PALLADIO, Blosio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PALLADIO, Blosio

Stefano Benedetti

PALLADIO, Blosio. – Nacque probabilmente a Roma da famiglia originaria di Collevecchio, in Sabina, in una data imprecisata anteriore al 1476.

Fonte unica per le scarne deduzioni su luogo e data di nascita è il decreto del 13 dicembre 1516, con il quale fu insignito della cittadinanza romana dai Conservatori della Camera capitolina (edito in Blosii Palladii Romani Oratio de praestatione obedientiae Rhodiorum Leoni X Pontifici Maximo et Senatui apostolico dicta, in Anecdota litteraria ex mss. codicibus eruta, a cura di S. Borgia, II, Roma 1773, pp. 174-176). Egli vi è detto «ex origine et domicilio Romanus», dunque residente a Roma da 40 anni (onde il terminus ante quem della nascita), mentre «ex Sabinis oriundi» sono definiti i genitori. Per la localizzazione «de Colleveteri» si risale invece a Ferdinando Ughelli (1717, col. 712), dal quale in avanti tutti hanno identificato nel borgo sabino di Collevecchio la località di origine dei Palladi (questa, piuttosto che Pallai, risulta dalle fonti la grafia del cognome), e molti il suo stesso luogo di nascita (Lesen, 1926, pp. 13-17).

Scarse le testimonianze anteriori al decreto del 1516, quando aveva rivestito la carica di scutifero apostolico e sottoscriveva atti in qualità di notarius o scriptor Archivii Romani (della Camera apostolica), oltre a esser stato cooptato tra i riformatori del Ginnasio. Un incarico questo forse rinnovato anche in seguito, stando al testo dell’orazione panegirica composta per le Palilie del 21 aprile 1521 da celebrarsi in Campidoglio, con la dedica della scultura di Domenico Aymo ritraente Leone X (Oratio totam fere Romanam historiam complectens habita Romae in Aedibus Capitolinis XI Kal. Maii MDXXI ab anonymo auctore die, qua dedicata fuit marmorea Leonis X. Pont. Max. statua, a cura di R. Venuti, Roma 1735, pp. 3 s.). La paternità dell’orazione è stata a lungo dibattuta, poi fondatamente ascritta a Palladio (a partire da Gnoli, 1891, p. 36), sulla base di un passo del Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus di Paolo Giovio (1984, p. 236); nel ms. Vat. lat. 5297, cc. 133r-210r, peraltro, essa figura a nome di Palladio (sui contenuti di questo grande «panegirico dell’Urbe» cfr. D’Ascia, 1991, pp. 201-204). Nello stesso anno compose un’altra orazione ufficiale, l’Oratio de praestatione obedientiae Rhodiorum, su istanza del priore di Capua Giuliano Ridolfi, a Roma per fare atto di riverenza al pontefice e chiederne la protezione dei cavalieri di Rodi guidati da Philippe de Villiers de L’Isle-Adam nella guerra contro i turchi (Vat. Ottob. lat. 2413, cc. 82r-89v, edito in Blosii Palladii Romani Oratio de praestatione obedientiae Rhodiorum..., 1773, pp. 191-206).

Anteriormente a questi documenti, tutti risalenti all’età di Leone X, non mancano importanti attestazioni dell’attività di elegante poeta latino. Il 27 gennaio 1512 uscì dalla tipografia di Giacomo Mazzocchi il Suburbanum Augustini Chisii, poemetto in 475 esametri di genere encomiastico, nella voga delle Silvae di Stazio, dedicato a celebrare la splendida villa della Farnesina fatta realizzare da Agostino Chigi, nella cui dedica Palladio dichiara il rapporto di clientela che lo legava al potente banchiere senese e forse – probabilmente allorché entrava in rapporti con Baldassarre Peruzzi – allude a un proprio ruolo di consulente per il programma decorativo del giardino, manifestando comunque un peculiare interesse per architetture e giardini destinato a rimanere costante nelle scelte relative alle proprie dimore. Altri attestati di tale impegno poetico, occorrono per una Silva inviata a Isabella d’Este, giudicata dalla marchesa di Mantova (per lettera al figlio Federico Gonzaga del 28 marzo 1512) la migliore tra le composizioni ricevute per la morte della sua cagnetta Aura. L’anno seguente è la partecipazione attiva alle festività capitoline del settembre 1513, per il conferimento della cittadinanza a Giuliano de’ Medici, dove Palladio figurò come autore di un’ecloga satirico-pastorale (il testo volgarizzato nella cronaca di Paolo Palliolo, nel Vat. Barb. lat. 4793, cc. 87r-97v, edito in Cruciani, 1968, pp. 47 s.; dove sono citati anche notevoli apprezzamenti: da Marcantonio Altieri, che notò come «questa inventione sodisfece tanto quanto che mai dir si potesse», ibid., p. 16; al mantovano Francesco Chierigati, che osservò come «fu tanto piacevole et ridicula et così ben representata tal egloga che ogniuno crepava per el riso», ibid., p. LXXI). Fu anche attore nella messinscena del Poenulus plautino, nella parte del vecchio Annone (secondo quanto riferito da Aurelio Serena nel poemetto del 1514 Theatrum Capitolinum, ibid., p. 110; cfr. anche Giovio, 1984, p. 251).

Negli anni di Leone X, quando risiedeva in regione Pontis (prima di trasferirsi, dopo il 1522, in un palazzetto a Borgo, che avrebbe acquistato e ristrutturato sotto la guida di Peruzzi), Palladio andò consolidando tale ruolo intellettuale, ponendosi tra i fautori di Celso Mellini nell’affaire contro la cittadinanza a Christophe de Longueil del 1519, e animando in prima persona uno dei tanti circoli che costellavano la vita culturale romana di quegli anni (Pierio Valeriano, in una lezione del 1522, annoverava tra gli altri anche un sodalitium Blosianum, in Vat. lat. 5215, c. 176v, cit. in Haig Gaisser, 1999, p. 46 n. 144).

Iniziativa di assoluto rilievo, in tale panorama, fu la cura della grande raccolta antologica dei Coryciana, confluita nella stampa di Roma, per Ludovico degli Arrighi e Lautizio Perugino, 1524, dove egli firmò l’epistola dedicatoria a Hans Goritz, al quale diceva di aver sottratto il manoscritto, assumendosi così la responsabilità dell’iniziativa editoriale, e in cui tracciava l’immagine della «bonorum atque eruditorum… cohors» dei poetae urbani, partecipi di una stagione straordinaria di rinnovamento dell’antica poesia. Ai Coryciana egli stesso contribuì con cinque epigrammi e un’ode in asclepiadei minori (riscuotendo l’elogio di Francesco Arsilli, nel De poetis urbanis, incluso nell’antologia, vv. 119-122): tasselli di una sparsa produzione poetica cui vanno aggiunti – oltre ai carmi sopra citati – quattro epigrammi (in Delitiae CC. Italorum poetarum…, a cura di R. Ghero, II, [Francoforte s.M.] 1608, pp. 173 s.), di cui uno per Reginald Pole, uno per la morte della cortigiana Imperia e un epigramma funebre per Marco Antonio Casanova, già comparso negli Elogia di Paolo Giovio (1546, c. 47v). Lo stesso Giovio gli indirizzò un paio di carmi burlesco-conviviali (nel Vat. Ottob. lat. 2413, cc. 111r-115v, editi in Cian, 1891, pp. 287-292), dove Palladio è sorpreso a divorare una fagiana; mentre non ci è giunto un poemetto Turunda (esca per uccelli servita come pietanza prelibata), elogiato in diversi componimenti di Marco Antonio Flaminio (Carmina, Padova 1748, pp. 54-62, tra i quali anche un carme De hortis Blosii Palladii, che ne esaltava la villa suburbana).

A partire dal pontificato di Adriano VI Palladio, già notaio di Curia, assunse gli uffici di chierico del Sacro Collegio e di segretario dei brevi, che avrebbe conservato sotto i pontificati di Clemente VII, Paolo III e Giulio III (numerosi brevi a firma Blosius sono pubblicati in Molini, 1836-37 e Pastor, 1956-63). Fu egli ad annunciare la morte di Leone X al doge Antonio Grimani (lettera del 2 dicembre 1521, nel Vat. lat. 13707, c. 14r-v); con un diploma del 29 agosto 1524 il duca di Milano Francesco Maria Sforza lo investì di benefici a Tortona e di un canonicato a Milano. Parimenti, cresceva la sua influenza culturale a Roma, se all’indomani del sacco ebbe un ruolo di punta nel riorganizzare l’Accademia Romana, come riferisce un epigramma di Pierio Valeriano (In Blosii Palladij symposium, post Romam restitutam, in Valeriano, 1550, c. 110v), che, insieme con tante altre illustri citazioni, ne documenta il rilievo intellettuale nella Roma fra terzo e quarto decennio del secolo (viene nominato tra i letterati romani nelle rassegne di Ludovico Ariosto, in Satire, VII, v. 128 e in Orlando furioso, XLVI, 13, 5; nei giudizi di Lilio Gregorio Giraldi, cfr. Alhaique Pettinelli, 1991, p. 60 e n.; nell’epistola di Iacopo Sadoleto ad Angelo Colocci del 1529 che rievoca il sacco di Roma; in una cordialissima di Sadoleto a Palladio del 6 dicembre 1533). Un rilievo certamente legato anche alla sua residenza suburbana, quei famosi horti Blosiani nella valle dell’Inferno, tra il Vaticano e monte Mario, alla cui realizzazione egli attese già dal 1531, come sembra alludere la lettera di Sadoleto del 29 luglio («mi vien detto delle vostre vigne e dei vostri edificii e come voi honorevolmente impazzate in essi», in Ferrajoli, 1914, p. 420), e poi lungo tutti gli anni Trenta, come attestano le lettere del fidato servitore Pietro Paolo Gualtieri sull’andamento dei lavori e sugli affari di famiglia (lettere conservate nell’archivio dell’Ospizio degli Orfani di S. Maria in Aquiro, cfr. Bentivoglio, 1990, pp. 45-68, utile anche per un quadro della vita domestica di Palladio, animata tra gli altri dalla sorella Caterina e dalle figlie di lei).

La villa fu concepita innanzitutto a partire dallo spazio naturale della vigna, ubertoso insediamento cosparso di fontane, peschiere, limonaie e pinete, di cui resta una diffusa descrizione del pordenonese Girolamo Rorario, già nunzio pontificio in Germania e intimo di Palladio, nel trattato Quod animalia bruta ratione utantur melius homine (testo trascritto con traduzione in Paschini, 1934, pp. 209 s.). Ancora nei primi anni Quaranta, peraltro, proseguivano i lavori di decorazione del casino, il cui progetto è forse da far risalire a Baldassarre Peruzzi. Al piano nobile era un ciclo di affreschi a fregio con soggetti mitologici e motivi stagionali, oggi solo parzialmente superstite, attribuito alla scuola di Perin del Vaga; mentre gli affreschi a pergolato con uccelli che ornavano il padiglione sono stati ascritti ai fratelli Antonio e Francesco Ubertini.

Accanto agli ozi letterari, sotto il pontificato di Clemente VII Palladio, sempre in qualità di secretarius domesticus, andava accrescendo le proprie incombenze ufficiali: nel gennaio 1533 era a Bologna, per il colloquio tra il papa e Carlo V (dove lesse le lettere dirette al papa da parte del re degli Etiopi Davide). Nel settembre di quell’anno partì per Marsiglia, per le trattative tra il papa e Francesco I, e lì al concistoro del 12 ottobre rispose, a nome del pontefice, all’arcivescovo di Parigi. Tale intensa attività diplomatica dovette valergli la nomina a vescovo di Foligno, il 14 novembre 1540, e da vescovo egli seppe agire con prudenza e generosità. Inoltre, sempre nel 1540, con breve di Paolo III gli fu conferita la prepositura della chiesa di S. Paolino a Treviri, in precedenza goduta da Hans Goritz. Passati sette anni, negli ultimi giorni del marzo 1547, si dimise dalla carica episcopale, cui subentrò il bresciano Isidoro Clario (una sua epistola a Palladio nel Vat. Barb. lat. 2013, c. 1r); nondimeno mantenne l’incarico di segretario ai brevi pontifici ancora negli anni seguenti, con Paolo III, che accompagnò in numerose missioni, e Giulio III.

Morì a Roma il 12 agosto 1550 (ne riferiscono tre lettere di Annibal Caro scritte a nome del cardinale Alessandro Farnese), subentrandogli nell’ufficio di segretario domestico Romolo Amaseo e Galeazzo Florimonte.

I suoi beni erano stati già ripartiti tra l’ospedale di S. Giacomo degli Incurabili (che conserva il testamento rogato l’8 marzo 1538, di cui furono esecutori Iacopo Sadoleto e Reginald Pole, edito in Bentivoglio,1990, pp. 29, 34) e quello degli Orfani di S. Maria in Aquiro, che custodisce anche l’inventario dei beni ereditati. Nella navata centrale di S. Maria in Aquiro è ancora ammirabile l’elegante monumento funebre, nel cui timpano il busto di Palladio spicca con il suo nobile volto barbuto.

In edizioni moderne sono a disposizione M. Quinlan-McGrath, Blosius Palladius, «Suburbanum Augustini Chisii». Introduction, Latin Text and English Translation, in Humanistica Lovaniensia, XXXIX (1990), pp. 93-156 e Coryciana, a cura di J. Ijsewijn, Roma 1997, pp. 29-33, 68, 75-77, 112 s., 117, 119.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico Capitolino, Camera capitolina, Decreti di consegli, magistrati e cittadini romani, arm. 1, 14; Arch. di Stato di Roma, Archivio dell’Arcispedale di San Giacomo degli Incurabili, b. 209, VIII, fasc. 6; Città del Vaticano, Archivio Segreto, Lettere di principi, 6, c. 241; Roma, Biblioteca Corsiniana, Arch. di Santa Maria in Aquiro, 7-10, t. 265; P. Giovio, Elogia veris clarorum virorum imaginibus apposita…, Venetiis 1546, c. 47v; Id., Dialogi et descriptiones, a cura di E. Travi - M.G. Penco, Roma 1984, pp. 236, 251; P. Valeriano, Hexametri, odae et epigrammata, Venetiis 1550, cc. 110v-111r; I. Sadoleto, Epistolae, Roma 1760, I, pp. 311 s., II, pp. 191, 326; A. Caro, Delle letterescritte a nome del cardinale Alessandro Farnese, I, Padova 1765, pp. 261 s., 269 s.; M. Sanuto, I diarii, Venezia 1892, XXXII, col. 388; XXXIII, col. 209; G. Rorario, Quod animalia bruta ratione utantur melius homine, Paris 1648, pp. 117-120; F. Ughelli, Italia sacra, I, Venetia 1717, col. 712; G. Marini, Degli archiatri pontifici, II, Roma 1784, pp. 273 s.; G. Molini, Documenti di storia italiana…, I, Firenze, 1836, pp. 280-289; II, ibid. 1837, pp. 357-359; V. Cian, Gioviana. Di Paolo Giovio poeta, fra poeti, e di alcune rime sconosciute del sec. XVI, in Giornale storico della letteratura italiana, XVII (1891), pp. 281 s., 286-293; D. Gnoli, Un giudizio di lesa romanità sotto Leone X. Aggiuntevi le orazioni di Celso Mellini e di Cristoforo Longolio, Roma 1891, pp. 35 s.; A. Luzio - R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, in Giornale storico della lettetratura italiana, XXXIX (1902), p. 229; M. Corrao, Un letterato alla corte di Leone X. B. P. Studio biografico, Palermo 1910; A. Lesen, Ricerche su B. P., Roma 1926; P. Paschini, Un pordenonese nunzio papale del secolo XVI, Girolamo Rorario, in Memorie storiche forogiuliesi, XXX (1934), pp. 209 s.; D. Gnoli, La Roma di Leone X, Roma 1938, passim; A. Ferrajoli, Il ruolo della corte di Leone X. Prelati domestici, Roma 1914, pp. 420 s., 424; L. von Pastor, Storia dei papi, IV-VI, Roma 1956-63, ad indices; F. Cruciani, Il Teatro del Campidoglio e le feste romane del 1513, Milano 1968, pp. XCV n. 57, 47 s., 73-83; F. Ubaldini, Vita di Mons. Angelo Colocci. Edizione del testo originale italiano (Barb. lat. 4882), a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, passim; E. Bentivoglio, La presenza di Baldassarre Peruzzi nei lavori della casa di B. P., in Baldassarre Peruzzi. Pittura scena e architettura nel Cinquecento, a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1987, pp. 193-204; D. Pagliai, Natura e mitologia nella villa di B. P., in Roma, centro ideale dell’antico nei secoli XV-XVI. Atti del Convegno internazionale di studi su umanesimo e rinascimento, Roma 25-30 novembre 1985, Milano 1989, pp. 347-355; B. P. di Collevecchio in Sabina nella Roma tra Giulio II e Giulio III, a cura di E. Bentivoglio, Collevecchio in Sabina 1990; M. Dewar, B. P. and the Silvae of Statius, in Res Publica Literarum, XIII (1990), pp. 59-64; Id., Encomium of Agostino Chigi and Pope Julius II in the Suburbanum Augustini Chisii of B. P., ibidem, XIV (1991), pp. 61-68; R. Alhaique Pettinelli, Tra antico e moderno. Roma nel primo Rinascimento, Roma 1991, pp. 60, 73 s.; L. D’Ascia, Erasmo e l’Umanesimo romano, Firenze 1991, pp. 201-204; M. Ricci, Un progetto di palazzo peruzziano. Un’ipotesi sulla casa romana di B. P., in Quaderni del Dipartimento patrimonio architettonico e urbanistico. Storia cultura progetto, IV (1994), pp. 71-80; R. Banchini, Nuove ricerche sulla villa di B. P. a Monte Mario: l’architettura, il giardino scomparso, in Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura, n.s., XXIV (1994), pp. 53-68; J. Haig Gaisser, Pierio Valeriano on the Ill Fortune of Learned Men. A Renaissance Humanist and His World, Ann Arbor (Michigan) 1999, p. 46; M. Ricci, “Villula ter quaterque felix”: Baldassarre Peruzzi e la villa di B. P. a Monte Mario, in Baldassarre Peruzzi, 1481-1536, a cura di Ch.L. Frommel, Venezia 2005, pp. 273-283; S. Benedetti, «Ex perfecta antiquorum eloquentia». Oratoria e poesia a Roma nel primo Cinquecento, Roma 2010, passim; C. Governa, I fratelli Ubertini: nuove ipotesi di attribuzione della decorazione pittorica della villa di B. P., in Bollettino telematico dell’arte, 26 febbraio 2010, n. 554 ‹http://www.bta.it/txt/a0/05/ bta00554html›; R. Alhaique Pettinelli, «Bonorum atque eruditorum cohors». Cultura letteraria e pietasnella Roma umanistico-rinascimentale, Roma 2011, pp. 73-79, 85 s.; S. Benedetti, Roma, settembre 1513: spettacolo, poesia e satira in theatro Capitolino, in Poésie Latine à Haute Voix. Latin Poetry Out Loud (1400-1700), a cura di A. Smeesters - L. Isebaert, Turnhout 2013, pp. 115 s., 126; P.O. Kristeller, Iter Italicum, London-Leiden, 1963-97, ad indicem.

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