Bisogno

Universo del Corpo (1999)

Bisogno

Lucio Pinkus

In un'accezione molto generale, con bisogno si designa il senso di una mancanza, accompagnata dallo sforzo di porvi rimedio. Questa definizione rinvia, da un lato, alle origini psicologiche del concetto di bisogno, che lo avvicinano a quelli di motivazione, pulsione, desiderio, dall'altro, alle radici filosofiche e sociologiche utilitaristiche dell'economia politica e della società industriale moderna. Nell'epoca contemporanea la proliferazione dei bisogni indotta dalle dinamiche della società dei consumi carica di nuovi significati la classica distinzione tra bisogni naturali necessari, naturali non necessari e non naturali non necessari, nota all'antichità fin da Epicuro. Il termine bisogno, nella sua accezione psicologica, è piuttosto ambiguo o, per lo meno, indefinito e indica la tensione dovuta alla sollecitazione di stimoli che esprimono esigenze della personalità. Il suo uso ha origine, soprattutto per la spinta delle teorie di Darwin, nell'ambito degli studi comparati sul comportamento umano e quello animale, allo scopo di cogliere aspetti unitari dell'evoluzione. In questo senso, la ricerca privilegia il concetto di istinto come modello esplicativo di bisogni e di comportamenti ritenuti innati, sia come reazione alla psicologia di matrice filosofica che, esaltando la singolarità dell'essere umano, relegava gli istinti al mondo animale, sia come concetto-ponte del continuum evolutivo dal mondo animale a quello umano (Benedetti 1969). Tuttavia, già W.B. Cannon, uno dei primi studiosi che hanno cercato di correlare gli aspetti fisiologici con quelli neurologici e psicologici del comportamento, metteva in guardia contro l'eccessiva semplificazione del modello istintuale, indicando l'esigenza di un più articolato schema di riferimento, in cui la dimensione psicologica dei bisogni fisiologici fosse più evidenziata (Cannon 1915). Così emergeva il concetto di pulsione (v.) come specifica dimensione psicologica con cui l'individuo umano vive gli stati di bisogno che hanno una base fisiologica. Del resto, fin dal 1935 K. Lewin, studioso di psicologia dinamica, aveva teorizzato la specificità del bisogno umano e la sua irriducibilità alla componente biologico-istintuale. Lewin invitava fermamente a riflettere sulla diversità nella dinamica dei bisogni: nell'animale il bisogno è sempre una reazione a uno stato di necessità, mentre nell'uomo esso ha una progettualità e una strategia che sono date dal suo campo d'azione, cioè dai contesti socioculturali.

Gradualmente il modello istintuale, che avrebbe dovuto fornire gli elementi sia per una chiara distinzione dei fattori innati da quelli acquisiti, sia per comprendere il loro intrecciarsi nell'individuo, si è dimostrato sempre più insufficiente a rendere ragione del comportamento umano (Hull 1952). Il progresso delle conoscenze sulla genetica del comportamento ha ulteriormente sottolineato l'ampiezza del problema (Serra 1972), evidenziando maggiormente la difficoltà di fissare confini netti nel rapporto esistente tra programmi geneticamente determinati, che definiscono limiti e possibilità dell'organizzazione emozionale, cognitiva e comportamentale, individuale e collettiva, e la cultura in senso antropologico e, ancor più, sociologico (Wilson 1975). Si può dunque affermare che, se dal punto di vista psicofisiologico i bisogni possono essere considerati come deviazioni da uno stato di equilibrio interno, essi mostrano aspetti psicologico-energetici propri dell'essere umano, cioè le pulsioni. Queste ultime hanno il ruolo di attivare e, quindi, di motivare comportamenti volti a ripristinare lo stato di equilibrio (Stegagno 1986). Tuttavia, la distinzione tra bisogno e pulsione rimane valida, in quanto è possibile avere un bisogno senza avvertire una pulsione: per es., un soggetto esposto al diossido di carbonio fino a morire per mancanza di ossigeno non prova alcuna pulsione a procurarsi ossigeno. Così pure è possibile avvertire una pulsione senza che a questa corrisponda un reale bisogno fisiologico: per es., è possibile che un obeso accusi una pulsione di fame senza che a questa corrisponda un bisogno fisiologico reale (v. bulimia).

Un contributo innovativo alla comprensione della dimensione psicologica del bisogno è venuto dalla psicoanalisi. Freud, valorizzando il modello energetico del funzionamento psichico, ha elaborato in modo originale il concetto di pulsione, definendolo come "un certo ammontare di energia, che preme verso una determinata direzione. Da questo premere le deriva il nome di pulsione" (Freud 1933, trad. it., p. 205). In questa accezione, la pulsione diviene un concetto limite tra la sfera psichica e quella somatica, che, esplorando soprattutto i processi concernenti il vissuto del bisogno, consente una visione plurifattoriale del bisogno stesso, integrando aspetti biologici e psicodinamici, sia individuali sia sociali, e sottolineando il legame imprescindibile tra il bisogno e la motivazione, soprattutto inconscia.

A partire dal contributo psicoanalitico, le ricerche si sono sviluppate lungo un duplice filone, quello della psicologia umanistica e quello della psicologia della personalità. Prendendo spunto dagli studi di A.H. Maslow (1954), alcuni studiosi, nel tentativo di porre in rapporto il concetto di bisogno con la varietà delle esperienze considerate specificamente umane, diedero avvio a una classificazione gerarchica dei bisogni, da quelli maggiormente legati al substrato fisiologico fino a quelli più propriamente psicosociali, come il bisogno di sicurezza, di stima, di autorealizzazione o di affetto. Nello stesso contesto culturale, H.A. Murray caratterizzava lo stretto nesso tra bisogno, motivazione e contesto della personalità globale, considerato l'unico adeguato a comprendere e a spiegare i processi psichici. Allo stesso autore si deve anche una specifica tecnica psicodiagnostica, tuttora utilizzata, il TAT (Thematic apperception test), che permette di rilevare e valutare i bisogni individuali e le rispettive modalità di reazione, nonché di interpretare la dinamica dei bisogni e dei processi motivazionali della personalità nella sua valenza evolutiva o involutiva.

Nella prospettiva psicodinamica, quindi, si ricompone la concezione di unità psicosomatica dell'individuo e, di conseguenza, si afferma con chiarezza che anche i bisogni più rigidamente iscritti nel programma genetico comprendono comunque una gamma di possibilità che esclude il meccanicismo di una risposta unica. Così pure si asserisce che, quanto più un determinato bisogno è legato ai processi di apprendimento e ai contesti relazionali e ambientali, tanto più ampie e imprevedibili sono le possibilità di risposta. Per queste ragioni ogni ipotesi di differenziazione o categorizzazione va assunta come un semplice strumento conoscitivo, sempre provvisorio, in quanto il bisogno, allo stato attuale delle conoscenze, proprio a causa della sua soggettività, è sempre collegato, per un verso, a una componente genetica e, per un altro, all'influsso ambientale. La mediazione tra queste due componenti ha luogo infatti nello spazio della soggettività, dove l'aspetto cognitivo e quello emozionale giocano ruoli diversi, sovente sovrapposti e, comunque, difficilmente costanti rispetto allo stesso tipo di bisogno. Volendo comunque tentare una categorizzazione che tenga conto dei vari orientamenti scientifici cui si è fatto riferimento, potremmo fare le seguenti distinzioni:

a) Bisogni legati alla sopravvivenza, individuale o della specie. Sono caratterizzati dal fatto che la risposta adeguata alle loro esigenze è sempre strettamente collegata a un substrato biologico definito e prevede un coinvolgimento somatico ben individuabile. La risposta consiste in azioni la cui consumazione conduce a uno stato di rilassamento, che sostanzialmente è un ritorno alla condizione di omeostasi turbata dalla sollecitazione.

b) Bisogni relazionali. Derivano dalle sollecitazioni delle necessità adattive dell'individuo e da quelle adattive ai contesti relazionali dell'ambiente, espressi sia dai modelli culturali sia dalle diverse 'agenzie' di socializzazione. Sono caratterizzati fondamentalmente dall'oscillazione della tensione psichica fra bisogno di autorealizzazione e, al tempo stesso, bisogno di accettazione e valorizzazione sociali. Tale categoria comprende un'ampia gamma di bisogni: da quelli maggiormente correlati con le basi biologiche del comportamento, come, per es., il bisogno di attività motoria, di manipolazione, di curiosità, che esitano in comportamenti mediante i quali l'organismo interagisce con l'ambiente, fino a quelli più svincolati dal substrato biologico e maggiormente connessi con la natura sociale della personalità umana. Di questo tipo sono i bisogni legati alle proprie aspettative relazionali e sociali, dal bisogno di appartenenza e di integrazione sociale fino a quello di sicurezza, di stima, di successo.

c) Bisogni 'valoriali'. Sono quei bisogni che esprimono l'esigenza di trovare dei significati ai comportamenti, sia presi singolarmente, sia riferiti all'intero arco vitale e alle sue diverse fasi e che si collocano prevalentemente nell'ambito dell'attività simbolico-creativa dell'individuo, come, per es., il bisogno di ethos, cioè di dare un senso alle proprie scelte, quello di individuare dei valori fondanti la progettazione della propria esistenza, quello estetico e altri ancora (Ancona 1972).

Lo stato attuale delle conoscenze sui fattori che convergono nel bisogno non consente tuttavia di distinguere in maniera netta e ultimativa le componenti fisiologiche da quelle psicologiche e da quelle antropologico-sociali: per questo il concetto di bisogno mantiene comunque una certa inevitabile ambiguità, in quanto esso implica sempre un tasso di soggettività che ne rende impossibile una valutazione oggettiva. Per comprendere la portata di questa affermazione è importante tener presente che l'individuo umano non tende mai alla soddisfazione di un bisogno in modo diretto, nel senso che nessuno è in grado di rappresentarsi, per es., la fame o il sonno o qualunque altro tipo di bisogno, anche voluttuario, 'in astratto'. Di contro, ciascuno tende a investire le proprie energie per raggiungere quel tipo di comportamento che risponda ai bisogni 'in concreto', come se li rappresenta mentalmente. Così, per es., alla sollecitazione della sete non corrisponde mai un comportamento che cerca astrattamente un liquido, bensì, a seconda delle esperienze memorizzate, delle condizioni e delle possibilità attuali, si 'costruisce' ed emerge nella nostra mente la rappresentazione e quindi l'immagine di un liquido determinato, che può andare dalla semplice acqua fino alla birra ghiacciata. L'urgenza del bisogno, l'ampiezza delle possibilità concrete, la capacità individuale spingeranno poi l'individuo a mettere in atto dei comportamenti di ricerca di quel liquido ‒ o di quel tipo di liquidi ‒ che coincide, o almeno si avvicina, a quello immaginato. Ovviamente, la rappresentazione dello specifico liquido che costruiamo nella nostra mente è il risultato delle esperienze passate, dei modelli culturali, della nostra autonomia o meno dalle pressioni sociali, dall'urgenza di rispondere a un bisogno, oppure dalla ricerca di un piacere collegato al bisogno e così via. Questo spiega perché, nell'analisi del bisogno, della sua intensità e frequenza, e delle risposte più o meno adeguate, nonché, se vogliamo, dei problemi, anche etici, che a questa parola si raccordano, entrano, in modo considerevole, fattori culturali, sociali e di apprendimento, come pure fattori emotivi e inconsci. Ciò mostra la profonda verità dell'intuizione freudiana del collegamento tra bisogno, pulsione e motivazione. Infatti, la descrizione qui offerta del bisogno si allaccia direttamente alle dinamiche dell'emozione e della motivazione, senza le quali il discorso sul bisogno, dal punto di vista psicologico, è incompleto e non contestualizzato in modo corretto.Infine, va considerato il ruolo del desiderio (v.).

Dobbiamo a J. Lacan (1960) l'osservazione del nesso indissolubile che lega il concetto di bisogno, e quindi di pulsione, intesa come strettamente localizzata nel corpo ancor prima di ogni rappresentazione mentale, a quello di desiderio. Lacan sottolinea come il desiderio metta in moto l'apparato psichico secondo la percezione del gradevole e dello sgradevole, partendo dall'esperienza fondamentale della privazione che il bambino prova alla nascita, una volta separato dalla madre. Dalla constatazione, dettata dall'esperienza, di non poter colmare tale assenza, si costituisce la pulsione, che "diventa il mezzo per supplire a questa mancanza radicale attraverso le 'zone erogene' che sono tante aperture verso l'esterno dove il bisogno, attraverso il desiderio prima, e attraverso la domanda poi, giunge all'Altro che soddisfa, nell'ordine simbolico, quella esigenza di completamento inscritta nel bisogno [...] e che lo connota" (Galimberti 1992, p. 141). Tuttavia, Lacan sottolinea come il desiderio radicalizzi il bisogno, in quanto si riferisce a una mera gratificazione, fantastica e incommensurabile, che non può ricevere che risposte insoddisfacenti, in quanto parziali e, comunque, mai gratificanti appieno. Per questo, le risposte stesse ai bisogni, soprattutto al bisogno di conoscere e di possedere, producono nuove domande destinate a rimanere insoddisfatte, le quali, a loro volta, rinviano ai desideri sempre rimossi. Per tali motivi, solo una lettura interdisciplinare, che colloca la psicologia del bisogno nel contesto più decifrabile della fisiologia e della sociologia, può aiutare a comprenderne meglio il ruolo e a indirizzare l'ulteriore ricerca.

Bibliografia

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