BUONDELMONTI, Benedetto

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 15 (1972)

BUONDELMONTI, Benedetto

Gaspare De Caro

Figlio di Filippo e di Costanza di Marco Parenti, nacque a Firenze il 30 maggio del 1481.

Scarse sono le notizie a lui relative sino a tutto il primo decennio del sec. XVI: Francesco Guicciardini ricorda di essere stato presente al suo matrimonio con una figlia di Luca di Maso degli Albizzi, nel giugno del 1506; e di aver tenuto a battesimo insieme con lo stesso B., il 29 dicembre dell'anno successivo, un figlio di Pandolfo Ricasoli.

Il B. fu chiamato alla prima carica pubblica nel 1511, essendo eletto tra i Dodici buonomini: segno che egli non aveva ancora chiaramente espresso le proprie inclinazioni politiche. Ma non tardò a farlo: l'anno seguente, alla notizia del sacco di Prato ad opera dell'esercito ispano-pontificio, quando apparve chiaro che la Repubblica non avrebbe a lungo resistito all'urto dei suoi nemici, il B. fu tra coloro che assaltarono il palazzo della Signoria e costrinsero il Soderini ad abbandonare la carica, aprendo così di fatto le porte della città a Giuliano de' Medici (30 ag. 1512). Appena instaurato il governo mediceo apparve subito chiaro quale conto facessero i nuovi signori del B., il quale, nello stesso 1512, fu chiamato a far parte degli Otto di Balia, mentre l'anno successivo fu eletto tra i Priori. Ma più che nel governo della città il B. si distinse subito come uomo di fiducia di Lorenzo de' Medici, probabilmente lusingandolo, così come del resto faceva il padre suo Filippo, con la speranza di insignorirsi di Firenze, giacché i Buondelmonti erano, come ricorda il Varchi, tra coloro che sostenevano la trasformazione dell'egemonia medicea in aperto dominio, "cercando sempre, e per tutte le vie, che lo Stato si restringesse e a minor numero si riducesse" (Storia fiorentina, p. 17). A fianco di Lorenzo de' Medici il B. era nell'estate del 1515, allorché l'esercito pontificio operava nella valle del Po a guardia del territorio ecclesiastico contro l'avanzata dell'esercito francese. Di lui il Medici si servì come agente diplomatico, sebbene il cardinale Giulio de' Medici, che di fatto dirigeva largamente le iniziative di Lorenzo, non dovesse avere una grande opinione del B. come testimonia una sua lettera allo stesso Lorenzo, nella quale sconsigliava una missione del B. presso il campo francese "dovendosi trattar questa cosa con altra gravità" (Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, a cura di G. Canestrini e A. Desjardins, II, Paris 1861, pp. 728 s.).

Tuttavia, nonostante questo parere sfavorevole, il B. fu inviato effettivamente al campo francese, in rappresentanza di Lorenzo insieme con il vescovo di Tricarico Ludovico da Canossa, inviato da Leone X: i due resero omaggio a Francesco I il 14 sett. 1515, poche ore prima dell'inizio della battaglia di Marignano, e la cosa ebbe una notevole importanza diplomatica. Gli inviati dovevano, infatti, nelle intenzioni di Leone X, stabilire un contatto senza particolare significato, giacché la fiducia del pontefice negli Svizzeri era ancora intatta: era dunque una delle solite mosse di Leone X, avvezzo a non tagliare mai i ponti dietro di sé. Ma il papa dovette largamente congratularsi, se non della propria preveggenza, almeno della propria buona sorte, poiché il fatto che i due rappresentanti medicei avessero dimostrato buone, e sia pur generiche, intenzioni prima della clamorosa vittoria, indusse Francesco I a un atteggiamento abbastanza conciliante. Così, del tutto inopinatamente, anche al B. toccò, insieme con il Canossa, avviare le trattative per la cessione al Ducato di Milano, ora in mano francese, di Parma e Piacenza, e per il riconoscimento da parte di Francesco I delle signorie medicee su Firenze e sul Ducato di Urbino: trattative che finirono per concludersi poi con il concordato di Bologna del 1516 al quale intervenne di persona lo stesso pontefice.Il B. era sempre al seguito di Lorenzo de' Medici quando questi, nel 1517, si recò alla corte di Francia per rappresentarvi il pontefice al battesimo del delfino, e ancora l'anno successivo, per il matrimonio dello stesso duca di Urbino. Dopo la morte di Lorenzo il B. passò al servizio del cardinale Giulio: il futuro Clemente VII doveva evidentemente essersi ricreduto sul conto di lui, perché nel 1521 gli affidò una delicata missione segreta.

Dopo la definitiva rottura di Leone X con Francesco I e dopo che i Francesi erano stati espulsi dal Ducato di Milano nel quale l'esercito ispano-pontificio ristabiliva Francesco Maria Sforza, Giulio de' Medici inviò il B. alla corte di Francia, per illustrare la buona volontà personale del cardinale nei riguardi del re.

Naturalmente questi rapporti con il Medici dovevano giovare al B., il quale, infatti, eletto al pontificato Clemente VII, venne chiamato a far parte del magistrato fiorentino degli Otto di pratica. Qui il B. ebbe subito modo di manifestare il suo attaccamento al signore effettivo della città, richiedendo il processo e ottenendo una spropositata condanna capitale contro un Pietro Orlandini, il quale aveva avuto l'imprudenza di manifestare pubblicamente il proprio malcontento per l'elezione del Medici al pontificato, adducendo certe sue ragioni secondo le quali essa non era canonicamente valida. Nuovamente Clemente VII affidò al B. un delicato incarico al principio del 1527, quello di recarsi a Napoli per riscattare Filippo Strozzi che il viceré Ugo di Moncada custodiva da quando gli era stato consegnato in ostaggio dallo stesso pontefice durante il sacco posto dai Colonnesi a Roma l'anno precedente. Il B. si trovava così a Napoli quando Roma fu sottoposta al saccheggio da parte dell'esercito imperiale, il 6 maggio, e quando, dieci giorni dopo, fu restaurata in Firenze la repubblica. Egli si rifugiò allora in Ancona e vi rimase fino a che a chiamarlo in Firenze non furono lo stesso Filippo Strozzi ed un suo cugino, Zanobi Buondelmonti, esponente assai noto della fazione repubblicana per essere stato cinque anni prima uno dei protagonisti della congiura contro il cardinale Giulio de' Medici.

Ma a Firenze era troppo diffuso il risentimento contro i partigiani dei Medici perché il B. potesse effettivamente passare indenne attraverso il cambiamento di regime. Il gonfaloniere di giustizia Niccolò Capponi ordinò agli uditori dei conti di procedere contro di lui per l'uso affermato illecito di una importante somma di denaro pubblico fatto dal B. quando era membro della Balia: in realtà pare che l'accusa fosse puramente pretestuosa e servisse soltanto a mascherare l'imposizione di un pesante balzello contro i partigiani dichiarati dei Medici. Fatto sta che gli uditori dei conti stabilirono un debito del B. verso il Comune di 1000 scudi. Il B. si rifiutò di pagare ed uscito di città si rifugiò in una sua villa, dove, armati i contadini, oppose resistenza agli inviati degli uditori dei conti. Catturato ed imprigionato, sotto l'accusa di aver tentato di sollevare il contado contro la Repubblica, di aver mantenuto in danno di essa, dopo il suo ritorno in Firenze, contatti con Clemente VII e con un fuoruscito capo dei palleschi, Francesco Antonio Nori, ed infine di essere responsabile di un delitto politico nella persona di un suo cugino, Andrea Buondelmonti, la natura politica delle accuse fece sì che il processo fosse demandato dagli Otto di pratica all'esame dei Quaranta.

Di fronte a questi il B. si difese validamente, ottenendo una condanna piuttosto mite, confortato ad accettarla anche da alcuni amici politici e dai parenti: gli fu imposta una prigionia di quattro anni nella prigione di Volterra, ma fu liberato in anticipo, alla caduta della Repubblica, il 20 ag. 1530, e subito eletto nel consiglio dei centotrentasei "arroti", rappresentandovi S. Maria Novella.

Ma ben altro il B. credeva di aver meritato dai Medici e quando si vide escluso, nel 1531, dal numero dei ventiquattro accoppiatori eletti dalla Balia per preparare lo squittinio generale, carica che indubbiamente era di primaria importanza in vista della trasformazione di regime, il B. non si rassegnò e scrivendo a un confidente di Clemente VII, Giovan Francesco da Mantova, lamentò di essere stato lasciato "a denti secchi". La protesta valse subito al B. la nomina ad ambasciatore presso il pontefice, incarico che egli assolse con grande diligenza.

I suoi dispacci si riferiscono soprattutto alle preoccupazioni, allora vivissime in Roma, per le iniziative militari del Turco, ed al numerosi progetti per organizzare una risposta della Cristianità: così il 20 febbr. del 1531 riferiva sui contatti tra Clemente VII ed Andrea Doria per la preparazione di una spedizione navale a carico essenzialmente degli Imperiali e dei Pontifici; nel dicembre illustrava le molte notizie relative a una temuta imminente grande offensiva ottomana; nel giugno dell'anno successivo informava della decisione presa dal concistoro di inviare all'imperatore il cardinale Ippolito de' Medici con un soccorso di 50.000 ducati per la guerra contro gli infedeli.

Presto però il pontefice, "avendo nell'animo quello ch'egli aveva delle cose di Firenze", affidò al B., "persona inquieta, ma sagace, e tutto della casa del Medici" (Varchi, p. 336), un ruolo di primo piano nella riforma costituzionale che trasformò il dominio mediceo in principato. Nel luglio del 1531 il B. ricopriva a Firenze la carica di gonfaloniere di giustizia, allorché l'ambasciatore e commissario dell'imperatore, Giovannantonio Muscettola, consegnò alla Signoria la bolla di Carlo V con la quale Alessandro de' Medici veniva nominato capo del reggimento della città e i Medici erano restaurati nell'autorità che avevano "prima del 1527": bolla che il B., come ricorda il Varchi, "poiché fu letta... piangendo la baciò in presenza di tutti" (ibid.). Ma non era che il principio della trasformazione politica che ormai era la principale aspirazione dei Medici e dei loro partigiani e il B. fu tra coloro che più si prodigarono perché essa fosse realizzata al più presto. Insieme con Filippo Strozzi, con Iacopo Salviati, con Roberto Pucci, con Bartolomeo Lanfredini, il B. partecipò nell'inverno 1531-1532 alle consultazioni che si tennero presso il pontefice per stabilire i modi e i tempi della riforma. Altri importanti personaggi del partito mediceo, trattenuti lontano da Roma, furono egualmente consultati da Clemente VII: tra loro il Guicciardini. Inviarono pareri scritti che sono rimasti, mentre delle opinioni dei presenti non esistono documenti. Ma non è illecito congetturare che il B. fosse tra i più intransigenti sostenitori di quella riforma del maggio 1532 che, secondo la testimonianza del Sanuto (Diarii, LVI, col. 197), fu accolta "con mala contenteza de ogniuno maxime perché Alexandro può tutto da sé disporre senza i conseglieri, et loro senza esso non possono far niente".

In questa stessa occasione il B. venne eletto nel Senato dei quarantotto, tutti scelti tra i più fedeli medicei. Tornò quindi a Roma, dove continuò a esercitare le sue funzioni di ambasciatore residente e qui morì l'8 sett. del 1533.

Fonti e Bibl.: Lettera di B. B. a Giovan Francesco da Mantova,12 apr. 1531, a cura di G. Capponi, in Arch. stor. ital., I (1842), pp. 469-477; B. Varchi, Storia fiorentina, in Opere, a cura di A. Racheli, I, Trieste 1858, pp. 16, 29, 72, 334 ss., 340; M. Sanuto, Diarii, XLV, Venezia 1896, col. 16; LVI, ibid. 1901, coll. 197, 226; F. Guicciardini, Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1936, pp. 58 a.; F.-T. Perrens, Histoire de Florence depuis la domination des Médicis à la chute de la République, II, Paris 1889, p. 509; III, ibid. 1890, pp: 169, 358, 369; L. von Pastor, Storia dei Papi, IV, Roma 1929, 2, pp. 422, 424, 429; C. Roth, L'ultima Repubblica fiorentina, Firenze 1929, pp. 103, 104 n., 151, 459 n; E. Rodocanachi, Histoire de Rome. Le pontificar de Léon X,1513-1521, Paris 1931, pp. 82 s.; F. Gilbert, Alcuni discorsi di uomini politici fiorentini e la politica di Clemente VII per la restaurazione medicea, in Arch. stor. ital., XCIII(1935), 2, pp. 7-9, 20; P. Litta, Le fam. celebri ital., s.v. Buondelmonti, tav. X.

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