Bestemmia

Enciclopedia Dantesca (1970)

bestemmia

Vincenzo Laraia

. Termine derivato dal latino cristiano blasphemia; equivale a " ingiuria ", " diffamazione ", " calunnia ", e nel significato cristiano vale " ingiuria rivolta a Dio ", ai santi, a cose sacre, sia con le parole che con gli atti. Negli scrittori cristiani b. è anche quella rivolta contro la verità, la virtù, la scienza in quanto beni derivati da Dio. In D. il sostantivo ricorre soltanto in Pg XXXIII 59 Qualunque ruba quella o quella schianta, / con bestemmia di fatto offende a Dio, / che solo a l'uso suo la creò santa.

Qui ‛ b. di fatto ' è la blasphemia operis (distinta dalla blasphemia oris che è proferire un'espressione ingiuriosa contro Dio), che consiste in un atto offensivo contro Dio stesso. Essa equivale a " sacrilegio " (Sapegno), come offesa fatta a Dio manomettendo cose da lui create per un uso sacro. La b. di fatto, come commenta il Buti, è più grave di quella con parole: " biastema di fatto è quando coi fatti manchiamo l'onore d'Iddio; è perché li fatti sono maggior cosa che li ditti, però dice l'autore con biastema di fatto, a dimostrare maggiore offensione che fare si possa ". Altri commentatori ripetono la chiosa su ‛ b. di fatto ' o ‛ b. operis '. V. BESTEMMIARE.

Bibl. - F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla " D.C. ", Firenze 1967, 436-437; U. Bosco, Il canto XIV dell'Inferno, in Nuove lett. II 48-49.

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