzazione lungo le vie principali che uscivano da Roma, nell'agro Sabino, lungo il corso del Tevere e dei suoi affluenti (p. es. figlinae Via Nomentana, Via Triumphali, officina quae est Via Aurelia, officina de Via Salaria, figlinae Narnienses, Ocriculanae, Subortanae).

Roma in questo settore appare un grosso mercato di consumo e non un grosso centro di produzione. Le fabbriche situate fuori Roma potevano con tutta probabilità esercitare una forte concorrenza nei confronti di quelle romane poiché i prodotti potevano essere trasportati via fiume o lungo la costa evitando i trasporti di terra più costosi. I materiali prodotti da queste fabbriche, che vengono così definite urbane non perché situate a Roma, ma perché producono prevalentemente per il mercato romano, hanno un'area di diffusione entro un raggio di c.a 50 km da Roma verso l'interno: lungo la costa, a S fino a Anzio, a Ν fino a Civitavecchia, nonché nelle isole del Giglio, di Giannutri e di Ponza, nonostante l'esistenza di una produzione locale evidentemente molto limitata per quantità e diffusione. Ostia, Porto e Villa Adriana risultano costruite con materiali provenienti dalle stesse fabbriche che rifornivano il mercato romano; in questo senso la distinzione operata dal Dressel nel CIL, xv, I, tra Lateres urbani e Lateres veteris Latii et regionum circumstantium (cap. VI) è stata giustamente messa in discussione.

A Pompei e a Ercolano tutti i sarcofagi fittili, la quasi totalità dei mortai e molti dolia sono di produzione urbana; esiste, però, nonostante la cattiva qualità dell'argilla, una produzione locale non specializzata: nelle fabbriche dell'agro vesuviano, forse in rapporto all'importanza della viticoltura e della produzione olearia della zona, si producevano oltre a pochi mattoni grandi e mortai, doli e anfore. L. Eumachius bolla, p.es., con timbri molto vicini sul piano paleografico, tegole e anfore fabbricate con argilla proveniente dalle stesse cave nel terzo venticinquennio del I sec. a.C. Con questa debolezza della produzione locale, che appare diffusa solo entro l'area vesuviana, si spiega la forte presenza di materiali urbani. Un mercato più ampio hanno i prodotti attribuiti a figlinae localizzate nella zona settentrionale della Campania (p.es. le tegole di Ti. Claudius Aug. I. Potiscus: CIL, XV, I, 2399, 2400 e Suppl., 461; CIL, X, 8042, 36; o di L. Faenius Rufus praefectus praetorio di Nerone morto nel 65: CIL, XV I, 1136, 1137, Suppl., 290, ampiamente attestate a Roma e a Ostia e ritenute urbane dal Bloch).

Fuori dei limiti del mercato urbano così individuato i rinvenimenti sono al termine di vie commerciali e marittime già note e vanno spiegati di volta in volta; poteva trattarsi di materiali da costruzione delle navi, utilizzati p.es. per copertura di cabine o di ambienti destinati al comandante o all'equipaggio (si vedano i rinvenimenti della nave di Albenga o de la Chrétienne C, oltre che quelli notissimi delle navi di Nemi). Materiale laterizio poteva anche funzionare da zavorra e costituire carico di ritorno con il duplice scopo di rendere conveniente la spedizione di un materiale, come le tegole, certamente di non elevato valore commerciale e assicurare con il peso stabilità alle navi; il costo dei trasporti e la concorrenza locale sarebbero bastati a impedire un commercio primario di opus doliare urbano, visto anche lo scarso valore della merce. Rinvenimenti sono documentati nell'Italia settentrionale, sulla costa adriatica in generale, sulla costa ligure, sulla Costa Azzurra, in Spagna, in Sardegna, in Sicilia, in Africa e in Egitto.

Agli esemplari attestati fuori del mercato urbano inseriti nel CIL, XV, I, si potrebbero forse aggiungere i rarissimi casi di b. orbicolati rinvenuti al di fuori dell'area urbana, anche se non documentati a Roma, essendo la forma orbicolata tipica ed esclusiva dei prodotti urbani.

È noto che la maggioranza delle figlinae di cui conosciamo il nome, nel corso del II sec., attraverso eredità e confìsche, passa nelle mani dei Severi (v. vol. II, p. 125). Prima dell'età dioclezianea però non è mai chiaramente indicata sui b. imperiali l'appartenenza delle figlinae al fisco, alla res privata o al patrimonio (fatta eccezione di CIL, XV, I, 1); all'interno delle stesse fabbriche questa è comunque ricavabile con buona probabilità dalla storia precedente e dal raffronto con le informazioni contenute nei testi di b. tardi nei quali l'indicazione appare esplicitamente. È comunque sicuro che in edifici fatti costruire dall'imperatore sono utilizzati mattoni provenienti da figlinae appartenenti alle diverse branche dell'amministrazione finanziaria (vedi p.es. il caso delle Terme di Caracalla); come pure è certo l'immagazzinamento in comune dei b. imperiali provenienti dai tre diversi settori. Ciò costituisce un ulteriore elemento di ambiguità nella già intricata questione dell'articolazione dell'amministrazione finanziaria; in tale contesto riveste una importanza particolare il noto caso del trasferimento attestato dai b., da Settimio Severo a C. Fulvius Plautianus negli anni 203-05 dei praedia già appartenuti agli Antonini.

Solo poche fabbriche private sono ancora in attività in questo periodo (Acilianae, Ivilinianae, Publilianae, Propetianae, opus Salarese, quelle collocate nei praedia Centurionica) e tra di esse solo le Publilianae e le Propetianae (in maniera meno rilevante le Acilianae) sembrano avere una consistente capacità produttiva; le Publilianae divenute poi imperiali continuano a produrre anche in epoche successive.

L'identificazione dei domini imperiali lascia spesso qualche margine di dubbio in mancanza di dati di rinvenimento precisi entro strettissimi margini cronologici.

È peraltro generalmente accettato che l'uso dei b. nelle figlinae imperiali dopo la morte di Caracalla cessa, in connessione con una forte diminuzione dell'attività edilizia; solo di recente M. Steinby ha ritenuto possibile una continuità di uso di b. nei quali il dominus appare indicato nella forma Augusti nostri fino a Elagabalo e Alessandro Severo. Essendo il testo del bollo un'espressione in forma abbreviata di un contratto fra dominus e officinator, se l'officinator restava lo stesso, formalmente il b. poteva continuare a essere usato, dal momento che la definizione del dominus poteva riferirsi con tutta tranquillità in generale a varî imperatori; a Elagabalo potrebbero forse riferirsi anche alcuni dei b. con il nome di M. Aurelius Antoninus, attribuiti comunemente a Caracalla.

Pochi sono i b. laterizî iscritti di privati databili dopo Caracalla; tra questi p.es. CIL, XV, 2192 e Suppl., 619 di Rutilius Crispinus Pudens, cos. suff. poco prima del 238 e forse CIL, XI, 8018 con l'inedito nel CIL, attestato da due esemplari a Roma, di L. Calpurnius Proculus, ipoteticamente identificabile con l'omonimo proconsul Asiae del III secolo.

Generalmente accettata è l'opinione che per tutto il periodo successivo, fino a Diocleziano, non esistano più b. iscritti, anche se almeno sotto Aureliano dovette avvenire una ristrutturazione dell'industria laterizia, per la costruzione della cinta muraria: in tratti di mura crollati o abbattuti sono stati rinvenuti infatti soprattutto materiali di reimpiego che testimoniano l'ampiezza delle demolizioni avvenute nell'area per la costruzione delle Mura Aureliane, oltre che forse una scarsa capacità produttiva delle officine dell'epoca; in questo periodo si collocano abitualmente b. senza testo, anch'essi circolari con uno o più anelli all'interno, già attestati in età traianea e adrianea su bessali (insieme però a b. iscritti), a pelte o a motivi ornamentali più complessi. Di essi manca ancora uno studio organico, e pochi sono i contesti di scavo affidabili che ne hanno restituito una quantità tale da permettere un'indagine sistematica. Solo recentemente un tentativo in tal senso è stato effettuato su 185 frammenti di bessali pertinenti a 42 tipi diversi di b. provenienti dallo scavo del balneum degli Arvali alla Magliana e databili agli inizî del III sec., entro gli anni 222-225.

Dal punto di vista tecnico si è potuto chiarire che i timbri dovevano essere metallici, ricavati anche da parti di altri oggetti, p.es. dell'equipaggiamento militare (phalerae), e applicati a una tavoletta lignea con immanicatura, delle stesse dimensioni del bessale, che determinava all'atto dell'impressione la lisciatura della superficie del mattone e la centratura del bollo. È stato inoltre rilevato come il passaggio delle figlinae private alla proprietà imperiale rendesse in questo periodo superfluo l'uso del testo scritto, poiché era necessario indicare solo una delle parti in causa nel processo produttivo; attraverso questi motivi ornamentali viene quindi indicata l'équipe cui di fatto è affidata la produzione e i b. continuano a funzionare in tal modo come strumento di controllo. Oltre a questa spiegazione è stata avanzata anche l'ipotesi che i b. ornamentali servissero a fini di controllo di cantiere in periodi in cui costruzioni di grande impegno richiedevano la messa in opera contemporanea di una grandissima quantità di bessali. Come è noto, con la riforma di Diocleziano troviamo attive nuove fabbriche accanto alle quali ricompaiono una serie di figlinae già conosciute, che nei decenni precedenti dovevano con tutta probabilità aver continuato a produrre laterizî bollati con timbri anepigrafi, p.es. le figlinae Bucconianae, le Domitianae, le Terentianae, le Tempesinae di cui conosciamo la storia solo fino al 140, con il dominus Q. Aburnius Caedicianus; per tutto il periodo dalla riforma di Diocleziano a Teodorico, il materiale, assai difficilmente databile con precisione, è stato di recente sottoposto a una analitica revisione da parte di M. Steinby, che ha permesso di individuare serie scaglionate nell'arco cronologico citato almeno per grandi periodi.

Il tipo di b. più comune è circolare con testo ugualmente disposto in circolo e lettere rilevate, a volte retrogrado; quello circolare con testo a lettere incavate sempre disposto circolarmente scompare con Massenzio per ricomparire con Teodorico, forse in officine private. Un terzo tipo circolare, ma con il testo disposto orizzontalmente su più righe, per lo più a lettere rilevate, attestato nelle Terme di Diocleziano, ricompare poi ampiamente usato da domini privati nella seconda metà del IV e forse nel V secolo. A epoca costantiniana appartengono i b. di forma ottagonale e esagonale; assai rari quelli rettangolari attestati nelle officine imperiali con Teodorico e anche in epoca posteriore, in quelle private anche nel IV secolo.

Il testo di questi b. fornisce sostanzialmente le stesse informazioni - con l'esclusione della data consolare - di quello dei primi, due secoli dell'impero, anche se in una forma del tutto diversa. Viene infatti indicata la res privata, la res fisci, ecc. cioè la proprietà delle figlinae, anche se questa compare non con il nome dell'imperatore; al termine figlinae si sostituisce il termine più tecnico di officina, mentre come equivalente di officina si usa station continua a essere utilizzato officinator, compaiono però anche due magistri, evidentemente dei grossi appaltatori (Severianus: CIL, XV, I, 1710 = Suppl., 615 e Suppl., 614; Vitalianus: CIL, XV, I, 1612 corr.) che agivano tramite servi. Abbiamo quindi ancora una volta espressi nel b. i termini del contratto tra un officinator che cede il prodotto del suo lavoro alla ratio con la quale il contratto è stato stipulato. Dopo il conteggio delle tegole queste finivano evidentemente in tegularia comuni dove erano immagazzinati i prodotti appartenenti a diverse amministrazioni. L'organizzazione della produzione quindi non sembra cambiata rispetto a quella della prima e media età imperiale.

Nel periodo da Diocleziano a Costantino tutti gli edifici, sia pubblici sia privati, appaiono costruiti con mattoni prodotti in fabbriche imperiali; per questo motivo si potrebbe pensare a un vero e proprio monopolio di fatto dell'industria laterizia, anche se la fabbricazione di questi materiali da parte di privati teoricamente non era vietata. Non si può però escludere la possibilità che esistesse una industria in mano a privati di dimensioni e diffusione assai ridotte, i cui prodotti potevano anche essere non bollati. In età costantiniana tornano i b. privati di domini appartenenti tutti evidentemente a ceti superiori, in corrispondenza con una diminuzione e un indebolimento delle serie imperiali, e già nel IV sec. edifici pubblici contengono b. di privati, fenomeno che si diffonde maggiormente nei secoli successivi.

Con la creazione di Costantinopoli e l'intensificazione dell'attività edilizia in questa nuova città avviene un decadimento della produzione a Roma, e la cura dell'edilizia pubblica diviene compito della prefettura dell'Urbe; al prefetto spetta anche il compito della reperibilità dei materiali; egli poteva forse inoltre produrre mattoni per necessità di ufficio in fabbriche imperiali o anche in proprie figlinae o commissionarli a privati. Di recente così è stato interpretato il caso dei b. di Ulpius Limenius il cui nome è stato riconosciuto in CIL, XV, 1542-1543, che potrebbero essere una produzione privata o collegabile alla carica di prefetto dell'Urbe rivestita sotto Costante fino al 349.

Una ripresa dell'industria laterizia sotto Teodorico (che continua con Atalarico), mirante a riportare i monumenti di Roma all'antico splendore, è attestata dalla diffusione dei b. del re goto che documentano una numerosa serie di interventi di restauro a edifici pubblici e chiese, già analizzati dal Bloch e nuovamente esaminati da M. Steinby. B. papali compaiono con sicurezza solo all'inizio dell'VIII sec. (CIL, XV, I, 1694 di Giovanni VII, anni 701-705; CIL, XV, I, 1677 e Steinby, 1973-74, p.117 n. 5 di Adriano I, anni 772-795).

Bibl.: Per la problematica generale: M. Steinby, La cronologia delle "'figlinae» dollari urbane dalla fine dell'età repubblicana fino all'inizio del III secolo, in BullCom, LXXXIV, 1974-75, pp. 7-132; T. Helen, Organization of Roman Brick Production in the First and Second Centuries A.D. An Interpretation of Roman Brick Stamps (ActalnstRomFin, IX, 1), Helsinki 1975; P. Setälä, Private Domini in Roman Brick Stamps of the Empire. A Historical and Prosopographical Study of Landowners in the District of Rome (ActalnstRomFin, IX, 2), Helsinki 1977; M. Steinby, La diffusione dell'opus doliare urbano, in A. Giardina, A. Schiavone (ed.), Società romana e produzione schiavistica, II, Merci, mercati e scambi nel Mediterraneo, Roma-Bari 1981, pp. 237-245; ead., I senatori e l'industria laterizia urbana, in Epigrafia e ordine senatorio. Atti del Colloquio internazionale A.I.E.G.L., Roma 1981 (Tituli, 5), I, Roma 1982, pp. 227-237; P. Arthur, D. Whitehouse, Appunti sulla produzione laterizia nell'Italia centro-meridionale tra il VI e il XII secolo, in AMediev, X, 1983, pp. 525-537; M. Steinby, L'industria laterizia di Roma nel tardo impero, in A. Giardina (ed.), Società romana e impero tardoantico, II, Roma: politica, economia, paesaggio urbano, Roma-Bari 1986, pp. 99-164. Si veda anche M. Steinby, in RE, Suppl. XV, 1978, cc. 1489-1531, s.v. Ziegelstempel von Rom und Umgebung.

Per i criteri di datazione: H. Bloch, Sette Bassi Revisited, in HarvSt, LXIII, 1958, pp. 401-414; id., The Serapeum of Ostia and the Brick-Stamps of 123 A.D. A New Landmark in the History of Roman Architecture, in AJA, LXIII, 1958, p. 225-240; M. Steinby, I bolli laterizi e i criteri tecnici nella datazione delle cortine laterizie romane. Esame su un gruppo dì edifici ostiensi dei primi anni di Adriano, in Miscelánea Arqueológica, II, Barcellona 1974, pp. 389-405; L. Schumacher, Propinquo et Ambibulo cos. Methodische Überlegungen zur Datierung eines Ziegelstempels, in ZPE, XXIV, 1977, pp. 155-163.

Sui b. dei Sestii'. D. Manacorda, in AA.W., Settefinestre. Una villa schiavistica nell'Etruria Romana, Modena 1985, I, pp. 101-106 e III, pp. 348-350; id., Produzione agricola, produzione ceramica e proprietari nell'ager cosanus nel I a.C., in A. Giardina, A. Schiavone (ed.), Società romana e produzione schiavistica, II, cit., pp. 3-54. - Per i b. di C. Asinius Pollio: D. Manacorda, in AA.W., Settefinestre, I, cit., p. 106; F. Coarelli, in Epigrafia e ordine senatorio, II, cit., p. 236 ss. - Per le figlinae Caepionianae ab Euripo: R. B. Lloyd, The Aqua Virgo, Euripus and Pons Agrippae, in AJA, LXXXIII, 2, 1979, pp. 193-204. - Sulle figlinae Fulvianae: T. Helen, A Problem in Roman Brick Stamps: Who Were Lucilla n(ostra) and Aurelfius) Caes(ar) n(oster), the Owners of the figlinae Fulvianae?, in Arelos, X, 1976, pp. 27-36. - Sulle figlinae Marcianae: E. Champlin, Figlinae Marcianae, in Athenaeum, LXI, 1983, pp. 257-26; F. Silvestrini, Sepulcrum Marci Artori Gemini. La Tomba detta dei Platorini nel Museo Nazionale Romano (Lavori e Studi di Archeologia pubblicati dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, 9), Roma 1987, in part. pp. 11 ss., p. 81 ss.; si veda però M.-Th. Raepsaet-Charlier, Prosopographie des femmes de l'ordre senatorial (Ier-IIe siècles), Lovanio 1987, in part. nn. 77, 105-106, 166 e 521, stemma XI. - Sulle figlinae Narnienses: M. Steinby, L'edilizia come industria pubblica e privata, in Città e architettura nella Roma imperiale (AnalRom, Suppl. 10), Odense 1983, pp. 219-221. - Sui b. di Teodorico: H. Bloch, Ein datierten Ziegelstempel Theoderichs des Grossen, in RM, LXX, 1963, pp. 196-203.

Per una ipotetica attribuzione di strutture sotto l'Ospedale San Giovanni alle fornaci delle figlinae Domitianae: V. Santa Maria Scrinari, Il Laterano e le fornaci di epoca imperiale, in Città e architettura nella Roma imperiale, cit., pp. 203-218; ν. però: P. Liverani, Le proprietà private nell'area lateranense fino a Costantino, in MEFRA, C, 2, 1988, pp. 891-915, in part. p. 895, che riferisce correttamente le strutture ad ambienti termali. - V. anche: A. Russi, in DEA, IV, 3, Roma 1981, pp. 2222, s.v. Lusianae figlinae; L. Camilli, ibid., V, 3, Roma 1988, pp. 90-97, s.v. Macedonianae figlinae.

Sui b. sine textu: H. Broise, J. Scheid, Le balneum des Frères Arvales. Recherches archéologiques à la Magliana (Roma Antiqua, I), Roma 1987, in part. pp. 130-146.

Sull'onomastica dei personaggi attestati sui b. laterizî: T. Helen, The Nonlatin and Non-greek Personal Names in Roman Brick Stamps and Some Considerations on Semitic Influences on the Roman Cognomen System, in Arctos, X, 1981, pp. 13-21.

Sui b. laterizî attestati su lastre Campana: S. Tortorella, Le lastre Campana, in A. Giardina, A. Schiavone (ed.), Società romana e produzione schiavistica, II, cit., pp. 219-235, in part. Appendice I: elenco dei bolli attestati su antefisse e lastre Campana, p. 227 ss.

Per i rinvenimenti di opus doliare fuori del mercato urbano, oltre a quanto indicato in M. Steinby, La diffusione dell'opus doliare urbano, cit., v. per la Sardegna: R. Zucca, I bolli laterizi urbani della Sardegna, in Archivio Storico Sardo, XXXI, 1980, pp. 49-75; id., Osservazioni sull'opus doliare urbano della Sardegna, ibid., XXXII, 1981, pp. 11-26; id., L'opus doliare urbano in Africa e Sardinia, in L'Africa Romana. Atti del IV Convegno di Studio, Sassari 1986, Sassari 1987, pp. 659-676. - Per b. di forma orbicolata rinvenuti fuori dell'area del mercato urbano, si veda p.es. il b. di C. Sceunius Restitutus rinvenuto ad Arezzo (CIL, XI, 6689, 216) in M. Steinby, Aggiunte, cit. infra, p. 32, n. 4 e quello di Q. Cluvius Commodus al Museo Archeologico di Chieti, noto anche nella forma rettangolare (W. Mazzitti, Teramo Archeologica. Repertorio di monumenti, Teramo 1983, p. 217, fig. 2).

Sulla ceramica pesante bollata: K. F. Hartley, La diffusion des mortiers, tuiles et autres produits en provenance des fabriques italiennes, in CahASubaqu, II 1973) pp. 49-59; A. Martinez-Saiz, Materiales para un indice de marcas de ceramista en «mortaria» romanos (Studia Archaeologica, 44), Valladad 1977 (entrambi con molti errori di lettura e di identificazione). - Per i rinvenimenti in relitti: J.-P. Joncheray, Contribution à l'étude de l'épave Dramont D, dite des pelvis, in CahASubaqu, I, 1972, pp. 11-34; id., Contribution à l'étude de l'épave Dramont D (campagnes 1970-1971), ibid., II, 1973, pp. 9-47; Y. M. e R. Sabriè, in Les épaves de Gruissan (Archaeonautica, 3), Parigi 1982, pp. 8-264, in part. 85-94 (épave Grand Bassin C).

Edizioni di b. urbani: M. Steinby, Appendice a CIL, XV, 1, in BullCom, LXXXVI, 1978-79 (1981), pp. 55-88; ead., Indici complementari ai bolli doliari urbani (CIL, XV, 1) (ActalnstRomFin, XI), Roma 1987 (con aggiunte, completamenti e correzioni a CIL, XV 1, alle pp. 31-50). - Per i b. anteriori a Cesare: CIL, I, 2, 4.

Collezioni a Roma: AA.VV., Contributo allo studio dei bolli laterizi del Museo Nazionale Romano, in RendLinc, XXVIII, 3-4, 1973, pp. 295-348; M. Steinby, Le tegole antiche di Santa Maria Maggiore, in RendPontAcc, XL VI, 1973-74, pp. 101-133; ead., I bolli laterizi degli Antiquari del Foro e del Palatino, in MemAccLinc, XVII, 3, 1974, pp. 61-109; L. Camilli, F. Taglietti, Nuovo contributo allo studio dei bolli laterizi del Museo Nazionale Romano, in RendLinc, XXXIV, 3, 4, 1979, pp. 187-212; I. C. Anderson, Roman Brickstamps: The Thomas Ashby Collection (Archaeological Monographs of the British School at Rome, 3), Londra 1991.

Collezioni a Ostia: G. Garofalo Zappa, Nuovi bolli laterizi di Ostia, in Terza Miscellanea greca e romana (Studi pubblicati dall'Ist. Ital. per la Storia antica, XXI), Roma 1971, pp. 257-289; M. Steinby, Lateres Signati Ostienses (Acta InstRomFinl, VII, 1-2), Roma 1977-1978.

Altre raccolte: V. Righini, I bolli laterizi romani. La collezione di Bagno, Bologna 1975; J. P. Bodel, Roman Brick Stamps in the Kelsey Museum (Kelsey Museum of Archaeology, Studies, 6), Ann Arbor 1983.

Tra i rinvenimenti da segnalare per qualità di edizione o quantità di materiali: C. C. Van Essen, Inventory of Brickstamps, in M. Vermaseren, C. C. Van Essen, The Excavations in the Mithraeum of Santa Prisca in Roma, Leida 1965, pp. 243-337; C. Veny, Algunas marcas de ladrillos y tejas romanos encontrados en Mallorca, in AEsp, XXXIX, 1966, pp. 156-166; J. Coste, Ricerca dei bolli laterizi in una zona dell'agro romano, Torre Angela, in RendPontAcc, XLIII, 1970-71, pp. 71-108; M. Steinby, I bolli laterizi, in G. Pelliccioni, Le nuove scoperte sulle origini del Battistero Lateranense, in MemPontAcc, XII, i, Roma 1973, pp. 115-125; ead., I bolli laterizi, in Le iscrizioni della necropoli dell'autoparco Vaticano (ActalnstRomFinl, VI), Roma 1973, pp. 171-200; J. Arxe, Bolli laterici, in M. Almagro Gorbea (ed.), El Santuario de Juno en Gabii. Excavaciones 1956-1969, Roma 1982, pp. 197-220; M. Steinby, I bolli laterizi dell'Area Sacra di Largo Argentina, in L'Area Sacra di Largo Argentina, I, Roma 1982, pp. 299-332.

Per i materiali non urbani: E. Peroni, Bolli laterizi rinvenuti a Vibo Valentia, in Klearchos, XVI, 1974, pp. 77-104; R. J. A. Wilson, Brick and Tiles in Roman Sicily, in A. Me Whirr (ed.), Roman Brick and Tile. Studies in Manifac- ture, Distribution and Use in the Western Empire (BAR, Int. S., 68), Oxford 1979, pp. 11-43 (v. anche: R. J. A. Wilson, Trade and Industry in Sicily during the Roman Empire, in ANRW, II, 11, 1, 1988, pp. 207-305, in part. 260 ss., 285-87; id., Sicily under the Roman Empire. The Archaeology of a Roman Province 36 B.C.-A.D. 535, Warminster 1990, pp. 257-258, fig. 214; pp. 268-270); M. Steinby, La produzione laterizia, in F. Zevi (ed.), Pompei 79, Napoli 1979, pp. 265-271; S.C. Sidebotham, Roof tiles and Terra Sigillata Stamps from Lucania, in ZPE, XXXIX, 1980, pp. 239-249; M. Cavalier, A. Brugnone, I bolli delle tegole delle necropoli di Lipari, in Kokalos, XXXII, 1986, pp. 181-279; C. Donzelli, Latericia, in R. Spadea (ed.), Da Skylletion a Scolacium. Il parco archeologico della Roccelletta, Reggio Calabria 1989, pp. 169-173: rinvenimento di mattoni di un piede romano con i nomi dei mesi (febr, mart, ivnivs, avgvs, septe, octob).

(F. Taglietti)

Italia centro-settentrionale. - La produzione laterizia nell'area Cisalpina romana è attestata fin dalle prime fasi della colonizzazione (emblematica la scritta a fresco L. Numisi / C. Comici / figulos / bonos su un mattone cesenate datato alla fine del II sec. a.C.). La presenza dei marchi (soprattutto su tegulae, in misura assai limitata su mattoni, imbrices e altri materiali edilizî, solo eccezionalmente su pesi e terrecotte architettoniche) può risalire, su base onomastica (liberti privi di cognomen) e paleografica, almeno ai primi decenni del I sec. a.C. Date consolari dal 76 a.C. all'II a.C. compaiono eccezionalmente, accanto all'onomastica dei produttori, sulle c.d. tegulae agri Piacentini, Veleiatis, Parmensis (ILLRP, 1151-1570), e su pochi altri b.laterizî anch'essi circoscritti all'area emiliano-romagnola, dalla quale provengono anche alcuni esemplari, del tutto isolati, datati con i consoli degli anni 210 e 211 d.C. Serie inquadrabili cronologicamente sono ancora quelle della figlina Pansiana (dal b. vibi pansae di età cesariana o protoaugustea a quelli, con numerose varianti, degli imperatori da Augusto fino a Vespasiano) e quella dei b. imperiali (di Adriano, Antonino Pio, Commodo, Settimio Severo, Caracalla e Geta, Severo Alessandro, Costantino). Alcuni b. laterizi (in base sia alle caratteristiche paleografiche, sia al contenuto) si datano alla tarda antichità o in età romano-barbarica (p.es. donatiani a Pola; un monogramma di difficile scioglimento in territorio aquileiese; i b. di Agilulfo e Adaloaldo a Milano e di Senoaldo a Bergamo; qviriaci proti o , santerni armentaria e i b. teodoriciani a Ravenna; [- - -] ci MARTYRis cassiani a Imola). Occasionali a Ν dell'Appennino i b. laterizî urbani impiegati in strutture antiche (p.es. Teatro Berga di Vicenza, Villa di Grignano presso Trieste), forse giustificabili con particolari committenze o con la flessione delle produzioni locali verso la metà del II sec. d.C., quando fiorisce, per contro, quella delle officine urbane, sempre più monopolio della famiglia imperiale o direttamente dello Stato.

Tra le centinaia di piccoli produttori destinati a rimanere non altrimenti noti, si sono riconosciuti soprattutto rappresentanti dei ceti superiori (senatori e cavalieri o loro parenti) coinvolti in imprese economiche nelle patrie di origine o presenti come proprietari di fundi nelle aree di recente romanizzazione, dove spesso la produzione doliare si affianca a quella dei contenitori per la commercializzazione di olio, vino e garum. In territorio aquileiese o nel Piceno potrebbero aver bollato tegole e anfore del tipo Dressel 6A, Q. Numerius Rufus, legato di Cesare nel 55 a.C. (q. nvmeri) e un Coponius, da identificare forse o col primo epìtropos di Giudea, attestato a partire dal 6 d.C., o col pretore del 49 a.C. (coponi); dal Veneto viene il singolare b. (circolare con al centro un fiore a sei petali) sab. c. f. qvintae. mvst. avg, che segna i prodotti di Sabinia Quinta, moglie del T. Mustius C. f. Fab. Hostilius Fabricius Medulla Augurinus, allectus inter tribunicios da Nerva, attestato a Padova. Significativo è il caso dell'Istria, dove troviamo in moltissimi casi corrispondenza tra i b. laterizî e quelli anforarî (tutti su Dressel 6B olearie), e dove l'epigrafia lapidaria e le fonti letterarie ci permettono di identificare un discreto numero di personaggi: P. Clodius Palpellius Quirinalis, il praefectus classis evergete a Tergeste costretto al suicidio nel 56 d.C. (p. c. qvir); C. Laecanius Bassus, cos. suff. nel 40 d.C. e suo figlio omonimo cos. nel 64 d.C. (laec., c. laek. bass); Calvia Crispinilla, magistra libidinum Neronis, proprietaria anche in Africa e in Puglia (cal. crispinillae e crispinillae); M/. Acilius Glabrio, cos. nel 54 o 91 d.C. (m/. acil.gl); probabilmente l'lturius bandito da Roma nel 55 d.C. per le false accuse contro Agrippina (palma p. itvri. sab palma) e il Palfurius Sura, stravagante senatore e intellettuale di età neroniano-flavia (τ. palfvri | svrae). Riportano invece alle aristocrazie locali i b. istriani (anche su Dressel 6B) crispini, tvlliae a. f. crispinae (circolare con t.a.f.o al centro) che trovano riscontro in un A. Tullius Crispinus di una lapide tergestina; quelli veneti t. diilli I siiriini, τ. delli tir, che si attribuiscono al IlIIvir di Vicenza T. Dellius T. f. e a suo figlio T. Dellius Serenus, e p. Valeri nasonis, che si identifica col P. Valerius P. f. Pob. Naso, IlIIvir i. d. e aed. pot. a Verona; quello polesano veciliai liber, che richiama la gens Vecilia attestata epigraficamente a Rovigo. Ben differente, comunque, sia dal punto di vista dell'individuazione dei produttori sia per l'aspetto quantitativo e le aree di diffusione, la situazione riscontrabile sulla fascia costiera adriatica da quella della regione interna.

Quanto alla tipologia, prevalgono i b. rettangolari, entro cartiglio con lettere in rilievo (raramente incavate) o liberi con lettere incavate, generalmente su una linea e raramente su due; alcune tipologie inconsuete e rare, probabile testimonianza di un periodo di sperimentazione (lettere singole entro due quadrati; cartigli a tessera, a tabula ansata, a esagono schiacciato, semicircolari), compaiono nelle fasi più antiche; pochissimo rappresentati anche i b. circolari, sempre con la scritta su una linea e talvolta con sigle al centro; presenti solo saltuariamente (salvo che nella serie della Pansiana) le decorazioni (palmetta, coroncina, tridente, edera, foglia, fiore).

Il testo dei b. è quasi sempre ridotto alla pura formula onomastica, per lo più al genitivo, con diverse combinazioni degli elementi onomastici: praenomen + nomen (C. Valeri); praenomen + nomen + filiazione (l. barbi l. f.), praenomen + nomen + patronato (raro: l. barbi l. l.); praenomen + nomen + patronato + cognomen (raro: l. barbi l. l. evp); tria nomina di ingenui (q. caecili flaviani) o di liberti (c. oppi agathopi); nomen + cognomen (aleti romani); praenomen + cognomen (cn. favsti); solo nomen (semproni); solo cognomen (crispini). Frequenti sono i casi di onomastica femminile (attiae mvlsvlae t. f. corona; avilia m. f. | paeta). Spesso compaiono nomi servili, da soli e preceduti o seguiti dalla formula onomastica al genitivo del padrone o dell'officina [p.es. Anencletus / Q. Iuni Pastor(is servus). Apic(ius?) Apicior(um?) s(ervus?) f(ecit?) t(egulam?)]. Lungo tutta la fascia costiera adriatica sono presenti anche grandi figline private: oltre alla Pansiana, poi imperiale, si ricordano le figlinae Anniana, Arriana, Avitiana, Cartoriana, Cinniana, Epidiana, Faesonia, Hostiliana, Statiana. Un caso particolare è offerto dalle figline di comunità paganiche o adtributae: i Solonates dell'area deltizia del Po; i Camunni e gli Anauni della fascia pedemontana. Solo in un caso [M. Fulcinii Clementis (figlina o tegula) Solonas de (praediis) Plauti(anis)] sembrano comparire menzionati esplicitamente, sul modello dei b. urbani, officinator, figlina e dominus. Molto problematici i b. scoylporn°s e lsolaonass ed il corrispondente lpansaianas, in cui le lettere intercalate hanno suggerito letture del tipo Cypro Solonas e L(uci) A(---) S(---) Solonas (la sigla indicherebbe un conductor o un officinator, come nei casi L. Freni C. f. Solonas, C. Cavari Pris(ci) P. Plauti Solonas, Valeriae Magnae Epidian(a), M/. C. P. Statiana, Q. C. P. Pansiana), o anche L(iviae) A(ugu- stae) s(altuarii) (con riferimento ai saltus posseduti da Livia nel basso Polesine). Per il singolare b. c. petroni apri > epidian si è proposta la lettura C. Petroni Apri (conductoris) (figlina) Epidian(a). Elementari rapporti tra domini o officinatores e tegularii sono rappresentati dalla presenza di idionimi servili con o senza nome del padrone al genitivo (veciliai liber, tiro barb, m. flavi secvndi tvrb, evaristi, ecc.). È da credere che le formule più semplici siano indizio di forme di produzione prive di articolazione interna (p.es. identità di dominus e officinator, semplici contrassegni per distinguere i prodotti di piccoli proprietari che usano la stessa figlina, ecc.). Da segnalare, infine, il bollo [---] vedian r. p. e quelli inediti IIII Lvc svas (2 esemplari a Rimini) e IIIIII vir svas., entro cartiglio rettangolare (rinvenuto in più esemplari nel territorio di Suasa), che sembrano testimoniare un'attività imprenditoriale rispettivamente di comunità cittadine, di magistrati e di un collegio sevirale.

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(C. Zaccaria)

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