CORIO, Bernardino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORIO, Bernardino

Franca Petrucci

Di nobile e antica famiglia, nacque a Milano l'8 marzo 1459 da Marco e da Elisabetta Borri.

Sposò nel 1483 Agnese Fagnani, nipote di Piattino Piatti, che morì nel 1500 e che gli dette Marco Antonio, Giovan Francesco, Elisabetta, Francesca e Faustina. Di lui, che fu storico dalla fama non costante e letterato mediocre, si conoscono pochi dati biografici, per la maggior parte testimoniati da lui stesso nella sua opera. Al suo battesimo parteciparono oltre al futuro duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, eminenti personaggi cittadini, quali Cicco Simonetta, Tommaso Tebaldi, Roberto Sanseverino ed altri. Ricevette probabilmente un'educazione umanistica, ma non imparò il greco. Giovanissimo divenne cameriere del duca di Milano, il 28 marzo 1474, e in questa veste fu testimone della sua uccisione nel dicembre del 1476. Il mese successivo, il giorno 18, la reggente lo nominò cameriere del duca bambino, Gian Galeazzo. Bona si servì di lui successivamente, nell'ottobre del 1479, quando lo incaricò di portarsi, insieme a Francesco Ferrari, a Piacenza e a Pavia per preparare quanto occorreva per ricevere il card. d'Aragona e il duca Ercole d'Este.

Nel 1485, quando Ludovico il Moro era ormai saldamente al potere, il C. fu forse fra gli inviati milanesi a Venezia in occasione delle celebrazioni per la pace di Bagnolo, stipulata l'anno prima. Ne parla egli stesso nella sua opera, in cui l'espressione "ritornassimo", alla prima persona plurale, cioè, induce a congetturare la sua partecipazione a questo viaggio. Tre anni più tardi ebbe dal Moro un incarico simile a quello che aveva assolto per Bona: nel marzo, ancora insieme a Francesco Ferrari, fu inviato a Lodi a preparare il ricevimento di Ercole d'Este. Bisogna arrivare al 1499 per trovare un altro incarico pubblico attribuito al Corio. Dal primo giugno di quell'anno egli diveniva infatti giudice delle Strade e la carica avrebbe dovuto avere la durata di due anni; nella lettera di nomina furono ricordati i suoi "absidui labores... in scribendis illustrissimorum principum Vicecomitum laudibus". Com'è noto, però, nel settembre di quel medesimo anno Ludovico il Moro dovette abbandonare la città, che fu occupata dalle truppe francesi. Il 19 agosto il duca, mentre incombeva la minaccia transalpina, aveva indirizzato al C. una lettera in cui gli aveva affidato l'incarico di censire gli uomini validi di ciascuna porta, che avrebbero dovuto provvedere alla difesa della città.

Dopo la rovina del Moro il C. si rifugiò con la famiglia fuori di Milano, in un suo possedimento a Niguarda, e nel 1503 dette alle stampe a sue spese l'Historia patria, da lui cominciata a comporre nel 1485, secondo quanto egli stesso afferma nell'opera, quando, dice, per l'infuriare della peste nella città: "standomi in solitudine... diede principio al componere ... con diligente lucubrazione e spesa de la ... borsa". Le ricerche che intraprese furono favorite anche dal Moro, che gli aprì gli archivi ducali e invitò religiosi, abati e ufficiali a collaborare con lui nella ricerca di testimonianze scritte per la sua opera. Il duca, anche se molto probabilmente non lo stipendiò mai come storiografo ufficiale, gli concesse un copista a sue spese.

Non è nota la data di morte del Corio invalso l'uso di accettare il 1519 come anno probabile della sua scomparsa, secondo l'affermazione di P. Giovio (Elogia doctorum virorum..., Basileae 1556, pp. 135 ss.), che lo dice morto a sessant'anni, aggiungendo però che la causa della morte sarebbe stato il dolore per la sorte degli Sforza; il che lascia perplessi, perché egli, nonostante la sua disperazione, sarebbe sopravvissuto quasi venti anni alla rovina del Moro. A rendere più misteriosa la data di morte del C. è non solo la mancanza di documenti che la testimonino sicuramente, ma anche il fatto che esisteva alla fine del Quattrocento almeno un suo omonimo, figlio di Giovan Giacomo. Non è provato quindi se sia il nostro il Bernardino che nel 1513 divenne decurione di Milano e tanto meno se sia lui il personaggio che nel 1524 figura in un catasto (E. Belgioioso, Guida del Famedio..., Milano 1888, p. 92). Si sostiene, inoltre, che egli fu seppellito nella cappella di famiglia della chiesa milanese dei SS. Nabore e Felice, che prese poi il nome di S. Francesco. Sulla sua tomba sarebbe stato posto il distico di Stefano Dulcino, che compare nella xilografia che lo rappresenta.

Fra le opere minori del C., l'Utile dialogo amoroso fu pubblicato da A. Minuziano, nel 1502, con una presentazione di Lancino Curzio (Corti), che lo loda blandamente, annunciando l'opera maggiore che sarebbe stata di ben altro respiro. L'edizione è fornita anche di una xilografia, che, rappresentando una figura scalza, vestita di una lunga tunica, che sorregge lo stemma dei Corio, sovrastata da un cartiglio con la didascalia "Bernardinus", fu interpretata da alcuni come il ritratto giovanile del C. e da altri, come la raffigurazione della Virtù. Il dialogo, che si svolge fra Nicerato ed Euphilo, narra la storia dell'amore infelice del primo per la bella Cyllenia e del conforto che a costui presta Euphilo. Introducendo la finzione dello smarrimento in una valle e due epistole, il C. compie quello che può essere considerato un vero e proprio plagio della Deifira di L. B. Alberti, con l'inserimento di un brano del Corbaccio di G. Boccaccio. L'esercitazione letteraria del C. si limita quindi quasi soltanto a una traduzione in volgare lombardo della prosa toscano-latineggiante dell'Alberti.

Nelle Vitae Caesarum il C.raccolse le biografie degli imperatori da Giulio Cesare ad Arrigo VI. In quest'opera, in volgare, che egli pensava come un ampliamento del De viris illustribus del Petrarca o del De casibusvirorum illustrium del Boccaccio, il C. segue il metodo di questi due autori, allineando le testimonianze secondo il principio di autorità. Svetonio ne fu il modello ideale. Esse furono pubblicate nel 1503 insieme all'opera maggiore del Corio.

Il C. avrebbe voluto compilare anche un'altra opera biografica, in tre volumi, che annunciò nell'Historia. Il manoscritto S. Q. + I. 11 della Biblioteca Ambrosiana, con il titolo De gestis veterum illustrium virorum libri duo, conserva il materiale di quest'opera, che rimase inedita. Esso non può dirsi una vera minuta, ma piuttosto una congerie di appunti incompleti e confusi, che forse non costituiscono l'ultimo stadio del lavoro del Corio. Nel primo libro sono raccolte le biografie degli eroi; nel secondo quelle dei filosofi e dei poeti.

L'opera principale del C., da lui terminata il 25 marzo 1503, è l'Historia patria, che narra, in sette parti, la storia di Milano dalle origini alla fuga del Moro in Germania. Come si è detto, egli stesso ne curò la stampa, che uscì per i tipi di Alessandro Minuziano il 15 luglio del 1503. In quest'edizione precedono il testo una lettera di Giuseppe Cusano ai lettori, la prefazione, che si rivolge al card. Ascanio Sforza, il De laudibus historiae, al medesimo, e la Defensio historiae. Seguono il testo testimonianze in favore dell'opera. Il volume è fornito di alcune xilografie. Una è la stessa che orna l'Utile dialogo amoroso. Una rappresenta la Virtù che sostiene due stemmi, uno dei quali è dei Corio. Un'altra, notissima, è il ritratto del C., raffigurato seduto allo scrittoio con nella destra la penna; ai suoi piedi un cagnolino; in basso i due versi del Dolcino "Bernardine tibi insubres debere fatentur / non minus ac magno Roma superba Tito"; in alto i motti "È bello doppo il morire vivere anchora", "Amica veritas" e "Sustine et abstine"; su un libro aperto una concessione ai dominatori del momento: "Mediolanum, Gallis conditum". Queste xilografie trovano un posto nella storia del libro illustrato e delle stampe incise dell'epoca e sono considerate (Illustrazione del libro e incisione in Lombardia nel '400 e '500, a cura di S. Samek Ludovici, Modena 1960, ad Indicem) opera di un artista della cerchia leonardesca, pur presentando influssi ferraresi-mantegneschi. Alcuni le dissero opera di Bernardino de' Conti, autore invece di un ritratto (Parigi, Museo Jacquemart-André) che si è presupposto essere quello del Corio.

Mezzo secolo più tardi, nel 1554, usciva a Venezia una seconda edizione dell'opera a cura di Gian Maria Bonelli, che ne ritoccava la forma e la forniva di un indice. Del 1565 è la terza edizione, curata da Tommaso Porcacchi, presso il tipografo Giorgio de' Cavalli: edizione gravemente manomessa non solo nella lingua, ma anche nel testo, tagliato e riassunto con disinvoltura. Successivamente si ebbero un'edizione nel 1646 a Padova presso Frambotto, anch'essa sottoposta ad una revisione della forma, e un'altra nel 1855-1857, a cura di Egidio De Magri, che ne modernizzò la lingua. Quest'ultima edizione è stata riprodotta in ristampa anastatica a Milano nel 1975. L'ultima edizione, uscita nel 1978 a Milano, a cura di A. Morisi Guerra, riproduce il testo della prima edizione, premettendovi un'esauriente introduzione, ma non fornendo un indice. Nelle prime quattro edizioni segue al testo dell'Historia quello delle Vitae Caesarum. Nel 1561 cinque orazioni estratte dall'Historia furono inserite nelle Orationi in materia civile e criminale..., a cura di Remigio Fiorentino [Nannini], Vinegia.

A detta di A. Zeno (Dissertazioni vossiane, II, Venezia 1753, pp. 276-85) il testo della Historia fu così celebre a Milano da assolvere una funzione giuridica. Nel 1601 si era anche pensato di procedere a un'altra edizione, a cura dello stesso comune di Milano. In quell'epoca infatti il vicario di Provvisione scriveva a Gian Antonio Tassani perché si accingesse a preparare il testo, purgandolo dei "manifesti errori" e riducendolo "a stile moderno" per la stampa. Più di un secolo dopo fu Giovan Paolo Mazzuchelli che prese le difese del C., nell'opuscolo Pro B. C. Mediolanensi historico dissertatio, pubblicato a Bergamo nel 1712 con lo pseudonimo di Giusto Visconti. Qui il Mazzuchelli difendeva lo storico milanese dagli attacchi portatigli, alla metà del sec. XVI, da G. Vida, che aveva pesantemente criticato l'opera del C., definendola scritta nel dialetto dei facchini della Valtellina. L'Historia, infatti, anche se ha un titolo in latino, è scritta in volgare. Un volgare né limpido, né fluente, che presenta costruzioni latineggianti, reminescenze petrarchesche e lombardismi: una lingua con i difetti e le forzature tipiche dei volgari non toscani prima del Bembo. Lo stile del C., "monotono e rozzo" per il De Magri e "pittorico e vivacissimo" per il Curto, si può considerare il risultato obbligato del suo sforzo di dar vita a una prosa che del latino avesse la solennità, del toscano la naturalezza, della lingua parlata l'immediatezza e che non riuscì se non a oscillare fra questi poli. La scelta del C. di scrivere in volgare era forse stata preparata dalle traduzioni in volgare che erano state favorite nella corte milanese, quali quelle che il Decembrio produsse per Filippo Maria Visconti e Cristoforo Landìno per il Moro.

Uno dei difetti dell'Historia è la mancanza di senso critico che il C. dimostra nell'accogliere i dati delle fonti. Egli le riporta senza alcun discernimento, cosicché anche il favoloso trova luogo nella sua storia. Tale limite provoca ovviamente giudizi severi: lo si dice privo dell'arte dello storico; si arriva ad accusarlo di citare "le più matte fantasie del mondo". Più grave è il fatto che il C., quando si basa su una fonte, l'assume toto corde, cosicché si può osservare che egli si abbandona a tirate antiecclesiastiche solo per un periodo determinato della sua storia, desumendole cioè non da convinzioni, ma dalla fonte di cui si serviva per quel periodo. Così si arriva a dei veri e propri plagi. Per seguire infatti il Simonetta, egli si allontana dalla storia della città per portarsi invece a raccontare la storia degli Sforza. Ma non si limita certo a questo, ché, senza citare il Simonetta, né il suo traduttore Cristoforo Landino (ed. 1490, segue il testo di quest'ultimo in modo tale che talvolta copia parola per parola. Questa eccessiva scrupolosità nel seguire le fonti il C. la applica anche nel citare i documenti, che nella sua opera sono abbondantemente riportati, talvolta integralmente, altre volte tradotti in volgare, altre ancora sunteggiati. Attenzione egli pone anche nel citare testimonianze di lapidi e di monumenti.

Altra caratteristica del C., al quale si debbono addebitare confusioni, imprecisioni e un buon numero di errori storici, è la descrizione particolareggiata, quasi da diarista, di episodi che possono essere considerati marginali, anche se tale minuziosità risulta preziosa per la storia del costume. Ispirandosi a Cicerone, ma con concetti analoghi a quelli del "Proemio in laude della Istoria", che precede la traduzione in volgare delle Guerre giudaiche di Giuseppe Flavio, del 1493, nella sua premessa De laudibus historiae egli sembra enunciare l'idea di un tipo nuovo di storia ispirata agli ideali del Rinascimento. Tuttavia, benché la sua opera non appartenga ormai più ad una storiografia medievale, egli sembra lontano dall'inserirsi in quel filone umanistico cui di diritto appartengono un Bruni o un Merula. La compilazione del C., in cui le notizie sono spesso affastellate senza che siano distinte le più importanti da quelle di minor conto, non sembra preporsi di riconnettere il tempo in cui l'autore scriveva con il passato, allo scopo di mettere in valore la continuità e la consistenza della storia del popolo milanese come prodotto di un'entità culturale e politica identificabile.

Nel rapporto di assoluta e meccanica dipendenza dalle fonti che gli è proprio, il C. sembra quasi indifferente alla materia che tratta, anche se, quando nella seconda parte dell'Historia prende a trattare le vicende di cui è stato testimone, lo stile si vivacizza ed egli sembra riuscire a dare un carattere unitario al suo racconto.

L'opera del C., che un suo editore, il Porcacchi, avrebbe voluto - senza poi attuare il suo proposito - proseguire, fu invece continuata da Giovan Andrea da Prato, che iniziò il suo De rebus Mediolanonsibus sui temporis da dove il C. aveva interrotto la narrazione.

Non sono che minimamente documentati i rapporti del C. con l'ambiente letterario ed artistico della corte sforzesca. Il cod. 1093 della Biblioteca Trivulziana di poesie autografe di Gaspare Visconti contiene alcuni sonetti del C. al Visconti stesso. Lancino Curzio, che come si è visto presentò l'Utile dialogo amoroso, scrisse dei versi, non dedicati, ma contro il C. (L. Curtii Epigrammaton libri decem decados secundae, Mediolani 1521, pp. 12rv, 68v, 84v), piuttosto oscuri, violentemente ostili al C., accusato di essere un traditore, e comunque susseguenti a una rottura della loro amicizia.

Una partecipazione attiva al movimento umanistico il C. la dimostrò con il ritrovamento di un codice di Draconzio, oggi perduto, che documentò trascrivendo due carmi di quest'autore nella sua Historia.

Fonti e Bibl.: Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1947, pp. XVIII, 31, 189; Ph. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediol., I, 2, Mediolani 1745, col. 466; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., III, Milano 1833, pp. 121 s.; P.C. Annoni, Un plagio dello storico B. C., in Riv. ital. di scienze lettere ed arti, II (1874), pp. 57-89; G. Porro Lambertenghi, Della necessità di correggere il C., in Arch. stor. lomb., IV (1877), pp. 852 ss.; F. Gabotto, Di B. C. Notizie e doc. inediti, in Vita nuova, II (1890), pp. 274 ss.; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Lodovico il Moro. Gli artisti lombardi, Milano 1917, ad Indicem; C. Curto, B. C. e la sua "PatriaHistoria", in Arch. stor. lomb., LIX (1932), pp. 110-157; E. Fueter, Storia della storiografia moderna, I, Napoli 1943, pp. 54 ss., 86, 132, 253, 276; G. L. Barni, La vita culturale, in St. di Milano, VIII, Milano 1957, ad Ind.; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1964, p. 179; G. Bologna, Le cinquecentine della Bibl. Trivulziana, I, Milano 1965, p. 61; C. Curto, Studi sulla letter. ital., Torino 1966, pp. 35-82; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci, Firenze 1967, pp. 146, 160; M. Ferrari, Spigolature bobbiesi, in Italiamed. e uman., XVI (1973), pp. 17, 33 s., 36 ss., 40; cfr. anche l'introduzione a B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, Milano 1978 (con ulteriore bibl.).

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