BETLEMME

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1992)

BETLEMME

G. Kühnel

(ebraico Bēth Lĕḥĕm; arabo Bayt Lahm)

Cittadina della Giordania, situata a km. 8 a S di Gerusalemme, alla quale è collegata da una strada moderna che, partendo dalla antica porta di Davide (od. porta di Jaffa) e giungendo al sagrato (coincidente con l'atrio di epoca costantiniana) della chiesa della Natività di Cristo, segue il tracciato della via medievale di pellegrinaggio.Il nome ebraico di B. compare nell'Antico Testamento e significa 'casa del pane'. È possibile tuttavia che il nome derivi alla località dalla dea cananaica Lahamu: infatti nelle lettere di 'Amārna viene menzionata a S di Gerusalemme Bit ilu Nin.ib 'la casa del dio Ninib' e quest'ultimo viene equiparato alla divinità Lahamu (Schroeder, 1915), un'interpretazione che si è imposta diffusamente. Va detto tuttavia che l'interpretazione dell'ideogramma Nin.ib come Lahamu non è certa (Avi-Yonah, 1956-1957, p. 656; 1971, p. 741).In epoca precristiana B. appare legata alla figura di Davide, che vi nacque (Rt. 4, 11; 1 Sam. 20,6) e vi fu unto re (1 Sam. 16, 1-13). Dopo la conquista di Gerusalemme, scelta dallo stesso Davide quale capitale di Israele, B. non riuscì ad acquistare rilievo politico e appare citata nelle fonti ebraiche solo come luogo di culto. B. venne detta 'città di David', fu intesa come luogo in cui si sarebbe realizzato il regno messianico con la nascita di Cristo (Mic. 5; Mt. 2, 1-16; Lc. 2, 4-15). Divenuta già nei primi secoli dell'impero luogo sacro della cristianità e poi, dal sec. 4°, sito monastico, B. fu scelta da Girolamo quale proprio ritiro per la compilazione della Vulgata. A B. vennero incoronati Baldovino I (1101) e Baldovino II (1122), fondatori del regno di Gerusalemme. La tradizione islamica, che pure fornisce informazioni della B. cristiana (Le Strange, 1890), localizza a B. la palma menzionata nel Corano (XIX, 25).Già in età precostantiniana a B. veniva venerata una grotta ritenuta il luogo in cui era nato il Salvatore. Le testimonianze scritte più antiche che citano B. come luogo di culto sono costituite dal Dialogo con l'ebreo Trifone di Giustino (155-160 ca.), ove si parla di una mangiatoia in una grotta a B. (Dial., 78, 5; PG, VI, col. 660), e dal Protovangelo di Giacomo (150 ca.). Origene, che conosceva la Palestina per esperienza diretta, intorno alla metà del sec. 3° scrive: "A Betlemme viene mostrata la grotta dove egli nacque e nella grotta la mangiatoia dove fu avvolto in fasce. E quanto viene mostrato in questi luoghi è riconosciuto anche da chi è estraneo alla fede: in questa grotta è nato Gesù, adorato e venerato dai cristiani" (Contra Celsum, I, 51). D'altro canto Luca (2, 7) menziona solo la mangiatoia, senza citare la grotta: su questa base si è fondata l'iconografia della Natività nell'arte occidentale e per questa via la mangiatoia, abbinata alla stalla ovvero alla tettoia, è entrata a far parte dell'immaginario occidentale. Al contrario, l'iconografia orientale della Natività è caratterizzata dalla grotta, oltre che dalla mangiatoia, intesa quale motivo centrale dell'intera composizione. In ogni caso, le fonti patristiche più antiche si basano su tradizioni orali precedenti e da ciò si può dedurre che già sul finire del sec. 1° B. era uno dei principali luoghi, forse anche il più antico, in cui si venerava Cristo.In definitiva è evidente che l'imperatore Costantino prese le mosse da una radicata tradizione allorché, subito dopo il primo concilio ecumenico di Nicea (325), diede inizio alla costruzione a B. della chiesa della Natività, già edificata nel 333, come si può dedurre anche dalle notizie fornite dal pellegrino di Bordeaux (nell'Itinerarium Burdigalense). Eusebio (Vita Const., III, 42-43) dà notizia della parte che ebbe Elena, madre dell'imperatore, nella costruzione della basilica, del suo pellegrinaggio in Terra Santa (325-326) e inoltre dei doni elargiti da Costantino in occasione della consacrazione.Le fonti antiche, sulle quali si sono basati i primi studi (The Church of the Nativity, 1910; Weigand, 1911; 1915; Vincent, Abel, 1914), non forniscono elementi sufficienti per una sicura delimitazione della chiesa costantiniana, sostituita in seguito da un secondo edificio, variamente datato dagli studiosi tra la seconda metà del 5° e gli inizi del 7° secolo.In base agli scavi archeologici parziali condotti tra il 1932 e il 1950 (Hamilton, 1934; Harvey, 1935; 1936; 1937; Bagatti, 1952; 1968a; 1968b) si possono distinguere due fasi costruttive. Infatti, benché la parte orientale e quella meridionale della zona terminale est non siano state ancora scavate, tuttavia vi sono elementi sufficienti per ricostruire attendibilmente la pianta della chiesa. Essa comprendeva un atrio colonnato e un corpo longitudinale a cinque navate, che a O risultava più breve di una campata rispetto a quello odierno, cui si aggiungeva a E un corpo ottagonale provvisto di un deambulatorio e aperto al centro, nel pavimento, in modo da consentire ai pellegrini la visione della sottostante sacra grotta della Natività. La combinazione tra basilica ed edificio a pianta centrale, applicata qui per la prima volta, costituiva una novità che si può far risalire con certezza agli architetti imperiali, mentre la tecnica costruttiva - che prevedeva l'impiego di conci squadrati anziché del laterizio di tradizione romana - appare d'impronta locale, palestinese.Della prima chiesa si sono conservati solo ampie porzioni della pavimentazione a mosaico di zone della navata e dell'ottagono e un capitello di pilastro appartenente al secondo atrio, presumibilmente postcostantiniano, attualmente compreso entro il perimetro del convento armeno. Il pavimento a mosaico, situato a m. 0,75 sotto quello odierno, a lastre di pietra, venne portato alla luce nel corso degli scavi del 1933-1934 e in più punti risulta tagliato dalle basi delle colonne della costruzione successiva. La superficie a mosaico, che era lunga m. 16,35 e larga m. 6,75, constava di due parti dissimili. Quella occidentale, più piccola, delinea un quadrato con una doppia cornice - a motivi geometrici e a foglie di acanto - che circonda un campo centrale fortemente danneggiato. La parte orientale, più ampia, presenta invece tre campi riquadrati da cornici e scanditi da combinazioni delle figure del quadrato e del cerchio. All'estremità orientale della navata principale, in corrispondenza dell'originario accesso alla grotta, si sono conservati due tappeti musivi rettangolari; quello settentrionale è decorato con motivi geometrici e presenta al centro l'iscrizione ΙΧΘΥΣ (Kitzinger, 1970).All'interno dell'ottagono il mosaico decorava l'intera superficie pavimentale fino all'apertura gradinata - tagliata al centro a mo' di oculo - posta nella zona centrale. I mosaici qui conservati sono di qualità molto alta, più ricchi e vivaci di quelli della navata principale. Il repertorio dei motivi comprende foglie d'acanto, combinate a fiori e a frutti, tralci di vite e animali. In assenza di iscrizioni, la datazione è stata circoscritta su base stilistica: Vincent (1936-1937) e Kitzinger (1970) ritengono che l'edificazione della chiesa e il suo corredo musivo non siano coevi - il primo riferisce il pavimento alla seconda metà del sec. 4°, il secondo invece alla prima metà del secolo successivo - e ciò si lega anche all'ipotesi che la decorazione della chiesa non fosse ancora conclusa nel 333, quando il pellegrino di Bordeaux vide la basilica costantiniana appena costruita. Bagatti (1952, p. 54), sulla base delle vestigia emerse dagli scavi, ha ipotizzato che la basilica del sec. 4° non fosse riccamente decorata, anche perché in quell'epoca in Terra Santa prevalevano tendenze iconoclaste.La struttura architettonica del secondo edificio si è conservata sostanzialmente intatta, a eccezione degli interventi condotti sulla facciata, che hanno determinato la chiusura dei portali nord e sud, riducendo quello mediano a una piccola apertura. La decorazione interna, invece, integralmente rinnovata all'epoca dei crociati e conservata solo in parte, può essere oggi solo idealmente ricostruibile nella sua interezza.Le strutture della chiesa costantiniana vennero reimpiegate nel nuovo edificio: quattro serie di undici colonne scandiscono il corpo longitudinale in cinque navate, di cui la centrale risulta di larghezza doppia rispetto alle laterali. I muri d'ambito nord e sud vennero eretti, sia pure con un lieve scarto, sull'asse di quelli precedenti, mentre il pavimento del corpo longitudinale venne rialzato. Modifiche decisive furono invece apportate nelle parti terminali occidentale e orientale. A O la chiesa venne allungata di una campata e fu dotata di un nartece preceduto da un atrio. Verso E, nello spazio al di sopra della grotta, l'ottagono costantiniano venne sostituito da una terminazione a trifoglio, articolata in una sorta di transetto aggettante concluso a N e S in grandi nicchie, mentre a E venne eretta l'abside principale che ospita l'altare. Il risultato accentua l'importanza dell'articolata conclusione orientale, con ogni probabilità zona privilegiata per la celebrazione dei servizi liturgici. La basilica, coperta da un tetto su capriate, restaurato nel 1824, è scandita da colonne di pietra calcarea rossa di origine locale, accuratamente levigata a imitazione del marmo, con capitelli ben conservati, tutti tra loro omogenei e palesemente ispirati ai modelli del 4° secolo. Alla fase di edificazione della nuova chiesa devono essere ricondotti anche i soffitti ornati da rosette, gli architravi in legno, le porte di bronzo degli accessi nord e sud della grotta, decorate da croci entro cerchi, nonché il fonte battesimale ottagonale, posto nella navata meridionale e decorato da croci con iscrizioni in tabulae ansatae.Per quanto riguarda le parti non conservate dell'apparato decorativo, le notizie fornite dalle fonti sono scarse e non restituiscono un quadro coerente. In un'ode del 602 ca., Sofronio, patriarca di Gerusalemme, allude alla decorazione interna della chiesa (Anacreonticon, 19, PG, LXXXVII, col. 3812; Wilkinson, 1977, p. 92) e in particolare ai mosaici che rivestivano le pareti e alla copertura lignea dorata che schermava le capriate del tetto. Un pellegrino della metà del sec. 8°, il sacerdote Giacinto, aggiunge: "celum vero ecclesiae depictum et sculptum est" (Wilkinson, 1977, p. 205). Gli Annales del patriarca Eutichio di Alessandria confermano l'esistenza nel sec. 10° di figurazioni a mosaico nell'abside meridionale (CSCO. SS Arab., VII, 1909, p. 18; Kühnel, 1987, p. 135). Secondo Giacinto, tuttavia, non solo quella meridionale ma tutte le absidi erano decorate "aurum et gemmis mirabiliter" (Wilkinson, 1977, p. 205).In un mosaico posto all'esterno della parte occidentale della chiesa era rappresentata un'Adorazione dei Magi, che venne citata in un sinodo ecclesiastico tenutosi a Gerusalemme nell'836, durante l'iconoclastia, come argomentazione a favore delle immagini figurate - anche se è ovviamente una leggenda che i Persiani si fossero astenuti dal distruggere la chiesa della Natività in virtù della forza miracolosa di quest'immagine -, per cui Bagatti (1952, p. 13) ipotizza una collocazione di maggiore rilievo, all'interno di un'abside.La decorazione della grotta rimandava direttamente al luogo specifico, il più sacro legato alla Natività, come è inequivocabilmente attestato dalle parole del monaco Epifanio di Costantinopoli: "E sotto il piano dell'altare c'è la doppia grotta: sul lato orientale è nato Cristo, su quello occidentale vi è la santa mangiatoia; entrambe le grotte [sono] nel medesimo luogo. Tutt'intorno sono decorate d'oro e di immagini che riproducono ciò che accadde" (Donner, 1971, p. 84). Nel sec. 12° i crociati ripresero l'antica decorazione senza modifiche, salvo l'aggiunta di un nuovo mosaico con la raffigurazione della Nascita di Cristo, in parte ancora conservato.Anche nei confronti della chiesa i crociati non operarono una totale ricostruzione - come accadde invece per quella del Santo Sepolcro - limitandosi a ridecorare l'antico e venerato edificio. I mosaici parietali e le pitture sulle colonne realizzati in questo momento costituiscono il ciclo più imponente nell'ambito della pittura monumentale superstite in Terra Santa. Tra il 1979 e il 1983 mosaici e dipinti, notevolmente deteriorati, furono oggetto di tre campagne di studio e restauro (Kühnel, 1984; 1987); l'intera decorazione venne sistematicamente documentata e per la prima volta le diverse tesi elaborate dagli studiosi poterono essere verificate, mentre si venivano acquisendo nel contempo nuove conoscenze specifiche.Ciò che i crociati operarono nella chiesa della Natività fu la trasposizione del sistema decorativo mediobizantino nello spazio della basilica paleocristiana (Vergine Platitéra nell'abside principale, Annunciazione sull'arco absidale, ciclo delle Feste nel bema e nel transetto, gerarchie angeliche, antenati di Cristo e santi nella navata longitudinale). Entro questo programma l'unica eccezione doveva essere costituita dalla raffigurazione, oggi perduta, dell'Albero di Iesse sulla parete occidentale, prova che i crociati non si limitarono a ripristinare l'antica decorazione della basilica, ma ne arricchirono il programma iconografico con nuove idee di matrice occidentale. Del resto anche la rappresentazione dei concili sulle pareti della navata mediana si discostava dal consueto schema decorativo mediobizantino.Nel complesso il programma iconografico tendeva a dare risalto all'idea dell'assoluto equilibrio fra le due nature di Cristo, secondo quanto stabilito dalla Chiesa ortodossa nei sette concili ecumenici (rappresentati nei mosaici della parete meridionale della navata mediana) e nei concili provinciali (rappresentati nei mosaici della parete settentrionale della stessa navata). In questo quadro iconografico, rigorosamente ponderato, i santi raffigurati sulle colonne rappresentano gli autentici sostegni dell'ortodossia: con la loro dottrina e le loro azioni, sono i pilastri dell'edificio dell'Ecclesia.Tre iscrizioni forniscono i punti d'appoggio più sicuri per la datazione del complesso decorativo. Sulla parete meridionale del bema un'iscrizione greca datata 1169, solo in parte conservata, menziona sia i committenti dei mosaici - l'imperatore bizantino Manuele Comneno, il re di Gerusalemme Amalrico, il vescovo di B. Raoul - sia l'artista che li eseguì, Efrem. La parallela iscrizione latina non si è conservata, ma ne è pervenuta una trascrizione. Una seconda iscrizione compare sopra la colonna con la raffigurazione della Glykofilúsa e reca l'anno 1130 come data della rappresentazione votiva. Una terza iscrizione, araba, sulla colonna con l'effigie di s. Fosca menziona l'anno 1191 e il suo contenuto retrospettivo attesta che l'immagine fu eseguita prima di questa data.Dal punto di vista stilistico, i mosaici figurati e le pitture si ricollegano - sia pure con accenti diversi nelle singole parti della decorazione - alla c.d. fase dinamica della pittura comnena.Durante l'ultima campagna di lavori è stata scoperta accanto al c.d. angelo di Basilio - raffigurato nell'ottavo intervallo tra le finestre nella parete settentrionale della navata mediana - un'iscrizione in siriaco che corre parallela a una latina con la scritta Basilius pictor. Questo vale di per sé a provare che i mosaici di B. sono il prodotto di una bottega locale siropalestinese, come testimonia del resto anche il nome dell'artista citato nell'iscrizione absidale, Efrem, molto comune in Siria e in Palestina. Gli artisti che collaborarono alla decorazione della chiesa appartenevano a correnti stilistiche diverse, ma erano tutti legati alla stessa grande bottega, attiva nel secondo e terzo quarto del 12° secolo. Le differenze stilistiche talora riscontrabili non devono essere quindi interpretate come il segno di cesure cronologiche, come sostenuto in precedenza (Stern, 1936-1938, pp. 103ss., 119ss.), ma piuttosto come il risultato dell'opera di diversi maestri e gruppi di artisti che collaborarono alla decorazione, utilizzando forse modelli diversi.Le indagini archeologiche fin qui condotte non hanno raggiunto risultati definitivi circa la cronologia della chiesa. La datazione tradizionale all'età giustinianea (527-565), proposta dalla maggior parte degli studiosi, poggia in sostanza sulle affermazioni del patriarca Eutichio (sec. 10°), secondo il quale l'imperatore fece ricostruire l'edificio dopo l'incendio che l'aveva distrutto nel corso della rivolta dei Samaritani (CSCO. SS Arab., VI, 1906, p. 21). D'altra parte la mancata citazione della chiesa nel De Aedificiis di Procopio di Cesarea, che invece menziona altri interventi edilizi operati da Giustiniano a B. (restauri delle mura, costruzione del convento di Abba Giovanni: De Aed., V, 9, 12-13), lascia ipotizzare che la basilica della Natività possa essere stata costruita o prima di Giustiniano o dopo il suo regno. Per quanto riguarda le fonti, l'evidenza negativa fornita dallo storiografo imperiale si contrappone all'isolata notazione del patriarca Eutichio, successiva di alcuni secoli e inserita in un'esposizione nella quale si intrecciano storia e leggenda. Schneider (1941), le cui argomentazioni critiche sono estremamente significative, sia rispetto al testo di Eutichio sia rispetto agli scavi e agli esempi architettonici paralleli, data l'edificio all'inizio del sec. 6°; Brenk (1977, pp. 193, 195) opta per una cronologia intorno al 500, mentre Restle (1966) per la seconda metà del 5° secolo. Krautheimer (1965) vede nella pianta della seconda chiesa un riflesso delle nuove concezioni architettoniche costantinopolitane e suppone che risalga all'età tardo o postgiustinianea, tra il 560 ca. e il 603-604 ca., data della citata ode del patriarca Sofronio (composta intorno al 602; Wilkinson, 1977), nella quale viene menzionata espressamente la terminazione a trifoglio.Argomenti decisivi per una precisa datazione dell'edificio non emergono nemmeno dall'analisi del suo apparato decorativo, la cui classificazione - nonostante gli studi ormai classici di Weigand (1911; 1915) e Kautzsch (1936) - rimane ancora largamente problematica. I capitelli, talora considerati imitazioni tarde di modelli costantiniani (Krautheimer, 1965), potrebbero essere in realtà il frutto di un autonomo sviluppo della scultura siropalestinese, mentre il pavimento a lastre marmoree si ricollega più alle tipologie proprie della capitale che non alla tradizione regionale del tappeto musivo, ancora profondamente vitale nel 6° secolo.

Bibl.:

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