Alighieri, Bellino

Enciclopedia Dantesca (1970)

Alighieri, Bellino

Renato Piattoli

Figlio di Lapo, come si evince dal più antico documento che lo concerne (6 agosto 1276), e non di Gualfreduccio del Bello (v.) come parve al Passerini. Bisogna arrivare al settembre del 1299, quando B. giaceva infermo per il morbo che di lì a poco lo condusse alla morte, per sapere che il suo avo era stato Bello di Alighiero I. La circostanza è confermata dal documento del 1296 che ricorda un edificio di Cione di Bello nel popolo di S. Martino del Vescovo di Firenze confinante con beni del medesimo Cione e di B. suo nipote. Ciò comporta che quel Lapo dové esser fratello di detto Cione, di Geri (v.) e dell'artigiano Gualfreduccio.

In un primo tempo, anzi per molto tempo, esercitò il mestiere del prestatore in Firenze, come testimonia un atto del 1288. Egli non doveva disprezzare traffici di quel genere anche nelle città e nei paesi non lontani da Firenze, come i consorti dell'altro ramo Alighieri Bellincione di Alighiero I e i suoi numerosi figli, e persino di varcare l'Appennino. Nel novembre 1289, infatti, era testimone in Ferrara a uno strumento dotale. Probabilmente egli già si era fatta una base come prestatore nella piana a settentrione di Bologna tra Bologna e Ferrara, a S. Giovanni in Persiceto, dove trasferì anche la propria dimora raggiungendovi, o forse vi fu raggiunto dopo, il fido amico Vanni degl'Importuni che fu anche suo socio. Da tempo abitava a Persiceto verso il 1296-97, quando si fece iscrivere tra i forenses che desideravano esercitare il prestito del danaro in Bologna o nella terra dove aveva portato la residenza. Un Giovanni servente di B. prestatore toscano in S. Giovanni in Persiceto fu testimone a un fatto di sangue alla fine del luglio 1298. Sembra che B. si decidesse piuttosto tardi, dopo che si era già stanziato nel Bolognese, a formarsi una famiglia sposando Guccia del fu Guccio dei Farolfi da Monte San Savino nel territorio di Arezzo, come risulta da un documento del 16 settembre 1299.

Nel testamento l'unico maschio, Francesco, venne designato erede universale; per quattro delle cinque fanciulle, Isabetta, Francesca, Margherita e Giovanna - non è compresa l'ultima figlia, Simona (v.) - era contemplato un lascito di 300 lire di bolognini che doveva essere la dote di ciascuna al momento delle nozze. B. volle anche che tutti i figli fossero sotto la tutela congiunta della loro madre Guccia e del suo socio Vanni degli Importuni. Scomparso B., Guccia, che sopravvisse di molti anni al marito (morì infatti verso il dicembre 1324), curò che fosse eseguita la volontà del defunto riguardo alla tutela. Nei primi atti davanti al foro podestarile la donna fu assistita da membri di famiglie bolognesi che ebbero rilievo nella vita di due delle sue figlie: Albertuccio del fu Frullano che era dei da Sala, e Filippo del fu Antholino de Manzolino o Manzelino (12 dicembre 1299); i medesimi Albertuccio e Lippo furono presenti quando Vanni degli Importuni chiese il 24 ottobre 1300 di esser confermato dal giudice nell'incarico di tutore affidatogli dal defunto amico e socio, e come tutore compì l'inventario dei beni del pupillo, tra i quali dové porre la fortissima somma di 1680 lire di bolognini che B. teneva come sua quota nella società col fiorentino Vanni.

Bibl. - G. Livi, D. in Bologna, Bologna 1918, IV, cap. IV; ID., D. e Bologna, ibid. 1921, IV, cap. I; Piattoli, Codice 40, 48, 49, 52, 59, 63, 65, 67, 68, 69, 76, 77, 143; ID., Geri del Bello e B. di Lapo, suo nipote, in " Studi d. " XVIII (1934) 99-104.