PELACANI, Biagio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PELACANI, Biagio

Graziella Federici Vescovini

PELACANI, Biagio (Blasius de Pelacanis de Parma). – Nacque, in data incerta tra il 1350 e il 1354, a Costamezzana (attualmente Noceto), nei pressi di Parma.

Nulla è noto dei suoi anni giovanili e della sua prima formazione; è invece possibile seguire con puntualità la sua carriera accademica. Si iscrisse alla facoltà artium philosophie et medicine di Pavia presumibilmente intorno al 1374: la documentazione ufficiale al riguardo è andata perduta, così come quella relativa al suo dottorato, ma nel 1377 il suo nome compare nei registri come magister philosophie et loyce. In tale veste licenzia in arti un tale Benedetto Bossi (Maiocchi, 1905, I, p. 52) su delega del vescovo.

A questa prima sua esperienza di insegnamento si ricollegano le «questiones super tractatus loyce» tràdite dal ms. Marciano lat. Cl.VI. 63 (2550), cc. 1r-92r, e dal manoscritto Canoniciano misc. 471 della Bodleian Library di Oxford (cc. 99ra-222vb; cfr. Federici Vescovini, 1975, pp. 255-287).

Insegnò a Pavia anche nel 1378, ma nel 1379 venne a Padova da Marino da Leonessa; le «Conclusiones super libris de anima» furono trascritte da Antonio, «frater ordinis Servorum» (Padova, Biblioteca universitaria, ms. 1743); lo studente Barnabuccio «de Faverio», sfollato a Monselice per la peste, trascrisse le questiones sulle «Meteore» di Pelacani nel 1399 (Firenze, Laurenziana, ms. Ashburnham, 185, cc. 1r-99v). Un’altra recollecta della «Expositio per conclusiones physicorum» è prodotta dallo studente Matteo da Treviso (Treviso, Biblioteca comunale, 420 A, cc. 1r-43v) negli stessi anni. È uno studente padovano, infine, che affibbia a Pelacani (peraltro definito nell’explicit «reverendissimus et egregius artium doctor») la qualifica di «doctor dyabolicus» a proposito delle «Questiones de anima» (Napoli, Biblioteca nazionale, VIII, G. 74, c. 3r).

Tra il luglio e il settembre del 1388 Pelacani abbandonò Padova (certamente a seguito della caduta del regime signorile carrarese, alla fine di giugno 1388) e si trasferì a Firenze, ove tenne un corso di filosofia pratica e naturale nello Studio (Atti degli ufficiali dello studio fiorentino, 1959, pp. 80-110: «magister philo sophiae naturalis et moralis»). Vanno collocate in questi mesi alcune dispute da lui sostenute e menzionate dal citato Paradiso degli Alberti. Una delle più accese Pelacani la sostenne con il frate eremitano Luigi Marsili riguardo al bene e alla felicità, alla presenza, tra gli altri, anche di illustri personalità come Paolo Dagomari dell’Abbaco e Coluccio Salutati, annunciatori del nuovo indirizzo umanistico.

Dopo le lodi superlative di «grande maestro di logica, filosofia naturale e in ogni parte di matematica arguto», il Gherardi finisce per concludere con una critica abbastanza severa che prelude al nuovo ideale della cultura umanistica: «per altra parte non credo che trovare si potesse, uomo che sano sia di cerebro, di minor intendimento di lui intorno alle cose politiche e iconomiche, e singularmente circa la eloquenza» (Giovanni di Gherardo da Prato, Il paradiso degli Alberti, a cura di A. Lonza, 1975, p. 66, pp. 164 s.; Federici Vescovini 2013b, pp. 510-524).

Dal 1388 al 1407 Pelacani insegnò nuovamente a Pavia, come professore di artes mathematicae et utraque philosophia, con un’interruzione dal 1398 al 1402 per il trasferimento dello Studio di Pavia a Piacenza, forse per l’arrivo della peste (decreto di Gian Galeazzo Visconti del 28 ottobre 1398: Alberto e Antonio de Ripalta, Annales Placentini, RIS, XX, Milano 1731, coll. 933-941). Dopo il ritorno dello Studio a Pavia, Pelacani figura per l’anno 1403-04 tra i dottori «fixici legentes philosophiam cum lectura moralis, astrologie et cum mathematicis» (Maiocchi, 1913-1914, vol. II, doc. 57, p. 40).

Si colloca in questi anni un evento importante per la vita accademica di Pelacani, ma non tale da costituire un vero sostanziale spartiacque per una rettifica del suo aristotelismo, profano e antireligioso. Nel 1396 fu infatti fatto oggetto di una censura da parte del vescovo di Pavia (e rettore dello Studio), il francescano Guglielmo Centueri, a proposito delle dottrine contrarie alle principali verità cristiane (immortalità dell’anima; indimostrabilità dell’esistenza di un Dio trascendente o del Paradiso; ipotesi su Deus est natura) professate già a Bologna, a Padova e infine a Pavia. Tuttavia Pelacani, dopo aver chiesto «venia» fu reintegrato nella carica e nel salario; e modificò solo la forma e non la sostanza del suo insegnamento. Ogni volta che proponeva l’indimostrabilità delle verità cristiane, egli citava infatti il principio della ‘doppia verità’ (religione contro filosofia e viceversa): pur ritenendo che la verità è sempre una sola, lasciava liberi gli allievi (a cui ammiccava furbescamente nelle lezioni) di scegliere come preferivano, se vivere da buoni cristiani o da filosofi puri secondo ragione, e in tal modo si riteneva a posto con il vescovo (Federici Vescovini, 1979, p. 33).

Le testimonianze manoscritte del ventennale insegnamento pavese di Pelacani riguardano molti argomenti, sia di filosofia sia di fisica (o meccanica), di ottica, di astronomia, tra cui le «Questiones super tractatum de proportionibus Thome Bradwardini», sulle quali il docente tornò nel 1391 predisponendo due distinte redazioni, la prima delle quali era verosimilmente molto prossima alle tesi più radicali dell’insegnamento padovano (cfr. Milano, Ambrosiana, F. 145 sup., cc. 5va-18rb), mentre la seconda è pervenuta in un manoscritto del domenicano Pietro Raimondi da Como (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 3012, cc. 137ra-163rb). Intenso fu anche il lavoro di Pelacani sulle «Questiones de latitudinibus formarum», che ebbero due se non tre redazioni, e circolarono precocemente anche a Padova (Oxford, Bodleian Library, Canoniciano, misc. 177, del 1392, cc. 86vb-109vb; Milano, Ambrosiana, F. 145 sup., sec. XV, cc. 1ra-5va; Firenze, Laurenziana, Ashburnham, 1348 (1272), cc. 17ra-19vb: «scripte per manum Roberti de sancto Petro»; Oxford, Bodleian library, Canonici, misc. 181, c. 64r-c. 66ra: «expliciunt questiones utiles super tractatum de latitudinibus magistri Blaxii de Parma per me Vendraminum scholarem artium 1404 die 19a maii stante discordia non modica inter Venetos et dominum Padue»). Tra gli scolari di Pelacani a Pavia vi fu anche Bernardo Campagna di Verona (allora soggetta ai Visconti) che riportò fedelmente le questioni di Biagio lette pubblicamente come Disputationes nel 1397 (Vat. lat. 2159, cc. 61r-225r) e le sue «conclusiones Physicorum» (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 2159, cc. 1r-59v). Altrettanto importante la sua questio disputata «de intensione et remissione formarum» tràdita in Oxford, Bodleiana, Canonici, misc. 177, cc. 24ra-39rb e nella copia di proprietà del figlio Francesco con capitale miniata, corretta di mano di Biagio stesso con note per il figlio [Venezia, Marciana, classe XI, 20 (2549), cc.1rb-18rb]. Ricchissima poi la tradizione delle «Questiones perspective», una copia delle quali risale al 1399, ma lette anche prima, di cui ci è pervenuto il numero più elevato di copie rispetto alle altre opere, anche tarde, una addirittura nel secolo XIX (Questiones super perspectiva communi, a cura di G. Federici Vescovini - J. Biard, 2009, pp. 52-58). Si datano ancor ai primissimi anni del Quattrocento le «Questiones physicorum» (Vat. lat. 3012) che sono copia assai fedele delle Questiones disputatae del 1397 (Vat. lat. 2159), ma non completa (manca l’ultimo libro) e delle «Demonstrationes et dubia in theoricam Alpetragi» (Vat. lat. 4082).

Nel 1407 Pelacani lasciò nuovamente Pavia per Padova dove riprese il suo insegnamento per alcuni anni, ancora una volta con notevole successo.

Due biografi di Vittorino da Feltre, Francesco da Castiglione e il Platina, nelle loro Vite raccontano lo stesso episodio circa l’entusiasmo del Rambaldoni, già dottore in arti, per l’insegnamento delle matematiche impartito da Pelacani. Gli chiese delle lezioni, ma dovette rifiutarle a causa delle richieste troppo alte di denaro da parte di Biagio (Garin, 1967, pp. 188 s.).

Nell’ottobre del 1411, tuttavia, non avendo più studenti – il suo insegnamento era infatti eclissato dalle novità dei suoi colleghi più giovani come Paolo Veneto – venne licenziato (Valentinelli, 1868, vol. IV, p. 154) e ritornò alla natia Parma. Accolto nel 1412 con tutti gli onori dovuti alla sua fama, Pelacani si accinse a svolgere ancora un ruolo attivo, pur non essendo più in giovane età: in occasione della riapertura dello Studio di Parma da parte di Niccolò d’Este, fu nominato priore del collegio delle Arti. In tale veste, insieme con Paolo Veneto e Ugo Benzi da Siena, già suoi colleghi a Padova, licenziò alcuni allievi tra cui Giovanni «de Peratis» da Cremona (Piana, 1963, vol. I, doc. 10, p. 343). Risulta attivo sino al 12 aprile 1415. Morì un anno più tardi, il 23 aprile del 1416.

Pelacani godette di una straordinaria fama già nel suo tempo. I contemporanei gliela testimoniarono con l’epitaffio che si legge nella stele funeraria posta sul fianco della porta principale del duomo della sua città di origine, in cui era raffigurato accanto alla statua di Macrobio, appunto come il «novello Macrobio», l’Apollo degli studi della sua età, gloria della filosofia e di tutte le matematiche (Federici Vescovini, 1979, p. 39). Grandi elogi sono profusi dai suoi allievi in numerosi explicit delle sue lezioni tenute come si è visto nei principali Studia dell’Italia centro-settentrionale: ad es., «Biagio l’eccellentissimo dottore che risplende tra i filosofi come il sole tra i pianeti, come l’oro tra i metalli; il profumo della sua scienza pervade tutta la Lombardia» (Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 2159, qu. I, c. 84va). Dalle testimonianze dei contemporanei e dai cronisti dell’epoca risulta il ritratto di una personalità originale e alquanto stravagante, eccentrica, ma anche faceta, singularissima. Ludovico Carbone ne fa un personaggio delle sue Facezie; secondo uno di questi racconti, nel 1397, avendo Giangaleazzo Visconti sospeso il pagamento dei docenti universitari in ragione della guerra in atto con Venezia, si travestì da balestriere e ottenne in tal modo dal principe quanto dovuto (ed. Ruozzi, p. 42 s., n. 75).

La sua vasta produzione, tutta inquadrata nelle forme scolastiche tipiche dell’insegnamento universitario (la expositio, la questio, la questio disputata; e le reportationes degli studenti) in parte è dedicata al commento delle opere di Aristotele; ma in parte presenta e commenta in Italia i testi più importanti e ormai canonizzati della ‘via moderna’ delle discipline logiche e matematiche: i testi che emergevano a Oxford, Parigi, Colonia, Erfurt. Questi commenti si possono classificare anche secondo i tempi di redazione: precedenti alla censura indirizzata a Pelacani nel 1396, e successivi a essa.

Come si è accennato sopra, le sue lezioni universitarie circolarono abbastanza ampiamente anche nel Quattrocento: lo attestano tra l’altro le citazioni di Luca Pacioli e Leonardo. Qualcuna delle sue opere fu anche precocemente stampata, come le Questiones de latitudinibus formarum (a Padova, Matteo Cerdone, 1482, 1486), la Questio disputata de tactu corporum durorum, tradita da diversi manoscritti, ma impressa «per Ottaviano Scoto» a Venezia nel 1505, e ancora le Demonstrationes geometrice in theorica planetarum Alpetragi (Ottaviano Scoto, Venezia 1518).

In età contemporanea, Pelacani è stato riscoperto come scienziato, matematico e fisico importante del Medioevo, degno di essere studiato più a fondo, da numerosi studiosi del secolo scorso a tutt’oggi, sia per le sue opere di fisica e matematica (come i trattati di astronomia sulla sfera celeste, le proporzioni del moto, la statica della bilancia, l’ottica), in particolare da Cantor, Thorndike, Clagett, sia anche, più recentemente, per la sua dottrina filosofica innovativa (si vedano gli studi di Nardi, Maier, Garin, Biard, Sorge, Federici Vescovini). Dato che Pelacani introdusse il principio che l’unica scienza certa è la matematica con il sussidio della logica, e non la teologia o la metafisica per spiegare fenomeni fisici come la propagazione della luce o la velocità del movimento dei corpi, e si applicò a risolverne i problemi, senza riuscirvi, ma solo aprendone la strada, si comprende la sua riscoperta nell’età del positivismo. Questa convinzione della superiorità delle verità della matematica contrastava la spiegazione dei fenomeni forniti dalla scienza fisica di Aristotele fino a quel momento intesi in modo esclusivamente qualitativo e non quantitativo su presupposti insormontabili come lo spazio diafano tutto pieno (horror vacui), o la perfezione del moto circolare. Questo cambiamento di metodo è stato un’indicazione innovativa nel panorama della filosofia italiana di quel periodo, utile per la costruzione di un mondo moderno, anche se nelle forme obsolete di una Scolastica al tramonto.

Edizioni moderne: Super Theorica planetarum alique demonstrationes et dubia, a cura di G. Boffito - E. Mazza, in Bibliofilia, VIII (1907), pp. 374-379, sotto il nome di Pietro da Modena; Tractatus de ponderibus, a cura di E. Moody - M. Clagett, in The Medieval science of weigths, Madison 1952, pp. 238-278; In quodam iudicium anno currente 86, a cura di di G. Federici Vescovini, in Rinascimento, XXII (1961), pp. 163-193; Le Quaestiones de anima di Biagio Pelacani da Parma, a cura di G. Federici Vescovini, Firenze 1974, pp. 55-168; Arti e filosofia, Studi sulla tradizione aristotelica e i moderni, Firenze 1983, pp. 195-213; Quaestio de intensione formarum, a cura di G. Federici Vescovini, in Physis, XXXI (1994), pp. 433-545 (testo pp. 470-535); Questiones super tractatus logice magister Petri Hispani, a cura di J. Biard - G. Federici Vescovini - O. Rignani - V. Sorge, Paris 2001; Questiones circa tractatum proportionum Magistri Thome Braduardini, a cura di J. Biard - S. Rommevaux, Paris 2005; Questiones super perspectiva communi, a cura di G. Federici Vescovini - J. Biard - O. Rignani - V. Sorge, Paris 2009.

Fonti e Bibl.: J. Valentinelli, Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Venetiarum, Venezia 1868; A. Gloria, I Monumenti della Università di Padova (1222-1318), Padova 1888, I, pp. 415, 417; R. Maiocchi, Codice diplomatico dell’Università di Pavia, I, Pavia 1905, doc. 84, p. 52, II, 1913-1914, doc. 57, p. 40; I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, a cura di U. Dallari, IV, Bologna 1919; M. Cantor, Vorlesungen über Geschichte der Mathematick, Leipzig 1892, II, p. 152.

L. Thorndike, A history of magic and experimentals sciences, New York 1934, IV, pp. 65-79, 652-662; A. Maier, Studien zur Naturphilosophie der Spätscholastik, 1 (Die Vorläufer Galileis im 14 Jahrhundert), Roma 1949, pp. 251-276; Atti degli ufficiali dello studio fiorentino dal maggio al settembre 1388, a cura di R. Abbondanza, in Archivio storico italiano, CXVII (1959), pp. 80-110; C. Piana, Ricerche sull’Università di Bologna e di Parma nel secolo XIV, Firenze 1963; G. Beaujouan, Manuscrits scientifiques médiévaux de la Bibliothèque Columbine de Séville, in Actes du dixième congrès international d’histoire des sciences, Paris 1964, p. 633; E. Garin, La disputa delle arti nel Quattrocento (testo e trad.), Roma 1967; E. Grant, Blasius of Parma, in Dictionary of scientific biography, II, New York 1970, ad vocem, pp. 193 ss.; G. Federici Vescovini, Le questioni dialettiche di Biagio Pelacani da Parma sopra i trattati di logica di Pietro Ispano, in Medioevo, II (1975), pp. 253-287; Giovanni di Gherardo da Prato, Il Paradiso degli Alberti, a cura di A. Lanza, Roma 1975, pp. 66, 164 s.; G. Federici Vescovini, Astrologia e scienza. La crisi dell’aristotelismo sul cadere del Trecento e B. P. da Parma, Firenze 1979; L. Carbone, Facezie e Dialogo de la partita soa, a cura di G. Ruozzi, Bologna 1980, pp. 42 s., n. 75; G. Federici Vescovini, ‘Arti’ e filosofia, Studi sulla tradizione aristotelica e i ‘moderni’, Firenze 1983, pp. 279-300; Ead., Una “rivoluzione” mondiale alla fine del Medioevo. Biagio Pelacani, una storia astrologica, in Abstracta, XLVII (1990), pp. 71-77; Ead., Note sur la circulation du commentaire d’Albert de Saxe au De caelo d’Aristote en Italie, in Itinéraire d’Albert de Saxe, a cura di J. Biard, Paris 1991, pp. 240-252; B. P. da Parma, Quaestiones de anima. Alle origini del libertinismo moderno, a cura di V. Sorge, Napoli 1995 (trad. delle questioni, I, 8; II, 4, 7, 13; III, 1, 2, 8, 9); G. Federici Vescovini, Alhazen vulgarisé: le De li aspecti d’un manuscript du Vatican (moitié du XIVe siècle) et le troisième Commentaire sur l’optique de Lorenzo Ghiberti, in Arabic sciences and philosophy, VIII (1998), pp. 185-199; B.J. Kohl, Padua under the Carrara 1318-1405, Baltimore-London 1998, pp. 235 s.; G. Federici Vescovini, Estremi esiti radicali delle teorie astrologiche della scuola aristotelica padovana dei secoli XV-XV nelle opere di Vanini, in Giulio Cesare Vanini dal tardo Rinascimento al libertinismo erudito, a cura di F.P. Raimondi, Galatina 2003, pp. 305-407; T. Gregory, Speculum naturale. Percorsi del pensiero medievale, Roma 2007; G. Federici Vescovini, Le moyen âge magique. La magie entre religion et science aux XIIIe et XIVe siècle, Paris 2011, pp. 232-277; G. Federici Vescovini, All’origine della ‘perspectiva artificialis’, La piramide visiva di Ibn al- Haytham al-Halasan (Alhazen) e Leon Battista Alberti, in Circolazione dei saperi nel Mediterraneo. Filosofia e scienze (secoli IX-XVII), a cura di G. Federici Vescovini - A. Hasnawi, Fiesole-Firenze 2013a, pp. 111-125; Ead., La controversia tra Biagio Pelacani da Parma e Luigi Marsili sul bene e la felicità nel Paradiso degli Alberti di Giovanni di Gherardo da Prato, in Studi in omaggio di Mariangela Regoliosi, a cura di D. Coppini, Firenze 2013b, pp. 503-524 (in partic. p. 510); Ead., Portrait de Blaise de Parme ‘doctor diabolicus’, in Portraits. Etudes en hommage de Olga Weijers, Paris 2014, pp. 510-524.

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