PASCAL, Blaise

Enciclopedia Italiana (1935)

PASCAL, Blaise

Giovanni Vacca

Nato a Clermont (poi Clermont-Ferrand) il 19 giugno 1623, morto a Parigi il 19 agosto 1662. La famiglia Pascal, nobilitata già da parecchie generazioni, aveva dato alla provincia natale amministratori e magistrati. Il padre di Blaise, Ètienne (1588-1651), fu presidente a Clermont di quel che oggi si chiamerebbe il contenzioso amministrativo, cioè della Cour des aides. Rimasto vedovo nel 1626 di Antoinette Bégon, cedette dopo qualche anno la propria carica a un fratello e nel 1631 si stabilì a Parigi, dove continuò a curare con attentissimo amore la formazione morale e intellettuale dei suoi tre figlioli: il piccolo Blaise, la piccola Jacqueline (v.) e la maggiorina Gilberte (1620-1687), maritata poi al magistrato alverniate Florin Périer, la donna forte della stirpe, figlia, sorella, moglie e madre ammirevole, autrice di lettere familiari tra le più belle del Seicento francese e di preziose biografie del fratello e della sorella. Nella società parigina il presidente P. ricercò particolarmente la compagnia degli scienziati e più particolarmente dei matematici, buon matematico egli stesso: in quel fervore intellettuale che di lì a qualche anno sarà ufficialmente riconosciuto e favorito con la fondazione dell'Académie des sciences egli ebbe frequente commercio col padre M. Mersenne, con G. de Roberval, G. Desargues, Le Pailleur e altri matematici e geometri. Non tutti i biografi di P. accettano il famoso episodio riferito da Gilberte Périer con commossa ammirazione e commovente schiettezza di particolari, e già d'altra parte revocato in dubbio da un contemporaneo, il maledico G. Tallemant des Réaux: quello che ci mostra il piccolo Blaise dodicenne, ancora ignaro affatto di principî geometrici perché così esigeva la pedagogia paterna, appartarsi di nascosto in una stanza dove traccia col carbone linee e circoli e man mano reinventa la geometria sino alla trentaduesima proposizione del primo libro d'Euclide. Comunque sia di ciò, il giovinetto fu meravigliosamente precoce: a sedici anni egli stupì gli scienziati amici di suo padre con un Essay pour les coniques e a diciannove ebbe la prima idea d'una macchina calcolatrice (la pascaline), alla cui costruzione e al cui perfezionamento attese con tenacia negli anni seguenti, non senza essersi procurato, prima di darne il modello definitivo, un brevetto che lo assicurasse contro la concorrenza. A codesta macchina egli aveva pensato per venire in aiuto di suo padre, il quale, caduto in disgrazia di Richelieu per la sua resistenza a certi provvedimenti finanziarî del governo e poi perdonato e venuto in favore grazie ai trionfi letterarî della piccola Jacqueline (v.), era stato dal cardinale ministro nominato intendente a Rouen (1639). In questi anni l'eccessiva applicazione allo studio nocque gravemente alla salute del giovane P., favorendo la malattia, non bene diagnosticata, che lo condusse immaturamente alla tomba. Nel gennaio 1646 due gentiluomini che l'abate di Saint-Cyran (vedi) aveva iniziato al giansenismo, Adrien Deschamps de la Boutellerie e Jean Des- champs des Landes, furono chiamati come chirurghi al letto di Ètienne Pascal che si era rotto una gamba scivolando sul ghiaccio. Dalle sue giovanili relazioni con l'avvocato Antoine Arnauld (v.), notissimo per la sua fiera avversione ai gesuiti, Ètienne era in certo modo predisposto a ricevere una dottrina in contrasto con quella professata nella Compagnia di Gesù, e già a Clermont egli aveva protestato contro l'istituzione in quella città d'un collegio di gesuiti. Sembra però che il fascino dell'austera teologia giansenista portata in casa P. dai due Deschamps abbia agito prima che sugli altri su Blaise; Jacqueline, Ètienne e poi Gilberte e Florin Périer, venuti a Rouen sul finire dell'anno, furono in breve guadagnati anch'essi al giansenismo. È questa la cosiddetta prima conversione di P., che si suol contrapporre alla seconda del 1654 e che avrebbe carattere prevalentemente intellettuale e teologico. Senza dubbio il giovane matematico, il quale aveva ricevuto la soda educazione religiosa che si dava allora nelle famiglie nobili e borghesi, ma non aveva altrimenti approfondito quel tanto di cultura teologica, doveva essere attratto da un sistema saldamente coerente come quello giansenista, che veniva incontro al suo bisogno di logica e rispondeva in un altro campo alle sue abitudini mentali. Ma è forse troppo dire che in questo periodo il suo stato d'animo è più vicino a quello di Giansenio e del grande Arnauld, raziocinanti e dialettici, che non a quello dell'ardente e mistico Saint-Cyran. Lo stato d'animo di P. in questi anni che seguono immediatamente al 1646 si vede o intravede in scritti ed episodî che non possono tutti ricondursi all'interpretazione accennata. Dubbio è che sia di questo tempo una bellissima e tutta pervasa d'ardente pietà Prière pour demander à Dieu le bon usage des maladies: se i primi editori la dicono scritta durante una malattia che P. ebbe ancora giovane (il che ci condurrebbe al 1647 o al 1648), una testimonianza di Gilberte par che l'assegni agli ultimi anni della vita del fratello. Lo zelo dialettico e polemico del neofito giansenista si rivela indubbiamente nella lotta tenace ch'egli condusse contro il già cappuccino Jacques Forton, dal nome del suo titolo comunemente detto Saint-Ange, assertore e propagatore d'un metodo apologetico fondato sulla ragione, che dovesse non già sostituire l'apologetica tradizionale, ma servirle di rincalzo anche per quel che riguarda i più profondi misteri della fede. Nel 1647 Saint-Ange si trovava a Rouen, dove la sua attività destò sospetti in P. e in due suoi amici. Li avvalorò un colloquio, divenuto ben presto contraddittorio, con l'ingenuo filosofo, che fu denunziato dai suoi tre avversarî all'arcivescovo di Rouen e costretto, dopo un processo, a firmare una ritrattazione della sua dottrina. Nonostante le affermazioni imprudenti o addirittura erronee, questa non era tutto quel tessuto d'eresie che parve a P. e ai suoi zelanti compagni, ma concedeva troppo alla ragione umana perché non apparisse eterodossa a discepoli di Giansenio. L'episodio, comunque, è molto significativo, non già perché, come è stato detto e ripetuto, esso testimoni del carattere prevalentemente intellettuale e controversistico che sarebbe proprio di questo primo periodo della vita religiosa di P. (non saranno più tardi opera di controversia anche le Provinciales?), ma perché quella sorta di dualismo intellettuale e di rigida separazione che nella polemica con Saint-Ange egli pone tra la scienza e la fede si ritrova nei suoi scritti scientifici dello stesso tempo, quelli, per esempio, contro il gesuita "antivacuista" Noël, nei quali stimola i timidi che in fisica non osano seguire la ragione e biasima i temerarî che ne abusano in teologia. Proprio il parallelismo di queste due attività, la scientifica e la religiosa, proseguite con pari ardore e intransigenza, senza che l'una ostacoli l'altra, caratterizza il P. di questo periodo. L'anno 1646 segna l'inizio di codesto parallelismo, per l'incontro coi giansenisti Deschamps e per la venuta a Rouen d'un amico di Mersenne, Pierre Petit, che ripeté in quella città l'experimentum torricellianum del tubo barometrico e mise P. sulla via dei nuovi famosi esperimenti sulla pressione atmosferica e sull'equilibrio dei liquidi (v. appresso). del 1651 una lunga lettera, quasi un trattatello, scritta per la morte di Ètienne a Gilberte e a suo marito. Essa rappresenta il "maximum" di religiosità toccato da P. dopo il 1646 e prima del 1654; la speculazione teologica vi sale a sublimi altezze e alimenta via via la forza e l'ardore mistico dell'accento, come nelle epistole di S. Paolo che questa di P. echeggia in più d'un punto: si sente che P. si è impregnato dello spirito di Port-Royal, da lui frequentato insieme con Jacqueline dopo il ritorno da Rouen a Parigi (1648), e che egli rivive il misticismo di Saint-Cyran, trasmessogli dalla parola più pacata, ma fedele, di Antoine Singlin. Il fervore religioso di P. parve scemare dopo la morte del padre. Ne è indizio non tanto la sua intensa attività per far conoscere la sua macchina aritmetica e industrializzare la sua scoperta (lettera a Cristina di Svezia per presentarle la pascaline, conferenza in casa della duchessa d'Aiguillon per spiegarne il funzionamento dinnanzi a un'assemblea di grandi dame e di grandi dignitarî), quanto il suo atteggiamento verso Jacqueline, che dapprima, contro la volontà paterna, egli aveva confortato nella vocazione al chiostro, e ora invece, dopo averla invano consigliata a rimettere a più tardi la monacazione, vedeva mal volentieri religiosa a Port-Royal, anche per il disagio finanziario che gli veniva dal dover provvedere alla dote. Comincerebbe qui il periodo della cosiddetta mondanità di P., che occuperebbe gli anni 1652 e 1653. Ma in qual senso va intesa questa mondanità? Jacqueline parla in una lettera di "horribles attaches" che avrebbero tenuto legato il fratello; ma Jacqueline parla il linguaggio dell'ascetismo, e dell'ascetismo giansenista. D'altra parte una lettera del cavaliere de Méré a P. lascia supporre che l'elegante teorico e maestro di "savoir vivre" abbia rivelato il piacere dell'osservazione psicologica, la scienza dell'uomo che si acquista in società, al giovane matematico che nella vita mondana portava le sue lente deduzioni e le sue rigorose dimostrazioni. Ma sarà da riconoscer Pascal nel rozzo matematico "qui n'avait ni goûtni sentiment" descrittoci da Méré nel suo Discours sur l'Esprit e che egli, il duca di Roannez e Miton dirozzarono durante un viaggio nel Poitou? Sembra difficile che P., il quale aveva frequentato da giovinetto la più eletta società parigina, avesse poi bisogno di un dirozzatore. Documento della mondanità di P. e dell'insegnamento del cavaliere de Méré sarebbe un Discours sur les passions de l'amour, che in un manoscritto del sec. XVIII è attribuito a P.: è una breve raccolta di massime in cui si rivela la consumata esperienza amorosa d'un'anima delicata, che forse ha sofferto, ma che si compiace nella sottile indagine, nell'introspezione: l'accento sembra a volte pascaliano, e più ancora, a prima giunta, qualche concetto che richiama le Pensées; ma, nonostante queste e altre seduzioni e l'autorità di molti egregi pascalisti, forti argomenti d'ordine psicologico e filologico rendono molto dubbia l'attribuzione del Discours a P. La cosiddetta mondanità di P. dipende in gran parte da questa attribuzione. Resta comunque la rilassatezza nella vita religiosa: oltre gl'indizî di cui abbiamo già detto, vi sono le attestazioni di Jacqueline e di Gilberte, a cui va dato gran peso, perché così la rilassatezza come il nuovo e più grande fervore che la seguì, cioè la "conversione" del 1654, non si possono intendere bene se non mettendosi nel clima giansenistico: tutto porta a credere che quello di P. sia stato un caso di teologia vissuta. La crisi ch'egli attraversò nel 1654, e che si accompagnò a un rincrudimento dei suoi mali, fu certamente una crisi della volontà e del sentimento, ma che si complicò di una crisi intellettuale. Il senso di vuoto che quel tanto d'esperienza mondana gli dava, il cocente ricordo dell'antico fervore a paragone con la coscienza della presente rilassatezza e il paragone di questa con la pura e ardente devozione della sorella monaca, tutto gli faceva sperimentare il silenzio di Dio, l'assenza della grazia. Senza questa, anche la ragione barcollava impotente: esposta a tutte le tentazioni contro la fede, rischiava di diventare strumento di perdizione. La crisi fu definitivamente superata nella notte del 23 novembre 1654, quando P., in un attimo d'estasi seguito da indicibile commozione ed effusione di pianto, ebbe il senso della presenza di Dio, della grazia riacquistata. Il processo verbale, come è stato detto, di quella notte memoranda lo abbiamo di mano di P. in un breve manoscritto (il Mémorial) ch'egli portava sempre su di sé, cucito nella giubba, e che ora si conserva nella Bibliothèque Nationale di Parigi. È una delle più commoventi e più sublimi testimonianze che si abbiano della umana spiritualità, e leggendola si è tratti a dire quel che in essa dice P.: "grandeur de l'âme humaine". Ma l'esperienza di P., durante le varie fasi della crisi, ci è fatta inoltre conoscere da alcune delle Pensées che hanno un accento come d'indiretta confessione, e più particolarmente da un frammento intitolato Le Pari (la scommessa), che non si sa bene se sia da mettere insieme con le Pensées e che, scritto per la conversione di atei o scettici puri, mette innanzi un argomento del tutto insufficiente nelle condizioni supposte da P. e validissimo invece per chi si trovi nello stato d'animo di P. durante la crisi (nell'impotenza della ragione a decidere, bisogna scommettere per l'esistenza di Dio). Né meno è da tener conto delle lettere di Jacqueline a Gilberte in quel tempo e d'un breve opuscolo Sur la conversion du pécheur, se, come vogliono autorevoli pascalisti, esso è dell'anno 1655, sia poi di Jacqueline, a cui l'attribuisce un manoscritto, ovvero di P. stesso.

Dopo la seconda conversione, la fede diviene lo stabile centro della vita di P. A partire dal 1655 le sue relazioni con Port-Royal divengono più e più strette. Egli s'intrattiene coi solitarî in colloquî memorandi e prepara conferenze che lo rivelano ai suoi amici apologista robusto ed efficace espositore. L'episodio più famoso e significativo di questa intimità e rinnovata solidarietà è l'aiuto che i giansenisti chiesero a P. nel 1656 per la difesa del grande Arnauld, minacciato di censura dai dottori della Sorbona per aver pubblicato due lettere su un caso di rifiuto d'assoluzione da parte d'un prete antigiansenista. Nascono così tra il gennaio 1656 e il marzo 1657 le diciotto celebri "petites lettres" universalmente note col nome di Provinciales, ma che veramente s'intitolano Lettres de Louis de Montalte (tale lo pseudonimo assunto da P.) à un provincial de ses amis et aux RR. PP. Jésuites sur la morale et la politique de ces pères. Nelle prime quattro lettere P. difende Arnauld e la grazia efficace dei giansenisti contro la grazia sufficiente dei molinisti; dalla quinta alla sedicesima inclusa attacca la casistica dei gesuiti e la dottrina del probabilismo adottata dalla compagnia; nelle ultime due discute sull'infallibilità dei papi e dei concilî nelle questioni di fatto e dell'attribuzione a Giansenio delle cinque famose proposizioni incriminate. Enorme fu la ripercussione che ebbero in Francia e in tutta Europa le Provinciales, diffuse anche nella traduzione latina che ne aveva fatta P. Nicole sotto lo pseudonimo di Wendrocke. Piuttosto che accusare P. d'aver citato inesattamente e mutilato alcuni testi dei casisti gesuiti da lui combattuti e dileggiati (egli non aveva approfondito gli studî teologici e i testi gli eran forniti via via dai teologi giansenisti), gli si può rimproverare d'aver confuso non senza leggerezza una dottrina rispettabile (il probabilismo) con una pratica deteriore e abusiva (il lassismo). Ma che codesta pratica rappresentasse un grave pericolo per la morale cristiana è dimostrato dalle condanne pontificie che colpirono i casisti lassisti non meno dei loro denunziatori giansenisti (tra i quali anche P.): qualche decennio dopo le Provinciales, una ventata di rigorismo soffiò anche nella Compagnia di Gesù, che ebbe in Tirso Gonzalez il suo generale antiprobabilista. Quanto all'accusa, che più volte è stata fatta a P., d'avere imprudentemente trasportato la polemica religiosa nel campo laico e d' avere ricorso in così grave argomento alle armi della satira, adoperando per ciò il vivace francese degli uomini di mondo invece del grave latino chiesastico, essa ha senza dubbio il suo peso; ma bisogna pur pensare alla convinzione che P. aveva di dover denunziare alla società cristiana tutta quanta il male da cui egli la credeva minacciata. Il fatto ch'egli non abbia scritto altre Provinciales, come dapprima si proponeva, rende perplessi i critici: non è da escludere ch'egli abbia sentito il peso dell'accusa di cui sopra. Sotto l'aspetto artistico le Provinciales sono un capolavoro, non solo nella parte satirica che raggiunge e supera il Molière di Tartuffe, ma spesso anche in quella parenetica e patetica. Tra la satira incondita e corpulenta dell'ugonotto D'Aubigné e quella perfidamente subsannante del mondano e libertino Voltaire, questa del giansenista P. ha una sanità libera e insieme disciplinata, un'armoniosa forza di muscoli, una classicità ancora intatta che non degenera mai in virtuosismo.

Nel vivo della polemica contro i casisti un fatto avvenne a Port-Royal di Parigi che parve a P. e ai suoi amici miracoloso: una sua nipotina, Marguerite Périer, malata d'un'ulcera lacrimale, guarì, come si disse, istantaneamente al tocco della santa Spina (una spina della corona di Gesù Cristo) che era stata portata nella chiesa di quel monastero. P. adottò allora un nuovo sigillo, in cui si vedeva un gran sole raggiante dietro una corona di spine e attorno il motto paolino: Scio cui credidi. Negli anni che seguirono egli tornò episodicamente alle scienze esatte (studî sulla cicloide, v. appresso) e ai progetti industriali (costruzione e applicazione del primo tipo di omnibus, il "carrosse à cinq sols"), ma soprattutto attese a quella Apologie de la religion chrétienne che non compì mai e di cui le Pensées sono gli sparsi frammenti. Ritenne però suo preciso dovere intervenire ancora nella difesa della causa ch'egli credeva giusta: nel 1661, quando si trattò di accettare il famoso formulario antigiansenistico, fu dapprima per una soluzione conciliativa, ma poi, alla richiesta d'un'accettazione incondizionata e d'una sottomissione assoluta, si schierò, contro Arnauld e Nicole, coi giansenisti più intransigenti, così che al prevalere dell'opinione contraria alla sua cadde svenuto per il dolore. Ritiratosi da ultimo presso la sorella Gilberte, mirò sempre più al distacco dal mondo e alla mortificazione dei sensi, sopportando in questo spirito le forti sofferenze che gli venivano dalle sue malattie. Non minore impegno egli mise nell'esercizio della carità verso i poveri. Una testimonianza del parroco di Saint-Ètienne-du-Mont, Beurrier, prete non giansenista, ma tutt'altro che favorevole ai casisti gesuiti, darebbe a credere che negli ultimi tempi P. avrebbe fatto dichiarazioni antigiansenistiche, ma quella testimonianza è controversa e resta per lo meno il dubbio Che Beurrier abbia dato in buona fede un'interpretazione errata di quel che P. gli disse del suo dissenso con Arnauld a proposito del formulario. P. fu sepolto a Saint-Ètienne-du-Mont, parrocchia dei Périer, e in quella bellissima chiesa di Parigi, dove fu sepolto anche Racine, si vede tuttora la sua pietra tombale.

Alla morte di P. la grande opera apologetica a cui egli aveva consacrato negli ultimi anni la sua attività di scrittore era, come abbiamo già detto, tutt'altro che compiuta: un cumulo di pezzi di carta con appunti quali più quali meno sviluppati ed elaborati. Quale fosse il piano in cui queste note avrebbero dovuto essere disposte, collegate e sviluppate è problema che fin dal Seicento affatica editori e critici. Se avessimo il testo della conferenza in cui P. espose ai suoi amici di Port-Royal il disegno della sua opera, il problema sarebbe per buona parte risolto. Ma se è probabile che appartengano a quella conferenza alcuni frammenti di mano di P., l'insieme di essa ci è noto soltanto dalla prefazione di Ètienne Périer (figlio di Gilberte) all'edizione delle Pensées curata da Port-Royal e da un ampio Discours di J. Filleau de la Chaise, pubblicato la prima volta insieme con le Pensées nell'edizione di Port-Royal del 1672. Qualche luce può venire anche dall'Entretien avec M. de Saci sur Epictète et Montaigne, in cui il giansenista Nicolas Fontaine ci ha lasciato un resoconto, così fedele che par di sentirvi l'accento di P., dell'esposizione che questi fece di alcune sue considerazioni a uno dei solitarî di Port-Royal, Isaac Le Maistre (v.). Gli editori di Port-Royal non si credettero per altro autorizzati a tentare la ricostruzione del piano di P. nel disporre per la stampa i manoscritti di cui erano in possesso: la raccolta da loro intitolata Pensées de M. Pascal sur la religion et sur quelques autres sujets distingue i pensieri più specificamente religiosi da quelli di carattere morale, filosofico e letterario, e in queste due categorie raggruppa via via quelli di contenuto affine. Ma è un P. mutilato e deformato, sia per le soppressioni e modificazioni consigliate dalle circostanze (vigeva la cosiddetta pace della Chiesa, voluta da Clemente IX, e non era il caso di romper la tregua con la pubblicazione di testi che potessero ridestare le polemiche sopite), sia per le concessioni che i portorealisti credettero di dover fare al gusto del tempo e al proprio. Il testo di Port-Royal fu accettato senz'altro dagli editori del sec. XVIII e del XIX, fino a che V. Cousin, nel 1842-1843, non segnalò e illustrò in relazioni ed articoli il vero P., quello dei manoscritti conservati nella Bibliothèque Nationale. Il testo esemplato su questi, che P. Faugère diede l'anno seguente nella sua edizione delle Pensées, rivelò veramente un nuovo P., più vivo e sincero, più immediato e personale, come voleva la sua potente natura e come portava la forma stessa di appunti che avevano tanti di quei pensieri: in una parola, più grande. Da allora, di pari passo coi rinnovati studî religiosi e con la scoperta che nel modificarsi del clima spirituale si è andata facendo della "modernità" di P., le edizioni critiche delle Pensées si sono via via moltiplicate. Fedeli tutti agli autografi per il testo, gli editori moderni hanno seguito criterî diversi nell'ordinamento, adottando gli uni (Michaut) l'ordine che hanno i frammenti nella raccolta manoscritta, altri aggruppandoli secondo un criterio logico (Brunschvicg) o tentando di avvicinarsi al disegno di P. (Chevalier), altri finalmente ritornando all'ordinamento di Port-Royal (Gazier).

Il pubblico a cui P. intendeva rivolgersi nella sua apologia del cristianesimo era senza dubbio quello degli uomini di mondo, di quelli segnatamente (i "libertins") che l'uso del mondo ha allontanato dalla religione e dalla fede. Di questo bisogna tener conto, ma anche della sua scarsa familiarità con la scolastica, e del suo giansenismo, e del suo modo di sentire e vivere i dogmi giansenisti, quando si vede l'apologetica pascaliana deviare da quella tradizionale. L'apologetica di P. non parte da prove fisiche e metafisiche, ma da argomenti psicologici e morali: il suo punto di partenza è la condizione attuale dell'uomo in quanto creatura decaduta e corrotta. Ai libertini egli addita il mistero della natura umana, miserabile insieme e sublime, e l'impotenza dei filosofi a spiegarlo; ma ciò che la filosofia è incapace di spiegare lo spiega il cristianesimo con la sua dottrina dell'uomo creato grande da Dio e decaduto per il peccato originale, redento poi dal sangue di Gesù Cristo, il Liberatore promesso da Dio e annunziato dai profeti e dai suoi miracoli; vero è che per accettare la verità della religione cristiana il passo decisivo non lo fa la ragione, ma il cuore, il quale ha le sue ragioni che la ragione non conosce; bisogna dunque educare la volontà, e allora si vedrà in piena luce "il disotto delle carte", cioè le prove storiche - profezie e miracoli - che rendono testimonianza a Gesù Cristo. Tale, per sommi capi, la dialettica con cui P. vuole perseguire e soggiogare l'incredulo. Quanto v'è di fideistico in questa dialettica e quanto di giansenistico? Filosofi e teologi han discusso, discutono e discuteranno ancora a questo proposito. L'apologetica di P. ha comunque un'efficacia che va oltre la dialettica e ben oltre il giansenismo e che risiede nella forza stupenda dell'accento, nell'immediatezza dello stile nudo, vibrante ancora della sua esperienza, della sua appassionata testimonianza.

Accanto alle Pensées, abbiamo una serie di opuscoli di P. di cui qualcuno è considerato da alcuni editori appartenente all'apologia, come quel Mystère de Jésus, forse scritto per le religiose o per i solitarî di Port Royal, che è un'intensa e splendida meditazione d'amore sulla passione di Gesù Cristo nell'orto di Getsemani. Interessante dal punto di vista del primitivismo giansenistico una breve Comparaison des Chrétiens des premiers temps avec ceux d'aujourd'hui e particolarmente importanti, insieme con alcune pensées, per quella che si potrebbe chiamare la politica di P., i tre Discours sur la conditions des grands, ehe abbiamo però non nel testo di P., ma nell'analisi che ne fece Nicole. Ad altre pensées si ricollega l'ampio frammento intitolato De l'esprit géométrique, prezioso per intendere quanto alla forza della prosa di P. abbiano giovato l'attento esame dei mezzi d'espressione e la retta coscienza stilistica. P. P. T.

L'opera Matematica di B. Pascal. - 1. Il valore dell'opera matematica di P. consiste non soltanto nelle scoperte notevoli da lui fatte in geometria, ma altresì nell'eleganza, nell'ordine e nella continua ricerca della chiarezza e del rigore, che egli gustava e ammirava in Euclide e negli altri scrittori classici. Dopo i commenti e le versioni di Tartaglia, Maurolico e Commandino, le opere di Archimede, di Apollonio e di Pappo erano divenute accessibili agli studiosi europei. Gli scritti di Desargues (v.) avevano aperto una nuova via che P. sedicenne seppe subito seguire. Il suo Essay pour les coniques, stampato in un sol foglio, nel marzo 1640, destò l'ammirazione dei contemporanei. Esso contiene il famoso teorema sull'esagramma mistico, che consiste in questo: "le tre coppie di lati opposti di un esagono iscritto in una conica, si tagliano in tre punti situati in linea retta". Egli compilò dal 1648 al 1654 un: Conicorum opus completum, il cui manoscritto fu visto per l'ultima volta da Leibniz nel 1676, e da allora in poi sembra essersi perduto (pare tuttavia che Leibniz conservasse alcuni scritti inediti di Pascal come egli afferma in una lettera a J. A. Fabricius, del 7 luglio 1707: cfr. G. G. Leibnitii Epistolae, Lipsia 1734, I, p. 255). Il frammento: Generatio Conisectionum, trovato fra i manoscritti di Leibniz, fa desiderare sempre più la conoscenza dell'intero trattato, che forse non è definitivamente perduto.

Tanto negli scritti geometrici quanto in quelli aritmetici e relativi al calcolo (v. sotto) egli procede spesso col rigore logico e l'eleganza degli antichi. In una lettera del marzo 1648 (Øuvres, Parigi 1918, II, p. 184) enuncia i caratteri delle definizioni, degli assiomi e dei postulati da adoperare in ogni scienza deduttiva, preludendo alle indagini sottili della logica matematica del sec. XIX.

2. Gli studî aritmetici di P. cominciano con lo studio e la costruzione della macchina per calcolare, da lui concepita nel 1642. Dopo dieci anni, nel 1652, ne costruì un modello definitivo. Essa è un'addizionatrice, il prototipo cioè delle macchine che hanno ora tanta importanza nel commercio, nelle banche e nelle amministrazioni. Sebbene la macchina di P., di cui si conserva un modello nel Conservatoire National des Arts et Métiers di Parigi, non riuscisse a entrare nella pratica, essa è tuttavia la prima di una lunga serie di macchine analoghe, che soltanto nel secolo XIX si diffusero largamente in tutto il mondo.

3. Gli scritti aritmetici di P. furono trovati stampati (probabilmente nel 1654), ma furono pubblicati dopo la sua morte, soltanto nel 1665 (muvres, Parigi 1908, III, p. 434). Gli scritti più famosi tra essi sono: il Traité du Triangle Arithmétique, e il Traité des Ordres Numériques. Il primo di essi è certamente ispirato dagli scritti aritmetici di Maurolico, che egli conosceva, come appare da una sua citazione in una lettera a Carcavi, del 1659. L'importanza del Trattato del triangolo aritmetico non consiste, come spesso è stato asserito, nell'enunciato dello sviluppo del binomio (v.) per le potenze intere e positive, che era noto già da più di un secolo e pubblicato e dimostrato da numerosi autori (Stiefel, Tartaglia, Briggs, ecc.); ma il rigore logico delle dimostrazioni che si appoggiano tutte sull'uso continuo e metodico del principio d'induzione matematica (v.) scoperto da Maurolico, fa di questo trattato un modello a cui s'ispireranno gli scrittori di aritmetica superiore nei secoli successivi. Di somma importanza è il capitolo: Usages du Triangle Arithmétique, pour déterminer les partys qu'on doit faire entre deux joueurs qui jouent en plusieurs parties. P. era stato preceduto nell'analisi del calcolo delle probabilità da alcuni accenni di Tartaglia, Cardano, Galileo, Huygens, ecc., ma le sue osservazioni e soprattutto le sue definizioni del caso (hazard) sono originali e per la prima volta studiate metodicamente.

Il Traité des Ordres Numériques è un importante contributo alla teoria dei numeri. P. dà una formula ricorrente per le somme delle potenze dei numeri naturali (v. bernoulli: Numeri di Bernoulli), estendendo un teorema di Archimede sulla somma dei quadrati dei numeri interi. Formule analoghe per le somme dei fattoriali (prodotti di numeri interi consecutivi) sono molto eleganti. Le une e le altre sono adoperate da P. per determinare con rigore e per altra via il valore degli integrali

per m intero e positivo, già ottenuto per induzione dal Cavalieri 0 nel 1639, e dal Cavalieri stesso dimostrato nelle Exercitationes geometricae (Bologna 1647), che P. conosceva, come appare da una lettera di R. Sluse, del 13 giugno 1659, a Huygens (in Huygens, Øuvres, Aia 1889, II, p. 422).

4. Gli scritti più importanti del P. sono quelli relativi al calcolo infinitesimale. Il metodo degl'indivisibili, di cui avevano dato saggi profondi, ma particolari, Nepero nel 1614, Keplero nel 1619, Girard nel 1629, Galileo nel 1632 e nel 1638, Cavalieri nel 1635 e nel 1647, Descartes nel 1637, Torricelli nel 1644, era ancora ai suoi inizî. Soltanto matematici di grande valore, dotati di profonda intuizione ed immaginazione, potevano applicarlo con sicurezza a nuovi problemi. Huygens, Wallis e P. (seguiti da varî altri studiosi) segnano un secondo periodo di svolgimento dei metodi infinitesimali, in cui si chiariscono a poco a poco i concetti di lunghezza delle curve, di area delle superficie, di cambiamenti di variabili, di integrazioni doppie, di integrazioni per parti, ecc., che dopo poco più di un decennio conducono alla scoperta del calcolo infinitesimale con Fermat, Barrow, Newton, Leibniz.

Nel 1659 P. pubblicava con uno pseudonimo le Lettres de A. Dettonville, contenant quelques unes de ses inventions de géométrie, sçavoir, la resolution de tous les problèmes touchant la roulette qu'il avoit proposez publiquement au mois de juin 1658. L'égalité entre les lignes courbes de toute sorte de roulettes et des lignes elliptiques..., ecc. (Parigi 1659). In questi scritti, tralasciando gl'ingiusti e ingiustificati attacchi contro Torricelli, i quali sono probabilmente dovuti alla vana gelosia di Roberval (per rendere piena giustizia a Torricelli basta la generosa difesa di Wallis, p. es. nella lettera a Huygens del 4 dicembre 1659 in Huygens, Øuvres, 1889, II, p. 520), e le vicende della sfida che non interessano la storia della matematica, è da notare l'ampiezza delle intuizioni che conducono P. a studiare implicitamente le curve, come enti a sé, precorrendo implicitamente l'idea di funzione che doveva essere poi sviluppata da Newton e da Leibniz. Per renderci conto del passo compiuto dal P. basta confrontare le figure, sovraccariche di lettere, di Cavalieri e di Torricelli, con quelle più semplici di P., nelle quali i punti di una stessa curva in una stessa figura sono sempre indicati con una stessa lettera. Basta a questa lettera dare degl'indici, come farà poi Leibniz, per avere una prima notazione di calcolo funzionale. La potenza di calcolo del P. era senza dubbio assai grande; i suoi metodi coincidevano spesso con quelli dei suoi contemporanei, Huygens e Wallis. Consistevano essenzialmente nell'analisi del triangolo caratteristico di una curva piana riferita ad un sistema di assi, formato dagl'incrementi delle coordinate e dall'incremento dell'arco. I suoi contemporanei erano in caso di risolvere i problemi da lui posti. Cristoforo Wren seppe aggiungere un'elegante scoperta, la lunghezza della cicloide, che riempì di meraviglia lo stesso P. e che egli subito generalizzò. Ma il merito di questi scritti del P. consiste nell'eleganza e nella genialità dell'esposizione, nello sforzo di offrire un modello a coloro che volessero estendere i suoi metodi ad altri problemi.

Leibniz confessa di dovere l'intelligenza dei nuovi calcoli allo studio del Traité des Sinus du Quart de Cercle, e prima di lui I. Barrow nelle Lectiones Opticae et geometricae (Londra 1674) dimostra di averne tratto varî concetti (v. p. es. le figg. 175, 176, ecc.) dal P.

5. Gli scritti del P. sulla pressione atmosferica, preannunciati dalle Expériences nouvelles touchant le Vuide,... où est montré qu'un vaisseau si grand qu'on le pourra faire, peut être rendu vuide de toutes les matières connues en la Nature, et qui tombent sous les sens,... Parigi 1647; e conclusi con la pubblicazione postuma Traitez de l'équilibre des liqueurs et de la masse de l'air... (Parigi 1663) hanno avuto una grande importanza nella storia della fisica, non per l'originalità dei risultati, ma per la chiarezza dell'esposizione, la limpidezza delle idee che avvicinano la prosa del P. a quella di Galileo. Già il Torricelli in una lettera a M. Ricci dell'11 giugno 1644, aveva riconosciuto che la pressione dell'aria eguaglia il peso della colonna di mercurio del barometro, e aveva proposto questo strumento per l'osservazione delle variazioni della pressione atmosferica. L'esperimento eseguito per le disposizioni date dal P. il 19 settembre 1648, ai piedi e al vertice del Puy-de-Dome, rimane sempre memorabile.

Nelle ricerche sull'equilibrio dei fluidi, il P. era stato preceduto da G. B. Benedetti, nella sua opera Diversarum speculationum mathematicarum et physicarum liber (Torino 1585, p. 287; cfr.: G. Vailati, Le speculazioni di Giovanni Benedetti sul moto dei gravi, in Atti Acc. d. sc.. Torino 1898, p. 11) e dall'opera di S. Stevin, Phaenomena hydraulica. In queste opere, come pure nel Discorso di Galileo intorno alle cose che stanno sull'acqua (Firenze 1612) sono spiegate le leggi dell'equilibrio dei fluidi contenuti in vasi comunicanti.

Il torchio idraulico costruito dal P. è stato, come ha dimostrato il Duhem, ispirato da un'osservazione di G. B. Benedetti (op. cit., p. 288). Così pure il principio dell'eguaglianza della pressione in tutti i sensi di un corpo immerso in un fluido è tolta dalla prop. 3 della Statica di Stevin. Pure l'importanza di queste ricerche di P. è dimostrata abbastanza dalle lodi della famosa opera di R. Boyle: Nova experimenta physico-mechanica de vi aeris elastica, ecc. (Londra 1661).

Ediz.: Øuvres de P. (nella collezione dei Grands écrivains de la France), 14 voll., a cura di L. Brunschvicg, P. Boutroux e F. Gazier, Parigi 1904-1914. Principali edizioni delle Pensées: Parigi 1670 (è la prima edizione di Port-Royal, a cui ne seguirono molte altre, via via accresciute: la quinta, del 1687, reca la Vie de Pascal di Gilberte Périer, già pubblicata ad Amsterdam nel 1684); Londra 1776 (a cura di Condorcet, con osservazioni di Voltaire); Londra (in realtà in Svizzera) 1778 (a cura di Voltaire, con nuove osservazioni); L'Aia (in realtà Parigi) 1779 (tomo II delle Øuvres de B. P., a cura dell'abate Bossut); Parigi 1844 (a cura di P. Faugère, prima ediz. sui manoscritti segnalati da V. Cousin); ivi 1852 (a cura di E. Havet); ivi 1877-1879 (ediz. paleografica a cura di Molinier); Friburgo 1896 (testo critico secondo l'ordine del quaderno manoscritto, a cura di G. Michaut); Parigi 1897 (a cura di L. Brunschvicg, che nel 1905 pubblicò a Parigi una riproduzione in fototipia del testo originale di P.; del Brunschvicg è anche l'ediz. dei voll. XII-XIV delle Øuvres de P. citate innanzi); ivi 1907 (a cura di A. Gazier: è l'edizione giansenista moderna); ivi 1925 (a cura di J. Chevalier). Vedi per notizie più particolari: A. Maire, Essai bibliographique des Pensées de P., in Archives de philosophie, I, Parigi 1924 e A. Maire, Bibliographie générale des øvres de P., voll. 5, ivi 1925-1927.

Bibl.: Oltre alle notizie e documenti raccolti nella citata ediz. dei "Grands écrivains de la France": Recueil de plusieurs pièces pour servir à l'histoire de Port-Royal, ou supplément aux mémoires de M. M. Fontaine, Lancelot et du Fossé, Utrecht 1740; Sainte-Beuve, Port-Royal, 9ª ediz., Parigi 1913, voll. 7; A. Vinet, Études sur B. P., 4ª ediz., ivi 1904; L. Prévost-Paradol, Études sur les moralistes français, ivi 1906; E. Droz, Études sur le scepticisme de P., ivi 1886; F. Brunetière, Études critiques sur l'histoire de la littérature française, ivi 1880-1925 (vedi 1ª, 2ª, e 4ª serie); F. Ravaisson, La philosophie de P., in Revue des deux Mondes, 15 marzo 1887; G. Lanson, P., in La Grande Encyclopédie; È. Boutroux, P., Parigi 1900; A. Hatzfeld, P., ivi 1901; G. Michaut, Les époques de la pensée de P. (con ricche notizie bibliografiche), ivi 1902; W. Clark, P. and the Port-Royalists, Edimburgo 1920; J. Lachelier, Du fondement de l'induction, Parigi 1902; V. Giraud, P., l'homme, l'oeuvre, l'influence, 4ª ed., ivi 1923; id., B. P., études d'histoire morale, ivi 1910; id., La vie héroïque de B. P., ivi 1923 (del Giraud v. anche l'introduzione e lenote a Filleau de la Chaise, Discours sur les Pensées de M. Pascal, ivi 1922); Sully Prudhomme, La vraie religion selon P., ivi 1906; E. Janssens, La philosophie et l'apologétique de P., ivi 1906; M.-J. Lagrange, P. et les prophéties messianiques, in Revue biblique, 1906; F. Strowski, P. et son temps, voll. 3, 5ª ed., Parigi 1922; K. Bornhausen, Die Ethik Pascals, Giessen 1907; id., P., Basilea 1920; A. Köster, Die Ethik Pascals, Tubinga 1907; K. Weiss, P. Antonio de Escobar y Mendoza als Moraltheologe in Pascals Beleuchtung und im Lichte der Wahrheit, Klagenfurt 1908; E. Jovy, P. inédit, Vitry-le-François 1908 e segg.; A. Gazier, Les derniers jours de B. P., Parigi 1911; id., B. P. et Antoine Escobar, ivi 1912; H.-F. Stewart, The Holiness of P., Cambride 1915 (trad. franc., Parigi 1919); H. Petitot, P., sa vie religieuse et son apologie du christianisme, ivi 1911; H. Bremond, Histoire littéraire du sentiment religieux en France, IV: L'école de Port-Royal, ivi 1921 (del Bremond v. anche: L'inquiétude religieuse, s. 2ª, Parigi 1909; En prière avec P., ivi 1923; P. et le Mystère de Jésus, in Revue de France, 1923); J. Chevalier, P., Parigi 1922; P.-M. Lahorgue, Le réalisme de P., ivi 1923; R. de Sinéty, B. Romeyer, R. Jolivet, J. Souilhé, H. Bosmans, J. de Blic, E. Jovy, Études sur P., in Archives de philosophie, I, 1923; M. Blondel, L. Brunschvicg, J. Chevalier, H. Höffding, J. Laporte, F. Rauh, M. de Unamuno, in Revue de Métaphysique et de Morale, num. spec., 1923; E. Chamaillard, P. mondain et amoureux, Parigi 1923; L. Chestov, La nuit de Gethsémani, essai sur la philosophie de P., ivi 1923; A. Malvy, P. et le problème de la croyance, ivi 1923; L. Brunschvicg, Le génie de P., ivi 1924; J. Maritain, Réflexions sur l'intelligence et sur sa vie propre, ivi 1924; N. Nedelkovitch, La pensée philosophique créatrice de P., ivi 1925; E. Jovy, Études Pascaliennes, ivi 1927; id., La vie inédite de P. par Dom Clémencet, ivi 1928; J. Lhermet, P. et la Bible, ivi 1931.

F. Neri, Un ritratto immaginario di P., Torino 1921; L. F. Benedetto, Il "Discorso di B. P. sulle amorose passioni", Foligno 1923 (sulla questione cfr. Ch.-H. Boudhors, Observations et recherches sur le "Discours des passions de l'amour" attribué à P., in Revue d'histoire littéraire de la France, 1933; M. D. Busnelli, Encore quelques preuves que le "Discours sur les passions de l'amour" n'est pas de P., in Mercure de France, 15 settembre 1934); A. P. (Alberto Pincherle), La celebrazione del centenario di P. nelle maggiori riviste francesi, in Bilychnis, XXIII, (1924); F. Gentile, P., saggio d'interpretazione storica, Bari 1927; E. Buonaiuti, P., Milano 1927; P. Arcari, P., storia interiore dei Pensieri, 2ª ediz., ivi 1928; P. P. Trompeo, Rilegature gianesniste, Milano-Roma 1930.

A. Maire, L'oeuvre scientifique de B. P., Parigi 1912; S. Di Gennario, L'Essai pour les coniques di P., in Per. di mat., 1927; C. Dati, Lettera a Filateti di Timauro Antiate, della vera storia della cicloide, ecc., Firenze 1663, stamp. in E. Torricelli, Opere, I, Faenza 1919.