THORVALDSEN, Bertel

Enciclopedia Italiana (1937)

THORVALDSEN, Bertel

Carlo Lodovico Ragghianti

Scultore, nato a Copenaghen nel 1770, ivi morto il 24 marzo 1844. Dal padre artigiano apprese un'abilissima pratica di scultore in legno. Fu scolaro all'accademia del pittore Abildgaard, e nel 1789 ebbe una medaglia d'argento per un bassorilievo di marmo, Amore in riposo, ispirato come altre opere coeve a un quadro del maestro. Nel 1791 ebbe la medaglia d'oro per un bassorilievo, Eliodoro cacciato dal tempio, che mostra residui formali settecenteschi; e gli fu decretata una borsa triennale a Roma. L'influenza artistica più profonda la ebbe dal pittore Carstens, professore all'accademia, che teneva anche un circolo privato di cultura artistica e di esercitazioni, nel quale si bandivano i risultati critici del Winckelmann: fino alla morte del Carstens il Th. copiò sue opere ed eseguì statue da suoi disegni, come già da quelli dell'Abildgaard. Th. partì per l'Italia nel 1796; si fermò a Malta, dove vide opere del Rubens e di Vincenzo Manno, e di là partì per Palermo e Napoli, dove ebbe la prima esperienza diretta della scultura antica ed ebbe modo di studiare le imitazioni ercolanesi eseguite fin dal 1781 dal Venuti e poi dal Tagliolini e dal Lorenzi, e già ammirate dal Goethe nel 1787. L'8 marzo 1797 arrivò a Roma. Il soggiorno romano doveva esercitare su di lui una decisiva influenza. Al sistematico e volontario studio delle opere classiche, sorretto da un programma elaborato di classicismo integrale, unì l'imitazione del Canova, visibile in molte opere, come nelle Grazie, nell'Ebe, nella Venere, nel Leone di Lucerna (derivato da quello del monumento a Clemente XIII), nel Genio piangente del monumento ad Augusto Boehmer (imitato dalla tomba Stuart) e in altre. Consumato, duttile e peritissimo tecnico, il mondo formale della classicità gli fu più compiutamente rivelato, nell'organizzazione critica che aveva per allora raggiunto nel Winckelmann e nell'accademico Quatremère de Quincy, dal dilettante, mecenate e archeologo danese Zoëga. A Roma, lo scultore eseguì molte copie da opere antiche, e studiò in particolare la pittura vascolare etrusca, e la scultura fittile etrusco-romana.

Del 1801 è la prima opera per così dire autonoma del Th., il Giasone, che gli procurò subito fama e danaro. Fino al 1809 compì una serie di lavori, fra cui primeggia l'Amore e Psiche del 1803: in quell'anno conobbe Luigi di Baviera che nel 1812 gli affidò il restauro delle statue di Egina, che durò fino al 1818. Veniva intanto nominato socio e professore nelle accademie di Firenze e di S. Luca a Roma: notevole di questo tempo è il monumento funebre alla baronessa Schubart, il ritratto della piccola Lady Russell, e il Pastorello (1814-15). In questo tempo aprì anche in Roma uno studio con molti aiuti e scolari, che era insieme gabinetto archeologico. Compì nel 1817 la Speranza e il busto del Byron, che conobbe a Roma in quell'anno: da quel busto fu ricavato poi il monumento, oggi a Cambridge, commessogli nel 1830 e compiuto nel 1835 con l'aggiunta di un bassorilievo, il Genio della poesia. Del 1818 è il Mercurio seduto e il gruppo delle Grazie, compiuto nel 1819. L'opera - della quale già i primi critici del Th., Plon, David d'Angers e Lange parlano severamente - fu dal Th. ripresa più tardi, e modificata con maggior cura per l'armonica simmetria del legame compositivo, e rinnovata anche nel bassorilievo del monumento funebre ad Andrea Appiani in Milano (1818). Di questi anni è anche il ritratto della principessa Baryatinski, a guisa di Musa pensosa o Vestale; più tardo un altro dei pochi ritratti del Th., quello della contessa Osterman, a guisa di Agrippina. Una passione amorosa del 1819 fu da lui commemorata scolpendo il ciclo degli amori, mentre un anno dopo compiva il Leone di Lucerna. Tornò nel 1819 a Copenaghen, donde ripartì in breve per un viaggio, carico di commissioni, attraverso la Germania e la Polonia. Da questo tempo data il nucleo delle opere polacche: il monumento a Poniatowski (a guisa di Marc'Aurelio; commessogli già nel 1817), il Copernico, il Potocki nella cattedrale di Cracovia (a guisa di Apollo), lavori compiuti verso il 1830. Frattanto dava mano alla decorazione della Frauenkirche in Copenaghen, con le statue di Cristo, dei 12 Apostoli e un insieme di bassorilievi evangelici.

Morto nel 1823 Pio VII, l'incarico di scolpire il monumento toccò al Th. che scolpì nel contempo la tomba del cardinal Consalvi. Tra vivi contrasti causati dalla confessione protestante del Th. il monumento a Pio VII, in S. Pietro a Roma, fu condotto a termine nel 1831. Dal 1824 al 1830 fece molte opere per Luigi di Baviera e le città tedesche: il monumento a Eugenio di Leuchtemberg in S. Michele a Monaco, il monumento equestre a Massimiliano I a Monaco (modello del 1836, esecuzione del 1839), il monumento a Gutemberg a Magonza, il monumento a Schiller a Stoccarda, e la statua commemorativa di Corradino di Svevia nel Carmine di Napoli. A Roma scolpì la Danzatrice per il duca Torlonia (1837), il Vulcano, e nello stesso anno fece ritorno a Copenaghen per breve tempo: là compì la statua a Cristiano IV per il castello di Rosenborg. Frattanto veniva eretto dall'arch. Bindesboell il Museo Thorvaldsen, che fu finito e allestito nel 1848, e dove fu collocato il mausoleo dello scultore. Tornato a Roma nel 1841, attraverso la Germania, questo fu l'ultimo periodo di un soggiorno durato complessivamente 39 anni.

La fama contemporanea del Th. fu grandissima, pari a quella del Canova. Presto peraltro venne limitato il giudizio sulla sua opera, alla quale oggi non può essere riconosciuto più che un valore culturale. La sua produzione enorme ha soltanto un valore intellettualistico, riflesso, né vi si nota alcuno svolgimento particolare; la sua attività e la sua umanità sono senza problemi e senza passioni, senza osmosi con la vita, la storia, la natura. Il contenuto immobile e unilaterale della sua produzione è la passione da erudito con cui ricostruisce (cfr. il Trionjo di Alessandro a Babilonia, nella villa Carlotta a Cadenabbia, imitato dal fregio delle Panatenaiche) con calcolo consequenziario, che va dalle minime particolarità aneddotiche di un mito alle più incalzate ricerche di costume, il repertorio delle opere classiche. Ben diverso dall'ispirazione classica di un Piranesi o di un Canova è il suo atteggiamento verso le opere antiche: delle quali accoglie e rinnova il linguaggio, ma generalizzandolo in schemi e tipizzazioni appunto per l'indole raziocinativa del suo spirito. Un'analisi delle sue opere scopre non già l'adeguazione qualificatrice ai fenomeni artistici dell'antichità, ma questi ci offre in forma di astratte generalizzazioni tematiche e grammaticali, quali si ritrovano nella critica contemporanea, e che sono il ritmo chiuso, la bellezza ideale, il tipico, l'armonia, la simmetria, i contrapposti, le proporzioni, ecc.; e in tale arido elenco o formulario finisce per conchiudersi l'esame della produzione dello scultore.

Bibl.: M. Missirini, Intera collez. di tutte le opere inventate e scolpite dal cav. Alb. Th., Roma 1831; Andresen, B. Th., Copenaghen 1845; M. Thiele, Th.s Leben (ed. ted., voll. 3, Lipsia 1852-58); E. Plon, Th., sa vie et son oeuvre, Parigi 1867 (trad. ted. Vienna 1875); L. v. Uhlrichs, Th. in Rom, aus Wagners Papieren, Würzburg 1887; J. Lange, Th.s Darstellung des Menschen (trad. ted.), Berlino 1894; A. Rosenberg, B. Th., in Künstlermonographien Knackfuss, Bielefeld-Lipsia 1896; Weilbach, Nyt dansk Kunstnerlex., Copenaghen 1896; A. Repholz, Th. og Nyso, ivi 1911; Th. Oppermann, Th. Hans Barndom og Ungdom, ivi 1924 (vi è pubblicato il diario del primo viaggio in Italia).