BIGAMIA

Enciclopedia Italiana (1930)

BIGAMIA (dal lat. bis "due volte" e gr. γάμος "nozze"; fr. bigamie; sp. bigamía; ted. Doppelehe; ingl. bigamy)

Silvio Longhi

Nel diritto romano, la bigamia era confusa con l'adulterio; così pure nel diritto germanico; come reato per sé stante la bigamia si venne enucleando nel diritto canonico il quale, com' è noto, concepisce il matrimonio, oltre che come un contratto, anche come un sacramento. Il codex iuris canonici (can. 2356) chiama "bigami" coloro i quali obstante coniugali vinculo, aliud matrimonium, etsi tantum civile, ut aiunt, attentaverint. Essi sono, ipso facto, infames. Notevole che il codice predetto consideri bigamo di fronte alla chiesa chi contrae un secondo matrimonio, anche solamente col rito civile.

La bigamia, già preveduta come delitto dagli articoli 488 del codice penale sardo e 296 del codice penale toscano, è disciplinata nell'articolo 359 del codice Zanardelli. Essa consiste nel fatto di chi, essendo legato da valido matrimonio, ne contrae un secondo o uno ulteriore, e nel fatto di chi, essendo libero, sposa una persona già validamente coniugata. Secondo il codice Zanardelli, la bigamia non è delitto contro la fedeltà coniugale, come alcuni autori ritenevano, ma contro l'istituto famigliare, che si fonda essenzialmente sul sistema monogamico. Essa si consuma appena il nuovo mutrimonio si è celebrato, senza che debba stabilirsi la convivenza del soggetto con la persona alla quale il secondo matrimonio dà l'apparenza di coniuge, e senza bisogno che il secondo matrimonio sia consumato. Per il codice Zanardelli, a costituire bigamia, occorre che il primo matrimonio sia constante (e cioè ancora in vita e non sciolto) e che sia valido. La validità è da giudicarsi secondo le leggi del luogo in cui il primo matrimonio è stato contratto. Essa, inoltre, deve intendersi nel senso tanto della mancanza di motivi di nullità insanabile (inesistenza del matrimonio), quanto della mancanza di motivi di nullità semplicemente relativa (annullabilità). L'invalidità del primo vincolo coniugale esclude la bigamia anche se non sia stata pronunciata dal giudice fino all'atto della celebrazione del secondo matrimonio. Il giudice penale, per decidere se sussista no la bigamia, può rinviare al giudice civile la risoluzione del dubbio sulla validità o meno del primo matrimonio (questione pregiudiziale facoltativa, art. 3 cod. proc. pen.). Il secondo matrimonio dev'essere tale che avrebbe piena efficacia se non ostasse il primo matrimonio valido, che, viceversa, lo rende insanabilmente nullo (art. 56 cod. civ.).

Il progetto definitivo di un nuovo codice penale (1929) nell'annoverare la bigamia fra i delitti contro la famiglia, sopprime la condizione che il primo matrimonio sia valido.

La bigamia riceve così la stessa disciplina che l'adulterio e il concubinato ricevevano secondo gli articoli 353 e 354 del codice Zanardelli, i quali stabiliscono che, per l'esistenza giuridica di quei reati, è sufficiente la violazione del matrimonio, anche se questo è affetto da motivi di nullità. L'innovazione potrebbe ritenersi in contraddizione con le norme del codice civile, che riconoscono valido il secondo matrimonio in caso di nullità che renda il primo soltanto apparente (art. 113 cod. civ.); tuttavia, l'esempio del codex iuris canonici e il proposito di rafforzare l'istituto famigliare giustificano l'innovazione. Il matrimonio, se pure invalido, finché non venga annullato dal giudice, deve imporre al coniuge il riserbo monogamico. Solo se il vincolo coniugale sia annullato, il coniuge riacquista la libertà del proprio stato. Peraltro, il progetto Rocco ha corretto il rigore della nozione da esso data della bigamia, ammettendo che il reato si estingua se il primo matrimonio sia dichiarato nullo, o se venga annullato il secondo matrimonio per causa diversa dalla bigamia. In tal caso, di fronte al fatto dell'annullamento dell'uno o dell'altro matrimonio e alla sopravvivenza di un solo matrimonio, non poteva mantenersi il principio che la bigamia sia punibile indipendentemente dalla validità dell'uno o dell'altro matrimonio. Una controversia fondamentale investe la natura della bigamia, che da alcuni si considera delitto permanente. Tale è considerato anche dalla legge. L'illiceità penale perdura finché perdura lo stato di bigamia. Deriva dall'applicazione di tale principio la disposizione dell'art. 360 cod. Zanardelli (transfusa nell'art. 556 del progetto Rocco), secondo la quale la prescrizione dell'azione penale decorre, per la bigamia, dal giorno in cui sia sciolto uno dei due matrimonî o sia dichiarato nullo il secondo per la bigamia. Il codice Zanardelli prevede come aggravante il fatto di avere l'agente indotto in errore la persona con la quale ha contratto matrimonio, sulla libertà dello stato proprio o di essa (quest'ultima ipotesi si verifica, p. es., quando si fa credere a persona coniugata che il coniuge è morto). Tale aggravante è mantenuta nel progetto Rocco (capov. 1° dell'art. 555)

Bibl.: Fr. Carrara, Programma del corso di diritto criminale, Firenze 1883, parte speciale, III, p. 1340; G. Puccioni, Codice penale toscano illustrato, Pistoia 1855-1858, IV, p. 337; B. Alimena, Diritto penale, II, Napoli 1912, p. 662; V. Manzini, Trattato di dir. pen. ital., VI, Torino 1915, p. 729; L. Massari, Il momento esecutivo del reato, Pisa 1923, p. 93; C. Civoli, Trattato di dir. pen., III, Milano 1913, p. 310; E. Pessina, Elementi di diritto penale, II, Napoli 1883, p. 325.

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