SPINOZA, Benedetto

Enciclopedia Italiana (1936)

SPINOZA, Benedetto (Benedictus de Spinoza; Baruch è la traduzione del nome, usata nella formula di scomunica dai capi della comunità ebraica)

Augusto Guzzo

Nato ad Amsterdam il 24 novembre 1632, morto a L'Aia il 21 febbraio 1677. Suo padre, Michele, era nato a Coimbra, nel Portogallo, di dove le persecuzioni religiose avevano poi fatto emigrare in Olanda numerose famiglie ebraiche. Sua madre, Anna Debora, morì ch'egli aveva sei anni. Mente singolarmente sveglia e precoce, fu presto considerato una speranza della fiorente comunità ebraica di Amsterdam, che lo avviò al rabbinato. I suoi maestri, tra i quali il rabbino Saul Levi Morteira, lo iniziarono alla più riposta e segreta cultura ebraica; ma il giovane S. avvertì prestissimo l'incompatibilità del proprio pensiero con alcune concezioni fondamentali della Bibbia: e poiché né tacque, né ritrasse, né accettò di nascondere il suo pensiero, fu colpito, il 27 luglio 1656, della scomunica maggiore, alla quale rispose con un'Apologia in lingua spagnola, che è perduta ed è difficilmente ricostruibile. Alla scomunica seguì un breve bando da Amsterdam. Lo S. si ritirò allora a Rijnsburg vicino a Leida, dove - avendo abbandonato i commerci ereditati dal padre, morto nel 1654 - cominciò la sua professione di preparatore di cristalli ottici. Era il gran secolo dell'ottica, e le lenti che preparava lo S. erano note e apprezzate anche da scienziati stranieri. Del resto, lo S. aveva bisogno di pochissimo danaro: la sua vita era strettamente sobria. Quando non lavorava, meditava e scriveva, e da Rijnsburg inviò il Breve Trattato agli amici di Amsterdam, spiriti liberi, mennoniti o collegianti la più parte, e alcuni di essi medici. Nel 1663 lasciò Rijnsburg per un altro villaggio, Voorburg presso L'Aia. Nel 1670 si trasferì a L'Aia, dove condusse a termine il suo capolavoro, l'Etica. Andò ad Amsterdam per farla stampare; ma s'accorse che le animosità che si era attirato con la pubblicazione del Trattato teologico-politico nel 1670, rendevano impossibile, lui vivo, la stampa dell'Etica. La sua morte - come, del resto, la sua vita - è narrata, in una celebre pagina, dal pastore luterano J. Colerus (Köhler), che, propostosi di combattere l'empia filosofia spinoziana, rese, candidamente e onestamente, grande omaggio al filosofo, ritraendone i costumi da santo del pensiero.

Gli scritti. - Degli scritti dello S., il Korte Verhandeling van God, de Mens en des zelfs Welstand, circolò manoscritto fra gli amici; ma non a lungo, perché lo S. ne prese subito a rielaborare il contenuto in quella che considerò l'opera di tutta la sua vita, il trattato latino che intitolò Ethica. Le Renati Des Cartes Principiorum Philosophiae Pars I et II, more geometrico demonstratae per Benedictum de Spinoza Amstelodamensem. Accesserunt Eiusdem Cogitata Metaphysica, in quibus difficiliores, quae tam in parte Metaphysices generali, quam speciali occurrunt, quaestiones breviter explicantur, uscirono ad Amsterdam, apud Johannem Riewerts, in vico vulgo dicto de Dirk van Assensteeg, sub signo Martyrologii, 1663, e furono il solo scritto dello S. apparso col suo nome durante la sua vita. Il Tractatus theologico-politicus, continens Dissertationes aliquot, quibus ostenditur Libertatem Philosophandi non tantum salva Pietate, et Reipublicae Pace posse concedi: sed eandem nisi cum Pace Reipublicae, ipsaque Pietate tolli non posse, uscì, con la falsa indicazione di Hamburgi, apud Henricum Künraht, MDCLXX, strettamente anonimo. Tuttavia procurò all'autore, presto riconosciuto, tali avversioni, da indurlo, negli ultimi anni della sua vita, a rinunziare a pubblicare, da vivo, l'Ethica. Lui morto, gli amici curarono, secondo il suo volere, l'edizione delle opere postume. Uscirono negli ultimi giorni del dicembre 1677 le B. de S. Opera Posthuma, quorum series post Praefationem exhibetur: e contennero l'Ethica ordine geometrico demonstrata, et in quinque Partes distincta, in quibus agitur, I. De Deo. II De Natura et Origine Mentis. III. De Origine et Natura Affectuum. IV. De Servitute Humana, seu de Affectuum Viribus. V. De Potentia Intellectus, seu de Libertate Humana; poi il Tractatus Politicus, in quo demonstratur quomodo Societas, ubi Imperium Monarchicum locum habet, sicut et ea, ubi Optimi imperant, debet institui, ne in tyrannidem labatur, et ut Pax Libertasque civium inviolata maneat (incompiuto); indi il Tractatus de Intellectus Emendatione, et de via, qua optime, in veram rerum Cognitionem dirigitur (parimenti incompiuto); poi le Epistolae Doctorum quorundam Virorum ad B. d. S. et Auctoris Responsiones: ad aliorum eius Operum elucidationem non parum facientes; e infine, un Compendium Grammatices Linguae Hebraeae. Le opere postume costituiscono il gruppo più celebre e più noto degli scritti spinoziani.

Una serie di felici trovamenti rivelò, alla metà del secolo scorso, agli studiosi dello S. due diverse redazioni della versione olandese del giovanile Breve Trattato, il quale entrò, insieme con due altri scritti che si ritengono spinoziani, nello Stelkonstige Reeckening an den Regenboog, e un frammento di tre pagine sul Reeckening van Kanssen, nell'edizione, in 2 volumi, delle Benedicti de Spinoza Opera quotquot reperta sunt. Recognoverunt J. van Vloten et J. P. N. Land, Hagae Comitum, apud Martinum Nijhoff, MDCCCLXXXII-III, edizione riveduta e ripubblicata in 3 volumi nel 1895, e poi malamente ristampata in 4 volumi nel 1914. Oggi tutto ciò che si conosce e si è trovato dello S. è raccolto in Opera, im Auftrag der Heidelberger Akademie der Wissenschaften herausgegeben von Carl Gebhardt, edizione critica in 4 volumi, Heidelberg 1925.

Formazione e sviluppo del pensiero spinoziano. - La formazione del pensiero dello S. non è documentabile, perché tutti gli scritti che possediamo mostrano un pensatore che ha già scelto motivatamente la sua via, e non palesa né esitazioni né dubbî su quella che egli ritiene la verità assoluta. Nemmeno sono ricostruibili con compiutezza gli studî da lui fatti. Certo meditò molto Cartesio e Hobbes. Il Trattato teologico-politico sembra applicare all'accertamento della storia ebraica il metodo propugnato da Bacone per la historia naturalis; ma Bacone non è citato. Conosciamo l'elenco dei libri che lo S. possedeva (vi si trova una traduzione spagnola dei Dialoghi d'amore di Leone Ebreo); ma e il Trattato teologico-politico e, più indirettamente, le altre opere attestano una cultura ebraica che, probabilmente attinta alla biblioteca della comunità israelitica di Amsterdam, si può ricostruire solo dalle esplicite citazioni e, con minore sicurezza, dalle conoscenze implicite nelle discussioni e nelle dottrine spinoziane. Principalmente lo studio di Cogitata metaphysica mise J. Freudenthal sulle tracce delle opere scolastiche cinque e seicentesche (F. Suárez, Burgersdijck, A. Heereboord), dalle quali lo S. prendeva lo schema e i termini delle questioni. Che nelle mani del giovane S., quando frequentava i "libertini", siano capitate opere che si facevano circolare con molta cautela, come gli scritti del Bruno, è possibu̇e ed è probabile; ma non documentato.

Se la formazione del pensiero propriamente spinoziano è male ricostruibile, nonostante i dottissimi sforzi, durati specialmente da S. v. Dunin-Borkowski, per non trascurare nessuno degli elementi che "poterono", direttamente o indirettamente, concorrere a costituire, se non il pensiero dello S., almeno il clima culturale in cui il suo pensiero si delineò; altrettanto poco è documentabile un vero e proprio svolgimento del pensiero spinoziano. Gli studî volti a raffrontare la concezione del Breve Trattato con quella dell'Etica hanno ogni ragione se si limitano a registrare la rudimentalità di trattazione, le oscillazioni terminologiche, la nebulosità dottrinale, le inconseguenze logiche, l'ingenuità espositiva, il non dissimulato fervore mistico del Breve Trattato, di contro alla perfezione elaboratissima dell'Etica; ma l'immenso progresso tecnico dal trattato giovanile all'opera matura non toglie che il vero spirito del pensiero spinoziano risulti, nell'Etica, piuttosto ricoperto che mutato dallo strenuo razionalismo adottato per la presentazione, anzi per la formulazione stessa del pensiero. D'altra parte, chi rilevasse l'episodicità degli spunti propriamente spinoziani nei Cogitata metaphysica, dovrebbe poi riflettere che ad arte lo S. lasciò appena intravvedere il suo pensiero in uno scritto pubblicato per cercare di procurarsi consensi autorevoli e protezioni che l'incoraggiassero a far conoscere più compiuti saggi del suo filosofare. Parimenti si lascerebbe trarre in inganno chi interpretasse le espressioni teistiche dei primi capitoli del Trattato teologico-politico come documenti d'una fase ancora immatura del pensiero spinoziano: basta continuare la lettura per accorgersi che in quelle espressioni, riportate secondo la mente delle Scritture, lo S. raccoglie, come lo trova, il pensiero degli Ebrei antichissimi: salvo a interpretarlo, nei capitoli immediatamente successivi, secondo il radicale immanentismo dell'Etica, per il quale i "decreti di Dio" sono le stesse cause naturali nel loro necessario operare. Anche la tormentatissima elaborazione, specialmente del primo libro dell'Etica, riguarda piuttosto la concatenazione dei concetti, la loro presentazione sotto forma di "dimostrazione alla maniera della geometria", che non la determinazione del loro contenuto. Perciò si può parlare d'una vita, d'una crescita, d'una maturazione del pensiero spinoziano nella ricchezza delle sue determinate dottrine. particolari; ma non proprio d'uno sviluppo che l'abbia, nel tempo, condotto ad affermazioni via via diverse. Lo spinozismo è un'intuizione che anima di sé, in forma diversa, ma secondo un unico spirito, cosi le piccole come le grandi opere spinoziane, e così le prime e più timide come le ultime e più coraggiose e compiute.

Il Breve Trattato. - Nonostante la divisione, che vorrebbe essere sistematica, in parti, capitoli, ecc., il Breve Trattato si presenta come un insieme di frammenti, forse scritti in tempi diversi, poi riordinati e inviati da Rijnsburg, dove lo S. s'era ritirato da Amsterdam, agli amici, con molte raccomandazioni di segretezza e di prudenza, e con l'esortazione a non stupirsi della novità delle dottrine proposte. Già il Breve Trattato, come poi l'Etica, poggia su una critica radicale del concetto cartesiano, che estensione e pensiero siano sostanze finite prodotte dalla sostanza infinita che è Dio. Se si ammettesse - dice lo S. - il concetto di sostanza finita, bisognerebbe dar ragione della sua limitazione. Da che sarebbe limitata? Non si sarebbe limitata da sé, perché avrebbe preferito essere illimitata. Non può averla limitata Dio che, onnipotente, avrebbe potuto farla illimitata, e, sommamente buono, non può aver preferito farla limitata anziché illimitata. Iddio, dunque, non potette farla che illimitata. Ora, se il concetto di sostanza finita è inammissibile, pensiero ed estensione, che per Cartesio erano sostanze finite, non possono essere più pensate come sostanze: sicché come sostanza non può esser pensata che la sostanza infinita, cioè Dio. Per lo S., Dio non produce le cose finite, ma è la loro sostanza. Richiamandosi a pensatori ebrei che tuttavia non nomina (si tratta, però, specialmente di Ḥasday Crescas, autore del libro Luce di Dio, 1410), lo S. afferma l'identità, in Dio, di intelletto e volontà, di volere ed essere, di libertà e necessità. Ora, se volere ed essere, in Dio, sono tutt'uno, ciò che si dice voluto da lui, in realtà deriva necessariamente dalla sua stessa natura, senza scelta da parte sua. Secondo lo S., Iddio, essendo perfetto, non solo può attuare tutte le sue idee, ma non può non attuarle; non solo può fare tutto quello che fa, ma non può non farlo: la sua libertà non è scelta, è la necessità stessa del suo essere: il suo pensare, il suo volere, il suo agire, sono il suo stesso essere: e ciò che da lui è pensato, voluto e fatto, non è suo prodotto, ma è sua immediata manifestazione o modo, in cui esso stesso è immanente. Questa radicale critica del concetto di sostanza dà luogo, nello S., a una teologia rigorosamente immanentistica e naturalistica, nella quale le proprietà attribuite a Dio dalla teologia tradizionale possono magari esser mantenute - ed egli si prova a mantenerle nel Breve Trattato e nella seconda parte dei Cogitata metaphysica, ma non ripete il tentativo nell'Etica - purché siano intese in maniera del tutto nuova. Sull'esempio degli scolastici del tempo, lo S. divide le proprietà di Dio in proprietà che lo riguardano come essenza, e proprietà che lo riguardano come causa. Come essenza, Dio è innegabilmente sussistente per sé stesso, sommo bene, essere eterno, uno, immutabile. Come causa, può esser detto predestinatore e reggitore di tutte le cose, purché la predestinazione sia intesa come semplice causazione; il governo di tutte le cose come determinazione necessaria, non contingente; e la provvidenza sia interpretata, se provvidenza particolare, come l'interno impulso per il quale ogni cosa tende a conservarsi, e se provvidenza generale, come la produzione e conservazione di ciascuna cosa nel tutto. Così le proprietà divine, spogliate d'ogni finalismo, sono mantenute; ma per lo S. esse non sono gli attributi intrinseci che costituiscono l'essenza divina e valgono a definirla. Secondo una teoria della definizione, che lo S. consapevolmente oppone a quella dei logici da lui studiati, egli stabilisce - prima nel Breve Trattato e poi nella seconda parte del Tractatus de intellectus emendatione - che una definizione, per essere perfetta, deve spiegare l'intima essenza della cosa definita, non sostituire all'essenza alcune proprietà. Dio ha la proprietà della somma perfezione; ma questo non è carattere da cui si possano derivare tutte le altre proprietà. Se, invece, Dio si definisce ente assolutamente infinito, cioè sostanza constante d'infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime la sua essenza eterna e infinita, da tale definizione si ricava che nulla di ciò che esiste può essere posto fuori di Dio. Niente deve essere ritenuto incompatibile con la perfezione di Dio e rimosso da lui: neppure l'estensione, cioè la materia. Anche l'estensione è, come il pensiero, uno degl'infiniti attributi di cui consta l'infinita essenza di Dio. Cosi le cartesiane res cogitans e res extensa, cessando d'essere res o sostanze, diventano per lo S. attributi intrinseci di Dio: e ciò che deriva dall'estensione divina - il movimento in generale - e ciò che deriva dal pensiero divino - l'intelletto in generale - sono, come lo S. s'esprime nel Breve Trattato, "figli di Dio, sue opere, sue immediate creature", o, come s'esprimerà nell'Etica, modi infiniti di due attributi infiniti di Dio. Di tali modi infiniti - movimento in generale, intelletto in generale - Dio è causa prossima, mentre dei singoli movimenti e dei singoli intelletti, modi particolari e finiti, è causa ultima. Ma anche di questi è causa immanente, poiché non li pone abbandonandoli fuori di sé, ma in essi rimane conservandoli in sé. Così tutto ciò che esiste, in Dio è, vive e si muove (secondo una celebre espressione di Paolo, carissima allo S.), sicché avviene necessariamente, per l'immutabile necessità intrinseca alla natura stessa di Dio. Da questa radicale identificazione di Dio con la natura naturante, manifestantesi immediatamente nella natura naturata generale (i modi infiniti) e particolare (i modi finiti), derivano conseguenze etiche che, tratte chiaramente già nel Breve Trattato, ritorneranno sostanzialmente immutate in alcuni vasti carteggi dello S. sull'argomento, e nell'intera Etica. Se tutto ciò che avviene, avviene necessariamente, il male è relativo all'uomo, che si sente danneggiato o contrariato, ma non è nulla di reale assolutamente. L'uomo chiama disordine della natura ciò che non risponde all'ordine da lui sognato; e parla di peccati e difetti umani quando trova gli uomini realmente esistenti diversi da quella ideale natura umana ch'egli vagheggia, ma che - si legge nel Breve Trattato, cap. XI - "non è nulla". Stolto è, quindi, giudicare la natura e gli uomini, quasi potessero essere diversi; stolta la speranza e stolto il timore, quasi il corso degli eventi non fosse immutabilmente determinato dalla natura stessa di Dio; stolto il rimorso e il pentimento delle nostre azioni, quasi non le avessimo compiute per interiore, irresistibile necessità; stolti i sentimenti dell'onore e dell'onta, quando tutto avviene senza merito né demerito, ma necessariamente; stolta la gratitudine, quasi i benefattori avessero agito di loro scelta; stolto il rimpianto dei beni perduti, quasi avessimo potuto tentare di trattenerli. Fonte di queste stolte passioni è l'immaginazione, che crede, errando, contingente il corso del mondo e libero il volere umano. Avviare l'uomo a comprendere la necessità di tutte le cose, liberandolo dalle passioni che nascono dall'errore, è compito della ragione, che è - dice il Breve Trattato - una specie di spirito benefico che, fuori di ogni errore e di ogni frode, ci reca la notizia del sommo bene e c'invita a cercarlo e unirci a lui. Ma solo la conoscenza chiara - la scientia intuitiva dell'Etica - ci mostra immediatamente Dio, e Dio non può esser conosciuto senza manifestarsi sommo e ottimo e ispirare all'anima l'amore per il quale l'uomo si rigenera e rinasce partecipe della eternità e immutabilità di Dio accolto nel suo pensiero, offrendosi consapevolmente "servo, e anzi schiavo" di Dio, a lui legato dalle catene del suo amore".

Il Trattato su l'emendazione dell'intelletto. - La via per la quale l'uomo si solleva dall'immaginazione, madre di passioni, alla ragione e all'intuizione intellettiva, è studiata nell'Etica; ma la giustificazione e la fondazione metodologica del concetto spinoziano è data nell'incompiuto, ma importante Trattato su l'emendazione dell'intelletto. S'apre con le celebri pagine, che si son volute interpretare per autobiografiche, dov'è descritta la ricerca d'un bene vero, apportatore, in eterno, di continua e somma letizia. Dopo molto temere di perdere beni finiti ma certi, quali gli onori e le ricchezze, per un bene infinito, ma incerto, lo S. comprese come fosse certo il bene infinito che s'ottiene con la rinunzia ai beni finiti. Lasciati dunque, i beni finiti per la beatitudine infinita, lo S. traccia il programma d'una riforma generale della società, perché, quando si giunge a conoscere l'unione che la mente ha con tutta la natura s'intende anche che tale conoscenza è di quei beni che s'accrescono se molti ne partecipano con noi: donde il desiderio di far che molti raggiungano la stessa conoscenza, aumentando la nostra felicità. Poiché la beatitudine è quella pace dell'animo che nasce dall'intuizione di Dio, e a tale pace si perviene perfezionando la propria intelligenza, cioè intendendo Dio, i suoi attributi, e le opere che conseguono dalla necessità della sua natura, è fondamentale l'ufficio della logica, che insegna a distinguere dalle idee adeguate o vere le inadeguate, che non sono vere o perché sono finte, cioè consciamente immaginate, o perché sono false, cioè inconsciamente immaginate e scambiate per vere, o perché sono dubbie, cioè non dedotte con necessità dalle loro cause perché investigate senz'ordine. Ma distinguere le idee inadeguate è possibile solo se già si possiede un'idea vera che, ponendosi norma di sé e del falso, permetta di discernere quali idee, paragonate ad essa, risultino false. Ora la distinzione delle finzioni e degli errori dalla verità sarà sicurissima se si assumerà per norma l'idea vera dell'ente perfettissimo, dal quale tutte le cose derivano, come dalla sua idea derivano tutte le idee. Muovere da tale idea, causa di tutte le idee, per derivarne in ordine, prima le idee dei modi infiniti. poi quelle dei modi finiti, significa ricostruire quell'ordine ideale, in sé necessario, che è identico all'ordine reale delle cose infinite e finite procedenti dall'Ente assoluto. L'idea dell'Ente perfetto è nella nostra mente, che la trova contenuta nell'idea di sé stessa, nell'idea del nostro corpo, nelle idee delle cose che impressionano il nostro corpo, insomma in ogni idea, così come la causa assoluta è presente nella nostra mente, nel nostro corpo e in ogni cosa dell'universo. Ma finché la nostra mente non si fermi nella meditazione dell'idea della Sostanza assoluta, scorgendo ch'essa è l'idea prima, dalla quale tutte le altre derivano, il nostro animo oscilla tra i beni passeggeri, forse ingannevoli ma vicini, e il bene infinito, sospettato di non poterci appagare totalmente. Il trattatello s'interrompe al principio della seconda parte che, dopo una dottrina della definizione già da noi accennata a proposito del Breve Trattato, avrebbe dovuto fornire, come aiuti, regole certe per percepire le cose ignote secondo la norma d'un'idea vera già data: mentre la terza parte avrebbe indicato un tale ordine tra le idee, perché la mente non avesse a stancarsi per cose inutili.

L'Etica. - Se il Trattato su l'emendazione dell'intelletto vuole essere un "trattato del metodo" da seguire nella filosofia, che deve anzitutto depurare un'idea chiara - l'idea che è causa di tutte le idee, cioè l'idea della Sostanza o Dio - per ricavarne con critico rigore le idee che ne conseguono, l'Etica è l'elaboratissima trattazione dove tale metodo è applicato. Anch'essa comincia, come il giovanile Breve Trattato, con una critica del concetto di Sostanza, cioè con una determinazione critica dell'idea adeguata di Dio (parte I). Se la Sostanza è causa immanente di tutti i suoi modi, è causa immanente anche della mente umana: la quale dall'immaginazione si leva al ragionamento e da questo all'intuizione intellettiva quando, conosciute le proprie passioni, che sono naturali conseguenze delle idee inadeguate, prende a combatterle promovendo e coltivando gli affetti che, del pari naturalmente, si svolgono dalle idee adeguate. L'Etica dedica la II parte a studiare la natura della mente - che è idea corporis - e la sua origine, come modo, dalla Sostanza infinita; la III parte a indicare che l'essenza dell'uomo è cupiditas, onde gli affetti o sentimenti fondamentali e primordiali ch'egli prova sono la laetitia, cioè il senso di passare da una perfezione minore a una maggiore, e la tristitia, cioè il senso di passare da una perfezione maggiore a una minore. Da questi affetti fondamentali nascono - con la stessa necessità con la quale le proposizioni della geometria derivano dalle definizioni e dagli assiomi - tutti gli altri affetti: amor est laetitia concomitante idea causae externae; odium est tristitia concomitante idea causae externae; e l'invidia e la misericordia, affetti tra loro opposti, sono conseguenze egualmente necessarie dell'umana natura. La IV parte descrive l'uomo nello stato di servaggio in cui lo riducono e lo tengono le sue passioni finché egli non valga a moderarle e a frenarle. La via di sottrarsi al servaggio è minutamente indicata nella V parte, in cui quel poema di pensiero ch'è l'Etica si chiude con un annunzio liberatore per l'uomo. Bisogna, anzitutto, che la nostra mente conosca le proprie passioni perché, quanto più le conosciamo, tanto meno ci asserviscono. Dobbiamo poi fissare il nostro pensiero - e al pensiero s'accompagna naturalmente l'amore - sull'idea di quel Bene che, essendo eterno, è più desiderabile delle cose singole, che sono soltanto possibili o, quando sono reali, non sono durature. D'altra parte, su qualunque idea si fermi la nostra mente, è subito ricondotta all'idea di Dio, che è implicita, come causa immanente in ogni altra idea: conviene, quindi, alla mente fermarsi sull'idea di Dio, e prenderla come norma per esaminare gli affetti rivolti alle cose particolari e passeggere. Scorta la vanità dei beni sensibili, l'amore rifluisce naturalmente dalle cose particolari, effimere e fallaci, alla loro Sostanza, eterna e indefettibile. Da ciò non deriva nessuna rinunzia ascetica ai beni particolari, ma solo una moderazione dell'attaccamento ad essi, che, conosciuti nei loro limiti, vanno limitatamente desiderati e cercati. Infinito dev'essere solo l'amore rivolto a Dio infinito: e la conoscenza intuitiva che l'uomo raggiunge del Bene eterno, strappando la mente al tempo e al mutamento, la solleva essa stessa all'eternità. Così la miglior parte dell'uomo, l'intelletto, vince il tempo e, conoscendo l'eterno, in esso posa beata. Questa beatitudine rende l'uomo potente a contenere e frenare i desiderî delle cose sensibili. Né la beatitudine s'aggiunge alla virtù come suo premio; ma la virtù è a sé stessa libertà e pace e beatitudine dell'animo che ha trovato Dio e in lui vede, secondo verità, tutte le cose, che da lui derivano.

L'Etica presenta al lettore un aspetto singolare per la forma matematica in cui è costretto il suo ricchissimo e vivo pensiero.

A parte i tentativi dei tardi neoplatonici, già Cartesio aveva abbozzato, in fondo a una sua Responsio, un'esposizione matematica del suo pensiero: lo S. aveva ripreso il tentativo, e l'aveva condotto già molto innanzi, nell'esposizione in forma matematica della I e II parte dei Principî di filosofia del Cartesio: l'Etica è un grande sforzo di dare, al rigore intimo del pensiero, un'espressione anche formalmente ed esteriormente rigorosa. Non si tratta - come chiarì efficacemente P. Martinetti - di una deduzione sillogistica, bensì di una costruzione logica, nella quale le definizioni sono, in realtà, posizioni, e attendono di risultare esse stesse dimostrate dal complesso del sistema: sicché la forma geometrica dell'esposizione esprime solo la coerenza dell'intero sistema con i suoi principî. Tuttavia la grande compattezza esteriore della costruzione non vale a occultare la debolezza di taluni passaggi, che sono poi fondamentali se lo spinozismo vuole apparire un sistema criticamente valido. Né davanti alla secchezza di certi enunciati, dai quali lo S. deduce conseguenze ricchissime in scolî divenuti giustamente celebri, il lettore riesce a vincere l'impressione d'un artificio esteriore, che deforma e, a volte, rischia di mortificare l'interiore pienezza del pensiero.

Il Trattato teologico-politico. - Pubblicate che furono le opere postume, lo S. divenne, davanti alla coscienza europea, soprattutto o quasi esclusivamente il filosofo dell'Etica: il Trattato teologico-politico fu, a paragone, assai meno letto: oggi stesso, pochi lo ricercano e lo studiano. Ed è, invece, opera di ricchissimo interesse (si dice, con qualche inesattezza, che inauguri la vera critica biblica); e, per l'intendimento dello spinozismo, insieme con alcune Epistole, dà modo di cogliere attraverso quale interpretazione dell'Antico e del Nuovo Testamento lo S. giunga a fondare e giustificare il suo naturalismo. Il programma ch'egli si propone è quello d'esaminare la Scrittura "senza nulla affermare di essa, e nulla ammettere come sua dottrina, che essa medesima non insegni con la più grande chiarezza". Con questo metodo d'interpretazione studia ciò che la Scrittura stessa dice delle profezie e dei miracoli, e conclude che l'autorità dei profeti ha peso solo in ciò che riguarda la vita e la vera virtù, lasciando interamente libera la ragione di studiare filosoficamente, cioè secondo il lume naturale, Dio e la natura, e i miracoli non accadono contro l'ordine della natura, ma contro ciò che gli spettatori sanno della natura. Secondo lo S., religione e filosofia sono nettamente separate: l'una poggia sulla "rivelazione", l'altra sulla ragione: si tengano ciascuna entro i proprî confini, e vivranno in pace. Per "rivelazione", poi, lo S. intende la legge divina, rivelata all'intero genere umano a mezzo dei profeti e degli apostoli: ed essa è: "obbedire a Dio con animo integro, coltivando giustizia e carità". A questo nucleo morale lo S. riduce, essenzialmente, quella ch'egli chiama la religione cattolica, universale: religione naturale e razionale - perché controllata, ammessa, anzi configurata dalla ragione, anche se l'"obbedire" a Dio inerisca alla rappresentazione che di Dio è raccomandata dalla religione, mentre la ragione pensa Dio come causa immanente, che opera essa medesima, da sé, ciò che gli uomini credono di scegliere in obbedienza a lui - e religione tenuta ad arte entro tali limiti, che l'indagine razionale di Dio e della natura non ne resti preoccupata e turbata. Religione, inoltre, latitudinaria, che lascia a ogni uomo facoltà d'interpretare a suo modo i fondamenti della fede, senza che la diversa interpretazione pregiudichi il valore della fede, che solo dalle opere si deve giudicare se sia pia o empia. Su queste premesse poggia la seconda parte del Trattato, nella quale si delinea l'intento politico dell'intero scritto. La tesi che, in favore della libertà di coscienza e di pensiero, il partito dei de Witt difendeva contro il partito orangista, sostenuto dai predicatori delle varie confessioni protestanti, è dallo S. propugnata con una filosofia politica che sembra muovere da principî hobbisti; ma giunge, invece, a conclusioni nettamente antiassolutistiche, che dimostrano com'egli intendesse, in verità, in maniera tutta diversa il patto col quale gli uomini trasferirono in una summa potestas il loro diritto naturale di vivere a loro modo, insieme col potere di difendersi. Dopo il patto, i reggitori dello stato sono i soli vindici della libertà e del diritto, mentre gli altri devono far tutto secondo il decreto dei governanti: "ma, poiché nessuno può essere a tal punto privato del suo potere di difendersi da cessare d'essere uomo, nessuno può esser privato assolutamente del diritto suo naturale, ma i sudditi ritengono quasi per diritto di natura alcune facoltà che non si possono strappare loro senza gran pericolo per il governo, e che ad essi o tacitamente si concedono, o essi stessi espressamente stipulano con quelli che tengono il comando". Così lo S. attribuisce alla summa potestas potere sovrano sulle chiese; ma ritiene pericolo gravissimo per i governanti ogni loro tentativo d'impedire ai cittadini di pensare come vogliono e di dire quel che pensano.

Il Trattato politico che, più letto, è spesso considerato insieme col Trattato teologico-politico, è, in realtà, tutt'altra cosa. Lo S., che vi lavorava quando fu colto dalla morte, intendeva proporre ordinamenti che, ispirandosi liberamente al meglio delle costituzioni in vigore in tutta Europa, salvassero la monarchia dal pericolo di cadere nella tirannide, e, parimenti, i governi aristocratico e democratico dal pericolo di degenerare e crollare. Il Trattato politico riproduce la concezione del patto o contratto sociale come rivolto a garantire la libertà naturale dei cittadini, perché "fine dello stato è invero la libertà", e, nella ricerca degli ordinamenti migliori da proporre, vorrebbe premunire gli uomini contro le loro stesse passioni, sicché gli ordinamenti li obbligassero alla rettitudine contro le stesse loro naturali propensioni a combattersi per primeggiare.

Storia e perennità dello spinozismo. - La storia dello spinozismo ha linee così salienti che - come avviene solo delle grandi storie - può riassumersi in pochi tratti. La fine del Seicento e il Settecento fino al penultimo decennio son pieni di diffidenza, avversione, odio per l'immanentismo spinoziano. Nel 1785 uscirono le Lettere di Federico Jacobi a Mosè Mendelssohn sulla dottrina dello S., nelle quali lo spinozismo è nettamente rifiutato, ma con la dichiarazione, che è il solo sistema al quale la ragione possa metter capo quando sia abbastanza coraggiosa e coerente per non temere di giungere all'estreme conseguenze; e che perciò va rifiutata la ragione stessa, e bisogna affidarsi al sentimento, che ci parla d'un Dio persona, d'un Dio bontà e provvidenza. Lo Jacobi rivelò alla Germania che un grande tedesco, il Lessing, gli aveva un giorno confidato d'essere spinozista. E un altro grande tedesco, il Goethe, ebbe una fede spinoziana. Chi pensi che i grandi postkantiani, Fichte e soprattutto Schelling e, più d'ogni altro, Hegel, o si rifecero dallo S., o addirittura dichiararono che cominciare a filosofare significa essere spinozisti; e chi pensi che, d'altra parte, ebbe simpatia vivissima per lo S. il nemico implacabile di Fichte, di Schelling e di Hegel, Schopenhauer, intende come l'Ottocento abbia dato luogo a un rifiorire dello spinozismo, sia col sorgere d'una nutritissima attività filologica intorno a quanto riguardi la vita e il pensiero, la lettera e lo spirito delle opere dello S., sia col rampollare di nuove filosofie, o annunziantisi come interpretazioni speculative dello S., o originali, ma tuttavia animate da ispirazione spinoziana. Lo S. rimase al centro della cultura e dcll'attenzione dei hegeliani d'ogni paese; ma anche i positivisti videro in lui un precursore: e quando il naturalismo del Rinascimento fu conosciuto più da vicino, esso sembrò condurre per necessità interiore allo spinozismo e sboccare in esso. D'altra parte, una migliore conoscenza del neoplatonismo menò gli studiosi a riconoscere nello spinozismo il punto di convergenza di motivi speculativi antichi, non mai spentisi nel Medioevo, riaffiorati nel Rinascimento e potenziatisi nello spinozismo, per rifrangersi da esso in tutto il pensiero moderno. Lo spinozismo è una delle esperienze massime del pensiero umano: non si può ignorarlo o lasciarlo da parte: non è possibile filosofare senza fare i conti con esso. Si può essere spinozisti o antispinozisti: non si può essere aspinozisti. Lo spinozismo, cioè, non è uno dei molti sistemi che l'uomo ha escogitato: è il profilo stesso della mente umana, vista da un lato: si può, e forse si deve combatterne l'unilateralità; ma prescindere dallo spinozismo sarebbe, di nuovo, essere unilaterali ed errare.

Bibl.: La bibliografia spinoziana è così estesa da non potersi tentare qui. Un tentativo di bibliografia organica e ragionata fino al 1923, è stato fatto da A. Guzzo in fine della sua edizione della 1ª e 2ª parte dell'Etica (Firenze 1923; cfr. S. v. Dunin-Borkowski nel vol. S. nach dreihundert Jahren, Bonn 1932). Nel 1920 si costituì all'Aia la Societas Spinozana, che ebbe per curatori i più grandi studiosi dello S.: sir Frederick Pollock, Léon Brunschvicg, Willem Meijer e Carlo Gebhardt. La società riscattò la Domus Spinozana all'Aia; pubblicò alcuni volumi del Chronicon Spinozanum: finché venne a mancarle la generosa vita del Gebhardt. Nello stesso anno 1934 morì il Dunin Borkowski, interrompendo le sue preziose ricerche, come già il Freudenthal aveva interrotto le sue.

I libri che segnano una data nell'interpretazione del pensiero spinoziano sono, dopo le Lettere di F. Jacobi (1785); W. F. Hegel, Vorlesungen über Geschichte der Philosophie, Berlino 1833-36; J. E. Erdmann, Versuch einer wissenschaftlichen Darstellung der neueren Philosophie, Dorpat 1834-36; K. Fischer, Geschichte der modernen Philosophie, I. Descartes und seine Schule, II, Mannheim 1854. L'accostamento dello spinozismo al panteismo o immanentismo della Rinascenza, specie bruniano, fu riproposto nell'Ottocento da C. Sigwart nei suoi lavori, sul Breve Trattato, Gotha 1866 e 1870. L'accostamento dello spinozismo ai filosofi ebrei del Rinascimento fu compito da M. Joël, Don Chasdai Creska's religions-philosophische Lehren in ihrem geschichtlichen Einflusse dargestellt, Breslavia 1866, e Beiträge zur Geschichte der Philosophie, Lipsia 1876. L'interpretazione idealistica dello spinozismo risale a F. Pollock, S., his life and philosophy, Londra 1880. L'accostamento dello spinozismo alla scolastica della controriforma fu opera di J. Freudenthal, S. und die Scholastik, Breslavia 1887; Die Lebensgeschichte Spinozas, Lipsia 1899; S., sein Leben und seine Lehre, I. Das leben, Stoccarda 1904. L'interpretazione dello spinozismo come descrizione di quella interiore dialettica che conduce l'uomo dall'immaginazione alla ragione, dalle passioni alla libertà, è di V. Delbos, Le problème moral dans la philosophie de S., Parigi 1893, e di L. Brunschvicg, S., Parigi 1894. Per lo studio dell'ambiente olandese in cui visse lo S., v. Meinsma, S. en zijn kring, 1896, e Hylkema, Reformateurs, 1900-1902. Uno studio dello spinozismo "alla luce della filosofia mondiale" fu condotto con enorme erudizione e grande acume da S. v. Dunin-Borkowski, Der junge De S., Münster 1910. Vasta e compiuta la recente opera di H. A. Wolfson, The philosophy of S., Londra 1934 (su cui v. A. Ferro, in Giornale critico della filosofia ital., 1935). In Italia: B. Spaventa, Il concetto dell'opposizione e lo spinozismo, 1867 (ora in Scritti filosofici a cura di G. Gentile, Napoli 1900), e Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Università di Napoli, Napoli 1862 (ripubblicate dal Gentile col titolo: La filosofia ital. nelle sue relazioni con la filosofia europea, Bari 1909); G. Gentile, recensione a E. Solmi, B. S. e Leone Ebreo, Modena 1903 (ora in Studi sul Rinascimento, Firenze 1923) e introduzione e commento all'Ethica, Bari 1915; P. Martinetti, La dottrina della conoscenza e del metodo, 1916. Interpretazione positivistica dello S. in E. Troilo, introduzione alla traduzione dell'Etica, Milano 1914; A. Guzzo, Il pensiero di S., Firenze 1924; F. Meli, S. e Socino, ivi 1934. Informatissimi articoli spinoziani in Giornale Critico della filosofia italiana e altre riviste, dovuti ad A. Ravà, curator italiano della Societas Spinozana.