ANTONUCCI, Benedetto Antonio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANTONUCCI, Benedetto Antonio

Fausto Fonzi

Nato a Subiaco il 17 sett. 1798, dopo aver studiato filosofia nella sua città completò il corso di teologia nel Collegio Romano. Studiò poi diritto all'università di Roma, facendo quindi pratica presso avvocati romani e, per il diritto canonico, frequentando dal 1824 la S. Congregazione del Concilio. A Roma, dove era stato ordinato sacerdote, raggiunse la dignità di canonico.

Mons. F. Capaccini, inviato straordinario dal 1828 e internunzio dal marzo 1829 presso il re dei Paesi Bassi, scelse l'A. come suo segretario e uditore della nunziatura di Olanda; le capacità mostrate dal giovane diplomatico spinsero anzi il Capaccini, allorché durante la rivoluzione belga, nel settembre 1830, dovette trasferirsi all'Aja presso il re Gugliehno, a lasciare a Bruxelles l'A. con l'incarico di dare notizia, frequentemente e ampiamente, alla S. Sede circa lo svolgimento degli avvenimenti nel Belgio.

L'A. scrisse al segretario di stato, card. G. Albani, quasi ogni giorno dal 9 sett. al 7 dic. 1830, comunicando notizie e giornali, illuminando la segreteria vaticana circa la situazione interna belga e particolarmente sugli atteggiamenti del clero.

A questo proposito il card. Albani, impressionato dalle lettere dei nunzi a Parigi e a Vienna, L. Lambruschini e U. Spinola, ostilissimi al movimento belga di liberazione, si rivolse all'A. chiedendogli una relazione particolareggiata. Il canonico rispose con un importante Rapporto sulla condotta del clero belga nel 1830, datato 3 dic. 1830, spiegando le origini dell'alleanza dei cattolici con i liberali, i quali, rinunciando all'anticlericalismo, offrivano alla Chiesa quella libertà che Napoleone e Guglielmo d'Olanda avevano ad essa negato. Giustificava quindi l'intervento del clero nelle vicende politiche, ammettendo l'esistenza di ecclesiastici repubblicani trascinati pericolosamente nelle lotte politiche ed elettorali, ma elogiando il moderato comportamento dell'episcopato, che aveva incitato il laicato e il clero a votare.

A Bruxelles l'A. non svolse praticamente una vera attività diplomatica; del resto dalla segreteria di stato riceveva soltanto la richiesta di notizie e raccomandazioni di prudenza e di neutralità politica, se si eccettua l'invito rivoltogli dall'Albani il 13 dic. 1830 perché svolgesse un'azione favorevole alla famiglia di Aremberg e contraria a quella di Orange nella competizione per il trono belga.

Il 5 sett. 1831 mons. Capaccini delegava le facoltà di vicesuperiore della missione di Olanda all'A., che il 17 dicembre successivo era nominato vicesuperiore dalla Congregazione di Propaganda; lo stesso 17 dicembre l'A. era nominato da Gregorio XVI incaricato di affari presso la corte dei Paesi Bassi, e il 23 genn. 1832 presentava le credenziali all'Aja, dove egli restò fino al 1841.

Superando gravi difficoltà, derivanti anche dalla sua giovane età e dall'ignoranza della lingua olandese, l'A. riuscì presto a vincere la forte resistenza oppostagli dagli arcipreti, che reggevano i sette distretti della missione d'Olanda, abituati alla massima indipendenza per l'assenza o il disinteresse del precedente vicesuperiore L. Ciamberlani e del pro-vicesuperiore G. Van Nooy. In seguito alle dimissioni di protesta dell'arciprete G. Van Banning (28 dic. 1831) l'A. assunse direttamente anche le funzioni di arciprete di Olanda, Zelanda e Frisia occid., che mantenne per tre anni. Restituì quindi gli antichi poteri ai decani e ai provinciali degli ordini, incaricando questi ultimi e gli arcipreti della visita pastorale in tutta la missione nel 1832 e poi ancora nel 1838.

L'A. tendeva certo a far valere la sua autorità, ma pure a guadagnarsi la simpatia e l'appoggio di arcipreti, decani e provinciali per efficacemente resistere alla volontà di dominio sulla Chiesa delle autorità civili olandesi, e particolarmente del segretario generale del dipartimento del Culto Cattolico, C. Van der Horst.

Questi aveva consigliato all'A. l'accettazione di alcune disposizioni che, pur favorendo materialmente il clero, lo avrebbero legato e sottoposto praticamente allo Stato. Di fronte alla resistenza del giovane diplomatico il Van der Horst gli aveva mosso aperta guerra con l'appoggio del prof. Wyckerslooth, nominato nel 1832 vescovo per l'Olanda. Conflitti si verificarono quindi per l'esame, la nomina e il giuramento di cappellani dell'esercito, delle carceri o degli orfanotrofi; per l'organizzazione degli studi teologici nel grande seminario di Warmond; circa il diritto di fissare la circoscrizione delle parrocchie; intorno alle pretese governative d'imporre pubbliche preghiere al clero, di amministrare un fondo per i bisogni delle chiese, di eliminare la libertà dell'istruzione ecclesiastica attraverso borse di studio concesse agli studenti in teologia. L'A. assunse un atteggiamento deciso anche nelle questioni secondarie, perché intendeva combattere ogni tentativo del governo per l'assoggettamento completo della Chiesa cattolica allo Stato secondo l'esempio fornito dalla Prussia. Il Van der Horst trovò appoggi, nella sua lotta, fra i notabili del laicato cattolico e nel clero secolare, cosicché si manifestò una tendenza a riconoscere il vero capo dei cattolici olandesi nel Wyckerslooth anziché nell'A., straniero e privo di dignità episcopale; e contro il vicesuperiore della missione si pubblicò anche a Rotterdam, nel 1837, un Giornale Ecclesiastico.

La guerra condotta contro l'A. da personalità del clero e del laicato cattolico, nonché da funzionari governativi olandesi, non ebbe successo per l'amichevole appoggio concesso all'incaricato di affari pontificio dal direttore generale del dipartimento del Culto cattolico, barone Gillès de Pélichy de Lichtervelde, favorevole a un buon accordo fra trono e altare perché cattolico, desideroso d'impedire tentativi rivoluzionari, e timoroso per l'ambizione del segretario Van der Horst. Approvazione e sostegno trovò poi l'A. presso mons. Capaccini e presso le autorità di Propaganda Fide, nonostante le continue accuse rivoltegli dai nemici. In occasione del suo viaggio a Colonia, nel settembre 1837, ebbe dal Capaccini il consiglio di scrivere un'ampia relazione giustificativa di tutta l'azione svolta in Olanda per demolire definitivamente quelle accuse. Inviò quindi a Roma un rapporto intitolato Mia amministrazione della Missione di Olanda, e datato 20 giugno 1838, ottenendo approvazioni dalla Congregazione di Propaganda e dalla segreteria di stato. Né da Roma gli era fatto rimprovero perché, nonostante le molte lodi tributate alla monarchia e al governo nelle sue lettere quaresimali, e particolarmente in quella del 1837, non aveva cercato di ottenere il ristabilimento della gerarchia cattolica nei Paesi Bassi, che avrebbe potuto accrescere l'influenza del governo e ridurre quella della S. Sede. In realtà l'A., mentre giustificava a Roma il comportamento del sovrano, otteneva da questo simpatia e appoggio, tanto che i protestanti accusavano il re di nutrire tendenze filocattoliche (che sarebbero state poi confermate dal matrimonio con una principessa cattolica) e di attuare il concordato del 1827 in senso favorevole alla Chiesa romana.

L'A., che durante la sua missione diplomatica in Olanda aveva fornito delle preziose informazioni circa il trattato dei XXIV articoli, ebbe gli elogi per la sua opera del papa e la nomina, il 17 dic. 1840, a vescovo di Montefeltro; restò, però, all'Aja fino all'arrivo dell'internunzio Capaccini, partendosolo il 23 maggio 1841 alla volta di Roma, ove fu consacrato vescovo in S. Carlo il 18 luglio.

Il 22 sett. 1842 l'A. fu trasferito da Montefeltro a Ferentino; il 15 luglio 1844 ebbe il titolo di arcivescovo di Tarso; il 29 luglio fu nominato nunzio apostolico a Torino. Nel novembre del 1844 raggiungeva la capitale piemontese, per sostituire l'incaricato d'affari can. C. Sacconi, e iniziava così la sua missione diplomatica presso Carlo Alberto, che gli manifestò la sua fiducia. Si legò anche di cordiale amicizia col conte Clemente Solaro della Margarita, che fece le lodi dell'A. nel suo Memorandum. Minore autorità e influenza ebbe il nunzio durante il periodo costituzionale, per quanto egli si adoperasse per il mantenimento di buoni rapporti fra il Regno di Sardegna e la S. Sede. Nel gennaio 1849, dopo che Pio IX ebbe rifiutato la mediazione proposta da Vittorio Emanuele e minacciato il ritiro del nunzio per l'esistenza di una legazione sarda presso il governo dei "ribelli" romani, l'A. appoggiò il progetto giobertiano per l'invio a Roma di truppe sarde, anche perché riteneva che un intervento straniero sarebbe stato più odioso dell'intervento piemontese; ma l'Antonelli rispose che il papa non poteva accettare la restaurazione per opera di un solo stato italiano senza compromettere il suo carattere universale. L'A. sostenne poi la richiesta di Vittorio Emanuele e del nuovo ministro C. G. De Launay per un intervento del Piemonte accanto alle altre potenze cattoliche; ma la conferenza di Gaeta si pronunciò contro tale proposta.

Di fronte all'inasprirsi dei rapporti fra Torino e Roma l'A. compì ogni sforzo per evitare un conflitto che poteva danneggiare non soltanto il cattolicesimo, ma pure un moderato progresso politico-sociale del paese; invano, però, egli difese la S. Sede, l'episcopato e tutto il clero piemontese dalle accuse dei ministri di Torino e dello stesso Vittorio Emanuele. Il 25 febbr. 1850 il presidente del consiglio, M. d'Azeglio, comunicò al nunzio la presentazione alla Camera di un progetto del ministro Siccardi per l'abolizione del foro ecclesiastico e delle immunità. L'A. protestò, dichiarando che la S. Sede era pronta a trattare e che avrebbe potuto anche accettare un regime di separazione, come in Belgio, ma non avrebbe tollerato una violazione unilaterale del concordato. Infatti, con lettera del 19 marzo, il card. Antonelli ordinava al nunzio di lasciare immediatamente la capitale piemontese qualora il progetto fosse approvato dalle due Camere e sanzionato dal re. La nuova legge, approvata l'8 aprile anche dal senato e promulgata dal re, fu pubblicata il 9 sulla Gazzetta Piemontese; l'A. chiese perciò i passaporti e il 12 aprile lasciò Torino, affidando la nunziatura all'uditore abate B. Roberti.

Dopo la morte del card. A. M. Cadolini (1º ag. 1851), l'A. fu chiamato a succedergli come arcivescovo di Ancona, nonché vescovo e conte di Umana, il 5 settembre di quell'anno. Come il predecessore, che non voleva dare "troppi lumi" alla gioventù della diocesi l'A. si manifestò subito un rigido sostenitore delle concezioni più tradizionali e dei vecchi metodi. Lo dimostrò già nel gennaio del 1852 con la condanna di tipo medievale inflitta a un pubblico bestemmiatore, condanna che suscitò sfavorevole impressione fra la cittadinanza. Ma, reggendo la diocesi con zelo, e, soprattutto in occasione del colera del 1855, con carità, e comportandosi con riserbo dignitoso di fronte agli occupanti austriaci, conquistò anche larghe simpatie, cosicché il 30 maggio 1858, reduce dalla capitale, ove aveva ricevuto il cappello cardinalizio conferitogli il 15 marzo col titolo dei SS. Silvestro e Martino ai Monti, fu accolto con grandi feste in Ancona.

Nella diocesi compì ben cinque volte la visita pastorale, istituì nuove congregazioni, propagò le devozioni al Cuore di Gesù e alla Vergine Immacolata, volle frequenti esercizi spirituali del clero, promosse l'opera dell'Obolo di S. Pietro. Il 14 genn. 1860 invitò i fedeli a un triduo di preghiere nella cattedrale per la difesa e la conservazione del potere temporale dei papi, mentre un comitato cittadino invitava gli Anconetani a pregare invece per la fine dello Stato Pontificio. Secondo gli ordini ricevuti subì poi, protestando, le deliberazioni del commissario per le Marche, L. Valerio, che emanò decreti per la soppressione dei conventi e destinò molte chiese a usi civili e militari. Dopo l'unificazione, l'A. attribuì alle nuove condizioni politiche i successi della predicazione protestante anche nella sua diocesi (pastorale dell'8 maggio 1861) e le difficoltà finanziarie incontrate nel tentativo di soccorrere i colpiti dal grave colera del 1865: in quest'occasione ottenne che diversi orfani fossero accolti a Bergamo da un istituto di suore e a Torino dai salesiani di don Bosco, che fu suo amico ed ospite in Ancona nel 1877.

L'A. favorì lo sviluppo delle associazioni cattoliche di laici, esigendo piena ortodossia e specchiata moralità, fermezza e moderazione, disciplina e obbedienza all'autorità episcopale. Il 12 giugno 1870 sorse, quindi, in Ancona il circolo "S. Tommaso d'Aquino" di giovani cattolici, che si scontrarono più volte con gli anticlericali marchigiani, i quali nel 1871, in occasione della festa di s. Tommaso alla presenza dell'arcivescovo, irruppero nella chiesa di S. Domenico interrompendo la cerimonia con grida e violenze.

L'A. partecipò al conclave del 1878; morì ad Ancona il 29 genn. 1879.

Fonti e Bibl.: Archivio Segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Rubr. 256, buste 507 e 508 (la relazione intitolata "Mia amministrazione della Missione di Oland" è nel fasc. 11 della busta 507), Rubr. 257, busta 516; Archivio della S. Congregazione di Propaganda Fide, Belgio Olanda. Scritture riferite nei congressi, tomi 20 (1828-1833; con ampia relazione sul clero olandese del 4 febb. 1832), 21 (1834-1838), 22 (1839-1840), 23 (1841-1842); Discorso letto dal canonico Marino Marinelli per le solenni esequie dell'Em. card. A. B. A., arcivescovo di Ancona, vescovo e conte di Umana, Ancona 1879; C. Terlinden, Guillaume I, roi des Pays-Bas, et l'Église catholique en Belgique (1814-1830), II, Le Concordat  (1826-1830), Bruxelles 1906, pp. 432 s.; E. Constantini, Il decennio di occupazione austriaca in Ancona (1849-1850). Ricordi aneddotici, Ancona 1916, pp. 155-157, 296 s.; H. Bastgen, Forschungen und Quellen zur Kirchenpolitik Gregors XVI., I, Paderborn 1929, pp. 258, 414; P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, I, La laicizzazione dello Stato sardo. 1848-1856, Roma 1944, passim; A. Simon, Documents relatifs à la Révolution belge de 1830, in Bulletin de l'Institut historique belge de Rome, XXIII(1946), pp. 186-188, 201-205; G. Quazza, La questione romana nel 1848-49, Modena 1947, pp. 69, 1788 s. e passim; E Perniola, De internuntius mgr. Francesco Capaccini en de belgische omwenteling van 1830, in Mededeelingen van het nederlandsch historisch Instituutte Rome, s. 3, parte IV (1947), pp. 104, 165; A. Simon, L'Église catholique et les débuts de la Belgique indépendante, Wetteren 1949, pp. 192-195; Id., Le card. Sterckx et son temps (1792-1867), Wetteren 1950, I, p. 155; II, pp. 332, 338, e passim; La diplomazia del regno di Sardegna durante la prima guerra d'indipendenza, II,  Relazioni con lo Stato Pontificio (marzo 1848-luglio 1849), a cura di C. Baudi di Vesme, Torino 1951, pp. CXI, 3 s., 84 e passim; A. Simon, Documents relatifs à la nonciature de Bruxelles (1834-1838), Bruxelles-Roma 1958, pp. 13-16; Id., Aspects de l'Unionisme - Documents inédits 1830-1857, Wetteren 1958, pp. 26-62; M. Natalucci, Ancona attraverso i secoli, III, Dal periodo napoleonico ai giorni nostri, Città di Castello 1960, pp. 299 s. e passim; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, coll. 881 s.; G. De Marchi, Le nunziature apostoliche dal 1800 al 1956, Roma 1957, pp. 183, 253.

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