BENEVENTO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1994)

Vedi BENEVENTO dell'anno: 1959 - 1973 - 1994

BENEVENTO (v. vol. II, p. 50)

D. Giampaola; E. Simon

Recenti scavi e un sistematico programma di archeologia urbana stanno fornendo contributi notevoli alla conoscenza dei monumenti e della topografia della città in età romana e medievale.

Abitato. - L'abitato romano coincide solo in parte con il centro storico definito dalla cinta muraria longobarda e si estende anche a O nel sobborgo agricolo di contrada Cellarulo. Il sito fu occupato in modo discontinuo prima della fondazione della colonia nel 268 a.C., come provano gli strati di frequentazione dell'VIII-VII sec. a.C. con buche per pali, sovrapposti a'un più antico livello eneolitico (Via Goduti), e i livelli del VII-prima metà VI sec. a.C. (Via O. Pupillo).

Alla metà del IV sec. a.C. risalgono le terrecotte votive più antiche sinora note, rinvenute entro uno scarico, con materiali di varia datazione, risalente al II sec. d.C. (chiesa di S. Ilario). La presenza in tale scarico anche di una serie di ex voto (parti anatomiche, bimbi in fasce) di tipo medio italico rappresenta uno degli indizi più antichi dell'inserimento di B. nel processo di romanizzazione. Agli inizi del III sec. a.C. sembra potersi ora far risalire la monetazione in bronzo - con toro androprosopo e, in alto, elmo o maschera di sileno a legenda Malies - segno tangibile della vitalità del centro nel momento immediatamente precedente la colonia latina.

Sono stati rinvenuti tratti di mura romane e una delle porte lungo il fiume Calore, già funzionali all'epoca della guerra annibalica. Sulla base dell'orografia, esse potrebbero coincidere a E con la cinta longobarda, tuttora visibile; a O il sito più idoneo sembrerebbe essere il dislivello naturale poi regolarizzato dal criptoportico e dalle sostruzioni del complesso dei SS. Quaranta. In tal caso la città bassa non doveva essere compresa nei limiti originari dell'insediamento, costituendo uno dei poli di espansione probabilmente sullo scorcio del I sec. a.C. Sino a epoca recente, attraverso i pochi studi sulla topografia di B., si riteneva che in epoca più antica il centro sannitico e la città romana si estendessero nel settore O, in particolare in contrada Cellarulo; l'altura a E dell'arco non era intesa come parte dell'abitato. I recenti rinvenimenti inducono a ritenere il settore E già inserito nell'urbanistica più antica e a riconoscervi, con buona verosimiglianza, l'arx. Alla conformazione orografica si aggiunge l'apparente assenza di strutture abitative, mentre un'antefissa da Via Garibaldi, con busto di Minerva, databile intorno alla metà del II sec. a.C. e collegabile a modelli centro-italici, dovrebbe provenire da un importante edificio sacro ubicato nella zona. Tale edificio rientra probabilmente in un programma di monumentalizzazione dell'altura orientale al quale si connette anche la cisterna in blocchi di tufo squadrati (Piazza F. Torre) databile agli inizî del II sec. a.C. In contrada Cellarulo testimonianze archeologiche da età repubblicana fino a epoca imperiale sono state evidenziate in prossimità del ponte Fratto (fornaci e ambienti per attività artigianali).

L'impianto ortogonale della città è caratterizzato da due decumani (Corso Dante - Corso Garibaldi e Via S. Filippo) sui quali si innestano una serie di cardini, con tracciato particolarmente evidente nel settore centro-orientale. Nelle insulae rettangolari è possibile riconoscere un modulo di 1:3. Tratti di basolato relativi ai decumani sono stati rinvenuti in Corso Dante, Via S. Filippo, Piazza Manfredi di Svevia.

L'area del foro (parte centro-occidentale del centro storico, zona del duomo), doveva essere definita dal decumano di Corso Garibaldi, dai cardini a E dell'attuale Piazza Orsini, riconoscibili nella cartografia antica, e dai due archi in laterizio di Via F. Torre e di Via S. Filippo. Questi elementi delimitano uno spazio in parte liberato a causa dei bombardamenti, ma mai scavato sistematicamente, in cui sono visibili imponenti ruderi in laterizî. Correlata all'area forense è quella adiacente di Piazza S. Maria (ex Piazza Pacca), con resti di un edificio termale. Ruderi pertinenti a una terma o a una palestra sono inoltre inglobati negli elevati dei fabbricati del quartiere Bagni, che, separato dal decumano di Corso Dante, fiancheggia Piazza S. Maria. Il dislivello del terrazzo naturale che guarda verso il fiume Sabato si presenta regolarizzato e monumentalizzato da un criptoportico in opera mista di ciottoli e laterizî, di datazione ancora incerta (van Deman: età triumvirale; Johannowsky: fine del II sec. a.C.), sovrastato da un'area porticata connessa verosimilmente a un altro spazio pubblico, forse con funzioni commerciali. Nella parte meridionale, a valle del dislivello, sono ubicati il teatro e l'anfiteatro. Nell'area del teatro, datato comunemente in età adrianea, è stata messa in luce la pavimentazione in lastre calcaree dell'ambulacro esterno, poggiante su uno strato alluvionale databile nell'ambito del I sec. d.C. e violentemente divelta dal crollo di parte degli ordini superiori, verosimilmente a causa del terremoto del 396 d.C. Saggi eseguiti nelle cripte della chiesa di S. Maria della Verità, sulla cavea del teatro, hanno rivelato i piani pavimentali originari del teatro in lastre di terracotta, muri di sostegno della cavea e della pàrodos, al di sotto di uno dei quali sono emerse strutture in opera quasi reticolata, obliterate da un riporto di natura alluvionale avvenuto nel I sec. d.C. L'estensione ridotta dello scavo non permette al momento di stabilire se si tratti di una fase più antica del teatro o di parte di un complesso sistema di fondazioni.

L'anfiteatro, scoperto nel 1985 nei pressi del ponte Leproso, è in corso di scavo: sono parzialmente in luce i muri radiali e uno dei muri anulari; la tecnica in opera mista di blocchetti di calcare e ricorsi di tegole e le ammorsature ad alae dei laterizî inducono a datare l'edificio agli inizî del I sec. d.C. L'area fu occupata in età tardo-romana e altomedievale da nuclei sparsi di necropoli, a indizio del fenomeno di contrazione dell'area urbana e della crisi dei grossi complessi monumentali. Nel settore E del centro storico l'emergenza monumentale più rilevante è l'Arco di Traiano (v. oltre) benché poco noto sia tuttora il suo rapporto con il contesto topografico antico. A un unico quartiere residenziale - sorto alla fine del I sec. a.C. - si riconnettero forse le strutture murarie rinvenute nell'area compresa fra Via del Pomerio e l'argine del Calore, e sotto la chiesa di S. Ilario. Sebbene la ricognizione topografica abbia portato alla scoperta di un ambiente in laterizi in un fabbricato adiacente al convento di S. Agostino, complesso dal quale proviene il numero più consistente di sculture egizie della città, nulla di nuovo si può ancora aggiungere al problema dell'ubicazione puntuale dell'Iseo.

Viabilità. - Immediatamente dopo la fondazione della colonia latina, la città venne raggiunta dalla Via Appia, mentre in un momento non ancora precisabile vi fu esteso il diverticolo della Via Latina che da Teano raggiungeva Alife, Telesia e Benevento. Pertinente alla prima arteria resta, subito fuori della città, il ponte Leproso sul fiume Sabato, databile, nella sua fase più antica, al II sec. a.C.; tratti extra moenia della strada in terra battuta sono stati di recente rinvenuti presso il ponte, in Via S. Clementina. In relazione alla seconda arteria sono ancora visibili i resti dei piloni di un ponte, il c.d. Ponte Fratto, che scavalcava il Calore in contrada Cellarulo. La Via Appia Traiana fu preceduta da un tracciato più antico menzionato da Strabone (V, 282), al quale sono da riconnettere un piccolo ponte, il c.d. Ponticello, sulla confluenza del torrente S. Nicola con il Calore, e un battuto di terra venuto in luce in località S. Marco. Un'altra strada, uscendo dalla città in corrispondenza di un ponte di cui sono visibili pochi resti a valle del moderno ponte Vanvitelli sul Calore, assicurava i collegamenti con il Sannio Pentro. Infine lungo la vallata del Sabato si snodava la via per Avellino.

Necropoli. - Tre sono i nuclei di necropoli preromane finora noti; il primo (Corso Dante, presso Porta S. Lorenzo) sembra presentare una prolungata continuità d'uso da età arcaica sino a età ellenistica; gli altri due (Corso Garibaldi e contrada S. Marco) sono databili al IV sec. a.C. avanzato. Le necropoli di epoca romana sembrano distribuirsi lungo le principali arterie di accesso alla città: in Via S. Pasquale a quanto già noto si aggiunge il recente rinvenimento di tombe a cassa di tegole impostate al di sopra della strada in terra battuta precedente la Via Traiana. In Via Valfortore un monumento funerario dalle pareti affrescate e tombe con ricco corredo di II sec. d.C. si riconnettono al tracciato viario diretto verso l'Alto Sannio. In questo caso l'area è stata riutilizzata con continuità come sepolcreto sino a epoca tardoromana e altomedievale.

Museo Provinciale del Sannio. - Il museo, ordinato nel 1893 nella Rocca dei Rettori, consisteva nel nucleo (principalmente la raccolta epigrafica) già conservato nel collegio gesuitico, in recuperi effettuati in quegli anni e in donazioni di privati. Ulteriormente ingrandita, la collezione fu trasferita nel 1929 nella sede attuale (Abbazia di S. Sofia). A un più recente ordinamento (inizio anni '60) si deve l'articolazione del museo nella sezione archeologica, nel medagliere, nella sezione d'arte medievale e moderna e in quella storica.

La collezione archeologica documenta l'età preistorica e l'Età del Ferro in varî siti del beneventano (Montesarchio, Moiano, Telese, Melizzano, S. Agata dei Goti, S. Marco dei Gavoti) e a B. stessa. Corredi di V e IV sec. a.C. sono pertinenti alle necropoli di Caudium e Telesia: gli uni costituiti, secondo il rituale funerario tipico della valle caudina, dal solo cratere, spesso a figure, di notevole qualità, gli altri da vasi anche di grandi dimensioni, con decorazioni geometriche impresse a stampo e ornati eseguiti a tempera. Terrecotte architettoniche e votive e vasi figurati costituiscono la collezione di Sisto, di formazione apula. I materiali di epoca romana provengono quasi esclusivamente da B.: alla sfera privata si riconnettono iscrizioni e sculture, frutto spesso di recuperi saltuari dalle aree delle necropoli o da demolizioni nel centro storico. Fra le sculture si possono menzionare stele con figure di defunti, statue di legionari della colonia del 42 a.C. relative a monumenti a edicola, fregi di tipo ionico e dorico, parti di cassettoni, di cornici, di basamenti da sepolcri monumentali; notevoli sono anche i sarcofagi del II e III sec. d.C. e la raccolta epigrafica. Il nucleo di materiali dall'Iseo, costruito nell'88-89 d.C., comprende statue commissionate in Egitto all'epoca della costruzione del santuario o asportate da templi egiziani più antichi. Pertinenti all'Arco di Traiano sono un frammento crollato dell'angolo NO del cornicione esposto all'ingresso del museo, e probabilmente due statue, interpretate come Traiano e Plotina, attribuite al coronamento dell'attico. A una fase più antica del teatro è relativo, forse, un telamone in pietra calcarea confrontabile con gli esemplari di Pietrabbondante e dell'odèion di Pompei.

Bibl.: In generale: M. Rotili, L'arte nel Sannio, Benevento 1952, passim; E.T. Salmon, Samnium and the Samnites, Cambridge 1967 (trad, it., Il Sannio e i Sanniti, Torino 1985), passim; E. Kirsten, Suditalienkunde, Heidelberg 1975, pp. 631-657; A. Gentile, Benevento nei ricordi dei viaggiatori italiani e stranieri, Napoli 1982; D. Giampaola, G. Prisco, Benevento. Scavo di Via del teatro romano. 1981-1982, in Atti del XXII Convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1982, Taranto 1983, pp. 439-443; L. Keppie, Colonisation and Veteran Settlement in Italy, 47-14 B.C., Londra 1983, pp. 155-161, 214-217; AA. VV., Atti del Convegno «Sannio; Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C.», Campobasso 1980, Matrice 1984, passim; A. Zazo, Benevento romana, in Samnium, 1985, 3-4, pp. 87-122; M. Giangiulio, in BTCGI, IV, 1985, pp. 34-35, s.v. - Documentazione epigrafica e numismatica: R. Thomsen (ed.), Early Roman Coinage. A Study of the Chronology, III, Stoccolma 1961, pp. 107-116; P. Cavuoto, Le epigrafi del teatro romano di Benevento, in RendLinc, s. VIII, XXIV, 1969, pp. 87-99. - Topografia e urbanistica: F. Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l'urbanistica a pianta ortogonale, Roma 1956, p. 83; D. Petroccia, Evoluzione e storia dell'urbanistica beneventana, in F. Romano (ed.), Benevento, cerniera di sviluppo interregionale. Una politica urbanistica per il Sannio, Napoli 1968, pp. 128-137; M. Rotili, Benevento romana e longobarda. L'immagine urbana, Benevento 1986; D. Giampaola, Benevento: la formazione urbana e il processo di formazione del territorio, in «Basilicata. L'espansionismo romano nel sud-est d'Italia. Il quadro archeologico», Venosa 1990, pp. 281-292. - Viabilità esterna e ponti: P. Gazzola, Ponti romani, II, Firenze 1963, p. 91, nn. 107-109; T. P. Wiseman, Roman Republican Road Building, in BSR, XXXVIII, 1970, p. 130 s. - Sistemi di centuriazione del territorio: AA. VV., Structures agraires en Italie centro-meridionale. Cadastres et Paysages ruraux (Collection de l'École Française de Rome, 100), Roma 1987, pp. 159-164. - Arco del Sacramento: F. I. Hassel, Zum Arco del Sacramento in Benevent, in JbZMus Mainz, XV, 1968, pp. 95-97; M. E. Blake, Ancient Roman Construction in Italy, III. From Nerva through the Antonines, Filadelfia 1973, pp. 262 s., 265, n. 46. - Teatro: Μ. E. Blake, Ancient Roman Construction in Italy, I. From the Prehistoric Period to Augustus, Washington 1947, p. 246, n. 63, tav. XLVI, fig. 3; G. Lugli, Tecnica edilizia romana, I, Roma 1957, pp. 482, 526, tav. CLIX, 1; A. Neppi Modona, Gli edifici teatrali greci e romani: teatri, odei, anfiteatri, circhi, Firenze 1961, p. 109. - Santuario di Iside: E. Galasso, Il tempio di Iside e il Sacrum Palatium. Problemi di urbanistica beneventana, in F. Romano (ed.), op. cit., pp. 144-150; H. W. Müller, Der Isiskult im antiken Benevent und Katalog der Skulpturen aus den ägyptischen Heiligtümern im Museo del Sannio, Berlino 1968 (trad, it., a cura di S. Curto e D. Taverna, Il culto di Iside nell'antica Benevento. Catalogo delle sculture provenienti dai santuari egiziani dell'antica Benevento nel Museo del Sannio, Benevento 1971). - Edificio pubblico di via S. Cristiano: M. Rotili, Un inedito edificio romano di Benevento, in Rivista storica del Sannio, I, maggio-agosto 1983, pp. 5-17.

Museo: M. Rotili, Il Museo del Sannio, Benevento 1963; id., Il Museo del Sannio nell'Abbazia di S. Sofia e nella Rocca dei Rettori di Benevento (Itinerari dei Musei, Gallerie e Monumenti d'Italia, III), Roma 1967; E. Galasso, I musei degli Enti locali della Campania, Napoli 1974, passim; S. De Caro, A. Greco, Campania (Guide archeologiche Laterza, 10), Roma-Bari 1981, p. 193 ss.

(D. Giampaola)

Arco di Traiano. - L'Arco onorario di Traiano a B. ha la forma e in parte anche le decorazioni tipiche degli archi di trionfo urbani; in particolare, altezza, proporzioni e fregio della trabeazione corrispondono a quelli dell'Arco di Tito nel Foro Romano. Per la ricchezza della decorazione a rilievo è possibile paragonarlo all'Arco di Marco Aurelio, distrutto in epoca tardoantica, le cui lastre sono utilizzate parzialmente nell'attico dell'Arco di Costantino. Il carattere urbano dell'arco di B. è dovuto al committente, il Senato romano, che rappresentava la massima autorità preposta alla costruzione di vie pubbliche. L'arco di B. sormonta la Via Appia, nel punto dove essa proseguiva come Via Troiana fino a Brindisi. Questo tratto, che secondo la testimonianza dei miliari, fu ampliato da Traiano con fondi personali, era prossimo al compimento nel 109 d.C. Oggi si ritiene comunemente che nel medesimo anno, o in quello successivo, abbia avuto luogo la delibera del Senato - a noi non pervenuta - relativa alla costruzione dell'arco, che, stando all'iscrizione sull'attico, fu completato nel 114.

La tesi, sostenuta un tempo da più parti, secondo cui l'arco sarebbe stato ultimato e utilizzato per molti scopi al tempo di Adriano, è stata confutata con buone ragioni (Hassel, 1966). La differenza nell'altezza dei rilievi tra le lastre dell'attico e le altre parti dell'arco risponde a correzioni ottiche piuttosto che a valori stilistici, come si può constatare da un'osservazione diretta. Spostandosi da un punto all'altro intorno al monumento si comprende in quale sequenza siano da leggersi i grandi rilievi, con inizio dal lato verso la campagna e muovendo da destra verso sinistra. Da destra, infatti, sulla facciata rivolta alla città l'imperatore entra due volte a Roma; le Stagioni stesse, rappresentate nei pennacchi dell'arco sotto forma di putti, sono disposte da destra verso sinistra: l'inverno, che apre sempre le rappresentazioni romane delle stagioni, si trova a destra sul lato volto alla campagna. L'andamento verso l'opposta direzione del fregio della trabeazione risponde a motivi di ordine compositivo, a forze cioè di segno contrario, che producono la tensione di cui vive un'opera d'arte. Vista nell'insieme, la composizione dell'arco non è dinamica, ma statica. La simmetria assiale, che domina nella sua architettura, ricorre anche nella decorazione figurata: nelle lastre dove appare l'imperatore, che sono speculari, e nei fregi minori, spartiti dai turibula, che ne costituiscono gli assi di simmetria.

Sebbene il programma decorativo dell'arco ci sia pervenuto quasi per intero, la sua interpretazione non è univoca. Ancora in K. Fittschen (1972) predomina la lettura data dal Domaszewski, secondo cui il lato volto alla città e quello verso la campagna sono dedicati rispettivamente alla politica interna e a quella estera di Traiano. Tale ipotesi viene, però, smentita dal fatto che nell'attico del lato verso la campagna non è la Dacia, ma l'Italia a inginocchiarsi dinanzi all'imperatore (Simon, 1981). Come vedremo, centro del programma decorativo non è tanto la politica di Traiano relativa alle provincie, quanto quella riguardante l'Italia. Il carattere panegiristico della decorazione dell'arco viene giustamente sottolineato nei lavori quasi contemporanei di K. Fittschen e Th. Lorenz (1972 e 1973); all'elemento biografico nello studio del Lorenz, che in parte segue P. Veyne (1960), si contrappone il rifiuto di ogni interpretazione relativa a eventi storici, nell'analisi del Fittschen.

La ricerca più recente non condivide questa posizione radicale, poiché il «programma politico generale e il concreto riferimento ad avvenimenti storici formano un tutto unico» (Oppermann, 1985, p. 82). Il merito principale di K. Fittschen, assieme a F. J. Hassel, è quello di avere confutato sostanzialmente l'ipotesi adrianea precedentemente esposta. Minor seguito ha invece ottenuto la sua tesi relativa alla molteplicità di significati attribuibile alle personificazioni presenti sull'arco, benché l'Oppermann e altri vi abbiano aderito. È possibile che un'unica raffigurazione, nello stesso rilievo, a seconda del livello di interpretazione, possa rappresentare Roma, l'Italia, una provincia e la Tellus? Si può obiettare che sin dalla media età repubblicana la religione romana conosceva numerose personificazioni, con templi e sacerdoti nelle città, senza tuttavia la possibilità che esse si unificassero o si confondessero; a volte potevano assumere aspetti di altre divinità, p.es. Victoria quello di Venus, ma essa rimaneva comunque Victoria. E dunque necessario cercare un nome preciso per ciascuna delle personificazioni presenti sull'arco, quantunque possano aggiungersi ulteriori connotazioni. Le doppie denominazioni dell'Oppermann, quali Italia-Virtus o Roma-Italia, sono già dubbie rispetto all'iconografia, e non verranno discusse in questa sede.

I fregi minori e i pennacchi. - Tra i grandi rilievi rettangolari dell'arco, sono collocati fregi di minore altezza con figure più piccole; un fregio analogo a quello della trabeazione, ma di formato leggermente minore, gira inoltre al di sotto dell'attico. Entrambe le facciate presentano al primo piano due Vittorie presso un toro destinato al sacrificio, e al secondo piano quattro ministri del culto (camilli) dai lunghi capelli. Come le Vittorie queste figure sono disposte secondo una simmetria assiale, e al centro di ogni fregio appare un turibulum·, ciascun turibulum è toccato da due dei camilli, mentre altri due, verso l'esterno, recano scudi decorati. Dal punto di vista del contenuto i camilli risultano vicini al fregio della trabeazione - in questa posizione essi compaiono anche sull'Arco di Tito (Pfanner, 1983, tav. XLII) - e si trovano quindi in stretto rapporto anche con la processione trionfale. Quella dell'Arco di Traiano è la più completa rappresentazione di un trionfo romano pervenutaci (Andreae, 1979; Gabelmann, 1981): si tratta del trionfo di Traiano sui Daci nel 107 d.C. Sul lato verso la città, a sinistra, subito dopo la gola e le modanature della trabeazione, troviamo il carro del trionfatore; appena dietro di lui marcia la figura che il Gabelmann ha riconosciuto come quella del praefectus praetorio, insieme al lictor proximus; segue la guardia imperiale a cavallo. A sinistra, sul lato breve dell'arco, è rappresentata la meta della processione, il Tempio di Giove Capitolino. All'angolo tra il lato breve e quello lungo si trova, dunque, il punto di giuntura del corteo che gira tutto intorno al monumento. Il bottino ricavato dalle guerre daciche e i buoi destinati al sacrificio vengono condotti davanti al carro del trionfatore in Campidoglio. Presso il primo dei tre buoi, non lontano dal tempio, ritroviamo gli stessi camilli provvisti di scudi, come fregi intermedi. Questi vanno pertanto considerati ministri di culto e ciò permette di spiegare anche il turibulum, lo strumento per l'offerta dell'incenso, poiché era consuetudine che l'imperatore stesso offrisse incenso prima dell'uccisione rituale degli animali. L'imperatore, nella sua qualità di pontifex maximus, è così effigiato già in raffigurazioni della prima età imperiale e la medesima scena è presente anche in un rilievo del fornice dell'arco di B.; i turibula fra i camilli indicano perciò la pietas dell'imperatore (Fittschen, 1972). Le due balaustre che incorniciano ognuna di queste scene sono simboli di Apollo Agyieus, il dio delle vie e delle processioni.

Mentre per il contenuto i fregi intermedi superiori formano un'unità con il fregio della trabeazione, quelli inferiori sono strettamente legati per l'argomento ai pennacchi: si tratta in entrambi i casi di Vittorie, sempre sul lato verso la città. Anche sul piano stilistico le due parti dell'arco si differenziano nettamente l'una dall'altra. Il fregio della trabeazione e i camilli si inseriscono in una tradizione prettamente romana, che risale alla prima epoca imperiale e si può seguire fino all'arte paleocristiana: si tratta di una sequenza di piccole figure «in atteggiamenti semplificati, schematizzati e con movimenti espressivi» (Brandenburg, 1981). Le Vittorie derivano invece da un repertorio classicistico, come pure Tellus e Oceanus nei pennacchi della facciata volta alla campagna. L'immolazione del toro da parte delle Vittorie è stata spiegata in modo convincente: essa riguarda il genius dell'imperatore in carica - nel nostro caso di Traiano - e fa riferimento alla victoria perpetua dell'imperatore che assicura la stabilità all'imperium. «Con questa nuova interpretazione l'antico tipo greco è stato recepito dai romani anche spiritualmente» (Borbein, 1968). Pure le Stagioni, rappresentate nei pennacchi, indicano l'ininterrotta durata della vittoria, allegorie esse stesse dell'eterno ricorso del tempo. Secondo la concezione romana, esse erano figlie di Tellus, posta in un pennacchio della facciata verso la campagna. Assieme al suo pendant, Oceanus (prima indicato spesso come Danuvius), Tellus è allegoria della dimensione dello spazio nella quale si compie il tempo. Spazio e tempo sono dominati dalle vittorie dell'imperatore, sotto il quale l'Impero raggiunse effettivamente la sua massima estensione, da Oriente a Occidente, delimitato solo dal mitico Oceanus che, come allora si credeva, circondava la terra. Le due figure sugli archivolti, tra le Vittorie e tra Oceanus e Tellus, sono così frammentarie che la loro identificazione è ancora incerta. Nell'Arco di Tito si tratta di Honos e Virtus, in quello di Traiano sicuramente di due personificazioni femminili, che si librano senza ali. A differenza delle figure presenti sull'Arco di Tito, che appaiono statiche, le loro vesti sono mosse dal vento, come quelle delle Vittorie, di Oceanus e di Tellus. Domina sui pennacchi un'aura di sacralità che crea un efficace contrasto con le scene, in massima parte sobrie, delle grandi lastre in rilievo. Le figure che si librano sulle chiavi dell'arco appartengono perciò sicuramente alla sfera dei numi. I nomi Pax (lato campagna) ed Aeternitas, proposti dal Fittschen, devono rimanere ipotetici. Delle due Vittorie aleggianti, quella di sinistra sorregge un trofeo e quella di destra una corona.

I due fregi nel passaggio del fornice e il rilievo sul coronamento dell'arco. - Passando sotto l'arco in direzione dalla città verso la Via Traiana troviamo a sinistra il rilievo con l'imperatore in atto di sacrificare e a destra quello con l'alimentatio. Nel primo egli indossa la toga, nell'altro la tunica con paludamentum, l'abito da viaggio di foggia militaresca. Traiano compare sui rilievi dell'arco con entrambi questi abbigliamenti, ma una volta sola in una divisa propriamente militare, cioè con la corazza: nel rilievo quadrato al centro del soffitto a cassettoni, dove la Vittoria lo incorona con la corona civica di foglie di quercia, ricca di simbologia.

La critica si esprime unitariamente sull'interpretazione generale da assegnare ai due fregi nel fornice dell'arco: essi celebrano la pietas dell'imperatore nei confronti degli dei (a sinistra) e degli uomini (a destra). Nel rilievo con sacrificio, Traiano è raffigurato capite velato come pontifex maximus: coadiuvato da due camilli e dal tibicen, pone su un foculus quanto serve a preparare il sacrificio, mentre il bue viene immolato nella parte sinistra del fregio. Oltre ai partecipanti al rito sono presenti tutti i dodici littori dell'imperatore, con la scure nelle fasces, a indicare che si trovano fuori della città di Roma. La precedente ipotesi di I. Scott Ryberg (sacrificio del triumphator sul Campidoglio) è stata a ragione respinta in studi più recenti; ancora oggi infatti riscuote consensi quasi unanimi la vecchia interpretazione, che vi individuava una festa sacrificale in occasione dell'inaugurazione della Via Traiana negli anni 109/110. Essendo il Senato romano il massimo organo competente dell'impero per la costruzione di strade, il barbato genius Senatus si contrappone in maniera significativa, come unica figura ideale, all'imperatore. L'interpretazione (Veyne, 1961) che fa riferimento all'ordo decurionum di B. viene generalmente respinta perché troppo specifica: infatti non la città di B., ma il Senato e il popolo romano sono gli edificatori dell'arco, come conferma l'iscrizione sull'attico. L'anno in cui l'arco fu completato, il Senato conferì all'imperatore il nuovo titolo onorifico di Optimus, che nell'attico compare ancora davanti al nome di Augusto: da quel momento in poi Traiano condivise un nome con Iuppiter Optimus Maximus, la più alta divinità ufficiale. Questi, benché assente nel rilievo del fornice, è il dedicatario del sacrificio del bue. Anche i buoi raffigurati nel fregio della trabeazione sono destinati a lui, sebbene anche lì il dio sia assente. Probabilmente agli occhi di un antico osservatore il tipo e il contesto generale rendevano abbastanza evidente chi fosse il beneficiario del sacrificio. Non è da escludere che l'accompagnatore alle spalle dell'imperatore e con l'abito stranamente drappeggiato portasse il berretto del flamen dialis, ma sfortunatamente la sua testa è andata perduta.

Al centro del rilievo sul lato opposto sta l'Italia, che insieme a Iuppiter è la più importante figura divina dell'arco. Non si tratta della Saturnia Tellus, l'Italia vista come paese agricolo, bensì dell'Italia patria di molte città fiorenti. La posizione centrale e il velo sulla corona murale la evidenziano rispetto alle tre divinità a destra, una delle quali tiene in braccio un bambino, che la connota come dea nutrix, versione latina della greca kourotròphos. La corona murale che hanno in comune definisce le tre divinità come Fortunae, dee del destino, non di una città in particolare, ma di tutte le città italiane in generale. La Fortuna come dea nutrix risale all'antica religione romana, che la considerava come dea madre, prima che questa si trasformasse identificandosi con la Tyche ellenistica. La rivivescenza in età traianea di tradizioni religiose assai antiche, è un fenomeno che incontriamo spesso nell'arco di B., ma anche altrove. Poiché finora questo fatto è stato preso scarsamente in considerazione, le sue cause rimangono ignote; probabilmente è da porsi in relazione con l'origine spagnola dell'imperatore e di personaggi appartenenti alla sua cerchia. Nella penisola iberica, divenuta romana in epoca mediorepubblicana, sembra, infatti, che le tradizioni siano state mantenute più a lungo e più saldamente che non a Roma, loro luogo di origine.

Non si sono conservate le teste dell'imperatore e dei suoi due accompagnatori. Dietro di lui si erge il lictor proximus. Si può supporre che il rotolo nella mano sinistra di Traiano contenga il testo della legge di cui beneficiavano in Italia i bambini dei ceti sociali inferiori (alimentatio). Questa mano si appoggia a un uomo visto di spalle, pertinente alla zona media del rilievo, che si trova in colloquio con l'Italia. Egli procede alla ripartizione degli alimenta, che si trovano sul tavolo davanti a lui in sacchetti di denaro. Personaggi principali dell'azione nella metà destra del rilievo sono i bambini che ricevono gli alimenta; un padre si allontana soddisfatto con la piccola figlia sulle spalle e - come Enea portava con sé Ascanio - conduce anche il figlio, che tiene il denaro nella piega del mantello. Un altro giovanetto, incoraggiato da Fortuna, avvicina il sinus del mantello al tavolo; sua madre, in cui forse va vista una vedova, porta sulle spalle un bimbo ancora più piccolo. R. Bianchi Bandinelli aveva sottolineato come persone così umili divengano qui, per la prima volta, soggetto di un rilievo ufficiale.

Sorprendente è anche la naturalezza dei rapporti fra divinità ed esseri umani. La distribuzione degli alimenta era nelle mani dei curatores viarum publicarum: uno di questi funzionari è forse riconoscibile nell'uomo che sta presso il tavolo (Simon, 1981). La sua presenza ha qui un duplice significato perché è connessa a un arco posto su una via publica. Le grandi vie pubbliche delimitavano in Italia le aree interessate dalla institutio alimentaria, e pertanto la vecchia interpretazione, secondo la quale il rilievo a questo corrispondente sull'altro lato del fornice celebrava l'inaugurazione della Via Traiana, diventa adesso ancora più probabile. Infine non bisogna stupirsi se nei rilievi del fornice la via è presente in maniera particolare: nel caso dell'Arco di Tito essa è la Via Sacra.

I dodici rilievi nelle facciate esterne (I-XII). - Come nel fornice, così anche nei rilievi delle facciate esterne Traiano è rappresentato dieci volte, mai però al centro della composizione. Su entrambi i lati, nelle lastre poste a destra egli si trova a destra e in posizione quasi frontale, mentre in quelle a sinistra appare sulla sinistra e più di profilo. Seguendo la direzione degli sguardi delle figure sui rilievi, l'osservatore riconoscerà sempre e immediatamente l'imperatore. Nelle quattro raffigurazioni sulla facciata verso la città egli indossa la toga, mentre in quella opposta la indossa soltanto nei rilievi del registro inferiore. Nel registro intermedio e nell'attico egli indossa o indossava (nel rilievo a sinistra non si è conservata la sua figura) la tunica con paludamentum, come nel rilievo del fornice con la alimentatio. O. Vessberg (1962) pensava che si trattasse di un togatus, ma la composizione degli altri rilievi lascia supporre che sia invece l'imperatore, con un abbigliamento più corto e più di profilo (Simon, 1981; Oppermann, 1985). Sulla facciata volta alla città, Traiano compare solo nel rilievo mediano di sinistra. Nel registro inferiore e nell'attico la scena occupa sulle lastre un'estensione doppia, corrispondente all'ampiezza dei rilievi all'interno del fornice: ciò accresce l'impressione di compiutezza del monumento. All'esterno la testa-ritratto di Traiano ci è pervenuta in sette raffigurazioni, di cui quattro disposte sul lato verso la città, quantunque danneggiate, mentre manca in tre rilievi della facciata opposta, e precisamente quelli posti a sinistra; nell'attico si conserva invece ancora una testa-ritratto, insieme alla figura intera. L'opinione di J. R. Fears (1981), secondo cui nell'attico comparirebbe non Traiano ma Giove, come sulla facciata volta alla città, va respinta se si considera bene l'intera composizione.

Come già precedentemente detto, i 12 rilievi dovrebbero essere osservati partendo dalla destra della facciata volta verso la campagna: perciò la descrizione di ognuno dei tre piani su questa facciata, ha inizio da destra.

I quattro rilievi inferiori (I-IV). - Nel I rilievo, a Traiano e ai littori si contrappone un gruppo di uomini che conduce un cavallo e un grosso cane. La figura al centro reca sulla testa una pelle di animale, le cui zampe anteriori sono legate sul petto con un «nodo di Eracle». In passato il personaggio era stato appunto indicato come Ercole, in particolare Hercules Gaditanus, proveniente dalla patria spagnola di Traiano (Lorenz, 1973), mentre il Fittschen (1972) ha dimostrato in modo convincente che si tratta di un signifer, che qui però compare senza insegne. Nel rilievo si vedono i rappresentanti dei diversi reparti militari, la cui disciplina viene rafforzata da una adlocutio dell'imperatore (Gauer, 1974; Oppermann, 1985) e tanto ci viene tramandato di Traiano, soprattutto per gli anni 98-99. Fondamentalmente a una scena del genere difetta l'enfasi con la quale i Romani trattavano, come in questo caso, l'inizio di un intero ciclo di raffigurazioni. Solo due alberi da frutta - Arbores felices - sovrastano qui la scena e sono un buon auspicio per la felicitas dell'inizio del ciclo, che nella carriera di Traiano, futuro imperatore, coincise con l'adozione da parte di Nerva il 27 ottobre del 97. Da quel giorno, divenuto Caesar, egli ebbe a disposizione la guardia pretoriana, che potrebbe essere rappresentata dal signifer. Essa era composta in parte da soldati a cavallo, dal momento che è rappresentato anche un cavallo. Per l'osservatore antico questo animale simboleggiava anche la profectio, concetto che ben si addice a un inizio delle raffigurazioni. Non si tratta però della consueta partenza da Roma, tipica di tali scene: Traiano era stato adottato in un momento in cui era lontano dalla capitale e percorse in modo nuovo e inconsueto la strada verso il principato, come afferma Plinio nel Panegiricus (VII, I). L'insolito rilievo I si adatta dunque a questi dati di fatto.

A differenza del I, la rappresentazione del II rilievo è di facile interpretazione. Traiano stipula un accordo con i Germani presso una quercia; a testimone si staglia fra i due contraenti Giove con il fulmine, dio del giuramento e massima divinità ufficiale. In questo ciclo Giove è la prima divinità che compare accanto all'imperatore, e sarà anche l'ultima nell'attico, sulla facciata verso la città. Le quattro lastre inferiori sono disposte, contrariamente a quelle mediane, in una successione temporale che giunge fino all'adventus di Traiano a Roma nell'autunno del 99. La questione se il rilievo II risalga al periodo anteriore o successivo alla morte di Nerva (25 gennaio del 98 d.C.) si può risolvere contando i littori. All'infuori del rilievo nel fornice (v. sopra) il loro numero è perlopiù ridotto, ma qui sono dodici come in quel caso. Poiché tale numero risale all'epoca di Augusto, Traiano qui è già Augustus e titolare del summum Imperium·, solo in questa funzione può stipulare il foedus (Simon, 1990, p. 298, fig. 134).

Anche i nomi, i titoli e le cariche nell'iscrizione sull'attico si legano al ciclo. Il rilievo I mostra Traiano figlio adottivo di Nerva, ossia come Caesar. Dato che egli contava la sua tribunicia potestas sin dall'adozione, bisogna supporre che tale carica, menzionata nell'epigrafe, sia già presente qui e in tutti i rilievi successivi. Nel rilievo II si aggiungono il nome di Augustus, il consolato e anche il titolo di Germanicus; il titolo di Dacicus, ottenuto nell'autunno del 102, è invece riservato all'imperatore nel fregio della trabeazione e su quello dell'attico nella facciata verso la città. Nel rilievo II prende anche il titolo di pater patriae, e un rilievo del passaggio lo mostra anche in qualità di pontifex maximus. Per l'appellativo di Optimus e il titolo di fortissimus princeps cfr., infra, i rilievi XI e XII.

Per i rilievi III e IV c'è un'ampia convergenza di interpretazioni. Viene rappresentata l'entrata a Roma di Traiano nell'autunno del 99, il suo primo adventus (Koeppel, 1969; Oppermann, 1985). Dopo il lungo soggiorno negli accampamenti, impegni forensi attendevano l'imperatore nella capitale: per questo motivo come sfondo del rilievo IV sono raffigurate architetture del Foro Romano, una basilica e forse la Curia. Davanti c'è una triplice raffigurazione con il genius Senatus al centro. Poiché il genius populi romani si rivolge al genius Senatus, è il Senato in particolare che saluta l'imperatore. D'altra parte, nel rilievo IV gli sguardi di tutti sono rivolti ugualmente al Senato mentre negli altri rilievi all'imperatore. Infatti dopo il regime assolutistico di Domiziano il Senato aveva riguadagnato dignità, divenendo un interlocutore paritario del principe. Poiché il genius Senatus in segno di saluto alza la mano sinistra in luogo della destra, in quest'ultima avrà tenuto un oggetto, forse un globo per Traiano, simbolo del dominio sul mondo (Koeppel, 1969). La terza figura, un togato con corona murale, è tra quelle più discusse dell'arco. Le prime interpretazioni vi vedevano un ordo equester o un genius municipii. La corona murale non è il suo unico attributo, difatti al braccio sinistro egli reca anche un bastone con corona e nastro. Sebbene l'Oppermann sulla scia del Fittschen (1972) preferisca la seconda ipotesi, neppure questa è convincente. Che relazione può esservi tra il genius di una città di provincia italica e l'accoglienza dell'imperatore a Roma? La prima ipotesi è ancora meno probabile, poiché un genius dell'ordine equestre non è documentato. Dal momento che le corone murali sono anche attributo di genii dei campi militari, credo che meriti ancora di essere presa in considerazione l'ipotesi secondo cui si tratterebbe del genius del campo dei pretoriani (Simon, 1981). Il bastone sarebbe in questo caso quello di un'insegna militare, che risulterebbe tagliata dal bordo superiore del rilievo, ed è paragonabile a quella del pretoriano che appare nel fregio della trabeazione dietro il trionfatore (Gabelmann, 1981, p. 448, fig. II).

I quattro rilievi mediani (V-VIII). - Nel rilievo mediano destro del lato sulla campagna (V), a parte i littori assieme all'imperatore, sono rappresentate solo figure ideali: alla sua destra stanno due dee con lunghe vesti, la prima, molto probabilmente Felicitas, con la cornucopia e due fanciulletti. A sinistra Marte e una dea con corona murale che tiene l'aratro formano una coppia alla quale si rivolgono i due bambini in atteggiamento di venerazione. A tale riguardo è stata rilevata la stretta connessione che deve sussistere con il rilievo della institutio alimentaria posto nel passaggio dell'arco: lì si festeggia la pietas erga homines dell'imperatore, qui invece la sua Providentia, sempre con la alimentatio sullo sfondo. In tal modo diviene possibile dare un nome anche alle personificazioni che si trovano al suo fianco: la dea con l'aratro è Fortuna o Italia, con una forte connotazione anche come Fortuna, analogamente al rilievo nel fornice. Come spiegato già altrove (Simon, 1981 e 1984) il significato dell'aratro unito alla corona murale non rinvia all'agricoltura, ma alla fondazione di una città. Il Marte barbato si presenta quindi come capostipite e fondatore della città, come era venerato dai Latini e da altre stirpi italiche. «L'imperatore si preoccupa delle generazioni future fondando nuove città, dalla sua Providentia ha origine la felicitas»: è questo il messaggio del rilievo. Marte nel ruolo di dio-padre della città rappresenta un'ulteriore conferma di quel fenomeno a cui abbiamo già accennato, ovvero del recupero in età traianea dell'antica religione romana.

L'arruolamento di truppe tramite l'imperatore (dilectus) è il tema generale del VI rilievo. Una vigorosa recluta dritta dinnanzi al principe riceve una decorazione e probabilmente sta a rappresentare un corpo militare scelto. La dea con la corona murale dietro la recluta porta infatti un vexillum, la bandiera della cavalleria. L'interpretazione della figura ideale loricata è ancora discussa, probabilmente si tratta di Honos, personificazione del cursus honorum, la carriera che anche gli appartenenti ai ceti sociali inferiori potevano seguire nelle truppe scelte. La testa coronata si avvicina alle raffigurazioni di Honos, che sono però prive di corazza; può darsi che essa sia stata aggiunta qui per sottolineare il carattere militare della carriera suddetta. La dea rappresenta sicuramente la Fortuna castrorum.

Il rilievo destro del lato verso la città (VII) non è spiegato in modo soddisfacente. È l'unico a presentare statue sullo sfondo: Portuno, Ercole e Apollo. In primo piano tre uomini, raffigurati in dimensioni minori, si avvicinano all'imperatore. Secondo l'opinione di molti studiosi si tratterebbe di commercianti del porto del Tevere, mentre Traiano disciplinerebbe l'annona, la distribuzione dei cereali nella città; poiché Annona non è raffigurata, e tanto meno Cerere, questa interpretazione rimane assai ipotetica. Lo stesso dicasi per la lettura (Simon, 1981), secondo cui il Princeps si curerebbe degli iuvenes, tanto più che uno degli uomini è sicuramente anziano, come indica la calvizie sulla fronte. Altre difficoltà solleva poi la scure sul fascio di verghe del littore: come può svolgersi a Roma tale scena? Pertanto il rilievo non ha forse riferimenti a un luogo preciso e mostra soltanto l'istituzione da parte di Traiano dei culti cui accennano le statue. La posizione centrale di Ercole potrebbe essere spiegata con l'origine spagnola dell'imperatore: le tre figure che si trovano di fronte potrebbero rappresentare personale preposto al culto. Naturalmente in questo caso la statua di Portuno indicherebbe non solo la religiosità dell'imperatore, ma anche la risistemazione del porto del Tevere a cura di Traiano.

Nel rilievo VIII viene rappresentata la honesta missio, il congedo onorevole dal servizio militare. L'argomento trova dunque un parallelo nel rilievo VI, quello del dilectus. La Fortuna castrorum compare anche qui, ma insieme ad altre due divinità. Una è Diana, che sarà presente nuovamente nel X, in entrambi i casi senza il fratello Apollo; essa non è tanto la dea classicistica di età augustea, bensì l'antica dea italica e precisamente l'antica dea latina protettrice della fides. Come per Marte nel rilievo V, anche qui osserviamo un ritorno ai temi cari all'antica religione romana, fenomeno già riscontrato nel caso delle Fortunae del rilievo nel passaggio con l'alimentatio. Nel santuario confederale latino di Ariccia, Traiano interpreta la magistratura più elevata (CIL, XIV, 2213). Il vexillum della Fortuna castrorum sormontato da aquile non è un'insegna militare reale, ma elemento simbolico che sta appunto a indicare il congedo di veterani da numerose legioni e ali di cavalleria. Essi erano e rimangono legati all'imperatore attraverso la fides, come dimostra il gesto della Fortuna e la comparsa di Diana (Simon, 1981 e 1984). Il rapporto fiduciario tra l'imperatore, le legioni e i militari congedati da queste è esposto in forma allegorica nel rilievo VIII. La vecchia interpretazione, secondo la quale il rilievo mostrerebbe Traiano come fondatore delle colonie di veterani (ancora riportata in Fittschen, 1972, e in Gauer, 1974) non si desume dalla composizione della rappresentazione. Quella figura barbata a destra sullo sfondo, che anche secondo la recente letteratura (Oppermann, 1985, p. 98) rappresenterebbe Silvanas, si differenzia talmente dal Silvanus raffigurato nel rilievo X, che in precedenza E. Simon riteneva non potesse trattarsi dello stesso dio in entrambi i casi. L'abbigliamento civile contrasta con il dio delle foreste, benché il tipo della testa e il cane potrebbero appartenergli. Probabilmente si tratta del genius della associazione dei veterani che è quasi identico al Silvanus domesticus di cui parla A.V. Domaszewski (Simon, 1990, p. 203 ss). Queste associazioni esistevano in tutto l'Impero romano: i loro geni potevano avere le sembianze di divinità, come qui appunto di Silvanus.

Tornando ai rilievi V-VIII, il tema delle quattro raffigurazioni viene introdotto nel primo (V): la Providentia dell'imperatore, che si estende sia nella vita civile sia in quella militare. Le quattro scene mostrano avvenimenti privi di un aggancio temporale specifico, ma rappresentano provvedimenti presi dall'imperatore, ai quali egli faceva comunque riferimento. Scene di questo tipo appartengono in ogni caso a rilievi di arte romana ufficiale, come gli avvenimenti nei rilievi I-IV, che però sono databili.

I quattro rilievi nell'attico (IX-XII). - I rilievi sulla facciata verso la campagna (IX e X) s'inseriscono ancora chiaramente nella tematica della Providentia, individuata nel registro intermedio (V-VIII), mentre quelli sulla facciata opposta (XI e XII) riprendono la tematica dei rilievi in e IV accentuandone i caratteri.

Nel rilievo IX dinanzi a Traiano s'inginocchia una donna con corona murale, lungo peplo e mantello, per giurargli fedeltà. Essa corrisponde iconograficamente all'Italia restituta presente sulle monete traianee, in maniera così evidente da rendere improbabile l'antica interpretazione come la Dacia. La provincia, istituita da Traiano, viene raffigurata in abbigliamento barbarico: lo stesso avrebbe dovuto valere per quella che era stata in origine ritenuta dai più la Mesopotamia, ipotesi invece da escludere senz'altro perché la figura fu completata già nel 114 d.C. Non è accettabile la supposizione (Oppermann, 1985, p. 91), secondo cui gli antichi osservatori vi avrebbero potuto vedere contemporaneamente la restitutio Daciae e la restitutio Italiae: l'Italia non può essere allo stesso tempo anche la Dacia. I due bambini, presenti sulle monete con Italia restituta, mancano qui perché l'assistenza nei loro confronti grazie alla Providentia dell'imperatore era già stata oggetto di rappresentazione, sia nel fornice, sia nel rilievo V, che non a caso si trova nell'arco sotto il IX. Gli attributi di Italia nell'attico sono divinità acquatiche: un tritone provvisto di corna (a destra) e un dio dei fiumi, ossia acqua salata e acqua dolce. Il dio dei fiumi ha come «attributo» un ponte che lo sovrasta, mentre il tritone, alla sua destra dietro le gambe dell'imperatore, ha probabilmente un molo. L'Italia ringrazia quindi Traiano per la costruzione sul suo territorio di importanti opere pubbliche come ponti e porti; è ben noto infatti il notevole contributo dato da Traiano in questo campo celebrato anche nei coni monetari. La realizzazione di acquedotti apparteneva a questo settore di iniziative dell'imperatore come ci tramandano gli scritti di Giulio Frontino che all'epoca ricopriva la carica di curator aquarum·, il suo giovane successore è forse l'uomo al centro nel gruppo di tre, sul ponte. Frontino parla espressamente della providentia di Traiano in riferimento alle opere di ingegneria idraulica.

Nel rilievo X è andata perduta la figura dell'imperatore e si conserva il gruppo di divinità formato da Silvanus, Diana, Cerere e Libero, a cui si appoggia una figura interpretata in modo convincente come Libera (Vessberg, 1962). Si tratta quindi dell'antica triade Cerere-Libero- Libera, venerata a Roma già nella prima età repubblicana. Anche qui, come frequentemente nell'arco, sono presenti riferimenti all'antica religione romana, in cui si inquadra la figura di Diana: di nuovo, essa è l'antica divinità italica, la dea latina dei boschi, accanto alla quale significativamente troviamo Silvano, il dio delle foreste, con un ramo di pino nella sinistra e vestito di un vello. Anche qui essa compare come protettrice della fides, e forse proprio in un gesto di fides porgeva la mano destra all'imperatore (ricostruzione Simon, 1981).

La Diana Nemorensis di Ariccia e altre sue rappresentazioni furono molto venerate da tutti i ceti sociali, compresi gli schiavi. Sin dall'antichità le divinità della triade Cerere-Libero-Libera erano protettrici della plebe, alla quale garantivano l'approvvigionamento di cereali. È a esse che qui si allude piuttosto che nel rilievo VII, dove venivano erroneamente cercate (v. sopra). La distribuzione di cereali è il corretto pendant a quella dell'acqua nel rilievo a destra. Ma essendo Diana la portavoce degli dei, questa tematica contiene anche un carattere etico: l'imperatore nella sua Providentia è benvoluto dalla popolazione ed è unito a tutti i ceti sociali tramite la fides.

L'adventus riportato nell'attico, sul lato verso la città (XI e XII), è quello dell'anno 107 (Koeppel, 1969 e molti altri), successivo, quindi, di otto anni a quello rappresentato nei rilievi III e IV al registro inferiore, e di un decennio all'adozione da parte di Nerva. Se si pensa alla frequenza con cui si festeggiavano i decennali degli imperatori, è chiaro che nel ciclo di rilievi di quest'arco va vista la celebrazione del primo decennio di governo di Traiano: un «bilancio provvisorio» (Gauer, 1974), che dà adito a ulteriori speranze. Gli auguri di felicitas che erano solitamente legati ai decennali erano di buon auspicio anche per il decennio successivo. Quale ruolo abbia il concetto di felicitas nell'arco di B. è stato illustrato soprattutto dal Fittschen (1972).

Sia nel 99 sia nel 107 d.C. Traiano giunse a Roma dall'Italia meridionale, percorrendo proprio la Via Appia, la strada che passa sotto l'arco di Benevento. Di conseguenza è comprensibile che nell'arco si alluda alla strada, sia nel rilievo del passaggio, già esaminato, sia nelle due grandi scene disposte sulla facciata rivolta verso la città, e più precisamente nei rilievi IX-XII. Da ciò deduciamo che il rilievo XI non è ambientato nel Campo Marzio o sul Campidoglio, come si supponeva per la presenza della triade capitolina nel rilievo XII. Già il fatto che sullo sfondo faccia la sua comparsa la triade di Ercole, Libero e Cerere, i cui santuari non si trovano sul Campidoglio ma nel Foro Boario, esclude un'interpretazione strettamente topografica del rilievo XII. Viene rappresentato piuttosto l'Olimpo, un Olimpo però tipicamente «romano» in senso ufficiale. Con Cerere e Libero si riprende un tema del rilievo X, che qui è ampliato con la presenza di Mercurio. Il suo culto fu introdotto a Roma in seguito alla costruzione del Tempio di Cerere, Libero e Libera. Ercole e Bacco-Libero fungono inoltre da prototipi per l'apoteosi di Romolo e Augusto.

Se nel rilievo IV è il genius Senatus che saluta l'imperatore in arrivo, qui troviamo Giove, in atto di tendere il fulmine verso Traiano. È a Giove che l'imperatore si rivolge con lo sguardo e i gesti, oltrepassando i consoli che gli rendono omaggio con due apparitores nell'arco della porta (per l'acconciatura alla moda di uno di essi sicuramente non si tratta dei Penates populi Romani, come vorrebbero molti, sulla scia del Domaszewski). I consoli gli recano la concessione del trionfo, rappresentato al di sotto nel fregio della trabeazione. Questa scena reale è sovrastata da tre figure ideali, la cui interpretazione, dibattuta a lungo e poi preferita dal Fittschen (1972), sosteneva che il giovane guerriero con la corazza fosse Romolo-Quirino, il fondatore di Roma divinizzato. La testa con capigliatura ideale posta tra lui e Traiano è quella di un mitico littore, quale spettava al primo re romano; la sua disposizione è però tale da poterlo attribuire anche a Traiano, che così entra a far parte della sfera delle figure ideali. Per quanto concerne la dea con corona murale che poggia la mano sulle spalle di Quirino, non c'è unanimità di interpretazioni. Si pensava a Roma, ma l'iconografia la smentisce, mentre Italia sarebbe possibile da questo punto di vista, ma non topograficamente, poiché essa non può avanzare dalla città di Roma incontro all'imperatore. La proposta di chiamarla Roma-Italia (Oppermann, 1985, p. 100) non risolve la questione per i motivi già più volte esposti.

Per quanto riguarda le varie dee con corona murale dell'arco di B., l'identificazione di Fortuna (in parte Italia, con una forte connotazione anche come Fortuna) nel corso degli studi si è rivelata la migliore. Si tratta cioè del riferimento, tipico dell'era di Traiano, alla Fortuna della primitiva Roma, che era una dea nutrix e una compagna di viaggio dispensatrice di buoni auspici. Poiché, inoltre, essa era in stretta relazione con i re dell'antica Roma, potrebbe poggiare qui la mano sulle spalle di Romolo-Quirino. Ma soprattutto l'altare della Fortuna Redux era posto alla porta meridionale della città di Roma, presso Porta Capena, da dove parte la Via Appia. Quella era la dea che nel 19 a.C. aveva riportato sano e salvo Augusto dall'Oriente, e Traiano faceva ritorno lungo la stessa via. L'architettura sullo sfondo del rilievo XI si può ricollegare alla situazione topografica attestata davanti a Porta Capena. Il tempio ornato di un fregio con armi è quello di Marte o quello di Honos e Virtus, entrambi posti nelle vicinanze di Porta Capena; l'arco di trionfo con le Vittorie nei pennacchi è quello di Traiano, lì edificato attorno all'anno 100 d.C. Dietro sono visibili le mura «serviane» in opera isodoma (Simon, 1981 e 1984).

Le lastre dell'attico dovranno essere state completate per ultime, quando il Senato decise di conferire a Traiano, allora in Oriente, il titolo onorifico di Optimus. L'iscrizione sull'attico mostra uno dei primi usi ufficiali di questo titolo, derivato dallo Iuppiter Optimus Maximus del Campidoglio, che è personificato nel rilievo XII, dove tende il suo fulmine in direzione dell'imperatore, come a voler condividere con questi il proprio attributo peculiare. La scena allegorizza il conferimento del titolo di Optimus da parte del Senato. Inoltre, grazie alla presenza di Quirino al suo fianco, Traiano si presenta come il nuovo fondatore di Roma, come già per il futuro Augustus il Senato aveva pensato al titolo onorifico di Romulus. Non ultimo troviamo Ercole, assunto tra gli dei come Romolo tramite l'apoteosi, che si pone rispetto a Traiano in un rapporto che supera l'insieme della composizione. Ercole, dio particolarmente vicino allo spagnolo Traiano, era salito all'Olimpo in virtù della propria fortitudo: e non a caso i titoli onorifici dell'imperatore nell'arco di B. si concludono con quello di fortissimo principi.

Bibl.: P. Veyne, Une hypothèse sur l'are de Bénevent, in MEFRA, LXXII, 1960 p. 191 ss.; id., Ordo et populus, génies et chefs de file, ibid., LXXIII, 1960p. 229 ss.; O. Vessberg, A Reconstruction Problem on the Arch of Benevento, in OpRom, IV, 1962, p. 159 ss.; F. J. Hassel, Der Trajansbogen in Benevent. Ein Bauwerk des römischen Senates, Magonza 1966; A. H. Borbein, Campanareliefs. Typologische und stilkritische Untersuchungen (RM, Suppl. 14), Heidelberg 1968, p. 110 ss.; G. Koeppel, Profectio und Adventus, in BJb, CLXIX, 1969, p. 161 ss.; K. Fittschen, Das Bildprogramm des Trajansbogens zu Benevent, in AA, 1972, p. 742 ss.; M. Rotili, L'arco di Traiano a Benevento, Roma 1972; Th. Lorenz, Leben und Regierung Trajans auf dem Bogen von Benevent, Amsterdam 1973; W. Gauer, Zum Bildprogramm des Trajansbogens von Benevent, in Jdl, LXXXIX, 1974, p. 308 ss.; M. A. Tornei, Osservazioni su alcune personificazioni femminili dell'arco di Traiano a Benevento, in Studi in memoria di G. Becatti (StMisc, XXII, 1974-75), Roma 1976, pp. 205-212; Β. Andreae, Zum Triumphfries des Trajansbogens von Benevent, in RM, LXXXVI, 1979, p. 325 ss.; E. Simon, Die Götter am Trajansbogen zu Benevent, in Trierer Winckel- mannsprogramm, I-II, 1979-1980, pp. 1-15; H. Brandenburg, Ars humilis. Zur Frage eines christlichen Stils in der Kunst des 4. Jahrhunderts nach Christus, in JbAChr, XXIV, 1981, p. 73 s.; H. Gabelmann, Römische ritterliche Offiziere im Triumphzug, in Jdl, XCVI, 1981, p. 445 ss.; J. R. Fears, The Cult of Jupiter and Roman Imperial Ideology, in ANRW, XVII, 1, 1981, p. 83 s.; E. Simon, in LIMC, II, 1984, pp. 537, η. 287, 539, η. 289, s.v. Ares/Mars; ead., ibid., p. 830 s., η. 278 a-b, s.v. Artemis/Diana·, M. Oppermann, Römische Kaiserreliefs, Lipsia 1985, p. 79 ss.; S. Adamo Muscettola, A. Bolasco, D. Giampaola, Benevento. L'arco e la città, Napoli 1985; C. M. Petolescu, in LIMC, III, 1986, p. 310, n. 2, s.v. Dacia-, E. Simon, Die Götter der Römer, Monaco 1990.

(E. Simon)