LANINO, Bernardino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LANINO, Bernardino

Alessandro Serafini

Nacque tra il 1509 e il 1513 da Enriotto "de Lanino", tessitore in Vercelli, e da Marchetta (Romano, 1985, p. 13). Non si conosce il luogo di nascita, che potrebbe essere Vercelli, dove viveva il padre, o Mortara, perché in alcuni documenti giovanili è qualificato come "de Mortara" (Schede Vesme, pp. 1389-1391), in forma simile al suo fratellastro per parte di madre, don Francesco "de Mortaria".

Fu proprio don Francesco a interessarsi dell'educazione del L.: con un atto notarile redatto a Vercelli il 2 marzo 1528 egli si accordava col pittore Baldassarre "de Cadighis" di Abbiategrasso perché prendesse con sé il giovane per i prossimi quattro anni, con l'impegno di mantenerlo e di insegnargli l'arte della pittura (ibid., p. 1389). Il tirocinio del L. presso questo sconosciuto pittore non dovette però durare molto, giusto il tempo di rivelare le sue capacità e di passare alla bottega ben più competitiva di Gaudenzio Ferrari, nella cui casa compare, infatti, come testimone in un atto del 22 luglio 1530. Tre anni dopo si doveva essere già emancipato se in un documento del 18 nov. 1533 è qualificato col titolo di "magister" (ibid., p. 1390).

Gli studi legati alla grande mostra vercellese del 1985 hanno definito con sufficiente chiarezza la produzione giovanile del L., orientata prevalentemente alla decorazione ad affresco: l'Ultima Cena conservata nel Museo Borgogna di Vercelli, ma proveniente dal refettorio degli umiliati in S. Cristoforo, la Natività e l'Andata al Calvario, parti del ciclo con Storie di Cristo e degli apostoli nell'oratorio di S. Caterina a Vercelli, e il S. Rocco, già nell'oratorio di S. Rocco nella stessa città (ora Museo Borgogna), sono lavori che provano l'interesse del L. sia per Gaudenzio sia per Gerolamo Giovenone, i due maestri che nel corso del terzo decennio del Cinquecento avevano avviato un radicale rinnovamento della tradizione figurativa spanzottiana fino ad allora dominante nel Vercellese.

Il 24 apr. 1534 la Comunità di Ternengo commissionò al L., grazie all'intermediazione di don Francesco, una pala per la propria parrocchiale (Colombo, pp. 169-171). L'opera è tradizionalmente identificata, nonostante qualche discrepanza rispetto al contratto, con la Madonna col Bambino e i ss. Antonio abate, Giovanni Battista, Sebastiano e Rocco della Galleria Sabauda di Torino.

La fedeltà ai modi del maestro è già ravvivata da una forte identità stilistica: c'è qui una dolcezza più diffusa, resa con un chiaroscuro morbido e avvolgente, ravvivato da lumeggiature, e il segno assume nelle campiture cromatiche quella delicatezza soffice e vaporosa che sarà l'impronta distintiva dell'arte del Lanino.

Quando, nel 1535 Gaudenzio lasciò Vercelli per Milano, il L. divenne nel territorio del Biellese e a Vercelli interlocutore privilegiato della committenza aristocratica locale. Proprio in questi anni si inaugurò il legame con la famiglia biellese dei Ferrero, allora in costante e prepotente ascesa sociale, i cui esponenti occuparono per quasi tutto il secolo la sede vescovile di Vercelli: al lascito testamentario del 1536 del vescovo Agostino Ferrero (Astrua, pp. 107 s.) sono infatti legati gli affreschi a monocromo con i profeti Mosè, Davide, Eliseo ed Elia sulla volta del braccio sinistro del transetto di S. Sebastiano a Biella, una chiesa che i Ferrero avevano fatto costruire come proprio sacrario gentilizio.

Nella seconda metà del quarto decennio il L. lavorò al Sacro Monte di Varallo, dove forse era già stato nel 1530 come aiuto di Gaudenzio: suoi sono infatti i rovinati affreschi (Pinacoteca civica di Varallo) provenienti dalle cappelle della Pentecoste (Discesa dello Spirito Santo) e della Flagellazione (frammenti della scena di Gesù davanti a Pilato).

Momento culminante della sua attività giovanile è la Vergine col Bambino e santi, una tavola firmata e datata 1539, destinata all'altare maggiore della collegiata dei Ss. Pietro e Paolo di Borgosesia.

In quest'opera il L. rielabora il tema della "sacra conversazione" complicandone la struttura tradizionale con un'articolazione in verticale su tre piani e un originale affollamento di personaggi in primo piano: in tale contesto le espressioni dolci e malinconiche di sapore luinesco si animano di una vitalità nuova che raggiunge una notevole riuscita nella celebre figura del putto suonatore di liuto.

Nel 1540, insieme con Gaspare ed Ercole Oldoni e Ludovico Tresseno da Lodi, è documentato attivo nel palazzo vescovile di Vercelli, probabilmente dietro committenza del nuovo vescovo, e cardinale, Bonifacio Ferrero. Si trattava di un grande ciclo di affreschi nel salone del primo piano di cui rimangono cinque episodi dell'Eneide, inquadrati entro una raffinata partitura architettonica di cornici, lesene e basamenti.

È purtroppo impossibile ricostruire con esattezza l'iconografia del ciclo e di conseguenza chiarire le motivazioni della presenza di questo soggetto profano nelle sale del vescovado, che forse i Ferrero concepivano come una sorta di palazzo di famiglia, ma è comunque contestualizzabile entro la raffinata cultura umanistica della Vercelli cinquecentesca che stava allora rielaborando il mito della sua fondazione preromana (Galante Garrone, pp. 56-61).

Intorno al 1542 si può datare la Madonna col Bambino e i ss. Rocco, Sebastiano, Andrea e Antonio abate del santuario della Madonna di Oropa, il cosiddetto "stendardo" della città di Biella, promesso dalla Comunità al santuario come voto per la salvezza dalla peste del 1522 (per una datazione posteriore: Quazza, p. 261).

Il 22 apr. 1542 il L. riconobbe e accolse in casa sua i figli naturali Cesare e Margherita, entrambi nati da Leona, moglie di Giovanni Pietro "de la Sgurora", versando a quest'ultimo le spese per il passato mantenimento (Schede Vesme, p. 1391). L'anno successivo prese in moglie Dorotea Giovenone, figlia del pittore Gerolamo (ibid., pp. 1391 s.). Sempre nel 1543 firmò e datò due importanti pale d'altare: la Sacra Famiglia coi ss. Paolo, Gregorio e Maria Maddalena della National Gallery di Londra, dipinta per l'altare della cappella della Maddalena nella chiesa domenicana di S. Paolo a Vercelli, e l'Assunzione della Vergine, con Storie mariane nella predella e l'Eterno nella cimasa, in S. Sebastiano a Biella.

La tavola londinese, identificata con l'ancona commissionata il 29 nov. 1540 da Francesco "de Strata" (ibid., pp. 1391, 1411 s.), esponente di un'aristocratica famiglia vercellese di medici e di togati, è un'opera di grande impegno sia per modernità linguistica, perché testimonia il momento di autonomia da Gaudenzio prima dei lavori in Lombardia, sia per attualità iconografica: colpisce infatti leggere sul foglietto retto da s. Paolo la scritta "iustificati ergo ex fide", citazione della Lettera ai Romani (V, 1) in quegli anni al centro del dibattito teologico sulla tesi della giustificazione per fede.

Probabilmente legata al patrocinio di Bonifacio Ferrero, che morì il 2 genn. 1543, è l'Assunzione di Biella, dove il devoto inginocchiato veste l'abito dei canonici lateranensi.

Il crescente prestigio del L. nel corso del quinto decennio è documentato dal proclama dell'8 ott. 1544, con il quale il principe di Piemonte Emanuele Filiberto disponeva che fosse concesso al pittore di dipingere le armi di casa Savoia nei luoghi "dictionis Transalpine" (Ragusa, p. 222). Lo conferma poi l'orgogliosa firma - "Bernardinus linea Apellea" - che compare sul Compianto su Cristo morto con s. Caterina d'Alessandria, una tavola datata 1545, ora alla Galleria Sabauda di Torino, che presumibilmente proviene da S. Sebastiano a Biella (Schede Vesme, p. 1411).

Ciò che colpisce di questa, come delle altre pale sacre dipinte per la chiesa della famiglia Ferrero, soprattutto se confrontate con le esperienze pressoché contemporanee di Saronno, Novara e Milano, è il rifiuto di qualsiasi sperimentazione linguistica a favore di una scolastica imitazione dei modelli gaudenziani, in questo caso il Compianto della Galleria Sabauda: un conformismo spiegabile non solo con l'impegno tridentino del nuovo vescovo Pier Francesco Ferrero, ma anche col dominante gusto conservatore di gran parte del patriziato subalpino.

Scomparso a Milano Gaudenzio Ferrari (31 genn. 1546) e avviatasi a conclusione la parabola artistica del vecchio Gerolamo Giovenone, il L. divenne il pittore più apprezzato di Vercelli e uno degli artisti più richiesti sulla piazza piemontese. Nell'aprile del 1546 sottoscrisse un accordo con la Compagnia di S. Giuseppe per decorare la cappella omonima nel duomo di Novara con Storie della Vergine (affreschi staccati e riportati nella nuova sacrestia del duomo), commissione che un altro allievo di Gaudenzio, Giovan Battista Della Cerva, aveva invece rifiutato (Sacchi, 1988): i pagamenti al L. si susseguono negli anni 1546, 1549 e 1553 (Quazza, p. 259), un lasso di tempo piuttosto ampio, giustificabile col fatto che egli era allora attivo anche in altri cantieri. Agli anni 1546-48 risale infatti il suo primo intervento a Milano quando realizzò gli affreschi nella cappella di S. Caterina, presso la basilica di S. Nazaro, con Scene della vita della santa.

Gli affreschi, danneggiati dallo strappo ottocentesco e dai continui rimaneggiamenti, erano stati allogati in un primo tempo a Gaudenzio Ferrari e poi al L. dal capitolo del luogo pio intitolato a S. Caterina (ibid., pp. 253 s.). Morto Gaudenzio, l'impresa fu continuata dal L. e da Della Cerva, che peraltro percepì un compenso più alto (Sacchi, 1988). L'episodio conferma che gli allievi di Gaudenzio - il L., Dalla Cerva e Giuseppe Giovenone - avevano ereditato gran parte delle committenze del maestro e avevano costituito a tal fine una vera e propria società, che risulta però già sciolta il 1° sett. 1548 (Ragusa, p. 223).

A questo periodo chiave della sua esperienza artistica appartiene anche il bel Compianto su Cristo morto in S. Giuliano a Vercelli, una tavola firmata e datata 1547. Nello stesso anno fu chiamato a completare la decorazione del tiburio del santuario di S. Maria dei Miracoli (Schede Vesme, pp. 1392, 1411), la cui cupola era stata affrescata da Gaudenzio nel 1535-36: negli affreschi dei pennacchi con le Storie di Caino e Abele, pur adeguandosi allo stile del maestro, cercò di aggiornarlo con richiami a Michelangelo nelle figure di ignudi.

Alla metà del secolo sono databili gli affreschi, firmati, con Storie di s. Giorgio e Storie bibliche della cappella di S. Giorgio in S. Ambrogio a Milano, di cui sono ignote sia la committenza, forse riconducibile ai monaci cistercensi (Sacchi, 1986, pp. 138-146), sia la datazione, che dovrebbe però non essere distante da quella degli affreschi di Novara.

Contemporanea deve essere anche la tavola con Marte e Venere di Parigi, Musée du Petit-Palais, un raro esempio di pittura profana già attribuito alla scuola di Fontainebleau e riconsegnato al L. (Griseri, p. 20), la cui fonte è stata individuata in un'acquaforte di Jean Mignon (Piovano, pp. 173 s.).

Nel 1552 dipinse, firmandola e datandola, la Madonna del Rosario (Raleigh, North Carolina Museum of art), una tavola a olio ottimamente conservata e di grande qualità.

Obbligato dalla committenza, certamente domenicana, ad affollare la composizione con una schiera di devoti inginocchiati, il L. non rinuncia però alle amate espressioni di dolce concentrazione e a brani di raffinata pittura: i capelli del Bambino e degli angeli, l'intaglio del trono, la preziosità di vesti e rosari. Esattamente questa perizia tecnica, la "prattica", e l'abilità nel mettere in immagine i "moti" interiori furono le qualità più lodate dai contemporanei, come G.P. Lomazzo e B. Taegio, che tramandarono l'immagine della sua pittura "colta, devota e aggraziata" (Galante Garrone, p. 130).

All'inizio del sesto decennio il L. era impegnato su più fronti: a Vigevano, nel duomo, per le ante dell'ancona del Battista dipinta da Bernardino Gatti, detto Sojaro (solitamente identificate nelle quattro tele a tempera con Storie del Battista del Museo Poldi Pezzoli di Milano); a Novara, dove portò a termine gli affreschi della cappella di S. Giuseppe nel duomo; a Vercelli per diverse commissioni, tra cui le pitture e un'ancona, perdute, nella cappella della famiglia "de Agaciis" in S. Paolo (Schede Vesme, p. 1393); a Milano, dove, entro il 1555, terminò l'Ultima Cena in S. Nazaro (copia con variazioni di quella eseguita da Gaudenzio circa dieci anni prima per S. Maria della Passione), il Battesimo di Cristo per S. Giovanni in Conca e il perduto ciclo con Storie di s. Ambrogio in S. Maria Segreta. Affrescò ancora cappelle e dipinse tavole d'altare a Mortara (l'Adorazione dei magi in S. Croce del 1553), a Saronno e a Casale Monferrato, dove nel 1554 realizzò, sul modello della xilografia düreriana, la Circoncisione di Cristo per la Confraternita dell'Oratorio del Gesù (Schede Vesme, p. 1411).

In questa frenetica attività, senza dubbio resa possibile da una bottega infaticabile e ottimamente coordinata visto il livello costantemente alto delle realizzazioni, va però considerato il diverso ruolo svolto dal L. a Vercelli e a Milano: nel primo caso pittore "ufficiale" della città, attivo per l'intera classe egemone, nel secondo pittore dei rappresentanti del clero e dei luoghi pii.

Tra i lavori milanesi spicca il Battesimo di Cristo (Milano, Pinacoteca di Brera, in deposito presso il battistero di S. Filippo di Busto Arsizio), dipinto per la distrutta chiesa di S. Giovanni in Conca, su commissione dell'ospedale Maggiore. L'opera, eseguita a Vercelli tra il 1553 e il 1555 e poi spedita a Milano (Sacchi, 1986, pp. 153-156), appartiene interamente alla cultura milanese del L., meditata su Leonardo, Bernardino Luini e Cesare da Sesto: come già nel Martirio di s. Caterina o nell'Ultima Cena di S. Nazaro, le reminiscenze gaudenziane sono accantonate a favore di una moderna rilettura dei leonardeschi, giocata qui nella tipologia dei due angeli astanti, nel paesaggio roccioso di amplissimo respiro, nelle sfumature delle vesti a colori morbidi e tenui.

L'8 sett. 1555 battezzò il figlio legittimo Gerolamo (Schede Vesme, p. 1394). La firma e la data 1557 compaiono nella Pentecoste della parrocchiale di S. Silano a Romagnano Sesia. La scritta sembra però essere sospetta; e, per ragioni compositive e stilistiche, c'è chi data la tavola quasi vent'anni dopo (Quazza, p. 262). È invece ben leggibile la data 1558 sul retro del Ritratto di Cassiano Dal Pozzo senior (Roma, Pinacoteca Capitolina), un patrizio biellese che fu primo presidente del Senato di Piemonte.

La tavola, arricchita di emblemi e motti latini allusivi alla fugacità dell'esistenza e alla pratica di vita morale, appartiene a un clima raffinato ed erudito che ispirava anche una perduta Allegoria del Tempo, datata 1558.

Sempre al 1558 risale il Compianto su Cristo morto, una tavola firmata e datata, già in S. Lorenzo a Vercelli e ora alla Galleria Sabauda, in cui il committente Francesco "de Pectis", patrizio vercellese e capitano ducale, è ritratto in ginocchio a sinistra. Subito dopo si datano gli affreschi con Storie di s. Caterina, frammenti di un ciclo unitario, parte in situ e parte al Museo Borgogna, che decorava le pareti e la volta dell'oratorio della Compagnia dei Disciplini della chiesa di S. Caterina a Vercelli, la più importante confraternita laica della città.

Compaiono qui in un'impaginazione semplice e chiara, con ampie aperture su sfondi di paesaggio, quei santi adolescenti coi volti reclinati e le mani al petto che affolleranno le opere degli anni Sessanta. In questo arco di tempo si colloca, secondo Quazza (p. 244), la Crocifissione con santi e donatori, già in una cappella laterale di S. Sebastiano a Vercelli e ora al Museo civico di Biella, forse dipinta con la collaborazione del figlio Cesare o di Boniforte Oldoni (per una datazione alla metà del secolo si veda invece Astrua, pp. 117 s.).

Il 28 ag. 1559 il L. si impegnò, con Giuseppe Giovenone il Giovane, Eusebio ed Ercole Oldoni, a dipingere le armi ducali per Emanuele Filiberto di Savoia (Ragusa, p. 227). Con due commissioni del 1560 in S. Eustorgio - un'Adorazione dei pastori e un'Adorazione dei magi, entrambe perdute (Sacchi, pp. 160 s.) - si concludeva definitivamente la sua "stagione" milanese. Rimaneva però alta la sua reputazione a Vercelli: in quello stesso anno infatti, in occasione dell'ingresso solenne dei duchi Emanuele Filiberto di Savoia e Margherita di Valois, il 7 novembre, progettò e decorò due archi trionfali per l'apparato dei festeggiamenti (Piovano, 1986, pp. 176-178). Sempre nel 1560 aveva stipulato una convenzione per l'esecuzione di affreschi con Storie della Vergine nella cappella maggiore della chiesa di S. Magno a Legnano, firmati e datati 1564 (Schede Vesme, pp. 1395-1397), dove si annuncia un ritorno quasi nostalgico, dopo l'esperienza leonardesca, ai moduli gaudenziani, con intenti ormai didascalici e narrativi.

Contemporaneamente il L. era però capace di exploits manieristici come la Madonna col Bambino e i ss. Francesco e Bernardino, detta la Madonna del Cane (Vercelli, Museo Borgogna), una tavola firmata e datata 1563, proveniente forse dalla cappella gentilizia della famiglia Volpi nella chiesa di S. Francesco a Vercelli, o il Battesimo di Cristo in collezione privata a Kilchberg (Zurigo).

Nel 1564 firmò e datò la Madonna col Bambino e i ss. Giovanni Battista, Lucia, Rocco e Agostino della Galleria Sabauda. Insoliti documenti di tradizionalismo a oltranza, quasi di anacronismo, sono invece i due polittici di Valduggia e di Campiglia Cervo.

Il primo, firmato e datato 1564, eseguito al tempo del parroco Francesco Franchineto (Schede Vesme, p. 1396), è un polittico a due ordini (nel primo, nello scomparto centrale, Madonna col Bambino e santi, in quello a destra S. Giovanni Battista, a sinistra S. Giorgio; nel secondo i Ss. Stefano e Biagio vescovo a sinistra e i Ss. Antonio abate e Pietro a destra; nella cimasa l'Eterno benedicente; nella predella i Quattro Padri della Chiesa e i Dodici apostoli) le cui tavole sono inserite sulla parete di fondo del coro della parrocchiale di S. Giorgio, forse nella collocazione originale, e conservano la ricca cornice a colonnine e cornicioni. La divisione a scomparti, l'impianto monumentale e il carattere arcaizzante ricorrono anche nel polittico di Campiglia Cervo (nel primo ordine sono rappresentati la Madonna col Bambino e santi; nel secondo la Pietà e quattro santi; nella cimasa l'Eterno; nella predella i Padri della Chiesa e angeli adoranti il Santissimo), nella chiesa dei Ss. Bernardo e Giuseppe, realizzato nel 1565 per la Comunità della Valle d'Andorno (Schede Vesme, pp. 1397, 1413). Nei due polittici, come negli altri dipinti commissionati in questi anni da confraternite e parrocchiali, la volontà di mantenersi entro il tracciato della tradizione, di cui si dava una versione sempre più semplificata e accessibile, sembra specchiare la nuova contrita devozione postridentina. In effetti col vescovo Guido Ferrero (1562), e ancor di più col suo successore, Giovanni Francesco Bonomi (1572), fedelissimo di Carlo Borromeo, anche a Vercelli si era aperta ufficialmente la stagione della Controriforma. Se l'interprete privilegiato, da un punto di vista artistico, delle nuove direttive fu trovato in Giuseppe Giovenone il Giovane, il L. non mancò di adeguare il suo linguaggio alle esigenze del momento; tuttavia il moltiplicarsi di commissioni di opere a fini devozionali e propagandistici, le rigide imposizioni di iconografie e di modelli attardati contribuirono allo scadimento della qualità e favorirono il lavoro in équipe della bottega, la cui prima conseguenza fu una forte omologazione stilistica.

Lo si riscontra nell'Adorazione del Bambino con s. Ambrogio in S. Paolo a Vercelli (1565), legata al lascito testamentario di Giacomo Francesco Olgiati (Schede Vesme, p. 1396), o nel gonfalone della Confraternita di S. Anna di Vercelli (Museo Borgogna), dove accanto alla Madonna col Bambino, s. Anna, l'arcangelo Gabriele e s. Pietro Martire sono raffigurati genuflessi tre membri della Confraternita, i cosiddetti "sacconi", in camice e cappuccio bianco. Risale al 1567 la Natività con s. Andrea e angelo musicante (Sarasota, FL, John and Mable Ringling Museum of art), una tavola firmata e datata che ripete la Natività di Gaudenzio Ferrari conservata nello stesso museo.

Solo nel 1568 il L. completò, firmandola e datandola, la pala votiva per la Comunità di Vercelli, la cosiddetta Madonna della Grazia, commissionatagli molti anni prima, nel 1554, per sciogliere un voto formulato nella chiesa di S. Paolo in occasione della liberazione della città dalle truppe francesi, avvenuta il 18 nov. 1553 (Astrua, in B. L., pp. 119-123).

Secondo il contratto, che fissava con precisione l'iconografia e il tipo di cornice, il pittore avrebbe dovuto seguire il modello della Madonna degli Aranci di Gaudenzio, ma l'elaborazione dell'opera fu tormentatissima. La pala, tuttora in S. Paolo, ricalca sì il modello gaudenziano, ma la scenografia è più ricca e grandiosa (l'aumento del numero dei santi rispetto al contratto fu peraltro uno dei motivi che condizionarono la lenta realizzazione e provocarono un contenzioso coi committenti): il L. cercò così di trovare una soluzione moderna al modello imposto, macchinoso e datato, ricorrendo a citazioni dalla S. Cecilia di Raffaello, rischiando però, nonostante il virtuosismo stilistico ineccepibile, di perdersi in un eccessivo affastellamento di figure.

Il 1° nov. 1568 il L. citò in giudizio per debiti il figlio Cesare. Nel 1570 iniziò la decorazione della cappella di S. Benedetto nel duomo di Novara, che comprendeva la Crocifissione coi ss. Benedetto, Gaudenzio e Maddalena (del 1575 circa per Galante Garrone e Astrua, che vi riconoscono l'intervento dei figli Pietro Francesco e Gerolamo). L'anno successivo realizzò, insieme con i figli, la Madonna col Bambino e i ss. Lorenzo, Giorgio, Giovanni Battista ed Eusebio per l'altare maggiore di S. Lorenzo a Lessona (Schede Vesme, pp. 1397 s.). Prima del 1573 dipinse la Madonna col Bambino, s. Agostino che presenta il donatore e s. Biagio per la chiesa di S. Biagio a Valdengo.

Il 3 febbr. 1576 il pittore, "infermo per la gotta", fece testamento: dispose in primo luogo di essere sepolto in S. Lorenzo a Vercelli, lasciò beni alle figlie, alla moglie Dorotea e al figlio naturale Cesare ed elesse eredi universali i figli legittimi Pietro Francesco, Gerolamo ed Enriotto Antonio (Colombo, pp. 208-214). Nello stesso 1576 firmò e datò la Madonna col Bambino e i ss. Michele e Giovanni Battista che presenta un donatore con le insegne della croce di Malta del vescovado di Vercelli.

Del 1577 era la tavola, perduta, con Cristo alla colonna e i ss. Andrea e Tommaso e il donatore, già sull'altare destro della parrocchiale di S. Bartolomeo a Trino Vercellese (Quazza, p. 268). Al 1578 risalgono la Madonna del Rosario di S. Lorenzo a Mortara, commessa dalla Compagnia del Rosario per l'altare della propria cappella (Schede Vesme, pp. 1414, 1435), e l'Assunzione della Vergine dell'arcivescovado di Vercelli. All'interno della tarda produzione del L., in gran parte caratterizzata dalla monotona presenza di schiere di disciplinati o di devoti tristi ed emaciati, spicca per originalità e qualità di esecuzione l'Annunciazione del Museo Borgogna, che gli studi più recenti (Astrua, in B. L., pp. 142-144; Quazza, p. 279) collocano dopo il 1575: il recupero dell'impianto delle annunciazioni quattrocentesche, l'uso di modelli estranei alla tradizione vercellese (un'incisione di Cornelis Cort), la pennellata quasi tremula, da "non finito", e il colore opaco, smorzato su una bassa uniformità tonale, fanno di quest'opera il culmine della sperimentazione linguistica del vecchio pittore in direzione del raffinato tardomanierismo europeo.

Negli anni successivi il L. continuò a lavorare con continuità, probabilmente ormai in stretta collaborazione coi figli secondo una pratica di bottega e un'esigenza di mercato che imponevano continuità di modelli e di stile: si ricordano almeno l'Assunzione della Vergine dei Ss. Pietro e Giorgio a Rosazza, databile intorno al 1578, già data a Gerolamo; la Pentecoste del Museo Leone di Vercelli, una tela molto rovinata; l'Assunzione della Vergine nel coro di S. Maria Assunta a Cossato, firmata ma forse eseguita con l'aiuto dei figli; il Martirio di s. Caterina del Musée d'art et d'histoire di Ginevra; la Madonna col Bambino, santi e devoti della chiesa di S. Giorgio a Vicolungo; la tavola centinata con il Matrimonio mistico di s. Caterina della parrocchiale dell'Annunziata di Motta de' Conti, identificata con quella citata in un documento del 18 genn. 1580 (Schede Vesme, pp. 1399 s.); la Madonna col Bambino e le ss. Caterina e Orsola che presentano devote nella parrocchiale di S. Valerio a Occimiano, firmata e datata 1580, che fu commissionata da Francesco Rafaldo, fondatore e priore della compagnia di S. Orsola (ibid., pp. 1414 s.).

L'ultimo lavoro conosciuto del L. sono i ventiquattro scomparti in affresco provenienti dalla chiesa di S. Francesco a Vercelli (Museo Borgogna), raffiguranti l'Annunciazione, Sibille e Angeli musicanti, su uno dei quali è stata letta la data 1581 (Quazza, pp. 279 s.): al complesso, ignorato dalle fonti, sono legati due disegni della Biblioteca Ambrosiana che ne confermano l'autografia (Coleman, Renaissance, 1984, pp. 76-78, nn. 30 s.).

Il L. morì a Vercelli tra il 26 nov. 1582 e il 25 apr. 1583 (Ragusa, p. 234).

Abilissimo disegnatore, il L. ha lasciato una cospicua produzione grafica (notevoli, tra gli altri, i fondi della Biblioteca reale e dell'Accademia Albertina di Torino, della Biblioteca Ambrosiana di Milano e della collezione Janos Scholz di New York, Pierpont Morgan Library), anche se non è semplice ricostruire con esattezza il catalogo per le molte situazioni dubbie tra il L. stesso, la bottega e i suoi figli (Coleman, Notes, 1984; Id., Renaissance, 1984; Romano, 1986, pp. 284-289).

Fonti e Bibl.: G. Colombo, Documenti e notizie intorno gli artisti vercellesi, Vercelli 1883, pp. 169-171, 208-214; A. Griseri, Un poeta della Controriforma in Piemonte, in Paragone, XV (1964), 173, pp. 17-28; V. Viale, Civico Museo Francesco Borgogna. I dipinti, Vercelli 1969, pp. 52-60; G. Galante Garrone, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell'Accademia Albertina (catal.), a cura di G. Romano, Torino 1982, pp. 56-61, 129-131, 149-151, 155-165; C. Mossetti, ibid., pp. 131-148, 152-154; Schede Vesme. L'arte in Piemonte, IV, Torino 1982, pp. 1389-1438; R.R. Coleman, Renaissance drawings from the Ambrosiana (catal.), Notre Dame, IN, 1984, pp. 74 s.; Id., Notes on some sixteenth-century Vercellese drawings: B. L. and his workshop, in Master Drawings, XXII (1984), 2, pp. 179-185; B. L. (catal., Vercelli), a cura di P. Astrua - G. Romano, Milano 1985 (con bibl.); G. Romano, B. L. e il Cinquecento a Vercelli, ibid., pp. 13-24; F.M. Ferro, Percorso di B. L., in Boll. stor. per la provincia di Novara, LXXVI (1985), 1, pp. 121-128; L'iconografia musicale in B. L. (catal.), a cura di M.G. Carlone, Vercelli 1985; G. Tibaldeschi, Spigolature su B. L., in Boll. stor. vercellese, XIV (1985), pp. 35-50; G. Romano, in B. L. e il Cinquecento a Vercelli, a cura di G. Romano, Torino 1986, pp. 13-62, 284-289; P. Astrua, ibid., pp. 65-81, 102-120; L. D'Agostino, ibid., pp. 82-101; R. Sacchi, ibid., pp. 121-162; E. Pagella, ibid., pp. 165 s., 181-202; L. Piovano, ibid., pp. 167-179, 203-218; E. Ragusa, ibid., pp. 220-237; A. Quazza, ibid., pp. 240-283; C. Berelli, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1988, pp. 744 s.; R.R. Coleman, B. L. (1515/17 - c. 1583) and the Laninian current in sixteenth-century Piedmontese-Lombard painting, Chicago 1988, pp. 629-632; R. Sacchi, Della Cerva, Giovanni Battista, in Diz. biogr. degli Italiani, XXXVI, Roma 1988, pp. 730 s.; Pinacoteca di Brera. Scuola lombarda, ligure e piemontese 1535-1796, Milano 1989, pp. 68-79; A. Di Lorenzo, Gaudenzio Ferrari e la cupola di Saronno, in Il concerto degli angeli, Milano 1990, p. 30; D. Gnemmi, Minori maniere in Piemonte, in I Quaderni dell'arte, IV (1994), 7, pp. 85-88; A. Poletti, La Confraternita del Rosario a Mortara: vicende storiche e committenze artistiche, in Boll. della Società pavese di storia patria, n.s., XLVII (1995), pp. 167-234; R.R. Coleman, The "Flagellation of st. Catherine" by B. L. in Chicago, in Arte lombarda, n.s., CXVII (1996), 2, pp. 102-108; G. Castelli, La pala di Rosasco. Raffronti tra cartone e tela, in Viglevanum, IX (1999), pp. 16-21; M. Calì, La pittura nel Cinquecento, II, Torino 2000, pp. 366-382; S. Baiocco, Giovenone, Gerolamo, in Diz. biogr. degli Italiani, LVI, Roma 2001, pp. 412-414; Id., Giovenone, Giuseppe, ibid., pp. 415-417; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, pp. 355 s.; The Dictionary of art, XVIII, pp. 747 s.

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