BIBBIA

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

BIBBIA (VI, p. 879; App. I, p. 270; II, 1, p. 395)

Giovanni RINALDI
Alberto PINCHERLE

Vecchio Testamento. - Critica del testo. - La ripresa degli studî biblici che si è avuta dopo la seconda guerra mondiale è stata favorita da importanti scoperte in Oriente, che hanno offerto nuovo materiale di esplorazione e comparazione. In particolare, per quanto riguarda la critica testuale, la scoperta dei manoscritti del Mar Morto (v. in questa App.), la cui importanza vale specialmente per lo studio del Nuovo Testamento, ha recato contributi nuovi anche per il Vecchio Testamento. Fin dalla prima conoscenza che si fece delle due copie del libro di Isaia (Isa, Isb) si poterono fare rilievi testuali di grande interesse. Particolarmente notevole fu il caso di Is. 53, 11, in cui dopo yir'eh "vedrà" è attestata la lettura ōr "la luce", come prima si supponeva per ricostruzione, in base al solo greco (LXX). Fin dal 1951 dal codice isaiano e dal commentario di Abacuc, ambedue editi nell'anno precedente, fu fatto da O. Eissfeldt il rilievo delle "variae lectiones" per i due profeti, da aggiungere alla Biblia Hebraica del Kittel. Alle due copie di Isaia e al commentario di Abacuc sono da aggiungere frammenti di varia ampiezza e numero di tutti i libri ebraici del Vecchio Testamento, in parte attualmente in corso di pubblicazione, che ripropongono nuovi problemi sul testo. Non sono emerse, però, varianti di particolare interesse per l'esegesi, se non siano piccolezze, di cui l'esempio citato di Isaia (che ha applicazioni anche teologiche: "vedrà la luce" = vivrà, dopo la morte) è un caso abbastanza interessante. La storia del testo in sé è illuminata: si sa in qual grado a quell'epoca era fissato, come lo si pronunciava e in generale in quale condizione erano la conoscenza e l'uso della lingua ebraica.

In appoggio alle ricerche testuali sono intervenute la prosecuzione degli studî sui Settanta, su altre "versioni" antiche, anzitutto le aramaiche (parafrasi) e, specialmente a opera di ebraisti israeliani e spagnoli, le edizioni o studî su codici ebraici appartenenti a filoni di tradizione anteriore o diversa da quella masoretica. In molti casi è rivalorizzata la lettura tradizionale (vocalica), e si potrebbe anche dire masoretica, se su questo punto non intervenissero le riserve sul "loro" ebraico, ora molto più gravi che qualche decennio fa. Ma molte sono le nuove congetture, suggerite in base anche ad altri studî orientalistici, come la comparazione linguistica (specialmente con l'arabo: studî di G. R. Driver e altri), l'archeologia e l'esempio che viene da analoghi studî sui testi egiziani e accadici.

Notevolissima l'attività nel campo delle edizioni, traduzioni e in genere della critica testuale. P. Nober ha iniziato nel 1953 la pubblicazione annuale di un utilissimo Elenchus emendationum (in Biblica, XXXIV, pp. 125-31; ora nell'Elenchus in appendice a Biblica, XXXIX, 1958, pp. 7 segg.). Sui problemi riguardanti il testo in generale, v. E. Dhorme, Le texte hébreu de l'A. T., in Rev. Hist. Phil. Rel., XXXV (1955), pp. 129-44.

Sui manoscritti e le edizioni ebraiche: L. Goldschmidt, The earliest editions of the Hebrew Bible, with a treatise on the oldest manuscripts by P. Kahle, New York 1950; A. Sperber, The Pre-Masoretic Bible discovered in four MSS. representing an unique tradition. Published with a general introduction, detailed description of the manuscripts and basic conclusions, Copenaghen 1957. Alla conoscenza di manoscritti ignoti della Bibbia masoretica, sia di manoscritti di altre tradizioni sia di antiche versioni giudaiche, hanno contribuito con edizioni e studî molti studiosi, tra cui si distinguono W. H. Brownlee, P. E. Kahle, J. Prijs, gli israeliani A. Ben-David, I. Ben-Zvi, M. H. Goshen-Gottstein, gli spagnoli A. Díez Macho, F. Pérez Castro, J. Ramón Díaz, N. López Martínez, A. Arce, F. Díaz Esteban, J. G. Larraya, con contributi che si trovano specialmente nelle riviste Biblica di Roma, Estudios bíblicos e Sefarad di Madrid, Journal of Jewish Studies di Cambridge, Tarbiz di Gerusalemme, Israele, Zzeits. der deutschen morgenländischen. Gesellschaft di Wiesbaden, nei due volumi Homenaje á Millás Vallicrosa, Barcellona 1954 segg.; ecc.

Una nuova edizione delle "versioni" targumiche è iniziata da A. Sperber, The Bible in Aramaic, I. The Pentateuch according to Targum Onkelos, Leida 1959. A parte si ha per Isaia l'ottima edizione di J. Stenning, The Targum of Isaiah, edited with a translation, Oxford 1949.

Il fervore degli studî sul testo ebraico è indirettamente attestato dalla ricerca di concordanze, a cui si è provveduto con ristampe e rifacimenti della classica opera di Mandelkern e con nuovi lavori: S. Mandelkern, Veteris Testamenti Concordantiae Hebraicae atque Chaldaicae, 2 voll., riproduzione fotomeccanica presso la Akad. Druck- und Verlagsanstalt, Graz 1955; inoltre: id., id., Editio tertia correcta cum supplementis ab M. Gottstein, Tel-Aviv 1956; id., Concordance of the Bible, nuova edizione corretta e completata da C. M. Brecher e A. Avrunim, New York 1956; nuove concordanze: G. Lisowsky, Konkordanz zum hebräischen A. T. nach dem von P. Kahle in der Biblia Hebraica, ed. R. Kittel, besorgten masoretischem Text, Stoccarda 1956 segg.; S. E. Loewenstamm-J. Blau, Thesaurus of the language of the Bible. Complete concordance, Hebrew and Hebrew-English dictionary, Gerusalemme, I, 1957; II, 1958; III, 1959.

Per gli apporti dei manoscritti del Mar Morto alla critica testuale della Bibbia ebraica, v.: O. Eissfeldt, Variae Lectiones rotulorum manu scriptorum anno 1947 prope Mare Mortum repertorum ad Jes. 1-66 et Hab. 1-2 pertinentes, aggiunto a Biblia Hebraica... ed. R. Kittel, 3ª ed. a cura di A. Alt e O. Eissfeldt, Stoccarda 1951; in generale, con nuovi rilievi per tutta la Bibbia, v.: H. Wildberger, Die Handschriftenfunde beim Toten Meer und ihre Bedeutung für die Erforschung der hl. Schrift, "Calwer Hefte, 5", Stoccarda 1956; R. E. Murphy, The DSS and the Bible, Westminster, Md., 1956; M. Greenberg, The stabilisation of the text of the Hebrew Bible, reviewed in the light of the biblical materials from the Judean Desert, in Journ. of the Amer. Or. Society, LXXVI (1956), pp. 157-167; P. W. Skehan, The Qumran manuscripts and textual criticism, in Volume du Congrès, Strasburgo 1956; V. T. Suppl. IV, Leida 1957, pp. 148-160; id., The period of the biolical texts from Kh. Qumran, in Cath. Bibl. Quart., XIX (1957), pp. 435-440; F. M. Cross, The ancient library of Qumran and modern bible studies, New York 1958; F. F. Bruce, Biblical exegesis in the Qumran texts, L'Aia 1959.

Felici sintesi dei più moderni risultati dello studio della versione "dei Settanta" sono state fatte da E. vogt nella Enciclopedia Cattolica Italiana, voci Settanta (XI, Roma 1953, pp. 436-442) e Grecia (VI, Roma 1951, pp. 1056-58, con bibliografia). I più recenti volumi della grande edizione dei Settanta: Septuaginta. Vetus Testamentum Graecum auctoritate Soc. Litt. Gottingensis editum, sono quelli di J. Ziegler, Ezechiel, 1952 (della serie: XIV, 1; Nachträge sono nel vol. XVI, 2, p. 77 segg.); Susanna, Daniel, Bel et Draco, 1954 (XVI, 2); Jeremias, Baruch, Threni, Epistula Jeremiae, 1957 (XV). Una scoperta recente ha consentito di chiarire alcuni punti oscuri della storia delle versioni greche: v. D. Barthélemy, Redécouverte d'un chaînon manquant de l'histoire de la Septante, in Revue Biblique, LX (1953), pp. 18-29.

Versioni greche tramandate in modo incompleto vengono ricuperate parzialmente: G. Mercati, Psalterii Hexapli reliquiae cura et studio Joh. Card. Mercati editae, I. Codex rescriptus Bioliothecae Ambrosianae O 39 sup., phototypice expressus et transcriptus, Città del Vaticano 1958.

L'abbazia di Beuron si è assunta l'impresa di ripubblicare le versioni latine anteriori o comunque diverse dalla Volgata (Vetus Latina). L'opera, intitolata Reste der altlateinischen Bibel, Nach Petrus Sabatier neu gesammelt und herausgegeben von der Erzabtei Beuron, è stata iniziata col vol. II contenente la Genesi, 1954; sono seguiti XXVI, 1, Epistula Jacobi, 1956; XXVI, 2, Ep. I Petri, 1958; a parte: I. B. Fischer, Verzeichnis der Sigel, 1949. L'abbazia di Beuron ha anche cominciato la serie annuale Vetus Latina-Arbeits-Bericht, fasc. 2 (1953), 3 (1954), 4 (1955), 5 (1956). Sempre riguardo all'antica latina, è da ricordare l'iniziata pubblicazione della Vetus Latina Hispana, che fa parte della Biblia polyglotta matritensia con il volume di T. Ayuso Marazuela, La Vetus Latina Hispana: origen, dependencia, derivaciones e influjo universal, I. Prolegómenos, introducción general, estudio y análisis de las fuentes, Madrid 1953. Dello stesso T. Ayuso Marazuela è uscito nella serie: Psalterium Latinum Visigoticum Mozarabicum, 1957 (= Vet. Lat., 21). Uno studio d'insieme è dato da F. König, Die Bedeutung der Vetus Latina, in Saeculum, IV (1953), pp. 267-73.

Continua l'edizione della Volgata: Biblia sacra iuxta Latinam Volgatam versionem ad codicum fidem... cura et studio monachorum abbatiae S. Hieronymi in Urbe edita, VIII. Libri Ezrae, Tobiae, Judith, Roma 1950; IX. Libri Hester et Job, 1951; X. Liber Psalmorum, 1953; XI. Libri Salomonis, i. e. Proverbia, Ecclesiastes, Canticum Canticorum, 1957.

Interessanti rilievi sulla personale traduzione dei Salmi di san Girolamo ha fatto J. H. Marks, Der textkritische Wert des Psalterium Hieronymi iuxta Hebraeos (Diss. Basel), Winterthur 1956.

Tra i molti studî di G. R. Driver, a cui è fatto riferimento nell'articolo, meritano speciale menzione: L'interprétation du texte masorétique à la lumière de la lexicographie hébraïque, in Eph. Theol. Lovan., XXVI (1950), pp. 337-53; Problems in the Hebr. text of Proverbs, in Bibl., XXXII (1951), pp. 173-97; Hebrew notes, in Jew. Quart. Rev., XL (1949-50), pp. 57 segg.; id., in Vet. Test., I, 1951, pp. 241-50; Hebrew poetic diction, in V. T. Suppl., I, pp. 26-39; Some Hebrew medical expressions, in Zeitschrift für die alttestamentliche Wissenschaft, LXV (1953), pp. 255-62; Ezekiel: Linguistic and textual problems, in Bibl., XXXV (1954), pp. 145-52, 299-312; Hebrew Mothers, in Zeitschrift für die alttestammtliche Wissenschaft, LXVII (1955), pp. 246 segg.; Problems in the Hebrew text of Job, in V. T. Suppl. (= Festschr. Rowley), Leida 1955, pp. 72-93; Hebrew seals, in Pal. Expl. Quart., LXXXVII, 1955, pp. 5-20; Glosses in the Hebr. text of the O. T., in L'Anc. Test. et l'Orient, Lovanio 1957, pp. 123-61; Geographical problems, in Eretz Israel, V, Gerusalemme 1958, pp. 16-20.

Critica storico-letteraria e scuole esegetiche relative all'Antico Testamento. - Il materiale nuovo accennato a proposito della critica testuale ha giovato anche all'esegesi, come si può vedere da quelle sistemazioni degli studî parziali che sono le introduzioni e i commentarî della Bibbia.

La ripartizione migliore, per via, diciamo così, interna, si potrebbe fare secondo gli indirizzi critico-esegetici a cui appartengono; si potrebbe anche parlare di "scuole", se questa parola oggi non fosse generalmente molto meno apprezzata dagli studiosi, che non qualche decennio fa. Di fatto le collaborazioni si incrociano, si stabiliscono équipes, a cui vengono invitati a partecipare studiosi di formazione e interessi del tutto diversi. Possiamo rilevare come sufficientemente caratterizzati questi gruppi: quello originariamente svedese, sviluppatosi con sue caratteristiche in Inghilterra, dove ultimamente (1958) ha pubblicato il libro Myth, ritual and kingship (così si usa anche denominare la "scuola"); quello critico tedesco, in cui continua e si sviluppa la "scuola" che conta tra i suoi maestri quasi tutti i grandi esegeti germanici del secolo scorso e della prima metà del nostro; quello cattolico francese, che ha il centro ideale nella École biblique di Gerusalemme, iniziata dal Lagrange, ma è poi estremamente variata, e ricca di iniziative, caratterizzata da una valorizzazione critica e religiosa di tutti i dati positivi (traduzioni, archeologia); quello americano, con varî centri, specialmente Baltimora (Albright), che pubblica e dà una prima elaborazione di copioso materiale nuovo archeologico e linguistico.

Sembra più opportuno, peraltro, passare in breve rassegna i grandi temi che sono attualmente oggetto di studio.

1) Si ha una nuova immagine della storia israelitica. Resta confusa la conoscenza dell'età patriarcale; miglior visione dell'età dell'esodo, in cui sono identificate più tradizioni, di cui resta da vedere la connessione (Egitto, Sinai, Cades, deserto); l'età e la figura di Mosè sono comunque saldamente acquisite alla storia. Rinnovata è la conoscenza del periodo anteriore alla monarchia (i risultati sono nella Geschichte di M. Noth) e della monarchia (specialmente lavori di A. Alt). Dalla visione documentaria approfondita deriva un nuovo indirizzo alla teologia biblica (v. anche teologia: t. cattolica, in questa App.), che sempre più appare come "tradizione storico-teologica": Israele sente la sua storia come storia di ciò che il suo Dio Yahweh ha fatto per lui ("salvezza"), le vicende diventano rivelazione, la storiografia diventa teologia.

Espressione di questo atteggiamento è l'attività di G. von Rad e di A. Weiser, specialmente del primo la Theologie des Alten Testaments, di cui è edito il primo volume (1958): in esso è cercata la saldatura tra esegesi critico-positiva ed esegesi religiosa. Il punto d'incontro è la ricerca delle tradizioni (il sottotitolo del vol. I è: Die Theologie der geschichtlichen Ueberlieferungen Israels): una ricerca che rimane attivissima e si va estendendo internamente a tutte le letterature orientali antiche. Si chiede a questa indagine la risposta ai più gravi problemi posti dall'analisi critica degli ultimi decennî e dalla dissociazione in cui quell'analisi ci ha lasciato "libri" tramandati: fonti, collezioni, brani di origine ignota, elementi redazionali. Con la ricerca delle "tradizioni" si dovrebbero scoprire correnti vive di idee, forme di vita, in lunga serie cronologica, in contatto e reazione vicendevole internamente a Israele e fuori di esso col mondo culturale circostante. Si può forse indicare in questo interesse una delle direttive del lavoro esegetico dei prossimi anni. I nuovi commentarî diretti da A. Weiser (Das Alte Testament Deutsch) e da M. Noth (Biblischer Kommentar), il secondo ricchissimo anche di ricerche storico-letterarie e filologiche, si ispirano in massima a questi principî.

2) Il grande lavoro dei comparatisti per la ricerca dell'origine della civiltà religiosa d'Israele aveva portato la sua attenzione sui rapporti tra regalità, culto e credenze. Un'ultima eco delle ipotesi sull'esistenza in Israele di celebrazioni stagionali, incentrate nella persona del re come rappresentante della Divinità e datore dei beni della natura, con supposti riti e testi sacri (ἱεροὶ λόγοι) sull'analogia di quanto si sa dei popoli orientali coevi, si ha nella monografia di W. Vischer su Is. 6,1-9,6: studia il celebre testo (vaticinio dell'Emanuele) in confronto con l'ipotesi della festa reale del Sion, confrontandolo con i salmi regi e in genere l'ideologia monarchica. La questione è oggi estremamente complicata dalle ricerche che sono state fatte sul "mito", come testo riassuntivo di fede, ideali, speranze di un popolo, e il "rituale", per cui quel mito è determinato e in cui la comunità si trova per esprimere le sue esigenze più profonde.

Queste nozioni erano state fatte oggetto di trattazione a opera di specialisti nel volume Myth and ritual (1933) edito da S. H. Hooke. Vi si cercavano contatti ideologici, specialmente religiosi (miti e loro espressione cultuale) tra Israele e i popoli vicini. Soprattutto si cercava di ricostruire uno schema di culto (pattern), comune nelle grandi linee a tutti i popoli, nella festa annuale, con rappresentazione (dramma) di elementi varî, tra cui morte e risurrezione del Dio della comunità (= alternanza delle stagioni), combattimento e vittoria del dio, hieròs gámos del dio (rappresentato dal re) e della sua paredra, corteo. Anche nel vecchio Testamento si cercavano tracce di tali pratiche.

Le critiche mosse a queste teorie, sia della scuola di Uppsala (cfr. M. Noth, Gott, Könnig und Volk im A. T., in Zeitschrift Theol. und Kirche, XLVII, 1950, pp. 157-91, ora nelle Ges. Stud., pp. 188-99), sia di quella inglese, hanno indotto lo stesso Hooke a preparare un nuovo incontro di studiosi, da cui si è avuto il volume, già ricordato, simile nel titolo al precedente, ma del tutto nuovo. Significativo è l'ampliamento del titolo: Mith, ritual and kingship; la regalità è anzi al centro dell'attenzione, come mostra il sottotitolo: Theory and practice of kingship in the Ancient Near East and Israel. Gli studî sono più numerosi e le conclusioni molto varie. S. Smith tratta gli usi regi mesopotamici e un rituale stagionale (Capodanno), che però ammette essere documenti tardivi. H. W. Fairman studia le concezioni egiziane: i testi nella massima parte non sono suscettibili di essere inseriti nel pattern. Nemmeno tra gli Hittiti trova il pattern O. R. Gurney: il re ha una sua partecipazione alla sacralità, in quanto capo dei sacerdoti, come dappertutto: ma resta essenzialmente un guerriero; non è "dio" e neanche "figlio di Dio". A. R. Johnson, che trattò già il problema in un libro apposito sulla regalità sacra in Israele, riprende qui il tema: il re deve impersonare la giustizia, a lui fa capo l'ordine sacrale (cfr. Sal., 72), è "unto", quindi ha un suo dono dello "spirito", è in rapporto speciale con la Divinità, è "sacro", ma è uomo per natura: nessuna traccia della fede di qualcosa di divino in lui. Lo speciale rapporto del tempio col re è pure sicuro e chiaro nell'unità tempio-reggia: ma il cerimoniale della consacrazione e del rinnovamento annuale è tardivo. Tuttavia Johnson ammette questa festa: vi si celebrava il dominio universale di Yahweh e si facevano processioni, in cui Yahweh era acclamato re. Vi si utilizzavano testi antichi, per esempio quelli dei Salmi in cui si richiama il trionfo di Yahweh su Mōt "la Morte" (Sal., 48), le forze cosmiche primordiali (Sal., 46), le "nazioni" (Sal., 97), ecc. A Ugarit R. De Langhe (che dà gran rilievo alle difficoltà di traduzione dei testi) trova ben poco che possa entrare nella serie. In Ugarit stessa, e in altri campi, trova invece maggiori corrispondenze G. Widengren con elementi mitici di cui è eco nel Vecchio Testamento. Nel problema della religione ebraica direttamente entra S. H. Hooke, cercando una distinzione tra la pratica religiosa della maggioranza e quella auspicata da profeti e scritti sacerdotali-politici, specialmente nel Deuteronomio: la prima molto influenzata dallo schema orientale (i contatti si ritroverebbero specialmente a Ugarit), la seconda, di origine mosaica, praticata da una piccola frazione eletta. R. de Vaux (Rev. Biol., LXVI, 1959, p. 634) ha rilevato l'infondatezza di questa distinzione: in Israele si vuol ritrovare il pattern proprio nel culto del tempio, nei Salmi, in testi profetici: dunque proprio nella religione "ufficiale". Il de Vaux stesso rileva il valore di alcune critiche di metodo che al sistema sono mosse nell'ultimo studio della raccolta da S. G. F. Brandon. Da quale centro si diffuse il supposto "schema"? Perché non lo si ritrova fuori del Vicino Oriente, dove c'erano condizioni naturali e civili simili, per es. i cicli stagionali, le concezioni dei cicli del mondo? E se pure qualche cosa si trova in Oriente, tutt'altra è la situazione di Israele, che aveva le sue feste, ma connesse con ricorrenze storiche, non stagionali.

Dall'insieme risulta affermata l'importanza sacrale della regalità, che, in modi diversi, Israele aveva comune con l'Oriente antico: e anche a questo punto è prevedibile si volgerà l'attenzione degli studiosi nei prossimi anni.

3) Comparazione e studî interni hanno contribuito a migliorare la conoscenza dei profeti. Anch'essi risultano inseriti in una serie di analoghi fenomeni fuori di Israele, specialmente a Mari, ma sono nettamente differenziati a causa dell'istanza religioso-morale loro propria. Somiglianze si raccolgono in certi atteggiamenti nella scelta di mezzi espressivi esterni e nella considerazione sociale in cui gli aderenti erano tenuti.

Riassumendo ricerche e studî precedenti, A. Malamat ha esaminato cinque lettere dirette a Zimri-lim di Mari, in cui ha rilievo un makhkhum, che ha le somiglianze accennate con il nābī. Ritorna invece sulla già ritenuta origine "cananea" del profetismo israelitico J. Lindblom nella Festschrifl Eissfeldt: di origine locale sono almeno il nome nābī e la formulazione degli oracoli biblici, che per mezzo dei Cananei raggiunge espressioni antico-orientali.

Impostato in modo del tutto nuovo è il problema del rapporto tra profetismo e sacerdozio.

Già lo studio di T. Chary relativo all'epoca dopo l'esilio indica il crescente legame tra le due espressioni della religione ebraica, a partire da Geremia, specialmente in Ezechiele (non nel Deuteroisaia). Per l'epoca anteriore all'esilio hanno operato qualche accostamento altri studî, come quello di R. Hentschke, che tuttavia è molto riservato sulla spiegazione "cultuale" di molti tratti profetici (similmente H. H. Rowley nel ricordato volume Myth, ritual and kingship).

In generale, reagendo alle concezioni che considerano i culti e tutta la religione come uno sviluppo di forme primitive di magismo, animismo, polidemonismo, ecc., e sviluppando molto i concetti di "Dio" e "santo" (separato dal "profano") S. Mowinckel aveva mostrato l'importanza del culto nell'espressione religiosa (pervenendo poi a sostenere la sua nota teoria della festa dell'intronizzazione in Israele). Al centro del significato dei profeti si pone E. Jenni con una monografia su "profetismo e politica". L'elemento politico per i profeti rientra nel messaggio centrale: intervento di Dio nella storia, preparazione del rinnovamento escatologico.

4) Particolarmente indicativo per conoscere indirizzi e metodi critici è il problema del complesso letterario costituito dal Pentateuco, che raccoglie tradizioni antiche, elaborate per tutta la durata della storia ebraica, ma specialmente nell'epoca dell'antico regno unito, in quella profetica e durante l'esilio.

È tuttora professata una spiegazione dell'origine del Pentateuco che conserva la concezione anteriore all'epoca critica di una "autenticità mosaica" in senso pressoché integrale: sono voci del passato, che hanno qualche eco in ambienti conservatori (cattolici, protestanti e giudaici). Del resto, le opinioni si scaglionano lungo tutta una serie di gradazioni, in cui conservatorismo e rinnovamento si riconoscono in diversa misura.

È considerato fallito il lavoro di J. Lewy (1955), che segue una teoria dei "complementi" (e - si potrebbe dire - "rifacimenti") in sostanza arbitraria: egli indica un nucleo mosaico poi accresciuto, modificato, ritoccato da personalità che egli individua con esattezza (Mosè, Samuele, Natan, una specie di comitato di revisione al tempo di Salomone, Ezechia, Abiatar e Sadoc, Eliseo, Ioiada, ecc.). Molto più attendibile è U. Cassuto, che menzioniamo qui perché si è recentemente ristampato in Israele il suo libro sulla "ipotesi documentaria", da lui rifiutata, in cambio di una teoria sull'uso di scritti preesistenti da parte di Mosè la cui opera sarebbe stata in seguito ripresa e accresciuta. La spiegazione wellhauseniana è stata perfezionata dalla grande scuola critica tedesca e si può trovare nella sua più recente formulazione nelle opere di O. Eissfeldt. A lui è dovuta una chiara dimostrazione della distinzione dell'antico documento J in J ed L (fonte "laica", di origine non sacerdotale), con cui la ricerca storicoanalitica reca forse l'ultima conseguenza dei suoi principî e offre un punto d'arrivo sostanzialmente acquisito. Eissfeldt non accetta la tesi di M. Noth, che dissocia il Deuteronomio dal Pentateuco, per metterlo in testa alla grande storia "deuteronomica" (dai Giudici ai Re: Einleitung, pp. 289-98); neppure ammette le idee della scuola "tradizionalistica" scandinava, per cui prima dell'esilio non vi fu nessuna redazione scritta. Ma tra le due redazioni della Einleitung di questo critico si nota un accostamento verso una minor assolutezza nella fiducia che merita il sistema, quasi diremmo una maggior prudenza. L'autore dichiara espressamente e con franchezza che si tratta solo di ipotesi, per spiegare un libro la cui composizione si distende forse su un millennio (p. 289). Inoltre, pur notando che la tradizione orale non è unitaria, e ha bisogno a sua volta di essere sottoposta a critica, dà però a questa molta importanza e fa larga parte allo studio della storia preletteraria del Pentateuco.

Nel maggior pregio in cui tiene le tradizioni antiche, Eissfeldt sente l'influsso di studiosi che difficilmente si possono classificare in una scuola, e di fatto si differenziano per temperamento e interessi, ma convengono nell'indicare in tradizioni orali la sorgente di determinate componenti e di particolari influssi redazionali nel Pentateuco: Mowinckel, Noth, von Rad, i cattolici de Vaux e Cazelles. L'opera di Cazelles si può considerare indicativa di una via media, che, rilevando le difficoltà del problema delle fonti, accetta sostanzialmente le conclusioni critiche e ne mostra il valore per la lettura religiosa del Pentateuco specialmente nel fatto che i varî "documenti" riflettono una loro teologia e il "Codice dell'alleanza" si accosta sicuramente all'età mosaica per taluni elementi, direttamente conservati in esso, riflettenti una forma di economia da società in via di sedentarizzazione.

5) La società religiosa e civile dell'antico ebraismo, in quanto riflettuta in testi (salmi, scritti sapienziali) e vivente in credenze e forme di vita (culto), è oggetto di importanti lavori apparsi negli ultimi due decennî.

Ricorderemo qui l'opera di A. Gelin sul movimento dei "poveri" di Yahweh (gli ‛ănawīm), che riprende e precisa lavori anteriori (A. Causse), soprattutto sotto l'aspetto letterario: testi di quel movimento passati nel Salterio; e quella di J. de Fraine, Adam et son lignage, in cui è ripreso, dimostrato e portato alle estreme applicazioni il concetto di "personalità corporativa" che sta alla base della concezione societaria del vecchio Testamento, si ritrova al fondo di tutte le sue parti e ha importanti propaggini nel Nuovo Testamento.

La visione del Salterio come testo cultuale della società sacra del V. T. ha beneficamente influito anche sulla conoscenza della sua storia: il libro si è formato tardi, al tempo di Esdra, contiene certamente elementi posteriori, ma contiene anche molti elementi anteriori all'esilio; il già ricordato Eissfeldt è in dubbio se sia quantitativamente maggiore l'una o l'altra parte e non è contrario alla possibilità di salmi propriamente "davidici".

Gli studî sulla vita sociale ebraica hanno messo in una luce nuova il profetismo. È ripresa e risolta in senso nuovo la sua posizione in fatto di politica (E. Jenni) e di fronte al culto (R. Hentschke; T. Chary; F. Gunneweg). Questo rinnovamento ha effetto soprattutto in sede letteraria: in molti casi si riconosce l'anteriorità della lirica sul profetismo e la dipendenza del secondo dalla prima.

Mette conto di ricordare anche la trattazione sistematica delle istituzioni ebraiche da parte dell'esegeta e archeologo R. de Vaux.

6) È doverosa una menzione dell'esegesi teologica e pratica. Il fine essenzialmente religioso dello studio del V. T. è riconosciuto in S. Mowinckel, H. H. Rowley, O. Eissfeldt, M. Noth, G. von Rad.

Di Noth sono da ricordare gli studî sullo sviluppo della Legge ebraica: dapprima in rapporto con l'"Alleanza", poi sempre più rigidamente concepita come un'entità a sé, fino a essere considerata qualche cosa di eterno, fuori della vita del mondo e del tempo.

Si afferma che la base della teologia biblica deve essere la determinazione del senso letterale, ma si ammette che il Vecchio Testamento deve anch'esso essere letto "smitizzato", in rapporto alle esigenze spirituali del nostro tempo (cfr. E. C. Blackman, The task of exegesis, in The back ground of the N. Testament etc., in honour of C. H. Dodd, Cambridge 1956, pp. 3-26). L'esegesi teologica del protestantesimo tedesco si raggruppa specialmente intorno alla rivista Evangelische Theologie, che auspica un rinnovamento religioso-teologico degli studî sull'Antico Testamento. Il cattolicismo conta tra i suoi centri specialmente le facoltà teologiche di Francia, Belgio, Germania e America, l'Istituto Biblico di Roma e la sempre fiorente Ècole biblique et archéologique di Gerusalemme.

7) Tra le grandi imprese editoriali, in cui confluiscono i risultati di ricerche di scuole o gruppi vari, si ricordano le seguenti:

La prosecuzione del volume IV del Supplément al Dictionnaire de la Bible (Parigi), attualmente diretto da H. Cazelles; la nuova edizione del dizionario Die Religion in Geschichte und Gegenwart (finora 3 voll., Tubinga 1957-59); la collezione (in ebraico, con sunti in inglese) di Eretz Israel (finora 5 voll., Gerusalemme 1954); e l'Encyclopaedia biblica, pure in ebraico (finora 3 voll., fino alla lettera yōd, Gerusalemme 1952).

Nuove riviste: Semitica (Parigi 1950), quaderni a pubblicazione saltuaria; Vetus Testamentum (Leida 1954); Journal of Semitic Studies dell'università di Manchester (Rowley); Revue de Qumran (Carmignac); Liber annuus dello Studio Biblico francescano di Gerusalemme; e per l'Italia: Rivista biblica (Firenze 1951) dell'Associazione biblica italiana per la ricerca e Bibbia e Oriente del Gruppo biblico milanese per la divulgazione (dal 1959).

Commentarî di nuova istituzione o continuati dopo la seconda guerra mondiale: Handbuch zum Alten Testament (HAT), diretto da Eissfeldt, di indirizzo critico-storico letterario, Tubinga, finora 13 voll.; La Sainte Bible, fondata da L. Pirot, Letouzey, Parigi, 11 voll.; Das Alte Testament Deutsch (ATD), diretto da A. Weiser, di indirizzo critico-teologico, Gottinga, 10 voll.; Biblischer Kommentar (BK), grande commentario diretto da M. Noth, che ai comuni interessi esegetici aggiunge una speciale attenzione alle tradizioni, Erziehungsverein, Neukirchen, 6 voll.; The Interpreter's Bible, comprendente anche il N. T., opera di scuole americane (Albright, ecc.), New York, completo in 12 voll.; Die Heilige Schrift dell'Echter-Verlag (Echter Bibel), Bonn 1950, diretta da M. Nötscher. Traduzione critica accurata e breve commento esplicativo senza erudizione: La Biblia in catalano, edita dal monastero di Montserrat, 13 voll.; De Boeken van het Oude Testament in olandese, Roermond, 12 voll. Per l'Italia ricorderemo La S. Bibbia diretta da A. Vaccari, Firenze in 10 volumi, e La S. Bibbia edita dal Marietti di Torino (v. T., Rinaldi; N. T., Garofalo), finora in 14 volumi.

È da ricordare a parte, per caratteri di brevità che la distinguono e nello stesso tempo l'alto valore che le è stato riconosciuto, la traduzione in francese con introduzioni e note, pubblicata in una quarantina di volumetti (ed. in volume unico, Parigi 1956) sotto la direzione della Scuola biblica dei domenicani di Gerusalemme (e quindi comunemente nota come La Bible de Jérusalem). In essa sono confluiti i risultati e le esperienze di tutto il movimento di studî che fa capo a quella scuola da sette o otto decennî e di numerosi altri studiosi, possiamo dire, indipendenti della Francia. Come prima fonte d'informazione l'opera è veramente eccellente. Sono visibili per una parte lo sforzo di fare opera unitaria e per l'altra le differenze di interessi e metodi degli autori e di esigenze di varî testi. In alcuni libri le note contengono numerosissimi richiami a passi paralleli: riflettono il metodo di studiosi francesi (A. Robert, M. Gillet, A. Gelin, ecc.; per il N. T. Laurentin), che hanno portato alla perfezione, di ricerca delle "fonti", più che altro in senso letterario, internamente alla B. stessa, scoprendo lo "stile antologico" e a mosaico, che è ormai da considerare acquisito a ciò che sappiamo sulla tecnica letteraria degli Ebrei dopo l'esilio. Lavoro di concordanze, ma col sussidio di una finissima sensibilità critica, che riconosce letture preferite e procedimenti stilistici.

Il fervore di studî sotto l'aspetto storico-religioso-letterario di cui abbiamo riferito è condizionato anche da ricerche in campi paralleli, che sono in via di consegnare i loro tesori per le applicazioni all'esegesi. Anzitutto l'archeologia (le scoperte principali: 1929 Rās Shamra; 1933 Mari; 1947 Qumrān). Era sembrato che il suolo palestinese fosse in sostanza tutto esplorato: ed ecco che Israele, alla ricerca della sua storia passata anche nei documenti conservati nella terra, scopre un po' dappertutto resti antichi, alcuni molto importanti. Tra le esplorazioni principali ricorderemo quelle della biblica Hazor, prima pressoché ignota, Tell Abreykh (antica Bēt-Shě‛arīm), Masada e varie località del Negeb, in cui si trovano copiose tracce di antiche popolazioni.

Accanto agli studî archeologici si devono mettere tra i più promettenti per la conoscenza della Bibbia quelli linguistici e letterarî: sono lontane dall'essere completamente sfruttate le più recenti scoperte della letteratura di Mari, le raccolte di testi-in lingua accadica di varî altri centri verso occidente (p. es. Alalakh), gli scritti di Ugarit e testi sparsi semitico-occidentali.

Anche l'espandersi degli studî egiziani e, dalle sponde opposte, egeo-anatolici reca qualche contributo alla conoscenza della Bibbia: una collezione di testi conclusa in breve spazio, ma cronologicamente e topograficamente collocata in modo da poter beneficiare della luce che su di essa possono proiettare tutti gli studî antichi, sia dell'Oriente sia dell'Occidente.

Bibl.: Indichiamo qui le opere citate nel corso dell'esposizione e altre particolarmente rappresentative per i varî argomenti. Una breve presentazione delle moderne correnti esegetiche è in H. F. Hahn, The Old Testament in modern research, Filadelfia 1954. Più ampia, ma completa solo riguardo ai lavori tedeschi: H. J. Kraus, Geschichte der historisch-kritischen Forschung des Alten Testament von der Reformation bis zur Gegenwart, Neukirchen 1956; M. Noth, Geschichte Israels, 3ª ed., Gottinga 1956 (ediz. francese, Parigi 1954). Studî minori dello stesso autore sono ora raccolti in Gesammelte Studien zum A. T., Monaco 1957; a parte sono specialmente da ricordare: Ueberlieferungsgeschichtliche Studien, I, Halle-Saale 1943 e Ueberlieferungsgeschichte des Pentateuch, Stoccarda 1948; G. von Rad, Theologie des Alten Testament, I, Gottinga 1958; dello stesso autore gli studî minori, ora raccolti in Gesammelte Studien zum A. T., Monaco 1958 (anche l'importante Das formgeschichtliche Problem des Hexateuch, Giessen 1958), e il Das erste Buch Mose, 3ª ed., Gottinga 1953-55.

Gli studî di A. Alt sono in massima parte raccolti in Kleine Studien zur Geschichte Israels, 3 voll., Monaco 1953-59.

W. Vischer, Die Imamnuel-Botschaft im Rahmen des königlichen Zionfestes, "Theol. Stud., 45", Zurigo 1955; Myth, ritual and kingship, Oxford 1958; A. R. Johnson, Sacral kingship in the Ancient Israel, Cardiff 1955; A. Malamat, A. R. Johnson, Sacral kingship in the Ancient Israel, Cardiff 1955; A. Malamat, "Prophecy" in the Mari documents, in Eretz Israel, IV (1956), pp. 74-84 (ebraico, con riassunto inglese); J. Lindblom, Zur Frage des kanaanäischen Ursprungs des altisraelitischen Prophetismus, in Von Ugarit nach Qumram: Beih. Zeit. Alttest. Wiss., LXXVII (Festschr. Eissfeldt), pp. 89-104; T. Chary, Les prophètes et le culte à partir de l'exil, in Bibl. Théol., III, Tournai 1955; R. Hentschke, Die Stellung des vorexilischen Schriftpropheten zum Kultus, in Beith. Zeit. Alttest. Wiss., LXXV, Berlino 1957; S. Mowinckel, Religion und Kultus, traduzione di A. Schauer, Gottinga 1953; E. Jenni, Die politischen Voraussagen der Propheten, in Abh. Theol. A. u. N. T., XXIX, Zurigo 1956.

Sul Pentateuco: J. Lewy, The growth of the Pentateuch, New York 1955; M. D. (U.) Cassuto, L'ipotesi documentaria e l'origine del Pentateuco (in ebraico), 3ª ediz., Gerusalemme 1959 (nello stesso anno e dello stesso autore sono stati ripubblicati i commenti di Gen. 1-11 ed Esodo); O. Eissfeldt, Eineltigun in das A. T., 2ª ed., Tubinga 1956; id., Die Genesis der Genesis, Tubinga 1958 (conserva valore la Hexateuch-Synopse dello stesso autore, Lipsia 1922); G. W. Anderson, A critical introduction to the Old Testament, Londra 1959; R. de Vaux, La Genèse ("Bible de Jérus."), Parigi 1953; H. Cazelles, La Torah, ou Pentateuque, in Introduction à la Bible, I, 2ª ed., Parigi 1959, pp. 278-382; dello stesso Cazelles è da vedere anche l'art. Moïse nel Dict. de la Bible, Supplém., fasc. 29 (1957), pp. 1308-37; A. Gelin, Les pauvres de Yahvé, in Témoins de Dieu, XIV, Parigi 1953; J. de Fraine, Adam et son lignage, in Museum Lessianum, II, Bruxelles 1959; R. de Vaux, Les institutions de l'Ancien Testament, 2 voll., Parigi 1958-59.

Sui profeti: G. Quell, Wahre und falsche Propheten, Gütersloh 1952; G. Fohrer, Die symbolischen Handlungen der Propheten, Zurigo 1953; E. L. Ehrlich, Der Traum im A. T., in Beih. Zeit. Alttest. Wiss., LXXIII, Berlino 1953; E. Jenni, Die politischen Voraussagen der Propheten, in Abh. Theol. A. u. N. T., XXIX, Zurigo 1956; W. C. Klein, The psychological pattern of O. T. Prophecy, in Seabury-Western Th. Seminary, Evanston 1956; A. S. Kapelrud, Central Ideas in Amos, Oslo 1956; R. Hentschke, Die Stellung der vorexilischen Schriftpropheten zum Kultus, in Beih. Zeit. Alttest. Wiss., LXXV, Berlino 1957.

Nuovo Testamento.

Critica del testo del Nuovo Testamento. - Si è notevolmente mitigato l'ottimismo prevalente una trentina d'anni fa, e sorretto dalla fiducia riposta nella "genuinità" del testo fondato sui manoscritti Vaticano, B, e Sinaitico א (insomma, il "neutrale" di B. F. Westcott e F. J. A. Hort, H. di H. von Soden), che rimane tutt'ora quello seguito generalmente nelle edizioni manuali correnti (A. Merk; E. Nestle con la collaborazione, dalla 23ª ed., 1957, di K. Aland) e del quale si è detto che minacciava di diventare un nuovo textus receptus. Non era però venuto meno l'interesse per il testo "occidentale" in senso lato (ma oggi si tende a usare di nuovo questo aggettivo in senso geografico: D, e latini), da un rinnovato studio del quale e dalla critica alla classe K di von Soden era risultata la distinzione di un "testo di Cesarea" la cui esistenza si può ritenere provata soltanto per Marco e per le epistole; mentre è rimasta senza sviluppo la pur suggestiva ipotesi di B. H. Streeter, dell'esistenza cioè di "testi delle grandi sedi" patriarcali (ma per l'origine della vetus latina v'è tuttora divergenza di opinioni: Roma o Cartagine ?; e per Efeso, Streeter stesso riconosceva che manca una documentazione sufficiente). Rimane del pari assai incerta la misura in cui possa avere influito sia sulle versioni siriache, sia sulle latine, sia sugli stessi manoscritti greci il Diatessaron (v.; termine da intendere come "armonia", con allusione non ai quattro Vangeli, bensì agli intervalli, tra le corde della lira), che varî studiosi - nonostante il brevissimo frammento pergamenaceo greco scoperto nel 1933 a Dura Europo - ritengono redatto originariamente da Taziano in siriaco e a Roma. A modificare l'atteggiamento della critica hanno contribuito varî fatti, ma forse più d'ogni altro il riconoscimento, ora quasi generale, che quello del Nuovo Testamento è un testo "vivo", soggetto cioè a maggiori revisioni. Appunto perché era testo sacro, e alimentò la fede, la speranza, e la riflessione teologica di generazioni successive, fu intenso lo sforzo di emendarlo, migliorandone, nel senso delle regolarità, grammatica e lessico, arricchendo (col trasportare frasi da un Vangelo all'altro, anche per un fatto quasi meccanico di memoria) e chiarendo, con l'accettare glosse esplicative, il racconto. Non è forse troppo azzardato neppure il suggerire, pur con ogni cautela, che, se pochissime ci appaiono oggi le varianti aventi un valore teologico, noi ignoriamo se ad alcune di quelle che oggi vengono considerate quisquilie non sia stato attribuito, in determinati ambienti, un significato speciale; se non possano aver servito quasi di segno di riconoscimento. Si può comunque considerare come certo - e lo provano passi di origene (In Matth., XV, 14) e di s. Girolamo (Praef. ad Dam.) - che numerose furono già in antico le varianti e necessario il lavoro di correzione, compiuto secondo i metodi e i criterî dei filologi alessandrini.

A un tale lavorio non si sottrasse (come rilevarono fin dal 1933-34 J. M. Lagrange e i coniugi K. e S. Lake) neppure il testo rappresentato soprattutto da B, mentre א presenta punti di contatto con il testo "antiocheno" (K di von Soden). Ciò veniva subito confermato dagli importanti papiri della collezione Chester Beatty, dei Vangeli, degli Atti, delle epistole di s. Paolo e dell'Apocalisse (P45, P46, P47 del sec. 3°; ediz. F. Kenyon, Londra 1933) e da altri, fra i quali menzioneremo soltanto quelli della collezione Bodmer: delle epistole di Giuda e di Pietro (Ginevra 1959) e di Giovanni (P66, sec. 2°-3°, Ginevra 1956-57) benché edito in maniera che lascia a desiderare (cfr. M.-E. Boismard, in Revue biblique, 1957, p. 363; F. Bolgiani, in Rivista di filologia, 1959, p. 179) anch'esso (come Bא) senza la pericope de adultera, Giov., VII, 53-VIII, 11 che alcuni pochi manoscritti introducono quasi alla fine dello stesso Vangelo (XXI, 24) e il "gruppo Ferrar" alla fine del c. XXI di Luca; e che a XIX, 29 ha confermato - fatto pure notevole - una congettura di F. Camerarius, accolta dal Lagrange e finora sostenuta da un solo corsivo: ὑσσῷ "su un giavellotto" anziché ὑσσώπῳ. Onde varî studiosi sono stati indotti a ridare importanza all'esame delle singole varianti, non perché si neghi quella della classificazione dei manoscritti, ma in base alla constatazione che i rapporti fra questi non sono di semplice discendenza in linea retta. Ciò è d'altronde conforme all'oculata moderna reazione al "metodo del Lachmann" (cfr. G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1934, 2ª ed. 1952). Così, lezioni ritenute caratteristiche del "testo di Cesarea" sono in papiri anteriori a B, onde si parla di un testo "egiziano antico", o "proto alessandrino"; e a Cesarea quel testo è stato trovato o portato da Origene? I papiri ci dànno anche lezioni "occidentali"; un apocrifo (ma che qui cita), il Papiro Egerton 2 (ed.: Fragments of an unknown Gospel, Londra 1935), conferma, in Giovanni, V, 39, il testo di due latini (a, b) e delle versioni siriaca curetoniana e armena. Né, d'altra parte, il trovarsi una lezione in un papiro è per sé prova della sua origine egiziana. Non si può escludere a priori che anche la recensione K di von Soden possa conservare elementi originali di tradizione orientale; e il criterio della lectio brevior conduce a dar peso a manoscritti isolati sostenuti da qualche versione e citazione patristiche. A queste (purtroppo non molto numerose e sempre da accertare) criticamente si tende ora da alcuni ad attribuire valore decisivo.

In conclusione, mentre si è fatta più copiosa e per antichità valida la documentazione che possediamo (ritrovamento di papiri, anche due della Società italiana, P48 sec. 3°-4° e P65 sec. 3°, di Atti ed epistole; collazioni e edizioni di codici), la tendenza odierna della critica mira - parallelamente a ciò che accade in altri rami della filologia - soprattutto a ricostruire la storia del testo, e a ritrovare le forme correnti nel sec. 2°. Il che non implica - poiché, dopo tutto, per grandissima parte del Nuovo Testamento non si presentano difficoltà - scetticismo o rinuncia quanto al testo originale; ma significa reinserire anche la critica e la storia del testo nel complesso della storia del cristianesimo.

Bibl.: È praticamente impossibile registrare sia pure una parte delle pubblicazioni; e la continua operosità critica va studiata negli articoli e recensioni di riviste speciali: cioè, oltre quelle segnalate al vol. VI, p. 916 e soprattutto: Novum Testamentum (Leida); new Testament studies (Cambridge).

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