Bibbia

Dizionario di Storia (2010)

Bibbia


Complesso delle scritture sacre dell’ebraismo e del cristianesimo. Il nome greco, tà biblìa, indica «i libri» sacri per eccellenza. Nelle confessioni religiose che ne riconoscono il carattere sacro, «autore» è ritenuto Dio stesso, che ha parlato agli uomini attraverso scrittori da lui ispirati. Tuttavia la B. non è considerata unica fonte di conoscenza della rivelazione in tutte le confessioni che l’accolgono; allo stesso modo non tutti i libri che la compongono sono da tutte ritenuti ispirati e inclusi nel canone (ossia nell’elenco dei libri sacri). La prima differenza è la distinzione dei due Testamenti: l’Antico, scritto in ebraico e in aramaico, e il Nuovo, scritto quasi certamente in greco. Gli ebrei accettano solo il primo e a loro risale il nome Testamento, cioè «patto», che allude all’Alleanza tra Dio e il popolo d’Israele. I cristiani aggiungono il Nuovo Testamento (la Nuova Alleanza), cioè la rivelazione definitiva, portatrice di salvezza, di Dio attraverso Gesù di Nazareth, il Messia redentore. Neppure l’intero Antico Testamento (quale è nelle B. cattoliche) è accettato dagli ebrei e da alcune confessioni cristiane, e presso i primi è diverso anche l’ordine dei libri, distinti in tre classi: la «Legge» (Torah) o, con termine greco, il Pentateuco, ossia i «cinque libri» di Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; i «Profeti»; «Scritti», s’intende «sacri» (Ketubim o, con termine greco, «Agiografi»), relativamente ai quali le discussioni tra i legisti-teologi palestinesi durarono fino al cosiddetto «sinodo di Iamnia» (90 d.C.), quando si affermò il doppio principio che si potessero considerare ispirati solo i libri scritti in ebraico, e comunque non posteriori a Esdra (con cui l’ispirazione sarebbe venuta a cessare). La versione «dei Settanta», o semplicemente «la Settanta», a uso degli ebrei di lingua greca, ammise però anche altri libri, sicché dal «canone palestinese» si distingue il più largo «canone alessandrino». Nella versione accettata dalla Chiesa cattolica con i concili di Firenze (1441) e di Trento (1546), l’Antico Testamento comprende: il Pentateuco (Torah), cioè i cinque libri della legge; i libri storici; i libri sapienziali; i libri profetici. Il Pentateuco e i libri storici raccontano la storia del mondo e di Israele concepita come spazio dell’intervento di Dio; i libri profetici contengono la predicazione dei profeti; i libri sapienziali sono i più tardi e testimoniano la riflessione sul mondo e sull’uomo del giudaismo antico. Il canone del Nuovo Testamento comincia a fissarsi nel 2° sec. (pur con l’inclusione di libri discussi) e si considera definitivo all’epoca di Giustiniano (6° sec.); comprende i Vangeli, gli Atti degli apostoli, le lettere di Paolo, le lettere cattoliche e il libro dell’Apocalisse. Del Nuovo Testamento si hanno migliaia di codici, con numerosissime varianti. Come testo sacro, la B. è alla base della liturgia e del pensiero teologico giudaico e cristiano. Le difficoltà del testo hanno dato luogo a discussioni e allo sviluppo dell’esegesi. L’interpretazione ebraica della B. comincia nella B. stessa come ulteriore narrazione della storia da una nuova prospettiva (come nei libri delle Cronache) o riflessione su temi religiosi (come nei libri sapienziali). Fin dagli inizi del cristianesimo, i fatti e i personaggi dell’Antico Testamento sono stati visti come prefigurazione, cioè come modello e profezia, di quelli del Nuovo. Nel Medioevo si fissa la dottrina dei quattro sensi della B. (letterale, allegorico, tropologico, anagogico), mentre con l’Età moderna si fa sentire l’esigenza di integrare l’ermeneutica tradizionale con il metodo storico-critico. L’ermeneutica cattolica dà valore particolare alla tradizione e al magistero della Chiesa.

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