TASSO, Bernardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 95 (2019)

TASSO, Bernardo

Rosanna Morace

– Nacque l’11 novembre 1493 a Bergamo da Gabriele e da Caterina Tasso, cugini appartenenti alla famiglia dei Tasso del Cornello.

Tra i biografi tassiani è stata, però, a lungo dibattuta la questione della città natale, poiché Bernardo nelle lettere dichiarò essere ora Venezia ora Bergamo; e ugualmente discussa è tutt’ora l’identità del padre, dopo che Edward Williamson (1951, p. 1) – sulla scorta di allusioni di Angelo Solerti (1896), suffragate da documenti posseduti ma non divulgati da Giuseppe Ravelli che ne accennava in un articolo apparso sull’Eco di Bergamo del 1896 – sostenne che fosse il figlio illegittimo di monsignor Luigi Tasso, vescovo di Recanati e fratello di Caterina. Certo è che quando Bernardo rimase orfano, all’età di 15 anni, fu lo zio materno a prendersi cura di lui e a occuparsi della sua educazione, mentre le due sorelle, Lucia e Bordilisia, vennero affidate al cugino Domenico Tasso. Successiva al 1508 deve quindi essere l’ammissione di Bernardo all’Accademia bergamasca, dove apprese il latino e il greco da Giovanni Battista Pio e Demetrio Calcondila; e post 1512 è databile un gruppo eterogeneo di autografi, conservati in fondi italiani ed esteri e dedicato a Violante Visconti, che Vercingetorige Martignone (2005, p. 305) definisce la «preistoria della lirica tassiana».

Il 2 settembre 1520 Luigi Tasso venne assassinato nella sua villa di Redona durante una rapina, e Bernardo dovette nuovamente far affidamento su un esiguo patrimonio. Decise di trasferirsi a Padova per studiare legge, ma si volse ben presto agli studi letterari, e nel vivace ambiente patavino si formò sotto la guida di Trifon Gabriele, Pietro Bembo e Sperone Speroni (con il quale mantenne rapporti lungo tutto l’arco della vita), iniziando forse a pensare a un canzoniere per Ginevra Malatesta, poi pubblicato nel Libro primo de gli amori del 1531 e comunque di incerta datazione: secondo diversi studiosi, il primo nucleo è ascrivibile al 1514 o al 1516, poiché a queste date risale l’innamoramento di Tasso per Malatesta, ma più ragionevolmente Renzo Cremante (1996, p. 402) nota che la prima datazione certa di un sonetto per Malatesta si trova in una lettera del 1526 al conte Guido Rangoni, al cui servizio Bernardo era entrato nel 1525 o poco prima.

Iniziò così la lunga carriera diplomatica e cortigiana di Tasso, entro la quale trovò sempre lo spazio e il tempo da ritagliare per la sua vera vocazione, la scrittura poetica. Vari gli incarichi assolti al servizio di Rangoni (Pavia, Genova, Roma, Parigi), i più importanti dei quali furono la trattativa con Charles de Lannoy per la liberazione di Clemente VII dall’assedio di Castel Sant’Angelo, durante il sacco di Roma, e le due missioni alla corte di Francesco I: la prima per persuaderlo ad accettare i servizi di Rangoni; la seconda per caldeggiare la spedizione del comandante Odet de Foix, conte di Lautrec, a Napoli, il cui esito si rivelò poi fallimentare. Era il 1528 e Bernardo si trovò perciò alla corte parigina in anni cruciali per la fioritura delle lettere francesi (vi risiedevano Jacques Lefèvre d’Étaples, Clement Marot) e durante le nozze del duca Ercole d’Este e di Renata di Francia, al cui seguito tornò in Italia, lasciando il servizio di Rangoni.

Nei successivi quattro anni poté frequentare gli ambienti culturali ferrarese e veneziano, e riprendere i giovanili contatti padovani, creandone di nuovi: Antonio Brocardo, Bernardino Daniello, Girolamo Molino, Marcantonio Flaminio, Giulio Camillo, Ludovico Beccadelli, Gasparo Contarini, Alvise Priuli, Bernardo Cappello, Pietro Aretino (che inveì apertamente contro di lui nel 1550, dopo la pubblicazione di una lettera ad Annibal Caro in cui Tasso aveva lamentato la carenza di modelli volgari e contemporanei per l’epistolografia).

Oltre a iniziare un poema in ottava rima, Il Guidon selvaggio, sono certamente questi gli anni di più intenso lavoro per la pubblicazione del Libro primo de gli amori, uscito per i torchi dei fratelli da Sabbio nel 1531 con dedica a Ginevra Malatesta, dal quale emerge con chiarezza l’indirizzo classicista della sua poesia, in aperta controtendenza rispetto al petrarchismo bembiano. Nel sonetto LXIV Tasso si intromise nella disputa tra Brocardo e Bembo, celebrando la vittoria del primo sotto i travestimenti pastorali di Alcippo su Titiro: ciò determinò la frattura con il patrizio veneziano, poi ricomposta, ma mai rimarginata. Il progetto classicista trovò, però, il suo vero compimento solo nel Libro secondo de gli amori, del 1534, composto a Napoli, dove gli influssi dell’Accademia Pontaniana, della poesia neolatina, della lezione di Iacopo Sannazaro (scomparso appena quattro anni prima), nonché la frequentazione di Marcantonio Flaminio, Vittoria Colonna e del suo cenacolo ischitano (tra cui vale la pena ricordare almeno Bernardino Rota, con il quale Bernardo si contende il primato per la prima egloga piscatoria volgare, forse ispirata dalla stessa Colonna) furono fondamentali perché Tasso potesse attuare un programma che nel 1531 era annunciato, ma non pienamente attuato.

Dopo aver preso parte alla spedizione d’Ungheria a fianco del marchese del Vasto, nel 1532, divenne segretario del principe di Salerno, Ferrante Sanseverino, al cui servizio rimase oltre un ventennio, condividendone le alterne fortune e compiendo un primo passaggio dalla parte filofrancese a quella filospagnola. Seguì il suo signore durante l’assedio di Tunisi, nel 1535, dove conobbe Giovanni Guidiccioni e incontrò nuovamente Garcilaso de la Vega, già frequentato a Napoli nel 1532; l’anno successivo sposò Porzia de’ Rossi, molto più giovane di lui e appartenente a una nobile famiglia napoletana, con la quale lunghi e travagliati furono i contenziosi che riguardarono la dote, ereditati poi dal figlio Torquato (v. la voce in questo Dizionario) che quasi sul limitare della vita finì per intentare una seconda causa legale. Il matrimonio tra i due fu felice, per i pochi anni che poterono rimanere uniti: dopo nemmeno un anno nacque la prima figlia, Cornelia, quasi in concomitanza con la pubblicazione del Libro terzo de gli amori, che Tasso seguì in loco a Venezia nel 1537. Nel 1542 nacque il primo figlio maschio, Torquato, che morì prematuramente alla fine dello stesso anno; l’11 marzo 1544 vide la luce il secondo, il celebre poeta autore della Liberata.

Sempre nel 1537, durante il viaggio a Venezia, la famiglia Strozzi e gli esuli fiorentini affidarono a Tasso l’incarico di negoziare con la corte spagnola la liberazione di Filippo Strozzi. Imbarcatosi da Genova dopo aver trattato con Andrea Doria, giunse in Spagna prima del 17 novembre, ma la missione non ebbe l’esito sperato ed egli rientrò a Venezia nell’agosto del 1538. Quattro mesi dopo Strozzi moriva nelle carceri della Fortezza da Basso, probabilmente suicida. Durante il soggiorno veneziano del 1538 Tasso conobbe Tullia D’Aragona, se è fondata la notizia di una loro relazione, fornita solo dal Dialogo d’amore di Speroni. Nuovamente in Spagna al seguito di Sanseverino nel 1539, proseguì verso le Fiandre nel 1540, e qui, a Gand, prese l’«obligo» di scrivere un poema «sovra la vaga e leggiadra istoria d’Amadigi di Gaula» (B. Tasso, Li tre libri..., 1559, a cura di D. Rasi, 2002, XCIX), cui effettivamente cominciò a dedicarsi solo nel 1543, durante la pausa dagli incarichi diplomatici che Sanseverino gli aveva concesso, tra il novembre e il dicembre dell’anno precedente, nella quiete di Sorrento.

Il poema ebbe una gestazione quasi ventennale ed espanse notevolmente l’inventio dell’Amadís de Gaula di Garci Rodríguez de Montalvo, intrecciando a questo filone principale le vicende di Mirinda e Alidoro, e di Floridante e Filidora, interamente di invenzione di Bernardo, in un’opera che nacque come epica e si tramutò poi in romanzesca, arrivando ad abbracciare ben cento canti. A dispetto delle aspettative, poi, venne composta per lo più «a cavallo, tra i rumori delle armi, e nei disturbi di diversi negotii che gli hanno apportato i tempi, la fortuna, e le occasioni» (L. Dolce, Lettera prefatoria ad Amadigi, Venezia, Giolito, 1560).

Dopo nemmeno due anni Bernardo venne richiamato da Sanseverino per partecipare alla quarta guerra tra Carlo V e Francesco I, sotto le insegne del marchese del Vasto, e si spostò tra la Lombardia, il Piemonte, le Fiandre, Anversa e Bruxelles, rientrando a Sorrento solo nel gennaio del 1545, quando poté finalmente abbracciare per la prima volta Torquato.

Riprese quindi le mansioni di corte e si trasferì con la famiglia a Salerno, ma ben presto Napoli fu scossa dai tumulti (repressi nel sangue) contro la decisione del viceré, don Pedro de Toledo, di introdurre a Napoli il tribunale dell’Inquisizione ‘alla spagnola’. In questa rivolta Bernardo ebbe un peso determinante, perché furono proprio le sue parole (B. Tasso, Li tre libri..., cit., CCCVII) a convincere Ferrante Sanseverino a farsi portavoce delle istanze della nobiltà (il popolo era rappresentato da Placido de Sangro), contro l’opposto parere di Vincenzo Martelli.

I fatti sono stati letti principalmente come una lotta di potere tra il principe e il viceré, e la posizione di Bernardo come un richiamo alle virtù civili e umane: e tale certamente fu, benché non sia affatto da escludere la preoccupazione di salvaguardare i fermenti spirituali ben presenti nel Regno di Napoli, rafforzatisi in particolare dopo il 1534, quando vi si era rifugiato Juan de Valdés esule. Tutti i principali esponenti del valdesianesimo napoletano furono, infatti, legati a Bernardo Tasso da sodalizi umani o poetici, a cominciare proprio dal principe Sanseverino e da sua moglie, dai già ricordati Marcantonio Flaminio e Vittoria Colonna, per proseguire con Giulia Gonzaga, Scipione Capece, Bernardino Rota, Girolamo Seripando, Galeazzo Florimonte, il marchese del Vasto Alfonso d’Avalos, Guidiccioni. Un dato che – congiunto alla sempre più costante attenzione, nella poesia tassiana, al tema spirituale, della «libertas christiana», del richiamo a un cristianesimo interiore pervaso dalla centralità di Cristo, che culminerà nella silloge dei Salmi – ha permesso di mettere progressivamente in luce l’intima e mai proclamata adesione di Bernardo alle istanze valdesiane.

Quali che fossero, comunque, le reali ragioni che spinsero Bernardo e Sanseverino a opporsi a don Pedro de Toledo, certo è che le conseguenze vennero pagate caramente: se in un primo momento l’imperatore sembrò aver perdonato il principe, nel 1552 avvenne la rottura definitiva, anche a causa della tensione dei rapporti con don Pedro, e Sanseverino, passato sotto le insegne francesi, venne dichiarato ribelle ed espropriato dei beni. Sorte che toccò anche a Tasso, che scelse di seguirlo a Venezia (1551) e di intraprendere due missioni diplomatiche per suo conto: la prima a Ferrara e poi a Parigi, dove risiedette dal 1552 all’inizio del 1554. La speranza era che Enrico II tentasse la conquista di Napoli, stringendo un’alleanza con la Chiesa, Ferrara e la Turchia (motivo per il quale Sanseverino si recò a Costantinopoli da Solimano II). Ma il progetto venne definitivamente accantonato alla fine del 1553, e Tasso, sempre più preoccupato per le sorti della famiglia, cominciò ad adoperarsi per tornare in Italia.

Vi riuscì nel febbraio del 1554, accolto a Roma da Giulio III, ma vani furono i tentativi di far lasciare Napoli alla moglie Porzia e alla figlia Cornelia, anche a causa del controllo dei beni da parte della famiglia Rossi; Torquato, invece, arrivò a Roma nella primavera, e da quel momento in poi non rivide più la madre. Dal palazzo del cardinale Ippolito d’Este, presso il quale risiedeva, Bernardo prese contatti con Lodovico Dolce affinché curasse la stampa del suo Quarto libro di Rime, il cui nucleo centrale era stato composto presso la corte parigina, con dedica a Margherita di Valois. Il volume uscì nel 1555 dai torchi del Giolito, pesantemente interpolato da Dolce, e il deluso e sconfortato Tasso progettò subito una nuova edizione, a cura di Ruscelli, che però non vide mai la luce. Cercò inoltre di stabilirsi a Roma, sperando di potersi ricongiungere più facilmente con Porzia e Cornelia, ma nel febbraio del 1556 gli giunse la notizia della morte della moglie, che lo gettò in uno stato di profonda costernazione, anche perché attribuì il malore fulminante, che l’aveva portata via in una sola notte, all’avvelenamento dei fratelli; inoltre a Napoli rimaneva Cornelia, che egli non rivide mai più e che l’anno successivo sposò Maurizio Sersale, senza il suo consenso; infine, i fratelli di Porzia promossero subito un’azione legale, a seguito della quale anche Torquato fu dichiarato ribelle e la dote divisa dal tribunale tra i fratelli Rossi, il governo imperiale e Cornelia. L’indignazione si riversò nelle lettere e il dolore del lutto in cinquanta liriche In morte de la moglie, che poi confluirono nel Quinto libro delle Rime (1560).

Bernardo si mise alla ricerca di un nuovo protettore, e Torquato venne mandato, insieme al sacerdote di casa Giovanni d’Angeluzzo e al cugino Cristoforo, a Bergamo, dove rimase otto mesi in attesa che il padre lo richiamasse a sé: il che avvenne al termine del 1556, alla corte del duca Guidubaldo II Della Rovere, proprio nel frangente in cui Sanseverino aveva smesso di pagare a Bernardo la provvigione annua. Tra Pesaro e Urbino Torquato ricevette dal padre la prima educazione letteraria e cavalleresca, insieme al figlio del duca, Francesco Maria, mentre l’anziano poeta, oltre a scrivere la prima commedia di cui abbiamo notizia, si dedicava alla tormentata revisione dell’Amadigi, testimoniataci dai carteggi con vari suoi amici letterati, e in particolare con Giraldi Cinzio e Speroni. In questo frangente, il poema cambiò nuovamente dedicatario, e venne indirizzato «Al catolico Re Filippo» II di Spagna.

Nel dicembre del 1558 Tasso lasciò il servizio del duca per dirigersi a Venezia, dove (probabilmente in virtù di accordi già presi con Giolito) si preparò a sovrintendere alla stampa non solo dell’Amadigi, ma della sua intera produzione poetica (ai quattro libri di Rime già pubblicati si aggiunse il Quinto, la raccolta di Salmi e quella delle Odi) e del Secondo volume delle Lettere. Aveva scelto di far pubblicare l’Amadigi a proprie spese, nonostante l’Accademia della Fama gli avesse proposto di farsi carico dell’edizione per i torchi di Manuzio. Accettò invece di divenire cancelliere dell’Accademia nel giugno del 1559, e l’8 dello stesso mese lesse il Ragionamento della poesia nell’ambito delle lezioni pubbliche di quella istituzione: pur nella sua ufficialità, questo testo può essere inteso come summa teorica delle idee poetiche di Tasso e del sincretismo filosofico dell’Accademia stessa, animata da un ambizioso programma culturale ed editoriale e da amici di lunga data di Bernardo, tra i quali Girolamo Molino, Dionigi Atanagi, Francesco Patrizi, oltre agli ispiratori Domenico Venier e Federico Badoer, e i giovani Celio Magno e Alessandro Citolini. Ma dopo nemmeno un anno Tasso se ne allontanò per dissidi con Badoer, forse prevedendo il disastro economico che di lì a poco avrebbe decretato la rovina dell’Accademia.

Anche le finanze tassiane subirono un tracollo, aggravato dall’insuccesso dell’Amadigi e dalle spese per la stampa. Ancora una volta, e nonostante l’età, Bernardo si ritrovò alla ricerca di un signore da servire. Nell’autunno del 1561 tentò inutilmente di entrare presso la duchessa di Savoia, Margherita di Valois; fu poi ospite di Claudia Rangone, tra Modena e Correggio; e da qui passò a Padova e poi a Ferrara, accettando l’offerta del cardinale Luigi d’Este (entro il gennaio del 1562). Ma fu una breve parentesi: dopo dieci mesi era in trattative con Cosimo I de’ Medici, e solo nel 1563 entrò stabilmente al servizio del duca di Mantova, Guglielmo Gonzaga, prima come segretario per la parte giudiziaria e criminale, poi come ministro di Grazia e Giustizia e, infine, in qualità di podestà di Ostiglia (carica che assunse il 25 febbraio 1569).

Il periodo mantovano è stato in gran parte ricostruito attraverso le lettere conservate presso l’Archivio di Stato di Mantova, ben diverse nel tono, nello stile e nelle finalità da quelle contenute nei due volumi curati da Bernardo per la stampa e destinate alla circolazione pubblica. Sono epistole interessanti soprattutto per il quadro storico che lasciano trapelare (a esempio, per le considerazioni sulla pratica della tortura, o sulla vicenda di Casale Monferrato), e per l’immagine dell’anziano segretario che ne emerge, sempre più stanco e provato, ma fedele a quei principi umani e morali che richiamavano le virtù umanistiche.

Con l’incarico a Ostiglia, Bernardo aveva trovato finalmente tregua dai lunghi e spossanti viaggi, che oramai non era fisicamente in grado di sostenere, ma dopo nemmeno sette mesi, il 5 settembre 1569, morì tra le braccia di Torquato. Lasciò incompiuta la sua ultima opera, il Floridante, che verrà pubblicata postuma dal figlio diciotto anni dopo, nel 1587: l’aveva iniziata nell’anno in cui era entrato al servizio del duca di Mantova, il 24 novembre del 1563, secondo quanto è notato sulla prima pagina del manoscritto autografo, di tre canti, conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia (segn. It. cl. IX, 189=6287).

Fonti e Bibl.: Per la vita fonte essenziale sono innanzi tutto le raccolte epistolari, e in particolare: B. Tasso, Li tre libri delle lettere, alli quali nuovamente s’è aggiunto il quarto libro, Venezia, Giglio, 1559 (rist. anast. a cura di D. Rasi, Bologna 2002); Id., Lettere, secondo volume, Venezia, Giolito, 1560 (rist. anast. a cura di A. Chemello, Bologna 2002); Id., Delle lettere di messer B. T. accresciute, corrette e illustrate. Volume terzo contenente le Famigliari, per la maggior parte ora la prima volta stampate ed alcune di Torquato suo figliuolo pur esse finora inedite. Si premette il parere dell’abate Pierantonio Serassi intorno alla patria de’ suddetti, Padova 1751; Id., Lettere inedite di B. T., precedute dalla notizia intorno alla vita del medesimo, a cura di G. Campori, Bologna 1869; Id., Lettere inedite per Attilio Portioli, Mantova 1871; Id., Lettere inedite di B. e Torquato T., e saggio di una bibliografia delle lettere a stampa di B. T., a cura di G. Ravelli, Bergamo 1895.

Si vedano le biografie ricostruite da F.A. Seghezzi, Vita di B. T., premessa a B. Tasso, Lettere, I, Padova 1733, pp. 1-64; P.A. Serassi, La vita di B. T. scritta da Pierantonio Serassi, in L’Amadigi di m. B. T. Colla vita dell’autore e varie illustrazioni dell’opera, Bergamo 1755, pp. I-XXXVII; P.D. Pasolini, I genitori di Toquato Tasso, Roma 1895; F. Pintor, Delle liriche di B. T., Pisa 1899; E. Williamson, B. T., Roma 1951 (trad. it. di D. Rota, Bergamo 1995). Per la ricostruzione di periodi specifici e la datazione della produzione poetica: A. Solerti, Il terzo centenario di Torquato Tasso, in Giornale storico della letteratura italiana, XXVII (1896), pp. 391-397; G. Cerboni Baiardi, La lirica di B. T., Urbino 1966; C. Dionisotti, Amadigi e Rinaldo a Venezia, in La ragione e l’arte. Torquato Tasso e la Repubblica Veneta, Venezia 1995, pp. 10-25; V. Martignone, Un caso di censura editoriale: l’edizione Dolce (1555) delle Rime di B. T., in Studi tassiani, XLIII (1995), pp. 93-112; R. Cremante, Appunti sulle Rime di B. T., in Per Cesare Bozzetti. Studi di letteratura e filologia italiana, a cura di S. Albonico et al., Milano 1996, pp. 393-407; V. Martignone, Tra Ferrara e il Veneto: l’apprendistato poetico di B. T., in Schifanoia, 2005, n. 28-29, pp. 303-313; M. Mastrototaro, Per l’orme impresse da Ariosto. Tecniche compositive e tipologie narrative nell’Amadigi di B. T., Roma 2006; G. Ferroni, Come leggere «I tre libri degli Amori» di B. T., in Quaderno di italianistica, III (2011), pp. 99-144; F.M. Falchi, In lode di Violante Visconti. Liriche inedite di B. T., in Studi tassiani, LIX-LXI (2011-2013), pp. 281-291; R. Morace, Dall’Amadigi al Rinaldo. B. e Torquato T. tra epico ed eroico, Alessandria 2012; C. Zampese, Tevere e Arno. Studi sulla lirica del Cinquecento, Milano 2012, pp. 13-71. Per gli studi sulla spiritualità tassiana, cfr. principalmente: A. Magalhães, All’ombra dell’eresia: B. T. e le donne della Bibbia in Francia e in Italia, in Le donne della Bibbia, la Bibbia delle donne. Teatro, letteratura e vita. Atti del XV Convegno internazionale di studio, Verona, ... 2009, a cura di R. Gorris Camos, Fasano 2012, pp. 159-218; F. Zuliani, Annotazioni per lo studio delle convinzioni religiose di B. T., in Rivista di storia e letteratura religiosa, XLIX (2013), 1, pp. 237-250; B. T. e il gruppo valdesiano. Per una lettura ‘spirituale’ dei «Salmi», in Quaderni della sezione di italiano dell’Università di Losanna, IX (2014), pp. 51-85; G. Forni, Tempi e figure della lirica di B. T., in B. T. uomo del Rinascimento. Atti del Convegno internazionale di studi, Bergamo-Padova... 2016, in corso di stampa. Per la ricognizione degli autografi tassiani: G. Arbizzoni, B. T., in Autografi dei letterati italiani. Il Cinquecento, II, a cura di M. Motolese - P. Procaccioli - E. Russo, Roma 2013, pp. 345-358.

TAG

Guidubaldo ii della rovere

Filippo» ii di spagna

Marcantonio flaminio

Ferrante sanseverino

Margherita di valois