Biodiversita

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Biodiversità

Enrico Porceddu
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza

La biodiversità, o diversità biologica, è definita dalla Conferenza dell'ONU su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 (art. 2 della Convenzione sulla diversità biologica) "ogni tipo di variabilità tra gli organismi viventi, compresi, tra gli altri, gli ecosistemi terrestri, marini e altri acquatici e i complessi ecologici di cui essi sono parte; essa comprende la diversità entro specie, tra specie e tra ecosistemi". La Convenzione riconosce, quindi, tre ordini gerarchici di diversità biologica ‒ genetica, specifica ed ecosistemica ‒ che rappresentano aspetti abbastanza differenti dei sistemi viventi.

La 'diversità genetica' si riferisce alla variazione dei geni entro la specie, ossia entro e tra popolazioni della stessa specie. Essa è alla base e garantisce la diversità agli altri due livelli, in quanto consente la perpetuazione della vita, ossia il superamento delle avversità ambientali a cui un organismo o una popolazione possono trovarsi esposti. A ogni generazione, grazie alla fecondazione e alla ricombinazione, si ha la nascita di nuovi individui, un certo numero dei quali sarà in grado di rispondere ai cambiamenti ambientali e assicurare la continuità della popolazione. È classico il caso della sopravvivenza della farfalla Biston betularia nei bacini minerari della Gran Bretagna a partire dalla seconda metà del XIX secolo. La sostituzione della forza idrica con quella a vapore, prodotta col carbone, che costituiva anche il combustibile domestico, determinò l'accumularsi, sulle costruzioni e sulla vegetazione, di uno strato di polvere scura, contro cui spiccava il colore chiaro con punti scuri della farfalla, che divenne così facile preda degli uccelli. La presenza di variabilità per la colorazione delle ali nell'ambito delle popolazioni di B. betularia consentì agli esemplari più scuri di sfuggire agli uccelli, di moltiplicarsi e di diventare dominanti.

La 'diversità specifica' si riferisce alla presenza di specie diverse in un territorio e alle relazioni tra di esse. La ricchezza di specie rappresenta l'indicatore più immediato per valutare la diversità specifica. La diminuzione numerica e poi la scomparsa di una specie, cioè l'erosione della variabilità, sono eventi ampiamente divulgati e quelli contro i quali più facilmente si mobilita l'opinione pubblica. La 'diversità ecosistemica' si riferisce alla differenziazione di ambienti fisici, di raggruppamenti di organismi, piante, animali e microrganismi e di processi e interazioni che si stabiliscono tra loro. La comunità biologica dell'ecosistema si conserva nel tempo, nello spazio e nella funzione, rimpiazzando con nuovi individui e nuove specie gli individui che muoiono e le specie che scompaiono. Nei primi anni del XX sec. venne inavvertitamente introdotto negli Stati Uniti un fungo, Cryphonectria (Endothia parasitica), che in meno di 50 anni distrusse quasi tutti gli alberi di castagno americano (Castanea dentata). Nonostante quest'ultima specie costituisse oltre il 25% delle formazioni forestali delle regioni atlantiche degli Stati Uniti, la sua progressiva scomparsa non ha influito sulla struttura generale e sulla produttività delle foreste, né sui processi dell'ecosistema o sulla presenza di Insetti, Mammiferi, Rettili e altri organismi, tranne quelli infeudati al castagno, perché i castagni morti sono stati progressivamente sostituiti dalla tsuga (Tsuga canadensis).

Importanza della biodiversità

La diversità biologica è di fondamentale importanza per la continuità della vita; essa consente agli ecosistemi, alle specie e alle popolazioni di adattarsi, superando i cambiamenti che gli eventi impongono. È una risorsa insostituibile per il genere umano. Eclatante esempio dell'utilità della diversità biologica sono le foreste tropicali, ricche di biodiversità e delle quali è nota soprattutto la capacità di assorbire anidride carbonica e di emettere ossigeno, due gas la cui concentrazione relativa nell'atmosfera è oggetto di continua e preoccupata attenzione perché influenza grandemente le caratteristiche atmosferiche. Ma queste foreste rendono all'umanità altri numerosi e importanti servizi. Il vapore acqueo proveniente dall'Atlantico si condensa nella parte orientale del bacino amazzonico determinando un'elevata piovosità; l'acqua, che in queste aree è restituita all'atmosfera sotto forma di vapore, si condensa e ricade con le piogge nelle zone del bacino progressivamente più occidentali: si origina una serie di cicli attraverso i quali circa il 90% delle molecole di acqua tocca terra più volte, apportando, tra l'altro, enormi benefici agli agricoltori delle zone circostanti il bacino amazzonico; grazie anche alla modestia delle escursioni termiche, essi possono effettuare più raccolti sullo stesso terreno nel corso dell'anno. In questi cicli si hanno anche un trasporto di calore dagli strati bassi dell'atmosfera e una dispersione in quelli superiori con conseguente regolazione della temperatura.

Un'essenziale funzione della vegetazione, sia naturale che coltivata, consiste, in effetti, nel restituire all'atmosfera, sotto forma di vapore, acqua che altrimenti confluirebbe in mare. Una coltura di mais che produca 14 t/ha di biomassa secca trasferisce dal suolo all'atmosfera nei pochi mesi del suo ciclo oltre 4500 t/ha di acqua; un singolo albero di una foresta tropicale può trasferirne, in un anno, oltre 100 t. Ma la vegetazione influenza anche lo scorrimento idrico superficiale, riduce la forza con cui le gocce di pioggia arrivano al terreno e, trattenendo la terra con le radici, ne evita l'erosione. Il terreno è così in grado di assorbire l'acqua delle precipitazioni rilasciandola gradualmente a fonti e sorgenti fluviali o percolandola negli spazi acquiferi profondi. Ma il ruolo della vegetazione dei bacini imbriferi nel rifornimento di acqua pulita viene ignorato fino a quando la sua mancanza non provoca gravi inconvenienti. Inoltre, le radici delle piante aiutano a mantenere il terreno in loco: infatti, negli ecosistemi non modificati dall'uomo la quota di terreno persa è bilanciata da quella di nuova formazione, misurabile in millimetri per millennio; mentre, se la copertura vegetale è rimossa, come avviene per deforestazione, sovrapascolamento o terreno nudo, il terreno viene rapidamente eroso e ruscellato verso i corsi d'acqua. Il risultato finale è spesso la desertificazione, come è ben dimostrato da molti deserti di clima temperato e come sta avvenendo con l'abbattimento delle foreste tropicali.

Gli esseri viventi cooperano alla stessa genesi del terreno, che non è mera polvere di roccia ma un complesso sistema, ricco di flora, di fauna e di forme inferiori di vita, essenziali per la sua fertilità, fonte di crescita di colture agrarie e di foreste. Un grammo di terreno forestale può contenere oltre 1 milione di batteri, 100.000 cellule di lieviti, 50.000 ife o spore di funghi. Un grammo di terreno agricolo può contenere oltre 2,5 miliardi di batteri, 400.000 funghi, 50.000 alghe, 30.000 protozoi. Si può insomma dire che una parte non trascurabile della massa del terreno sia costituita da esseri viventi. Ma più del loro numero è importante il ruolo che queste forme di vita svolgono. Esse contribuiscono attraverso i loro alla trasformazione in terreno agrario delle particelle derivanti da logoramento della roccia e alla formazione con i residui della componente chiave del terreno, l'humus. In tal modo cooperano a determinare e mantenere la struttura del terreno e a trattenere l'acqua e le sostanze nutritive essenziali per le piante superiori. Inoltre aggrediscono la massa di materia organica (escrementi, rifiuti urbani e industriali, residui della vegetazione, animali morti, ecc.) che raggiunge il suolo, la degradano in sostanze progressivamente meno complesse, fino ad arrivare alle componenti minerali essenziali per la vita delle piante.

È risaputo che una parte notevole delle perdite di raccolto delle piante coltivate è dovuta a microrganismi del terreno agenti di malattie delle piante, oppure a insetti e microrganismi che si cibano di parti di piante. Le popolazioni di questi patogeni sono tenute sotto stretto controllo a opera di altri organismi, Insetti, funghi, batteri e virus, che di esse si alimentano. Ma un uso improprio dei metodi di lotta contro questi nemici naturali provoca spesso la crescita incontrollata delle popolazioni di parassiti, con aumento della probabilità di evoluzione di resistenze sia ai loro nemici naturali sia ai fitofarmaci. È dunque una lotta coevolutiva tra parassiti e piante, molte delle quali hanno sviluppato la capacità di produrre metaboliti antimicrobici, alcuni abbastanza noti perché contenuti nelle spezie, nelle droghe, nei fitofarmaci.

Nel sempre più importante campo delle relazioni tra specie viventi in uno stesso ecosistema, si rilevano però anche casi di Insetti che svolgono azioni utili per l'uomo, come per esempio nel trasporto di polline nelle colture di specie allogame. In Malesia l'impollinazione della palma da olio era tradizionalmente effettuata a mano, fino a quando, alla metà del XX sec., non fu introdotto dall'Africa occidentale un insetto pronubo che si stima faccia risparmiare circa 140 milioni di dollari americani all'anno.

Anche gli animali superiori hanno un ruolo importante, per esempio diffondendo semi e così ricostituendo il manto vegetale. È emblematico quanto avvenuto a Puerto Rico, le cui montagne, quasi interamente coltivate fino alla Seconda guerra mondiale, a partire dagli anni Cinquanta del XX sec. furono oggetto di un intenso programma di riforestazione con specie importate; la fauna e in particolare gli Uccelli, che hanno popolato le nuove piantagioni provenendo dalle poche foreste naturali rimaste, ne hanno disseminato le specie favorendo la ricomparsa di aree riforestate con tipiche specie endemiche.

Il valore della diversità interspecifica è particolarmente evidente in agricoltura. Per generazioni, l'uomo ha coltivato una vasta gamma di vegetali e allevato animali con l'intento di ridurre fluttuazioni di produzione e carestie e diversificare l'alimentazione. Queste specie costituiscono oggi il materiale utilizzato nella formazione di nuove varietà di piante e di razze animali, rappresentando altresì la riserva di adattabilità genetica che agisce per tamponare i cambiamenti ambientali ed economici potenzialmente dannosi: esse sono quindi la base biologica della sicurezza alimentare in quanto, direttamente o indirettamente, sostengono la vita di ogni essere umano.

L'uomo, nella sua storia, ha utilizzato, ai fini alimentari, circa 3000 delle 75.000 specie vegetali potenzialmente eduli, cioè circa un quarto della totalità delle specie di piante superiori conosciute. Di esse, solo 150 sono ancora coltivate e meno di 20 costituiscono la maggior parte della base alimentare per il genere umano; di queste, solo tre specie ‒ frumento, riso e mais ‒ assicurano il 60% delle calorie e il 56% delle proteine assunte dall'uomo con l'alimentazione. Attualmente però si stanno riscoprendo, e presentando come novità, molte specie vegetali che in passato erano coltivate localmente e che potrebbero, se opportunamente valorizzate dalla ricerca, avere una ben più vasta diffusione. Ne è un esempio la quinoa (Chenopodium quinoa), una delle 30 specie utilizzate dagli Inca, e potenzialmente coltivabile nei Paesi tropicali, che potrebbe contribuire ad aumentare significativamente la produzione di derrate alimentari, evitando così, o almeno contenendo, la necessità di espansione dell'agricoltura nelle zone marginali e nelle foreste. Analogamente, diverse Leguminose, come per esempio le specie dei generi Pachyrhizus, Tylosema, Voandzeia, Canavalia e Psopocarpus coltivate da millenni nei Paesi tropicali, potrebbero contribuire sostanzialmente alla valorizzazione di ambienti difficili. Emblematico è il caso di Leucaena leucocephala, originaria del Messico e già ampiamente utilizzata da molte civiltà precolombiane, ora oggetto di diffusione in numerosi ambienti tropicali. Crescendo bene anche in ambienti degradati, essa può produrre foraggio, legna da ardere, legname da carpenteria, fertilizzante organico e può fungere anche da frangivento e da pianta da ombra. Anche molte piante selvatiche (finora utilizzate come tali) potrebbero diventare importanti se domesticate. In America Meridionale se ne impiegano diverse decine per fini alimentari: una specie originaria del Paraguay produce sostanze, prive di calorie, con potere dolcificante 300 volte superiore a quello dello zucchero, e nelle Isole Comore è stato identificato caffè privo di caffeina. Sono note specie in grado di crescere in condizioni ambientali estremamente difficili, per esempio su colate laviche recenti o su terreni desertici, e di molte altre specie selvatiche si sta vagliando la capacità di riabilitare terreni degradati o inospitali per le piante, liberandoli per esempio da metalli pesanti o da eccesso di sali o, in altri casi, consolidando le dune e ostacolando così l'avanzata del deserto.

Perfino la cura e la protezione della salute dell'uomo affondano da tempo immemorabile le loro radici nella scoperta e nell'impiego delle virtù terapeutiche di un ventaglio incredibilmente ampio di specie vegetali e animali. Malgrado i progressi della farmaceutica di sintesi, la medicina tradizionale, fondata sui principî attivi di origine vegetale, ma anche animale e microbica, è alla base delle prescrizioni sanitarie per tre miliardi di persone, l'80% delle quali vive nei Paesi in via di sviluppo. La farmacopea cinese utilizza ancora oltre 5000 specie, quella dell'Amazzonia oltre 2000 e quella dei Paesi dell'ex Unione Sovietica e dell'India oltre 2500. Circa il 40% delle prescrizioni rilasciate dai medici negli Stati Uniti fanno riferimento a sostanze estratte dalle piante, mentre molti farmaci, oggi ottenuti per sintesi, come l'aspirina, sono stati scoperti a suo tempo nelle piante della famiglia delle Salicaceae. Il Catharanthus roseus, una pianta del Madagascar, ha accresciuto le speranze di vita dei bambini affetti da leucemia: oggi, grazie ai principî attivi estratti da questa pianta, l'80% di essi sopravvive, rispetto al 5% del passato.

Anche l'industria fa affidamento sulle specie selvatiche. Il legno e la gomma svolgono un ruolo importante nella vita di tutti i giorni: la colla arabica è usata negli inchiostri, nei cosmetici, nei dolcificanti, nei liquori, nei coloranti; in profumeria continua per esempio l'impiego di incenso e mirra. Nell'industria chimica, gli oli vegetali, estratti da piante di recente o ancora imperfetta domesticazione, come specie di Crambe, Lesquerela, Cuphea, Euphorbia, Vernonia, Stokesia ecc., stanno sostituendo gli oli minerali. I derivati della palma da olio entrano come costituenti nella produzione di centinaia di beni diversi, dai gelati agli aviogetti, ma ancora poco si conosce delle migliaia di specie di palme esistenti nel mondo. Non è da trascurare il fatto che le risorse biologiche sono ovviamente alla base dell'ecoturismo, il cui giro di affari ammonta a circa 5 miliardi di euro. Spesso la valutazione di molti di questi beni non figura nei calcoli relativi al reddito nazionale. È il caso, per esempio, della legna da ardere, che rappresenta l'80% dell'energia primaria totale consumata in molti Paesi economicamente arretrati, con punte di oltre il 90%. Altre volte le stime si riferiscono al valore del bene alla fonte, anziché a quello dopo la trasformazione: per esempio, negli Stati Uniti il valore della cascara alla produzione è calcolato pari a 1,5 milioni di dollari, ma sale a 110 milioni come prodotto finito.

Di grande valore economico, e non solo naturalistico, è il ruolo della diversità genetica intraspecifica e intragenerica, come testimonia l'incessante confronto evolutivo tra le specie agrarie e i loro parassiti. Alcuni esempi: nel 1953 la ruggine bruna (Puccinia recondita) distrusse oltre un terzo dei campi di frumento nello Stato del Montana (USA); un frumento selvatico della Turchia (Triticum turgidum ssp. dicoccoides) fornì i geni per costituire varietà in grado di resistere a questa e ad altre cinquanta malattie; nel 1970 l'elmintosporiosi si diffuse nella 'fascia del mais' (Corn Belt), distruggendo oltre un sesto della produzione maidica totale degli Stati Uniti (la metà di tale perdita gravò sugli Stati meridionali): i geni per la resistenza furono reperiti in una specie ancestrale del mais, Zea diploperennis; nel 1970 la ruggine del caffè (Hemileia vastatrix), già presente in altri continenti (Africa, Asia), si diffuse nell'America Latina, minacciando seriamente le già precarie economie di quei Paesi: i geni per la resistenza furono individuati in una varietà di caffè dell'Etiopia, denominata Geisha, che permise la costituzione di varietà resistenti.

Ogni incremento significativo della produttività delle piante agrarie è scaturito, e scaturirà vieppiù in futuro, dagli studi di genetica e dai programmi di miglioramento genetico, il cui materiale di base è rappresentato da un ventaglio sempre più ampio di tipi e forme della specie da migliorare e di specie e generi affini e ancestrali. Tale variabilità ha permesso, per esempio, di ridisegnare l'architettura della pianta di frumento e modificarne le caratteristiche morfologiche, fisiologiche (per es., altezza, precocità, qualità nutrizionali), pervenendo a coltivazioni molto più redditizie. L'adozione di questi materiali ha consentito all'India di raggiungere, negli ultimi venti anni del Novecento, una produzione di frumento di quasi 80 milioni di t, contro i 12 milioni dei primi anni Sessanta; un incremento produttivo di tale grandezza avrebbe potuto essere acquisito soltanto mettendo a coltura altri 40 milioni di ettari di foreste, ricche di biodiversità. Analoga è stata la situazione della coltura dei cereali in Europa tra il XIX e il XX sec., quando i primi vistosi incrementi produttivi furono ottenuti valutando e impiegando nel miglior modo la cospicua diversità presente tra le cultivar di frumento. Negli Stati Uniti, negli ultimi cinquanta anni l'utilizzazione della diversità genetica per migliorare le varietà coltivate ha consentito un aumento medio del valore aggiunto dell'agricoltura di oltre 1000 milioni di dollari all'anno.

Ma al di là delle definizioni tecniche e dei calcoli economici, è necessario che la sensibilità dell'uomo verso la biodiversità si affermi o si affini come risultato di valori morali, culturali, civili e religiosi, che esprimono il rispetto per altre specie che con l'uomo convivono e che sono allo stesso tempo garanti del suo divenire, se non della sua stessa sopravvivenza. Non vi è dubbio che, così come le risorse minerarie, idriche, ecc., anche le risorse biologiche costituiscono un patrimonio naturale fondamentale per il genere umano.

L'impegno per la salvaguardia

La biodiversità attualmente esistente è il risultato di circa 4 miliardi di anni di evoluzione. Tutti gli organismi viventi o vissuti in passato si sono sviluppati da un microrganismo originario attraverso processi di mutazione e selezione. La separazione tra le specie avvenne quando tra organismi si instaurarono mutazioni, seguite o meno da isolamento geografico dei mutanti tra i quali si determinarono barriere di incompatibilità. La stragrande maggioranza, il 99%, di questa diversità è ormai scomparsa in conseguenza di cambiamenti climatici nel corso delle ere geologiche e successivamente come conseguenza di un avvicendarsi, con dinamica lunga e lenta se confrontata con la durata della vita umana e la sua recente comparsa, ma che indica che è il cambiamento, e non la staticità, a contraddistinguere la vita sulla Terra. Attualmente è forte il timore che la massiccia influenza dell'uomo sul pianeta possa cagionare ulteriori e più veloci cambiamenti con perdite di diversità e pericolo per la sostenibilità della vita sul globo. La biodiversità è infatti minacciata di erosione e in molti casi di scomparsa di specie a un ritmo preoccupante che non ha precedenti negli ultimi 65 milioni di anni. Ma i rapidissimi progressi della biologia e delle biotecnologie accrescono le potenzialità della biodiversità, che viene da molti considerata il 'petrolio del XXI secolo'.

I meccanismi attraverso cui la diversità viene erosa o distrutta sono molteplici: perdita e frammentazione di habitat, sfruttamento eccessivo, inquinamento, cambiamenti climatici, introduzione di specie alloctone, agricoltura e forestazione industriali, urbanizzazione, ecc. Ma le vere cause del problema risiedono nell'incremento demografico, nell'esplosione dei consumi, nelle ancora scarse conoscenze degli ecosistemi e delle specie animali, vegetali e microbiche, nell'errata valutazione dell'entità delle risorse. Solo il superamento delle cause può arrestare la perdita di diversità. Per questa ragione è in elaborazione, a livello internazionale e nei diversi Paesi del mondo, una strategia di salvaguardia della diversità biologica che interconnetta i differenti mezzi a disposizione e che, rovesciando la concezione della diversità come caratteristica da tutelare in 'santuari' e immune da manipolazioni, trova fondamento nella convinzione che la tutela della diversità passa anche attraverso utilizzazioni, appropriate e durature, per il benessere dell'umanità.

Le iniziative di cooperazione internazionale: commissioni, conferenze generali, programmi internazionali, accordi

La prima Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, tenutasi a Stoccolma nel 1972, segna il formarsi nell'opinione pubblica e nella classe politica di una certa sensibilità e consapevolezza verso i problemi della conservazione della diversità biologica. La successiva rapida globalizzazione e l'integrazione economica hanno accresciuto l'interdipendenza fra Paesi, che è evidente anche a livello di risorse genetiche vegetali, poiché nessun Paese è autosufficiente. I Paesi meno dipendenti sono, ovviamente, quelli situati nelle zone tropicali e subtropicali dove il patrimonio di risorse genetiche, spesso ancora sconosciute o non analizzate, è maggiore; in molti di essi, comunque, l'arretratezza dell'agricoltura e una insufficiente ricerca scientifico-tecnica condannano alla povertà le categorie contadine. Il grado medio di interdipendenza genetica fra Paesi per le più importanti colture agricole si aggira intorno al 70%. Tutti i Paesi donano e richiedono agrobiodiversità per il miglioramento della loro agricoltura, e spesso nella genealogia delle nuove varietà si constata la presenza di risorse genetiche provenienti da molte regioni: ciò conferma l'opportunità della cooperazione internazionale anche in questo settore.

Notevoli, anche se differenziati, sono stati i risultati finora raggiunti. Nel 1972 viene istituito dall'ONU l'United nations environmental program (UNEP) che fra l'altro ha promosso le convenzioni di Parigi (1972) sulla protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale, di Washington (1973) sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche in pericolo di estinzione, di Bonn (1979) sulla conservazione di specie migratrici appartenenti alla fauna selvatica e di Berna (1979) sulla conservazione degli habitat naturali e degli organismi selvatici europei.

Cruciale è il ruolo della FAO (Food and Agriculture Organization, agenzia dell'ONU con sede centrale a Roma dal 1951) nel campo delle risorse genetiche vegetali e animali: nel 1965 nomina un gruppo di esperti; nel 1974 include nei suoi servizi il Comitato per le Risorse Genetiche Vegetali (IBPGR, International Bureau for Plant Genetic Resources), per il coordinamento delle iniziative di salvaguardia della biodiversità delle specie vegetali; convoca a Roma tre conferenze tecniche internazionali (1967, 1978, 1981) e nel 1983 istituisce la Commissione Internazionale per le Risorse Genetiche per l'Alimentazione e l'Agricoltura (CGRFA). La Conferenza generale biennale dei Paesi aderenti alla FAO del 1983 vara il primo accordo internazionale, l'Undertaking on plant genetic resources ‒ sottoscritto da 113 Paesi ‒ che incarica la FAO di sviluppare un sistema globale di cooperazione per la raccolta, conservazione e utilizzazione delle risorse genetiche vegetali, mediante il quale affrontare le questioni riguardanti preservazione, valutazione, disponibilità, scambio delle risorse genetiche vegetali di interesse economico e/o sociale, in particolare per l'agricoltura. Nel 1989 la Conferenza generale della FAO riconosce la sovranità dei Paesi detentori di biodiversità nelle proprietà delle risorse genetiche.

Nel 1991 le funzioni dell'IBPGR vengono assorbite nell'IPGRI (International Plant Genetic Resources Institute) la più importante istituzione mondiale dedicata alle risorse genetiche vegetali e uno dei sedici centri internazionali del CGIAR (Consultative Group on International Agricultural Research), con direzione centrale a Roma (per la vicinanza alla FAO, ma anche in considerazione delle capacità e del prestigio degli studiosi italiani del settore) e nove sezioni regionali. La sua missione è quella di promuovere studi e tecnologie atti a migliorare la conservazione e l'uso delle risorse genetiche vegetali in tutto il mondo, così da contribuire a incrementare le produzioni agroalimentari, sradicare la povertà, accrescere la sicurezza alimentare nei Paesi in via di sviluppo e progettare l'ambiente. Nel 1992, la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo (UNCED) riunita a Rio de Janeiro elabora la Convenzione sulla diversità biologica (CBD), sottoscritta da oltre 150 Paesi, i cui capisaldi, nella prospettiva di bilanciare protezione dell'ambiente e sviluppo sostenibile in un approccio ecosistemico, sono: la conservazione della diversità biologica ai tre livelli indicati, l'uso sostenibile delle risorse genetiche animali e vegetali, il riconoscimento dei diritti di proprietà intellettuale per genetisti e costitutori di nuovi complessi genetici e nuove varietà e razze e dei diritti degli agricoltori in quanto conservatori di variabilità genetica.

La Conferenza di Rio de Janeiro adotta anche altri accordi, fra i quali: l'Agenda 21, un piano di azione per il XXI sec., teso all'integrazione degli aspetti ambientali in una vasta gamma di attività, fra cui industria, agricoltura, pesca, energia, trasporti, ricreazione e turismo, uso del territorio; il Comitato Internazionale per le Foreste, organo per l'utilizzazione del legname delle foreste tropicali; la Convenzione sui cambiamenti climatici, che comporta l'obbligo dei Paesi firmatari a programmare misure per contenere l'emissione di gas-serra; la Convenzione per la lotta contro la desertificazione. Le conferenze generali FAO del 1993 e del 1995 rivedono tutta la materia secondo i principî della CBD, ampliano il mandato della CGRFA includendovi anche le risorse relative agli animali in produzione zootecnica e ai pesci, e rendendola, così, un foro intergovernativo permanente di discussioni e negoziazioni su argomenti rilevanti per le risorse genetiche e il loro uso, nell'interesse della generazione presente e delle future. In breve, nella serie delle conferenze generali biennali della FAO degli anni Ottanta e Novanta del Novecento e nel World food summit il tema dell'agrobiodiversità è all'ordine del giorno, favorendo progressivamente la definizione e l'adozione nel 2001 del fondamentale Trattato internazionale per le risorse fitogenetiche, entrato in vigore nel giugno 2004 e fino a oggi sottoscritto e ratificato da 83 Paesi.

Il Trattato, in armonia con la CBD, conferma la sovranità di ciascun Paese sulle risorse genetiche in esso esistenti e ne regolamenta l'uso attraverso un sistema multilaterale che, prevedendo anche un'equa ripartizione dei benefici, facilita l'accesso, espressamente menzionato, alle risorse di un gruppo di 64 generi di piante alimentari, foraggere e per uso agroindustriale, differenziati in centinaia di specie e molte migliaia di varietà elette e locali. Il Trattato sottolinea ripetutamente il dovere di onorare i diritti degli agricoltori che, soprattutto nelle tradizionali comunità rurali, hanno conservato e difeso l'agrobiodiversità dai rischi di erosione; ma non manca di richiamare al rispetto, secondo i principî e le norme esistenti, dei diritti di proprietà intellettuale dei costitutori di nuove varietà, precisando che una quota dei benefici ‒ ricavati dall'uso dell'agrobiodiversità in genetica e miglioramento genetico ‒ dovrà essere corrisposta al consiglio direttivo del Trattato (art. 13, b). Ovviamente il Trattato, richiamandosi al 'piano di azione globale' elaborato dalla FAO fin dagli anni Novanta del Novecento, estende l'attenzione anche alle altre specie di interesse agrario, coltivate o selvatiche affini (artt. 14 e 17), con preciso riferimento alla conservazione delle risorse genetiche depositate nelle banche del germoplasma degli istituti del Gruppo Consultivo Internazionale di Ricerche Agrarie (CGIAR) e di altre istituzioni nazionali e sovranazionali, che ormai collezionano oltre 6 milioni di campioni di semi. Il Trattato, inoltre, sottolinea la necessità di intensificare l'esplorazione, la raccolta e la valutazione e utilizzazione delle risorse, a opera di istituzioni internazionali, governative, non governative e anche private.

In quest'ottica il Trattato, il cui consiglio direttivo riceve e amministra contributi, donazioni, diritti all'uso delle risorse genetiche, è realmente un clamoroso traguardo, ma è soprattutto un punto di partenza: è uno sprone a esaltare capacità materiali e immateriali e a coinvolgere singoli individui e corpi sociali mobilitandone e nobilitandone il lavoro fisico e mentale; è una sorgente di creatività e di energie, perché invita a interrogazioni sistematiche delle risorse della natura tesaurizzate nel DNA dei vegetali. E dalla confluenza dei saperi genereranno nuove conoscenze e pratiche innovazioni, per esempio nel perfezionamento dei metodi di ottenimento di nuove varietà più produttive, o fortificate in sostanze terapeutiche o sintetizzanti materie prime per le bioindustrie; si genereranno nuove conoscenze di genomica e proteomica funzionali, per esempio, all'espressione di caratteristiche di resistenza a stress biotici e abiotici o di adattamento alle variazioni ambientali e alle influenze su cicli di differenziamento e sviluppo, ecc.; in definitiva, ne deriveranno innovazioni corrispondenti alle mutevoli esigenze della società. È questo il contributo multifunzionale della diversità biologica allo sviluppo economico e sociale dei popoli del pianeta; sviluppo che, in ultima analisi, ha anche consentito l'accumularsi di quel patrimonio di diversità culturali, tradizioni, valori, pensiero, civiltà, che arricchisce il genere umano di potenzialità intellettive.

Interventi dell'Unione Europea

Della Comunità Economica Europea meritano citazioni almeno: il Mediterranean action plan approvato a Barcellona (1975); il programma Corine (Coordination of information on the environment, 1985) avente principalmente lo scopo di raccogliere, per coordinarle e armonizzarle a livello europeo, informazioni su ambienti naturali, biotopi, uso e stato dei suoli, ambienti costieri, emissioni in atmosfera, reti di trasporto, ecc.; la direttiva comunitaria 92/43 Life per la promozione di interventi nazionali e regionali su una vasta gamma di attività relative all'ambiente naturale e antropizzato. Successivamente, l'Unione Europea (UE) ha anche sottoscritto una serie di convenzioni, fra le quali quelle già ricordate di Washington, Berna, Bonn e quella di Ramsar (1971) sulle aree acquitrinose. Nel 1998 l'UE ha adottato, nell'ambito del V Programma d'azione per lo sviluppo sostenibile, una strategia per la diversità biologica che prevede quattro aree tematiche: conservazione e uso sostenibile della diversità biologica in situ ed ex situ; ripartizione dei vantaggi derivanti dall'uso delle risorse genetiche; ricerca, identificazione, controllo e scambio di informazioni; istruzione, formazione e sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Inoltre, nel VI Programma di azione per l'ambiente, la UE ha sottolineato come il futuro lavoro di salvaguardia debba essere rafforzato anche mediante l'aumento delle conoscenze, con particolare attenzione alle pressioni che minacciano la biodiversità, e la definizione di strumenti politici adeguati.

Iniziative in Italia

Con la legge 124 del 14/2/1994, l'Italia ratificò la Convenzione di Rio de Janeiro (1992). Il Ministero dell'Ambiente predispose un documento, approvato dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) il 16/05/1994, contenente le linee strategiche per l'attuazione della Convenzione di Rio de Janeiro e per la redazione del Piano nazionale sulla biodiversità. Grazie alle misure di seguito adottate lo stato delle conoscenze e la situazione della biodiversità in Italia sono soddisfacenti. In verità, l'Italia ha una lunga e solida tradizione in questo campo. Il primato spetta senz'altro alle discipline botaniche, grazie agli orti botanici universitari di Padova, Pisa e Firenze, istituiti nel XVI secolo. Le stesse sedi universitarie, assieme ad altri atenei italiani, come per esempio quello bolognese e quello palermitano, possono vantare una plurisecolare tradizione di studi, ricerche e insegnamento nelle discipline che oggi curano aspetti particolari della biodiversità, come testimonia per esempio la corrispondenza intercorsa nel XVII sec. tra Linneo e scienziati delle università di Pisa e di Pavia riguardo all'identificazione di alcune piante. È da notare, peraltro, che queste istituzioni non nacquero per caso. L'Orto Botanico di Padova fu voluto dalla Serenissima Repubblica di Venezia per motivi estremamente pratici, come espressione di una lungimirante attenzione verso le ricchezze del mondo vegetale e di un uso che oggi si direbbe 'sostenibile', come dimostrano chiaramente anche le rigorosissime norme che tutelavano i 'boschi da reme', da cui la Serenissima traeva il legname per le esigenze della flotta.

La tradizione italiana nell'ambito degli studi zoologici ha radici meno antiche, risalendo solo all'Ottocento, quando ebbe notevole impulso la prospezione faunistica grazie al primo Progetto di documentazione della fauna d'Italia, che ebbe tra i maggiori propugnatori Carlo Luciano Bonaparte, e alla nascita nella prima metà del XIX sec. dei primi musei di storia naturale e della Società Entomologica Italiana (1869). Ma agli anni Sessanta del Novecento risale il momento di svolta per le ricerche sull'ambiente e in particolare sulla diversità dei viventi. Decisive prese di posizione maturano nei dibattiti in seno alle facoltà di scienze e di agraria, e nel 1969 il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) delibera la costituzione a Bari, in accordo con la Facoltà di agraria di quella università, dell'Istituto per il Germoplasma Vegetale, per garantire la salvaguardia della variabilità genetica delle piante coltivate e delle entità selvatiche a esse affini, presenti in Italia e nei Paesi del Mediterraneo. Questo istituto, d'intesa con la FAO, è stato a lungo il principale punto di riferimento per la regione mediterranea e mediorientale e ha raccolto e conservato ex situ oltre 80.000 campioni di specie agrarie e affini, frutto di spedizioni condotte anche in Africa in collaborazione con la FAO e istituti di Paesi europei. Il CNR costituisce inoltre, con centro a Firenze e in collaborazione con l'Università e il Ministero dell'Agricoltura e Foreste, una rete nazionale per la salvaguardia delle risorse genetiche delle specie legnose da frutto. Contemporaneamente il CNR promuove altri progetti sulla diversità biologica della flora e della fauna.

Negli anni Settanta il Ministero degli Affari Esteri ‒ in collaborazione con ricercatori universitari, enti pubblici di ricerca, accademie e con il Ministero dell'Agricoltura e Foreste ‒ realizza grandi laboratori per la conservazione ex situ del germoplasma vegetale di istituti internazionali di ricerca agraria della rete del CGIAR in Asia occidentale (Siria), nell'Africa equatoriale (Nigeria), in America Latina (Perù e Colombia), rafforzando inoltre strutture ad hoc in India, nelle Filippine e in Bolivia. Nel 1971, sempre presso il CNR, la Commissione per la conservazione della natura e delle sue risorse, istituita nel 1951 sotto la spinta di Alessandro Ghigi e presieduta da Giuseppe Montalenti, cura la pubblicazione del Libro bianco sulla natura in Italia, si impegna nella promozione di piani per l'istituzione di parchi e avvia un progetto per un elenco dei biotopi più meritevoli di protezione, che è stato la base di numerose iniziative che ‒ in collaborazione con il Ministero dell'Agricoltura e Foreste, società scientifiche nazionali ed enti locali ‒ hanno consentito di individuare ambienti da tutelare per il loro valore naturalistico e di predisporre e approvare leggi-quadro sulle aree protette e sulla fauna selvatica. Nello stesso anno (1971) la Società Botanica Italiana compie il primo censimento dei biotopi di rilevante interesse vegetazionale, meritevoli di conservazione in Italia; un secondo elenco viene pubblicato nel 1979.

Al CNR si devono anche i progetti finalizzati Promozione della qualità dell'ambiente e Salvaguardia del germoplasma animale e miglioramento genetico vegetale, realizzati tra il 1976 e il 1981, che hanno permesso l'accertamento delle risorse genetiche degli animali in produzione zootecnica, l'attuazione di ampie ricerche specialistiche di carattere tassonomico, sinecologico, vegetazionale ed ecosistemico in numerosi ambienti; tra gli altri sono degni di nota gli studi interdisciplinari condotti dal Gruppo di biologia naturalistica. Negli stessi anni l'Italia aderisce al progetto MAB (Man and biosphere) dell'UNESCO, nel cui quadro organizza a Roma l'EuroMab-2002, e alle convenzioni internazionali avanti citate, nei cui ambiti vengono impostate diverse indagini per la salvaguardia di ambienti e aree di interesse naturalistico, foriere di una ricca fase progettuale per l'istituzione di parchi e riserve.

L'istituzione del Ministero dell'Ambiente, nel 1986, rappresenta il momento di svolta nella politica ambientale e nella programmazione della ricerca ambientale. Il Piano nazionale per la ricerca scientifica e tecnologica ambientale (1989), il Progetto finalizzato ambiente e territorio, il Piano decennale per l'ambiente, il Quadro territoriale di riferimento per la politica ambientale, il Sistema di contabilità del patrimonio naturale e ambientale e altri provvedimenti sono iniziative che hanno avuto un grande rilievo scientifico e pratico. Hanno favorito l'integrazione fra ricerche, innovazioni tecnologiche, provvedimenti operativi e realizzazioni esecutive riguardanti la conservazione del patrimonio genetico, la protezione, gestione e ripristino di ecosistemi e biomi terrestri e marini, la salvaguardia di habitat naturali e seminaturali, l'istituzione di parchi e riserve naturali, il recupero e la conservazione della naturalità, la tutela del paesaggio.

Di particolare significato per la conoscenza e la salvaguardia della biodiversità sono stati: i piani elaborati in conformità del progetto comunitario Corine, e i progetti Life che, nel quadro della direttiva comunitaria 92/43 CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica, il Ministero dell'Ambiente ha diffusamente promosso in sede nazionale e regionale. Di grande valore pratico sono stati: la checklist delle specie della fauna italiana, la checklist della flora vascolare italiana, la checklist delle specie fungine italiane; gli studi sulla fauna in collaborazione con l'Unione Zoologica Italiana; i progetti Flora e Habitat in cooperazione con la Società Botanica Italiana. Di estremo rilievo è il progetto Natura 2000, specificatamente indirizzato alla creazione della banca dati di una rete di siti a protezione speciale e di interesse comunitario per la presenza di habitat o specie animali o vegetali minacciate di estinzione. Ne è derivato ‒ tra gli altri ‒ il progetto Bioitaly, finalizzato alla costituzione di un sistema di informazioni puntiformi che coinvolge tutte le regioni d'Italia.

Queste e altre attività rappresentano l'impegno italiano per l'attuazione della Convenzione sulla diversità biologica del 1992. In particolare le linee strategiche proposte dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio hanno previsto l'instaurazione di una rete nazionale di informazioni sulla diversità e di ricerche coordinate con la Carta della natura, la costituzione di un osservatorio e il completamento del Sistema nazionale delle aree naturali protette. Questi progetti stanno producendo una cognizione senza precedenti della situazione italiana della biodiversità, di cui sono già testimonianza due opere: lo studio Biodiversità: il piano italiano, predisposto nel 1997 dall'Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL per conto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e curato con la collaborazione di società scientifiche, parchi nazionali e ONG, e nel 2005 il volume Stato della biodiversità in Italia, redatto dalla Società Botanica Italiana e dalla Direzione Generale per la Protezione della Natura del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio. L'opinione pubblica quasi ovunque è ormai consapevole dell'importanza, per un benessere sostenibile ed equamente distribuito, di salvaguardare e di gestire saggiamente le risorse della biosfera: acqua, suolo, atmosfera e diversità biologica. Con l'espressione 'biodiversità' è, dunque, contraddistinto quel patrimonio di variabilità esistente fra gli organismi viventi, di cui è parte fondamentale la diversità genetica depositata nei genomi delle piante coltivate e selvatiche e degli animali domesticati e selvatici. Minore, forse, è la consapevolezza della necessità di preservare questo immenso patrimonio biologico per discernere le informazioni genetiche contenute nel DNA delle singole specie, per identificare a livello molecolare i diversi costrutti genici, per conoscere le istruzioni regolate dai complessi e interconnessi circuiti genici, per studiare la struttura e le funzioni del genoma dei molti milioni di specie e relative varianti (varietà, razze, biotipi). L'obiettivo è scoprire le miriadi di messaggi che, contenuti in quella molecola universale che è il DNA, indirizzano le funzioni delle cellule negli sviluppi morfologici e fisiologici degli organismi viventi e regolano la biosintesi, cioè la produzione rinnovabile di composti biochimici, proteine, materie prime, bioprodotti validi per usi alimentari, farmacologici, energetici, ecc.

È in diretto rapporto con la preparazione tecnico-scientifica, con l'intelligenza e l'ingegnosità di esseri umani dedicati e volitivi che invenzioni e brevetti si moltiplicheranno e si affermeranno nuove bioindustrie. Queste ultime saranno fornitrici di prodotti innovativi, ottenuti processando materie prime rinnovabili perché ricavate da organismi vegetali e animali grazie a quel settore primario di attività dell'uomo che è il comparto agricolo, zootecnico e forestale: quell'agricoltura lato sensu dalla quale si deve ragionevolmente attendere, perché indispensabile alla vita sulla Terra, un intensificato rifornimento di materie prime rinnovabili, ma che, purtroppo ed erroneamente, è un settore economico spesso considerato residuale, che occorre soltanto proteggere perché ormai maturo e perciò non più bisognoso di nuovi flussi scientifici e tecnici. Invece, come da milioni e milioni di anni avviene in natura seguendo le linee di processi evolutivi, così adesso, con metodi tradizionali o molecolari, lo scambio, l'integrazione, il riassemblaggio di costrutti genici possono essere guidati e con maggior precisione mirati al miglioramento, negli organismi vegetali e animali, delle funzioni, dell'adattamento alle condizioni di ambiente e dei suoi fattori biotici e abiotici, della biosintesi di sostanze adatte allo sviluppo ecosostenibile, al progresso culturale ed economico delle società umane, nel rispetto dei fondamentali diritti naturali, nella libertà e dignità di ogni uomo e donna, entro i limiti etici del lecito e nella tutela e nel ragionevole ricorso alle risorse naturali.

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