LICINIO, Bernardino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 65 (2005)

LICINIO, Bernardino

Luca Bortolotti

Discendente da una famiglia originaria di Poscante, nel Bergamasco, il L. nacque quasi sicuramente a Venezia, figlio secondogenito di un ser Antonio, pittore a sua volta. La critica conviene nel situare la data di nascita del L. all'incirca nella seconda metà del nono decennio del Quattrocento, anche se le prime notizie documentarie che lo riguardano risalgono solo al 1511, allorquando egli risultava orfano di padre e già attivo professionalmente nella città lagunare.

Il primogenito, Arrigo o Rigo, di poco più anziano, esercitò anche lui la professione di pittore e con ogni probabilità lavorò esclusivamente nella bottega del più dotato fratello minore.

Proprio il ruolo di assistente e di vice, svolto da Arrigo - artista certamente modesto, che seppe mimetizzarsi e pressoché sparire dietro lo stile del fratello - aiuta a spiegare il considerevole divario qualitativo che si può constatare in molte opere assegnate al L., e in qualche caso anche da lui firmate, che probabilmente furono realizzate in parte o del tutto dal fratello maggiore. La figura di Arrigo è documentata dal 1512 sino al 1551, sempre in Venezia e quasi esclusivamente in qualità di testimone in atti notarili, nei quali egli specifica sistematicamente la propria qualifica di pittore e di figlio di Antonio (di particolare interesse risulta essere la sottoscrizione, il 28 marzo 1536, del testamento di Cinzia di Bartolomeo Spata, o Spada, moglie di Paris Bordone: Vertova, 1975, p. 376). Che la pittura costituisse l'attività principale ma non esclusiva di Arrigo - anche perché la modestia dei suoi mezzi tecnici doveva precludergli guadagni corrispondenti alle esigenze della sua numerosa famiglia - si può evincere non meno dall'assenza di qualsivoglia documentazione relativa a un suo impegno e a una sua diretta responsabilità artistica che dal fatto che il 3 giugno 1540 il pittore Giovanni Cariani, attraverso un atto notarile, lo nominò suo procuratore (Ludwig, p. 39). Terzogenito di Antonio fu Zuane Battista, che divenne prete e ricoprì la carica di parroco di S. Cassiano, a Venezia. Di quest'ultimo sono note la data di nascita, 1491, e quella di morte, 1568. Nel 1565 Zuane Battista dettò testamento; e dall'atto si evince che ambedue i fratelli maggiori dovevano essere già deceduti (ibid., p. 55).

Una più precisa definizione della fisionomia artistica del L. divenne possibile solo a partire dal principio del Novecento, quando vennero diradati certi fumi che erano stati involontariamente sollevati da Vasari nelle Vite (pp. 103, 111).

A dispetto della sua recente dipartita, infatti, non solo sembra che Vasari non conobbe il L. né di persona né di fama, ma si direbbe addirittura che non avesse avuto alcuna cognizione della sua presenza nel contesto della pittura lagunare. Fu così che poté determinarsi un malinteso piuttosto notevole: da un lato Vasari ignorò totalmente il L.; dall'altro biografò il Pordenone, in entrambe le edizioni delle Vite, sotto il nome di Giovanni Antonio Licinio (in luogo di Giovanni Antonio de' Sacchis), producendo una confusione difficile da spiegare fra i due pittori, che, di fatto, finì per oscurare per più di tre secoli tanto la vita quanto le opere del L., sino all'intervento chiarificatore di Gustav Ludwig nel 1903.

Dalle prime opere del L. è dato rilevare una formazione svoltasi sotto l'egida dell'autorità artistica belliniana, ma attenta anche alla produzione di Cima da Conegliano e di Vittore Carpaccio. Ben presto, peraltro, il L. reagì alle innovazioni compositive e coloristiche introdotte nei primi due decenni del secolo dai principali maestri della pittura veneziana, in primis Giorgione, e poi Tiziano, Palma il Vecchio e Sebastiano Luciani.

Va da sé che rispetto all'arte eletta di quelli, il L. non poté far valere molto altro che la fragranza e la compostezza del proprio linguaggio più ordinario, faticosamente impegnato a perseguire una convincente aderenza al modello della realtà. L'ispirazione prudente e un certo, professionale, ecumenismo stilistico, avvicinano il L. ad altri protagonisti dell'immediata retroguardia artistica veneziana, come Francesco Vecellio, Giovanni Cariani, Bonifacio de' Pitati, Polidoro Lanciani, consentendogli di intercettare i gusti e le esigenze di quella montante fascia media di committenza che, pur non potendo ambire al possesso delle opere dei pittori di maggiore spicco, richiedeva dipinti che esibissero i crismi di un adeguato aggiornamento artistico. A riprova del suo eclettismo non disprezzabile, ha conosciuto attribuzioni più o meno fugaci al L. un gran numero di dipinti in seguito ricondotti alla mano di molti dei più grandi pittori attivi a Venezia, o al loro ambito, a cominciare da Giorgione e Tiziano.

Alla luce dei suoi punti di riferimento artistici, nonché del mercato al quale la sua produzione prevalentemente si rivolgeva, si spiegano anche certe predilezioni iconografiche che emergono all'interno del corpus del L.: nell'ambito dei soggetti religiosi, le cosiddette Sacre conversazioni, e soprattutto, in ambito profano, la ritrattistica. Egli, anzi, può essere considerato uno dei primi specialisti nella pittura italiana del ritratto di gruppo, e specialmente familiare, con le figure quasi sempre rappresentate a mezzo busto.

Se nei suoi esiti più attenti e calibrati la ritrattistica del L. può avvicinarsi agli alti approdi di Moretto (Alessandro Bonvicino), Giovanni Battista Moroni e Bordone, il suo limite principale risiede in un deficit di affondo psicologico e in una costante genericità nella definizione dei caratteri. Il L. persegue una correttezza esteriore che in qualche caso può richiamare la precisione levigata propria della pittura dei Paesi Bassi, ma non approda mai a una poetica realmente profonda, o sottile, o evocativa. Tantomeno egli appare abile, o interessato, a innervare la sua pittura con qualche ambizione intellettualistica. Il L. non avvertì le attrattive di una più sofisticata astrazione formale, ciò che spiega la sua assoluta indifferenza nei confronti di qualsiasi corrente del manierismo (invero prossima all'insipienza in un pittore di successo attivo in un grande centro). Ma, evidentemente, verisimiglianza e sobrietà compositiva costituirono gli unici traguardi che l'artista giudicò perseguibili.

Sporadico, infine, fu l'impegno del L. sul fronte delle pale d'altare, dove, per di più, si possono spesso cogliere interventi cospicui da parte della bottega. Peraltro, nei rari casi in cui una qualità più sostenuta evidenzia l'ampia autografia del L., i risultati pervengono anche in quest'ambito a un'adeguata dignità formale, ferma restando la costante dipendenza da modelli tizianeschi e palmeschi.

Il primo dipinto datato del L. risale al 1522, ma certamente egli praticava la professione già dal principio del secondo decennio, oltre che per ovvie ragioni anagrafiche perché nei due documenti che lo riguardano relativi a quegli anni, rispettivamente del 1511 e del 1515, egli si dichiara pittore (Vertova, 1975, p. 376).

Resta aperto il problema di comporre la serie delle opere del L. realizzate negli anni Dieci: questione che implica la messa a fuoco della sua formazione e dei caratteri della sua produzione giovanile. Converrà, così, rinunciare ad articolare troppo minuziosamente una materia che non offre evidenze sufficienti, anche considerando la cauta e lenta parabola evolutiva che presenta il corpus liciniano. Nondimeno, in ragione del misto di influenze belliniane e di aperture al giorgionismo (in quanto orientamento sia stilistico sia tematico), corrette e trasportate in quella prosa realistica provinciale che rappresenta la tonalità preferita dall'artista, si può avanzare una generica collocazione nel secondo decennio per opere riuscite e già idiomatiche, come l'intenso Ritratto di un giovane Ferramosca (Vicenza, Museo civico); il Ritratto del dottor Francesco Fileto (Genova, Galleria di Palazzo Rosso); la Vedova coi tre figli (San Pietroburgo, Ermitage), con ogni probabilità il primo ritratto di famiglia del L., nonché uno dei meglio calibrati sotto il profilo della trama psicologica che lega i personaggi; e la Donna con spartito e due uomini, di collezione privata (ripr. ibid., p. 433), opera tipicamente giorgionesca, la cui struttura dialogante, raccolta e misteriosa, sottende un tessuto di risonanze simboliche. Su corde espressive analoghe, che sarebbero tramontate piuttosto rapidamente nella produzione del L., insistono anche altre opere giovanili come la Fanciulla con liuto, e seduttore, di ubicazione ignota (ripr. ibid., p. 444), e la Donna alla spinetta fra un uomo e una vecchia (Hampton Court, Royal Collections).

A partire dal terzo decennio, il catalogo del L. risulta esaurientemente punteggiato di opere datate, ciò che rende più solida e verificabile la ricostruzione della sequenza dei dipinti da lui realizzati. Al 1522 risale l'inerte Fanciulla con libro (Budapest, Museo di belle arti). Di due anni successivi sono il ben più riuscito Gentiluomo con antifonario, firmato, della City Art Gallery di York; la Fanciulla bionda, vanamente palmesca, del Museo Franchetti alla Ca' d'Oro di Venezia; e soprattutto il Gruppo di famiglia delle Royal Collections di Hampton Court, che nel XVII secolo fu acquistato da Carlo I dalle collezioni mantovane dei Gonzaga.

Si tratta del primo dei ritratti con molte figure (ben dieci), realizzato dal L., invero quello in cui la composizione risulta maggiormente rigida e monotona, senza essere adeguatamente riscattata dalla generica atmosfera lottesca che il pittore si sforzò di perseguire. Se le espressioni dei volti appaiono per lo più statiche e piuttosto spente, di fattura assai pregiata sono però il vivace tappeto orientale che ricopre il tavolo e lo squisito brano di natura morta dell'alzata metallica piena di frutta.

L'influsso di Lorenzo Lotto produsse esiti più convincenti nel concentrato e quasi ascetico Ritratto di gentildonna (Bergamo, Accademia Carrara), che dovrebbe collocarsi nella seconda metà del terzo decennio del XVI secolo.

Tre opere del L. recano una datazione nell'anno 1528: l'accostante Ritratto di ventunenne (Mosca, Museo Puškin) e il nitido Ritratto di Stefano Nani (Londra, National Gallery), due opere fra loro affini e ormai lontane dal richiamo del modello giorgionesco, esemplari della concretezza e dell'oggettività che contraddistinguono la matura attività ritrattistica del pittore. Il terzo dipinto del 1528 è il Trittico della Resurrezione, conservato a Lonato (Brescia) nella chiesa di S. Giovanni Battista, la prima fra le poche opere sacre di destinazione pubblica, realizzate dal Licinio.

La pala presenta il Cristo Risorto nel pannello centrale, la Vergine Addolorata in quello sinistro e S. Giovanni Battista in quello destro. Probabilmente, in origine essa doveva essere completata (giusta la ricostruzione di Vertova, 1975, p. 421) da una predella, da due medaglioni laterali - rispettivamente con l'angelo annunciante e la Vergine annunziata - e da una cimasa con l'Eterno. Il trittico del L. costituisce una sorta di risposta semplificata e in tono minore al clamoroso arrivo del Polittico Averoldi di Tiziano, nel 1522 ultimato e collocato nella chiesa dei Ss. Nazaro e Celso a Brescia.

Sempre sul finire degli anni Venti si dovrebbero datare la notevole Madonna col Bambino in trono fra i ss. Pietro e Gerolamo (Waterford, CT, collezione White: ripr. in Vertova, 1975, p. 450), compositivamente un po' arcaica ma di fattura particolarmente morbida e fluida, che, a parte l'inevitabile riferimento a Tiziano, traeva ispirazione soprattutto dalle Sacre conversazioni di Bonifacio de' Pitati; l'elegante e lottesca Dama che mostra un ritratto virile (Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco), in passato scambiata infondatamente per Isabella d'Este; e l'Adorazione dei pastori (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo), in cui, tralasciando la rigidezza delle figure, spiccano il bel paesaggio e ancor più la qualità ritrattistica dei volti dei due pastori.

Un buon numero di opere realizzate dal L. nel quarto decennio sono datate. Nel 1530 il pittore ultimò la pala, firmata, raffigurante la Madonna in trono fra i ss. Agostino e Vito, che si trovava sull'altare maggiore della chiesa di S. Vito, a Ferrara, e fu venduta dalle monache in una data imprecisata del secolo scorso (da allora di ubicazione ignota: ripr. ibid., p. 450); nonché il Ritratto di dama con libro, già a Praga, collezione Lanna (ripr. ibid., p. 458).

Ancora in riferimento all'attività del L. nel 1530, ci sarebbe da considerare l'assai modesta S. Margherita in trono fra le ss. Lucia e Caterina, firmata, oggi alla Pinacoteca dei Concordi di Rovigo; ma fondati dubbi sono stati sollevati intorno alla completezza della data iscritta sul gradino del trono, talché sembra probabile che si tratti di un'opera di qualche anno successiva, comunque largamente dovuta alla bottega.

Nel 1531, sempre con interventi cospicui della bottega, il L. portò a compimento e datò la modesta Madonna con Bambino in trono fra dieci santi francescani, conservata a Veglia (Krk), nella chiesa di S. Francesco, interessante soprattutto in quanto antefatto diretto della principale pala d'altare realizzata dal pittore: quella dipinta per la chiesa dei Frari, a Venezia.

Nel 1532, il L. firmò e datò il Ritratto virile (Vienna, Kunsthistorisches Museum); il Ritratto di dama (Boston, collezione Brandgee); la Madonna con Bambino e i ss. Nicola, Francesco e Ludovico da Tolosa, Londra, collezione Chichester Constable, che richiama da presso la pala già a Ferrara, riproponendone in modo quasi letterale il gruppo di Madonna e Bambino (ripr. in Vertova, 1975, p. 450). E infine, la bilanciata e armonica Sacra conversazione con donatore, del Musée des beaux-arts di Grenoble, in cui il L. rende con perizia l'effetto del drappeggio serico dietro la Vergine, che forma delle profonde pieghe accartocciandosi leggermente su se stesso: un motivo di origine lottesca su cui il pittore sarebbe tornato più volte in quegli anni.

L'unico dipinto datato 1533, e anche firmato, è il Ritratto di dama (Dresda, Gemäldegalerie). A questo periodo dovrebbero risalire i due saggi più compiuti della ritrattistica di gruppo del L.: Arrigo Licinio con la sua famiglia (Roma, Galleria Borghese), e lo Scultore con cinque allievi (Alnwick Castle, collezione del duca di Northumberland).

Di speciale importanza, anche per le informazioni che sono in essa contenute, risulta la tela della Galleria Borghese. Si vede qui effigiato, con particolare precisione e rimarchevole nitidezza, l'ampio nucleo familiare di Arrigo Licinio, composto di nove persone. I cinque figli più piccoli d'età sono collocati in prima fila, con la madre, Agnese, ben salda al centro, a fare da perno di tutta l'immagine. All'estrema destra è il primogenito, Fabio, che fu orefice e incisore di un certo pregio, il quale ostenta un modelletto che riproduce il Torso del Belvedere. Appena sotto di lui, porge alla madre un cesto colmo di roselline Giulio, che sarebbe diventato pittore di buon livello e di buon successo. Tra Arrigo e Agnese è posto Camillo, destinato a una prestigiosa carriera di medico. La tela reca in alto a destra la seguente iscrizione: "Exprimit hic fratrem tota cum gente Lycinus / et vitam his forma prorogat arte sibi", la quale, oltre a dar conto inequivocabilmente dell'identità del gruppo raffigurato, lascia trasparire la soddisfazione e - piuttosto sorprendentemente per il L. - addirittura l'orgoglio per l'esito del dipinto. Il quadro, certo il più celebre del pittore, fece parte del nucleo più antico della collezione del cardinale Scipione Borghese, e fu tra quelli che vennero confiscati da Napoleone. Fors'anche più riuscito appare il dipinto nella collezione del duca di Northumberland, particolarmente vivace e arguto nell'istantanea della bottega dello scultore, attorniato di giovani e malcerti apprendisti alle prese con disegni e modelli. Il ritratto di gruppo presenta anche due iscrizioni che funzionano come ingenue ma gustose didascalie, rendendo più sapida la meccanica comunicativa dell'immagine. Il giovane all'estremità destra, infatti, esibisce speranzoso un suo disegno, raffigurante la Venere tenuta in mano dal maestro, sul quale si può leggere, come in un fumetto: "Vardé si sta ben sto disegno". Quasi un'eco di questa prima è una seconda iscrizione, "le dificile sta arte" (sorta di monito a chi pensasse che la professione di artista possa prescindere da un duro tirocinio), che si legge sul foglio ove un altro allievo sta disegnando una statuetta virile ch'egli stesso sorregge con la mano sinistra. Dai tentativi di assegnare un'identità al maestro qui rappresentato non sono sinora scaturite proposte convincenti.

Il 1535 è l'anno della grande pala dei Frari (Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frari) direttamente commissionata dai frati francescani nella persona del padre maggiore Antonietto. L'opera, firmata e datata, costituisce l'apice del tizianismo del L. - decoroso ma un po' rigido e macchinoso - e, di fatto, ha garantito al pittore nei secoli una qualche, sia pur confusa, fama.

Secondo le fonti sei e settecentesche, la tavola - che rappresenta la Madonna con Bambino in trono e dieci santi - comprensiva della notevole predella raffigurante i Cinque protomartiri francescani del Marocco, si trovava originariamente nella seconda cappella a destra del presbiterio, sinché fu spostata nella sede attuale, la cappella dei Ss. Francescani. Se la composizione, pur sovraffollata, si fa apprezzare per una certa equilibrata monumentalità, è nuovamente nei volti di immediato realismo dei santi (chiaramente dei ritratti, tra i quali, con ogni probabilità, quello di qualche frate del convento francescano), che trovano specialmente modo di emergere le virtù del Licinio.

Nello stesso 1535 furono compiuti anche la mediocre pala con la Madonna in trono con i ss. Lorenzo, Silvestro e un angelo musicante, per la chiesa di S. Lorenzo, a Saletto di Montagnana (Padova), e l'intenso Ritratto di gentiluomo trentenne, della collezione Cini, a Venezia (ripr. in Vertova, 1975, p. 456).

Le ultime opere datate del L. risalgono al quinto decennio del XVI secolo.

Del 1540 è il Ritratto di dama (Pavia, Pinacoteca civica). L'anno successivo vennero realizzate due fra le più alte prove della ritrattistica liciniana, entrambe firmate: il Ritratto di Andrea Palladio (Hampton Court, Royal Collections), l'unica immagine esistente del grande architetto in età giovanile, e soprattutto il mirabile Ritratto di Ottaviano Grimani, procuratore di S. Marco (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Il dipinto più tardo del L. che rechi una datazione, nonché la firma del pittore, è infine il Ritratto della contessa di Valmerode, già nel Museo ducale di Gotha e oggi di ubicazione ignota (ripr. ibid., p. 466), del 1546. Dovrebbero risalire alla sua attività estrema anche altre buone riuscite del L., pur sprovviste di documentazione: la Circoncisione (Wiesbaden, Städtisches Museum); la Madonna con Bambino e s. Francesco (Firenze, Museo degli Uffizi); la Salomè riceve la testa del Battista (Mosca, Museo Puškin); e la Cortigiana con specchio (Sant'Alessio, collezione Salamon).

L'ultimo elemento documentario che riguarda il pittore è la sottoscrizione come testimone di un atto testamentario, il 30 ott. 1549. È probabile che il L. sia morto, a Venezia, non molto dopo quella data.

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1906, pp. 111-119; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Malerei, in Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen, XXIV (1903), pp. 44-57; D. von Hadeln, Einige Bilder und Zeichnungen des B. L., in Monatshefte für kunstwissenschaftliche Literatur, III (1910), pp. 279-282; W.E. Suida, Zur Kenntnis des B. L., in Belvedere, XII (1934-36), pp. 124 s.; R. Pallucchini, Due concerti bergamaschi del Cinquecento, in Arte veneta, XX (1966), pp. 87-97; L. Vertova, B. L., in I pittori bergamaschi. Il Cinquecento, I, Bergamo 1975, pp. 373-467 (con bibl.); Id., B. L., in The genius of Venice1500-1600 (catal.), a cura di C. Hope - J. Martineau, London 1983, pp. 174 s.; G. Fossaluzza, Qualche recupero al catalogo ritrattistico di Paris Bordon, in Paris Bordon e il suo tempo. Atti del Convegno… 1985, Treviso 1987, pp. 183-190; F. Frangi, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, p. 748; F. Moro, B. L., in L'anima e il volto (catal.), a cura di F. Caroli, Milano 1998, pp. 80 s.; Cinquecento veneto. Dipinti dall'Ermitage (catal., Bassano), a cura di I. Artemieva, Milano 2001, pp. 78 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 193.

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