BERNARDO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 9 (1967)

BERNARDO

Zelina Zafarana

Priore della basilica lateranense dopo il 1139, come tale (prima, quindi, del 1145, data della sua elevazione al cardinalato) compose l'Ordo Officiorum ecclesiae Lateranensis; secondo una notizia di Giovanni Diacono, ebbe da Innocenzo II una donazione in denaro, che impiegò nell'acquisto di beni fondiari. La prima volta che compare in un documento è nella bolla di Lucio II (31 genn. 1145) che gli affida la chiesa di S. Giovanni in Porta Latina e l'ospedale presso la porta Lateranense.

Nulla conferma la notizia del Ciacconio e di altri dopo di lui, secondo cui B. sarebbe stato in precedenza canonico regolare della Congregazione di s. Frediano di Lucca; certo, stretti rapporti esistettero fra i canonici lateranensi e quelli di S. Frediano, ma è probabile che la notizia sia dovuta a confusione con il Bernardo canonico di Lucca, che sarà cardinale sotto Clemente III.

B. fu creato cardinale nella prima elezione compiuta da Eugenio III nel 1145 a Viterbo. Le sue prime sottoscrizioni come cardinale prete di S. Clemente sono del 31 dic. 1145. Dal 1153 compare anche quale arciprete di S. Pietro in Vaticano. Nel 1151 e 1152 agì quale rappresentante del pontefice nelle trattative con Oddone Colonna e Oddone Frangipane intese a ottenere la cessione di metà della città di Tuscolo in cambio del castello di Trevi nel Sublacense e di una somma di denaro. Nel dicembre 1152-gennaio 1153 era fra i sette cardinali scelti da Eugenio III per condurre trattative con la legazione inviata a Roma da Federico Barbarossa in vista della sua discesa in Italia per l'incoronazione imperiale. Con Gregorio di S. Angelo, B. fu poi inviato in Germania per sottoporre il testo del concordato alla ratifica del re e ricevere il suo giuramento. La ratifica solenne avvenne a Costanza il 23 marzo.

In alcune differenze esistenti fra il testo romano e il testo di Costanza lo Zatschek ha voluto vedere una responsabilità dei legati, nel senso di ulteriori concessioni rispetto alle posizioni del pontefice; in realtà tali cambiamenti, consistenti soprattutto nella ripetuta, ma non uniforme, attribuzione del titolo di imperator a Federico, sembrano piuttosto da attribuirsi a difetti della tradizione manoscritta (così il Rassow e, soprattutto, il Maccarrone). All'intervento diretto dei legati Ottone di Frisinga attribuisce l'annullamento - che ebbe luogo pure a Costanza - del matrimonio di Federico con Adele di Vohburg, sulla base dell'esistenza di un vincolo di consanguineità di sesto grado; più probabile la versione di altre fonti che attribuiscono l'atto ai vescovi tedeschi riuniti intorno al vescovo di Costanza Ermanno, alla presenza dei cardinali legati, la cui autorità veniva pertanto a essere di ulteriore garanzia. Al seguito del re i legati celebrarono poi la Pasqua (19 aprile) a Bamberga. Essi si trovavano adesso di fronte a un altro aspetto della loro missione: regolare la situazione di diversi membri dell'episcopato tedesco, contro i quali erano giunti appelli a Roma. Procedettero così alla deposizione del vescovo di Minden, Enrico, accusato di aver fatto accecare un chierico; Bernardo di Hildesheim, vecchio e cieco, rassegnò le sue dimissioni nelle mani dei legati. Alla dieta di Worms, tenuta dopo Pentecoste (7 giugno), veniva deposto Burcardo di Eichstätt, accusato di simonia e di incapacità. Federico non intervenne in queste azioni, ma in due importanti casi impose la sua volontà: anzitutto, a proposito dell'arcivescovato di Magonza, da cui fece deporre Enrico (che aveva osteggiato la sua elezione) con l'accusa di corruzione e dissipazione dei beni, per porvi - ricorrendo, per l'elezione, a una delegazione di clero e popolo magontino - il suo cancelliere Arnoldo: l'intercessione presso i legati di s. Bernardo (v. la sua lettera in Jaffé, Bibl. Rer. Germ., III, pp. 401 s.), per una valutazione meno severa delle colpe di Enrico, rimase inascoltata, e Arnaldo fu subito consacrato con l'intervento dei legati stessi.

L'accordo con il re si ruppe a proposito della sede arcivescovile di Magdeburgo: un caso di doppia elezione aveva dato modo a Federico di intervenire, promuovendo una terza elezione nella persona di Winchmann, vescovo di Naumburg-Zeitz, cui conferiva subito le regalie; in questa maniera il re si attirava l'accusa non solo di aver esorbitato dal potere, concessogli dal concordato di Worms, di sostenere la sanior pars, ma anche - e soprattutto - di aver usurpato l'esclusivo diritto del pontefice di trasferire i vescovi da una sede a un'altra.

La grossa questione, che acquistava una parte di rilievo nella legazione di B. e di Gregorio di S. Angelo, non trovò tuttavia soluzione, provocando anzi un irrigidimento da parte del re: i legati furono congedati senza alcun risultato e per di più, a quanto risulta dal racconto di Ottone di Frisinga, piuttosto duramente; la questione sarebbe stata risolta solo più tardi, con un atto di resa da parte di Anastasio IV, già dal luglio succeduto a Eugenio III. Durante la legazione, i cardinali avevano avuto modo di occuparsi anche della situazione di diversi monasteri, intervenendo nei riguardi di Heidenheim, di Corvey (che B. visitò personalmente), di Stavelot, che difesero dalle pretese del conte palatino Federico di Sommerschenburg; e con l'abate Wibaldo furono in costante e stretto contatto per tutta la durata della legazione. A proposito di questa abbiamo il giudizio di Gerhoh di Reichersberg, che nel De quarta vigilia noctis contrappone il comportamento corrotto e scandaloso di Gregorio a quello edificante del suo compagno, "vir vitae venerabilis Bernhardus… mitis et humilis corde", del quale ricorda l'opera pacificatrice compiuta fra i chierici di Halberstadt.

Della legazione come opera di corruzione scriverà acremente circa un secolo più tardi Cristiano, deposto nel 1251 dall'arcivescovato di Magonza, che, rispecchiando la propria vicenda in quella del suo predecessore Enrico, vede nella destituzìone di quest'ultimo un inizio di sventure per la Chiesa maguntina, e crea la leggenda della morte ripugnante occorsa ai legati al ritorno dalla loro missione.

Insieme con Cencio cardinale vescovo di Porto e Ottaviano cardinale diacono di S. Cecilia, B. fece parte della prima legazione inviata dal pontefice Adriano IV, alla fine del dicembre 1154 (la lettera con cui il papa raccomandava i legati a Wibaldo è del 29), incontro a Federico, in viaggio verso Roma, con lo scopo di confermare a nome del nuovo pontefice il concordato di Costanza. L'incontro avvenne probabilmente fra Rivarolo e Asti, intorno alla metà del gennaio 1155 (la data precisa è controversa).

Nel 1157, alla fine di settembre o agli inizi di ottobre, Adriano IV conferiva a B., insieme con il cardinale Rolando, l'incarico di una legazione presso l'imperatore, per protestare circa la cattura in territorio imperiale dell'arcivescovo di Lund.

Si tratta della legazione che finì col provocare, alla dieta di Besançon, il famoso incidente dovuto all'interpretazione in senso feudale fatta - nella traduzione in tedesco - dal cancelliere Rainaldo dell'espressione "beneficium" impiegata nella lettera pontificia a proposito dell'incoronazione conferita dal papa a Federico: la traduzione suscitava da parte del seguito imperiale una vera insurrezione contro i legati, tanto più che, secondo Rahewino, uno di essi avrebbe replicato, di rincalzo quindi all'interpretazione di Rainaldo: "A quo ergo habet, si a domno, papa non habet, imperium?".

Si è posta in discussione l'attribuzione della frase a uno piuttosto che all'altro dei due legati: Simonsfeld esclude B. a causa della sua mitezza, mentre Maccarrone propende proprio per lui, argomentando che, se fosse stata pronunciata da Rolando, le fonti non avrebbero mancato di specificarlo, per sfruttarla contro il futuro Alessandro III: ma la più concreta osservazione dello stesso Maccarrone, che Rahewino introduce l'episodio con un impreciso "dixisse fertur", sconsiglia dal voler trarne conseguenze precise circa la personalità o le tendenze di uno o dell'altro dei legati. L'intervento di Federico li sottrasse, a ogni modo, alle minacce, ma il loro bagaglio fu perquisito, il loro materiale di cancelleria sequestrato, ed essi rinviati immediatamente a Roma, senza poter avere alcun contatto con il clero tedesco.

Alla fine del 1158 Adriano IV creava B. cardinale vescovo di Porto e S. Rufina: la sua prima sottoscrizione è del 29 genn. 1159. Alla morte di Adriano (1° sett. 1159), B. si trovò a rappresentare una parte di qualche rilievo nel grave problema della successione che avrebbe condotto allo scisma. Una lettera di Everardo di Bamberga al vescovo di Salisburgo ci informa che il voto di Rolando e di alcuni altri cardinali si sarebbe portato su B., in quanto designato dallo stesso Adriano IV poco prima di morire. Anche Gerhoh di Reichersberg parla di tali voti, che si sarebbero, in un secondo tempo, ridistribuiti, concentrandosi su Rolando, o rimanendo oscillanti in posizione ambigua fra Rolando e Ottaviano. Più tardi, Pietro di Blois (v. Migne, Patr. Lat., CCVII, col. 144) esprimeva l'opinione che l'elezione del vescovo di Porto sarebbe stata ben degna.

La candidatura di B. è stata generalmente interpretata nella letteratura storica come un tentativo di mediazione fra le due correnti in cui si divideva il collegio cardinalizio (Fischer, Brezzi). Il Pacaut e, il Maccarrone accentuano, invece, l'elemento della designazione da parte di Adriano ed escludono la possibilità di ogni intenzione di mediazione, data l'identità fra la posizione di B. e quella di Rolando. Di fatto, B. fu subito fra i sostenitori di Alessandro III, e sottoscrisse sia la lettera dei cardinali alessandrini all'imperatore sia la loro enciclica.

Se si guarda alle sue sottoscrizioni, a partire dal 1159 B. appare costantemente presente in Curia. Nell'aprile 1162 seguì Alessandro III in Francia. La prima legazione che il pontefice annuncia a Ludovico VII doveva essere affidata a B. e a Giacinto di S. Maria in Cosmedin, ma la situazione alla corte del re indusse il papa a sostituirli con una legazione di prelati ftancesi. I due cardinali svolsero una missione più tardi, fra la fine del luglio e l'inizio di agosto: Ludovico era entrato nella via degli accordi con l'imperatore circa la composizione dello scisma, impegnandosi a incontrarsi per la fine di agosto con Federico e. a condurre con sé Alessandro; questi, fissato un colloquio con il re intorno al 20 luglio, mandò innanzi i due cardinali per riguadagnare il re alle sue vedute, ma la missione non ebbe risultati concreti. Alla fine di agosto B. era inviato con altri quattro cardinali a St.-Jean-de-Losne, dove era stato fissato per il giorno 29 l'incontro (che non si sarebbe poi effettuato) fra i due sovrani e i due papi: Alessandro si era rifiutato di presentarsi, e la legazione dei cardinali aveva il compito di riaffermarvi la canonicità della sua elezione. Una terza legazione compiva B. presso il re nel novembre, con l'incarico di preparare il concilio che si sarebbe riunito a Tours nel maggio dell'anno seguente.

Sull'atteggiamento di B. nella vicenda di s. Tommaso Becket non abbiamo particolari, ma sappiamo - dalla lettera di un nunzio di Tommaso - che nel 1164 egli era fra i tre cardinali più avversi all'arcivescovo di Canterbury e si adoperava con essi per ottenere, secondo il desiderio del re, la legazione per l'Inghilterra all'arcivescovo di York, aspirante alla primazia. L'anno seguente pertanto il chierico Erveo, che agiva in Curia per conto di Tommaso, gli scriveva di essersi adoperato per conquistare alla sua causa anche B., con risultati positivi. Abbiamo anche tre lettere di Tommaso a B., e una di B. a Tommaso (v. Migne, Patr. Lat., CXC, col. 985), in cui si promette un'azione più decisa nei confronti del re d'Inghilterra, se questi non si fosse ravveduto (e per l'atteggiamento di B. nei riguardi di Enrico II dopo l'assassinio del Becket cfr. la lettera dell'abate Riccardo, in M. Brial, Recueil des Historiens des Gaules, XVI, Paris 1813, p. 477). La festività di s. Tommaso (canonizzato nel 1173) fu inserita nell'Ordoofficiorum lateranense, ma non sappiamo se da B. stesso o da altri.

Una legazione compiuta da B. in Sicilia, nel 1166, insieme con Manfredi, cardinale di S. Giorgio in Velabro, è documentata da un diploma (Holtzmann) rilasciato il 6 novembre di quell'anno a Mauro abate del monastero della S. Trinità a Mileto, dove i cardinali sostarono al loro ritorno.

In base a un'assenza di B. dalla Curia fra il 26 luglio e il 23 dic. 1168 - desumibile dalla mancanza di sue sottoscrizioni - l'Ohnsorge avanza l'ipotesi di una sua seconda legazione in Sicilia, di cui peraltro non si ha alcuna notizia.

Sembra invece documentata la partecipazione di B. alla legazione inviata, nel maggio 1167, a Bisanzio, in relazione a quella del legato Giordano presso il papa da parte di Emanuele Comneno, nel tentativo di proporre la questione di un'unione religiosa e politica fra Roma e l'Oriente; Bosone nomina solo i cardinali Ubaldo d'Ostia e Giovanni di ss. Giovanni e Paolo, ma la presenza di B. è testimoniata dal prologo del De sancto et immortali Deo di Ugo Eteriano, pisano residente a Bisanzio ed in buoni rapporti con l'imperatore, che afferma di aver scritto la sua opera (edita in Migne, Patr. Lat., CCII, coll. 227 ss., sotto il titolo errato De haeresibus Graecorum) appunto per l'incoraggiamento dei tre cardinali. Si può forse supporre con il Giesebrecht una partenza ritardata di B., che il 24 maggio sottoscriveva ancora in Curia. Il 24 dic. 1167 a ogni modo era di ritorno dalla legazione che non aveva ottenuto risultati concreti, pur lasciando la strada aperta a trattative ulteriori.

Dell'ultima legazione di B. che conosciamo ci informano Bosone e Romualdo Salernitano: fu compiuta, insieme con Guglielmo di Pavia e con Ubaldo d'Ostia, presso Federico Barbarossa, a Pavia, nel maggio 1175, dopo la pace di Montebello, senza esito positivo.

La sua morte avvenne, secondo il necrologio cassinese, il 18 ag. 1176. Secondo il Cardella, sarebbe stato sepolto in Laterano: una pietra di marmo ne conservava il ricordo, ma di essa non resta traccia.

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