BERNARDO di Chiaravalle, santo

Enciclopedia Italiana (1930)

BERNARDO di Chiaravalle, santo

Filippo Millosevich

Nacque a Fontaines-lès-Dijon a pochi chilometri dalla capitale della Borgogna, probabilmente nel 1091, da genitori appartenenti all'alta nobiltà. Nel 1111 manifestò i primi segni della vocazione per la vita monastica: l'anno seguente fu ammesso, insieme con i fratelli ed alcuni amici, nel monastero di Cistercium (Cîteaux), origine dell'ordine cisterciense, sorto poco prima con lo scopo preciso di attuare rigidamente la regola di S. Benedetto. L'entrata di B. nel monastero segnò per questo l'inizio di un'era di prosperità: il giovane monaco venne incaricato nel 1115 di fondare, sulla riva sinistra dell'Aube nella Sciampagna, una nuova colonia religiosa che diede origine all'abbazia di Chiaravalle, da cui egli doveva prendere il nome. Per dieci anni circa, B. si occupò esclusivamente del suo ordine, che papa Callisto II riconobbe ufficialmente nel 1119; ne difese l'austerità contro le critiche dei Cluniacensi, e contribuì a migliorare la vita monastica degli altri ordini. Nelle relazioni con il feudatario, il conte Teobaldo di Sciampagna nei cui dominî si trovavano le terre del suo ordine, e in genere con la nobiltà del tempo, dimostrò sempre una prudente fermezza, che spesso gli permise d'intervenire in favore dei deboli oppressi.

Nel 1126 cominciò ad estendere la sua attività in tutti i campi della vita ecclesiastica, con la lettera De moribus et officio episcoporum indirizzata all'arcivescovo di Sens in cui prospetta chiaramente quali siano i doveri dei vescovi anche di fronte alle autorità laiche. Due anni dopo, in occasione del concilio di Troyes, che diede ai Templari la regola benedettina adattata alle esigenze della vita militare, cominciò a comporre il celebre trattato De laude novae militiae, molto importante soprattutto per la giustificazione teorica che egli fa della santità della guerra combattuta dal mondo cristiano contro gl'infedeli.

Nel concilio di Étampes del 1130, in cui si discusse quale dei due pontefici eletti contemporaneamente in Roma fosse legittimo, Innocenzo II o Anacleto II, l'intervento di Bernardo fu decisivo a favore del primo: e siccome molte città dell'alta Italia e i Normanni parteggiavano per l'antipapa, l'abate di Chiaravalle intraprese tre viaggi in Italia a servizio di Innocenzo, spesso trascinando le turbe col suo eloquente entusiasmo. I suoi successi personali ebbero per contraccolpo un grande sviluppo dei monasteri cisterciensi nella penisola.

Nel 1140 venne invitato dal vescovo di Parigi a predicare agli scolari: il sermone da lui tenuto in questa occasione, De conversione ad clericos sermo seu libellus, è una critica serrata della superba scienza dei professori e un'invettiva incalzante contro i corrotti costumi degli studenti. Nello stesso anno, egli otteneva nel concilio di Sens la condanna di Abelardo (v.). Inesorabile nella difesa dei principî teorici e morali della religione, si mostrò invece relativamente mite nel modo di reprimere le sette ereticali degli apostolici e dei petrobrusiani, che minacciavano la Francia in quegli anni: la sua tolleranza religiosa ebbe poi particolare occasione di manifestarsi verso gli ebrei.

Pur riconoscendo la necessità d'un rinnovamento interiore della società ecclesiastica, B. riteneva inalienabili i diritti politici della Chiesa e i suoi beni da parte del laicato, e quindi combatté fieramente contro Arnaldo da Brescia (v.) e la rivoluzione romana del 1144. Grande influenza in questo senso esercitò sul papa Eugenio III, suo antico discepolo, cui dedicò i cinque libri De consideratione, che si potrebbero definire "il manuale del perfetto pontefice". L'ultima più grande manifestazione dell'attività dell'abate di Chiaravalle fu la predicazione della seconda crociata negli anni 1146-47. Città e castelli si spopolarono sotto l'influenza della sua infiammata parola. Tanto più dolorosamente colpito egli rimase per il totale insuccesso della spedizione: e l'amarezza del disinganno lo accompagnò sino alla tomba (v. crociate).

S. Bernardo morì a Chiaravalle il 20 agosto 1153, lasciando ben 350 monasteri del suo ordine sparsi per l'Europa. Alessandro III lo canonizzò nel 1174 e la sua festa si celebra il 20 agosto.

Nel rinnovamento intellettuale del sec. XII, S. Bernardo rappresenta, insieme con Ugo e Riccardo di S. Vittore, essenzialmente il misticismo ascetico, caratteristico della religiosità del Medioevo. Egli non è un teologo nel senso tecnico della parola: fu piuttosto un magnifico esaltatore dei valori tradizionali della Chiesa, per cui combatté tutti coloro che ne minacciavano le basi dogmatiche, e un grande oratore sacro. La sua eloquenza, infatti, gli valse il titolo di doctor mellifluus. La sua produzione più notevole è costituita dai suoi Sermoni: quelli di commento al Cantico dei Cantici e le omelie in onore della Vergine. Opere teologiche vere e proprie sono il De diligendo Deo, il De baptismo, il De gratia et libero arbitrio; la più importante è il De gradibus humilitatis et superbiae.

L'apologetica di S. Bernardo è tutta basata su motivi psicologici: la scienza non è per lui che un mezzo di rigenerazione spirituale. Certo egli apprezza coloro che si dedicano allo studio della filosofia e cercano di arrivare, attraverso l'esame dei dati sensibili e le discussioni dialettiche, alla conoscenza delle realtà intelligibili; ma di gran lunga preferisce quelli cui è dato di saltare a piè pari la faticosa ascensione e giungere subito alla meta. Ma se scopo della vita è l'amore di Dio, non bisogna credere sia facile il possederlo: solo che qui il tirocinio è del tutto etico e non speculativo. Vi si giunge attraverso i dodici gradi dell'umiltà, che sono indicati dalla regola di S. Benedetto; giunto ad un'idea esatta dell'umana miseria, il santo è in grado di comprendere la lezione di umiltà e di amore che gli ha data Cristo. Contro Abelardo, egli sostiene, seguendo S. Agostino e S. Anselmo, che la redenzione era necessaria, perché l'uomo era incapace di soddisfare da sé alla divina giustizia. Attraverso i sacramenti e specialmente l'Eucarestia, la grazia discende nelle anime dei fedeli e, in un certo senso, li rende simili al Cristo. Ma il nostro libero arbitrio sussiste anche dopo la caduta: soltanto che la nostra è solo una potestà di volere, ma non di volere il bene. Il nostro merito, dopo la redenzione, sta nell'acconsentire all'azione della grazia. Una volta liberati dal peccato, possiamo aspirare all'unione mistica con l'Uomo-Dio, di sopra ad ogni considerazione teologica: unione progressiva che va dall'oggetto sensibile, l'umanità del Cristo, al Verbo stesso, fonte dell'amore.

Spirito pratico di grande organizzatore di masse, l'abate di Chiaravalle ha lasciato un ricchissimo epistolario, fonte principale per lo studio della sua vita e da cui possiamo dedurre il suo pensiero politico, che poi ha trovato una sistemazione nel trattato De consideratione. Egli è stato il primo a parlare esplicitamente del celebre simbolo delle due spade, di cui una, la spirituale, è tutta della Chiesa; l'altra, la temporale, solo in teoria dipendente da essa, deve essere adoperata dai poteri mondani. Assertore quindi teorico della teocrazia pontificia, vorrebbe il papa puro da contatti materiali, pur senza indicare mai esplicitamente come ciò possa avvenire. Venuto dopo la lotta per le investiture, avverte il bisogno che hanno Papato e Impero di riaccostarsi e di sorreggersi a vicenda di fronte alle nuove forze popolari in ascensione. Di qui la sua ostilità per Arnaldo da Brescia. Reazionario in fondo, rispetto alla teocrazia rivoluzionaria di Gregorio VII, vagheggia un ritorno a quel periodo aureo del Medioevo cristiano, quando la mano di Leone III poneva la corona di Augusto sulla testa di Carlo Magno. Ma si può osservare che, come la sua opposizione teologica ad Abelardo e a Gilberto della Porretta (da lui fatto condannare nel concilio di Reims del 1148) servirà ad incanalare, in ultima analisi, la nuova filosofia nei ranghi del cattolicismo e permetterà nel secolo seguente la grande sintesi tomistica, così l'avere arginato le prime esuberanze dei comuni renderà alla Chiesa possibile lo stringere con essi utili legami al tempo della Lega Lombarda.

Di capitale importanza è stata poi la concezione che S. Bernardo ebbe della crociata. Al tempo di Pietro l'Eremita, essa si era esaurita in un movimento popolare: all'abate di Chiaravalle invece, essa appariva come la realizzazione dell'unità morale della cristianità, attraverso la cooperazione militare dei singoli stati. Si sente qui quasi uno sforzo per spiritualizzare la politica internazionale, un tentativo unitario nella vita dell'Europa.

La grande figura morale di S. Bernardo rimase profondamente impressa nella tradizione ecclesiastica del suo paese, e il Bossuet ne scrisse un magnifico panegirico. Fu arbitro nelle contese che sorgevano tra gli stessi principi reali francesi, e vagheggiatore di pacifici rapporti tra i poteri civili e religiosi.

L'edizione completa delle opere di S. Bernardo, in Migne, Patrologia Lat., CLXXXII-CLXXXV, in base alla vecchia edizione del Mabillon. Delle quattro Vitae Bernardi ivi raccolte, solo la Prima e la Secunda sono vere e proprie vite: la terza è un insieme di documenti frammentarî, la quarta è spuria secondo la critica più recente. I manoscritti principali per l'epistolario sono il 18118 e il 17463 della Biblioteca Nazionale di Parigi, il 242 di Grenoble, l'852 di Troyes, il 154 di Digione. Per le vite di Bernardo, il 7561 di Parigi, quello dei Padri della casa di S. Bernardo a Fontaines-lès-Dijon. Per i Sermoni il 12323 di Parigi ecc.; un'enumerazione completa dei manoscritti si può trovare nello stesso Migne. La datazione che ivi è assegnata all'epistole del santo, è stata in parte modificata da ricerche posteriori (v. P. Rassow, Die Kanzlei St. Bernards von Clairvaux, in Studien und Mitteilungen zur Geschichte des Benedictiner Ordens, Salisburgo 1913). Nel 1891, in occasione dell'ottavo centenario di S. Bernardo, i cisterciensi dell'Austria-Ungheria pubblicarono a Vienna, sotto il titolo di Xenia Bernardina, una nuova ediziorie dei Sermoni a cura di B. Gsell e L. Janauschek.

S. Bernardo stabilì anche le leggi del canto liturgico nell'ordine cisterciense in una lettera De correctione antiphonarii, come introduzione della Praefatio seu tractatus in Antiphonarium Cisterciense, che si ristampò a Lipsia nel 1517, quale Isagoge in musicam melliflui doctoris Sancti Bernhardi, e poi dal Hommey nel Supplementum Patrum. Sotto la sua autorità venne redatto anche un Tonale in forma dialogica, ristampato da Gherberto (Script., II).

Bibl.: Oltre alle opere registrate nella Bibliographia Bernardina dello Janauschek, in appendice agli Xenia Bernardina (v. sopra), vedi E. Vacandard, Vie de Saint Bernrd Abbé de Clairvaux, voll. 2, ultima ed., Parigi 1927 (fondamentale); G. Hüffer, Der heilige Bernhard von Clairvaux, Vorstudien, Münster 1886; id., Die Anfänge des zweiten Kreuzzuges e Die Wunder des hl. Bernhards und die Kritiker, in Historisches Jahrbuch, 1887 e 1889; si vedano inoltre: E. Vacandard, Saint Bernard, Parigi 1904 (utile antologia dei più significativi passi delle opere di S. B.); G. Goyau, Saint Bernard, Parigi 1927; P. Miterre, Saint Bernard de Clairvaux. Un moine arbitre de l'Europe au XIIe siècle, Genval 1929; P. Lasserre, Un conflict réligieux politique au XIIe siècle: Saint Bernard et Abélard, Parigi 1930. Sul pensiero politico bernardino: A. Steiger, Der hl. Bernhard von Clairvaux, Brünn 1908; Jerzy v. Kozlowski, Kirche und Staat und Kirchenstaat im hl. Bernhard von Clairvaux, Posen 1916; F. Millosevich, Le idee politiche di S. Bernardo di Chiaravalle, in Bollettino di Studi storico-religiosi, I (1922), nn. 5-6; id., in Riv. trimestrale di studi filosofici e religiosi, IV (1922), n. 4; id., in Ricerche religiose (1925), nn. 4 e 5.

Sull'escatologia bernardina v. F. Radcke, Die eschatologischen Anschauungen Bernhards von Clairvaux, Langensalza 1915; sul suo misticismo, J. Schuck, Das religiöse Erlebnis beim hl. Bernhard von Clairvaux, Würzburg 1922.

Sull'iconografia di S. Bernardo, v. l'appendice A al primo volume del già citato libro del Vacandard: il ritratto più probabile è quello che ora appartiene a un abate che risiede a Troyes e che si trovava a Chiaravalle, donde fu asportato al tempo della Rivoluzione francese.

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