Beatrice

Enciclopedia Dantesca (1970)

Beatrice

Aldo Vallone

Il tema generale. - Il rilievo che D. dà a B., in sé presa e accanto alle altre figure (guide, personaggi, ecc.), il posto che le viene assegnato nell'opera, la cura con cui viene seguita nella progrediente acquisizione di temi e significati, giustificano molto bene l'enorme interesse che antichi e moderni commentatori, lettori e studiosi le hanno rivolto. Ed è interesse che non solo non si è mai spento, pur nella varietà somma delle ipotesi e delle suggestioni, lungo tutto l'arco dell'esegesi dantesca; ma ha tentato sempre di ricondursi dal particolare (dato storico o erudito, connotazione estetica e linguistica e così via) al generale (sintesi di significati e di valori). Ed è tutto questo, a guardar bene, una spia eloquente ed emblematica di quanto vasto e valido sia nel suo fondo il problema ‛ Beatrice '. Nella difformità delle tesi, mai peraltro così vibranti e contraddittorie, nell'accavallarsi delle ipotesi che tutte insieme si esprimono ora con persuasività ora con innocente e suggestiva convinzione, non è difficile cogliere quello che è comune e che rimane nella conquista critica di ogni tempo. In realtà B. è in D. un elemento di fondo, un grande ‛ mito ', accanto agli altri (pochi e persistenti), che s'affonda nella coscienza popolare del Medioevo, prima ancora che letteraria: la donna come iter ad Deum. Di qui deriva la sua naturale, logica e storica in tal senso, permanenza e indissolubilità dal mondo medievale, ma anche la sua assunzione a tema generale, complesso e multiplo di tutta l'opera dantesca. B. non è solo ‛ simbolo ' totale, risultanza di infinite e particolari raffigurazioni di scene globali (e si pensi alla processione trionfale nel Paradiso terrestre) o di scorci cenni e accenni minori, ma è anche segno tangibile di un'unità costruttiva organizzatrice e accentratrice della mente di D., entro la Commedia e fuori. Dalla Vita Nuova al Paradiso l'iter non s'interrompe. Dall'esperienza aristocratica del libello e delle Rime, ma pur sempre impegnata culturalmente e moralmente, al momento dell'acquisto della scienza e all'orgoglio laico di possederla col Convivio e al culmine della tensione morale e religiosa con la Commedia.

Per rendere sciolto e corrente questo piano di cui B. è direttamente o indirettamente centro di vita e di propulsione di tutto l'arco produttivo di D., sono sorti, in tempi recenti, vari problemi critici che gli antichi lettori, paghi solo dell'unità morale e filosofica, non avevano avvertito. Tale è, ad esempio, il problema dei due tempi della Vita Nuova che, basandosi sul cap. XLII di quest'opera, sottolinea una serie di contraddizioni nella concezione-raffigurazione della Donna Gentile nel libello e nel Convivio (cfr. A. Vallone, Introduzione alla Vita Nuova, Torino 1966, XV ss.). E ancora dentro a quel piano possono intendersi e giustificarsi altri problemi, quali quelli di struttura e di datazione delle opere, di collegamento e di sviluppo delle ideologie e dei temi. E si capisce come per giungere a un giudizio critico e a un accettabile criterio di verifica, tra dati documentari e storici acquisiti e non innovati, la via dell'esegesi contemporanea che punta sullo stile può ancora essere considerata valida e persuasiva. Così è che al Barbi (Razionalismo e misticismo in D., in Problemi II 1-86), al di là di ogni discussione sui contenuti e sulla sostanza, sembrava inaccettabile l'ipotesi del Pietrobono sui due tempi della Vita Nuova (Saggi danteschi, Torino 19542, 1-24), e cioè di un rifacimento del libello oltre il 1312, " in servizio del poema ", avvalendosi proprio di un'indagine stilistica. Come infatti si potrebbe spiegare nella Vita Nuova una prosa " così gracile e incerta " se posta " dopo quella robusta e variata del Convivio ? " (Barbi, Razionalismo...). Del resto le opere così come tradizione esegetica e verifica storica le hanno volute fissare nel tempo, Vita Nuova - Convivio - Commedia, significano tre momenti di sviluppo distanziati notevolmente tra loro: dalla concezione stilnovistica, che richiede all'arte spontaneità d'ispirazione (XVII, XXIII), si passa a una concezione più elaborata e complessa che intende la poesia come fictio rethorica musicaque poita (VE II IV 2-3; e poi Cv I I 16), per cui di essa si prediligono gli accenti dottrinali allegorici e moralistici, per giungere infine alla concezione dell'arte come unità di fantasia e cultura o come adeguamento d'ispirazione ed espressione: si che dal fatto il dir non sia diverso (If XXXII 12). Questo rilievo, che poggia sull'arte, dovrebbe convincere da solo. Non regge infatti neppure la tesi circa i riferimenti del cap. XL al giubileo del 1300, sia perché D. parla di molta gente e non di gran concorso di pellegrini (Villani VIII 36), sia perché a Roma si era soliti andare per l'indulgenza plenaria, non per la Veronica che si poteva vedere ogni anno (P. Rajna, Per la data della V.N., in " Giorn. stor. " VI [1885] 113 ss.; G. Melodia, La V.N., Milano 1950, 255), sia perché la morte di B., in quell'anno 1300, era avvenuta molto prima, per cui " non si intende come il poeta si meravigli di non vedere piangere i pellegrini per essa " (R. Fornaciari, Studi su D., Milano 1883, 157). Del resto anche in altri luoghi (Vn XII 10 ss. Ballata, i' voi che tu ritrovi Amore, specie nei vv. 24, 28, 30) si promette una nuova B. o addirittura si può scorgere un'allusione alla Commedia (Vn XIX 4 ss. Donne ch'avete intelletto d'amore, vv. 27-28).

Pare dunque necessario ricondurre e interpretare tutti i temi critici, vecchi e nuovi (come nell'esemplificazione fatta a proposito dei due tempi della Vita Nuova) entro il quadro delle opere di D., come esse vengono via via atteggiandosi nei modi e arricchendosi di spunti e d'idee lungo il cammino di una vita umana

e di un'esperienza d'arte che, pur prodigiosamente variando, costantemente si cercano e sono sé stesse. Si capisce così come oltre la confessione biografica e oltre l'invenzione artistica, ma l'una e l'altra avverando, vada l'ardente ricordo di B., cioè di quel nome / che ne la mente sempre mi rampolla (Pg XXVII 42) verso quella reverenza che s'indonna / di tutto me, pur per ‛ Be ' e per ‛ ice ' (Pd VII 13-14). Ed è un sempre e una reverenza che non vengono mai meno.

La vicenda umana e poetica. - Punto-base è la Vita Nuova. Il libello non è un diario d'amore, un romanzetto o solo un libro di esercizi tecnico-stilistici; è l'espressione di un godimento spirituale, l'atto incantato di una memoria che ama rievocare (delle formule interpretative regge ancor bene quella di Legenda sanctae Beatricis, proposta da A. Schiaffini: Lo stil nuovo e la V.N., in Tradizione e poesia, pp. 83-106, e riaffermata da V. Branca, Poetica del rinnovamento e tradizione agiografica nella V.N., in Saggi in onore di I. Siciliano, Firenze 1966, 123-148): Avvenne poi che passando per uno cammino ... a me giunse tanta volontade di dire, che io cominciai a pensare lo modo ch'io tenesse (XIX 1). Nel passaggio dall'abbandono del reale al trionfo della fantasia c'è tutto il segno della gioia fiduciosa, del godimento interiore dell'attendere e del ricordare. Lo stesso sogno (di B. dormente, III; della figurazione d'amore, XII; di B. morta, XXIII; di B. beata, XXXIX) non è un elemento erudito di tradizione medievale, ma una voce, nella sua più spinta risonanza, della memoria. Nella raffigurazione del sogno della morta B. (XXIII) quello che colpisce è l'intensità descrittiva, violenta lucida paurosa, che però va degradando via via in serenante bontà e mite speranza: smarrimento, travagliare come farnetica, errare (più volte ripetuto), donne scapigliate, visi diversi e orribili, triste, sole oscurare, stelle piangere, uccelli morti, terremuoti ecc.; e poi una lenta ripresa: angeli, pace, umilitade, benedetta. Non la descrizione vicina e aderente ai fatti impressiona; ma quel sognante abbandono alle cose accadute. La gioia di D. è appunto nel ripensarle, nel rianimarle di una nuova vita, che non è realtà né ancora meditazione. Per questo motivo egli torna con giovanile insistenza a ripetere, nei primi capitoli più decisamente, la parola in cui si assomma il tema centrale del libello: memoria. B. è vista attraverso di essa, delineata più che rappresentata, sfuggente per determinata scelta di toni non per incerta qualificazione d'arte.

L'equivoco di una fondamentale astoricità di B. nasce anche, e soprattutto, dal tono in cui s'immerge la rappresentazione. Ma ivi è da vedere proprio già fondata e istituzionalizzata l'immagine della Donna beata e bella e in definitiva la sua realtà poetica. I sommari lineamenti della biografia, l'incontro (e si badi che il calcolo è basato sui giri compiuti dal sole in rapporto a D., che così ne diviene, all'inizio, misura e centro di riferimento), l'abito e i modi di comportamento, che d'ora in poi corrispondono sempre in un galateo di eletta fattura, si pongono come temi d'avvio e costituiscono il fondo della Vita Nuova e di qui di ogni altra rappresentazione. D. n'è soavemente conquistato, perché B. è già beatitudo (Il 6), è già angiola giovanissima (II 8). Le reminiscenze classiche (c'è già citata l'Iliade, III 158) e il pur forte esercizio di scuola stilnovistica, di per sé qualificanti questa prima esperienza poetica di D., sembrano sciogliersi dinanzi alla sacralità del rito, a cui solo fin da ora accedono i due ‛ amanti '. Ed è un rito che si rinnova a tempo e luogo opportuni: nove anni dopo, dunque, il primo apparimento (III 1) e passando per una via. " La città di Firenze era in felice e buono stato di riposo " (Villani, VII 89). È passato del tempo; ma B., divenuta gentilissima, ha sempre abito e comportamento di grande dignità, è sempre dentro e non mai fuori del rito. Ma già qui un cenno al destino di gloria ultraterrena di B. serve a dare un'idea delle dimensioni che dovrà avere il libello. Nel primo sogno di D., trascorse ormai le prime tre ore del tempo che onne stella n'è lucente, appare Amor subitamente che, consegnato a B. il cuore del poeta, scompare, senza direzione nella poesia, verso lo cielo (III 7) invece nella prosa. È, dunque, la meravigliosa destinazione di B., preceduta d'amore, alle glorie del cielo. E questo accade quando a D., al di là delle occasioni del vario esercizio poetico, si presenta la necessità di dar corpo, con la prosa (1292-1293) alle divaganti liriche giovanili. E il ricordo permane anche molto dopo (Pg XXX 41-42; Pd III 1 e XXVIII 11-12). Su questa base, proprio da questa visione innanzi (Vn IV 1), poggiano i dati particolari (e particolari sempre di questa natura d'insieme) di una biografia spiritualizzata. Si fingono temi e incidenti, prove e incontri, che possono valere, congiuntamente, sul piano della pura invenzione (come di chi si attenga a moduli di poetica corrente nel tempo) e anche su quello della probabile realtà. Ed è, certo, da intendersi l'una cosa accanto e dentro l'altra. Tali temi sono: l'incontro in chiesa con B., l'attenzione di D. che si crede rivolta ad altra gentile donna di molto piacevole aspetto (V 1) e l'equivoco a cui D. dapprima volentieri si presta tanto da poetare per lei al fine di coprire il vero amore (e nasce il sonetto O voi che per la via d'Amor passate), la morte di persona amica a B. cui si rivolgono in memoria i sonetti Piangete, amanti, poi che piange Amore, e Morte villana, di pietà nemica, la sua partenza da Firenze con l'angoscia di allontanarsi dalla vera beatitudine (IX 2), la comparsa di Amore disbigottito (IX 4), e dell'altra donna dello schermo, e infine il diniego del dolcissimo salutare di Beatrice. È questo un punto d'arrivo della prima parte del libello. La presenza di B. è comprovata negli altri, vive e permane nei riflessi indiretti che genera, nasce da occasioni. Dopo, la vicenda si trasferisce all'interno. Il turbamento si interiorizza. I dati esteriori si mutano in vicende d'anima. La B. dei primi dieci capitoli, ch'era apparsa come beatitudo, lo diventa, nella sua più interna sostanza, in quelli che seguono. Ma non c'è soluzione di continuità, così sul piano narrativo come su quello rappresentativo e poetico, tra l'una e l'altra B.: l'una senza l'altra non può esistere. Il gran distacco non è qui, né, forse, sarà dopo tra la B. della Vita Nuova e quella della Commedia; ma nella sua prima assunzione, e cioè tra la realtà vera (che precede la Vita Nuova e n'è fuori, quindi) e la realtà figurativa a cui è chiamata già col primo capitolo del libello. L'apparizione di B. produce un benefico influsso. Il saluto è la letificante esaltazione di chi lo riceve per custodirlo in sé e per trasmetterlo in altro. La gioia di questo possesso e la trepidazione per l'imminente sua perdita sono nel capitolo XI 1 ss.: quando ella apparia da parte alcuna, per la speranza de la mirabile salute nullo nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m'avesse offeso... E quando ella fosse alquanto propinqua al salutare, uno spirito d'amore, distruggendo tutti li altri spiriti sensitivi, pingea fuori li deboletti spiriti del viso. B. si precisa nel suo significato di carità, che stringe in fratellanza gli uomini, e di operante amore, che annulla gli altri sensi (Cv III XV 15) o li concorda nel bene comune. La negazione del saluto è la perdita di una beatitudine, che sta non solo come segno di grazia personale, ma anche come meta di un consorzio civile. È il segno di edificazione e di incivilimento: contribuisce e ridona contenuto alla vita. Di qui l'angoscia e lo smarrimento che pervadono l'animo di D. dinanzi al silenzio lungo e ostile di lei. Nascono i capitoli (XII-XVI) e le rime (LXV-LXVIII) dell'amore doloroso. Amore è, sì, vivo e pressante, ma D. è in amorosa erranza (sonetto Tutti li miei penser parlan d'Amore, Vn XIII 8-9): è incerto, balbetta, ha perduto baldanza, vorrebbe dire e non sa che dire. Capita in una lieta riunione di belle donne che celebrano le nozze di una loro compagna, ove c'è pure la gentilissima, e n'è turbato profondamente: tanta propinquitade a la gentilissima donna (XIV 5) lo sconvolge. La ‛ trasfigurazione ' non passa inosservata: dal silenzio ostile di B. si passa al gabbo. Il motivo letterario si affonda in una logica narrativa e si naturalizza nella psicologia dell'amante offeso. Il sonetto Con l'altre donne mia vista gabbate (XIV 11-12) esprime questo momento di crisi: un passato che non ritorna e che anzi si ritorce gravemente nello spirito, che chiede invano alle donne di scoprire da qual ragione derivi lo smarrimento. Più angoscioso appare questo perché, che è creduto non causato, proprio dopo che D. aveva brevemente (a mo' di provenzali e stilnovisti) filosofato su natura e qualità d'amore (XIV 1 ss.). B. è la causa recondita: il gabbo è un atteggiamento giustapposto che non le proviene di natura. L'episodio vale solo se lo si circoscrive agli effetti che il gabbo stesso stimola nell'animo di Dante. E su questo invero s'insiste. Il pensamento forte (XV 1), che ne deriva e che fa nascere i sonetti Ciò che m'incontra, ne la mente more (XV 4-6) e Spesse fiate vegnonmi a la mente (XVI 7 ss.), sottolineano l'assunzione di B. a vita spirituale di Dante.

A questo momento della Vita Nuova sembrano collegarsi le rime LXV-LXVIII tagliate fuori dal libello. Il parere del Barbi non è incontrastato, ma è, su questo argomento, largamente seguito. I due sonetti De gli occhi de la mia donna si move e Ne le man vostre, gentil donna mia, e le due canzoni E' m'incresce di me sì duramente e Lo doloroso amor che mi conduce, non costituiscono solo un nucleo poetico, qualificato per tono e linguaggio che riesce difficile spiegare perché sia rimasto fuori della Vita Nuova (Contini, Rime 69 ss.), ma anche un'ulteriore determinazione del doloroso amore nella biografia spirituale di B.; dalla ripresa del lume (Rime LXV 2) che traspare dagli occhi e incute tremore (Vn XIV 4), o della signoria (Rime LXVI 5; Vn II 7; IX 3), che annulla ogni valore, si passa al presagio della morte del cuore dominato da chi siede / su ne la mente ancora (Rime LXVII 43-44) fin da lo giorno che costei nel mondo venne (LXVII 57), com'è registrato dal libro de la mente (che è come dire della memoria: Vn I 1), e si giunge all'immagine della donna che gioia tramuta in tormento (LXVIII 1 ss.). Qui B., che è anche nominata, si offre " sotto l'aspetto provenzalmente e curialmente convenzionale della donna che fa morire l'amatore " (Contini, Rime 79) ed è pur sempre Quel dolce nome, che mi fa il cor agro, / tutte fiate ch'i' lo vedrò scritto / mi farà nuovo ogni dolor ch'io sento (LXVIII 15-17). È un'immagine di B. più forte, forse, di quelle consacrate nel libello, e apparentemente fuori rito; ma non certo estranea alla sostanza del doloroso amor, che è tipico di questo momento sentimentale e spirituale. È una forza d'amore che subito si travasa in lode. D. gradua tutta la materia della Vita Nuova in una prospettiva che si accentra essenzialmente su Beatrice. Le altre donne gentili costituiscono lo sfondo, creano le situazioni esterne che dal gabbo (XIV 7) vanno al riso (XVIII 3), fanno cornice. B., oggetto di loda (XVIII 9), più nettamente tra loro si stacca e s'isola. Si passa dal meraviglioso, che è pur sempre segno di bellezza interiore, al celestiale: dal canto all'inno. Eppure nella stessa canzone Donne ch'avete intelletto d'amore non si giunge al limite della loda, che certo costituisce il centro; si sottolinea piuttosto l'insufficienza della voce umana dinanzi a creatura sì adorna e sì pura.

Ma dentro c'è anche il proposito di giungere, quando che sia, a un canto che tutta abbracci l'eterna e rinnovantesi B. L'idea, che fortemente operò su Tommaseo, Fraticelli e Giuliani, di vedere nei versi 27-28 (e che dirà ne lo inferno: O mal nati / io vidi la speranza de' beati) quasi un segno della B. della Commedia, è inaccettabile ma suggestiva (e, se mai, meglio si potrebbero associare ai vv. 29-42 della canzone Lo doloroso amor che mi conduce). Certo è che tutto il componimento è l'espressione di un momento-chiave dell'interpretazione di B. e dello spirito di Dante.

I componimenti che seguono, da Amore e 'l cor gentil sono una cosa (XX 3 ss.) a Tanto gentile e tanto, onesta pare (XXVI 5 ss.), derivano i loro temi dalla canzone precedente e ne sviluppano taluni particolari in un acquisto sempre più proprio di ogni elemento del dolce stil novo. B. è donna ancora, quanto de ben pò far natura (Donne ch'avete 49); ma già par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare (Tanto gentile 7-8). E si noti che proprio qui si richiamano alla memoria i temi fecondati in tutti i capitoli precedenti, i segni della divina terrestrità della gentilissima, la sua propizia influenza, le occasioni e le vicende di cui è stata protagonista. Ci sono i modi del comportamento e i dati fisici dell'aspetto e del volto, c'è il saluto, c'è la gente che la segue o le fa corona, c'è il cenno delle labbra che si schiudono a parlare. Si guardi al sonetto Di donne io vidi una gentile schiera (Rime LXIX) e si avrà, seppure su un piano di più disadorna tecnica poetica (o forse proprio per questo), un'ulteriore conferma. Non c'è B., ma è lei, certo, quella che ne venia quasi imprimiera, che gitta luce dagli occhi come spirito infiammato. Solo che qui la terrestrità di B. è meno sottintesa, come meno soave è la sua divinità. Ma a fare di quella loda un elemento del concreto sentire o a immergerla, sia pure come miracolo, nella vita, è proprio il tema tipico dell'uomo, che più egli canta sente teme e soffre: la morte. È una vicenda che non entra nel regno dei cieli e non turba il sogno degli angeli. La morte del padre di B. predispone a funesti presagi, che fatalmente s'avverano. Si stabilisce qui, nell'interno dei capitoli della loda e a conclusione, eppure a compimento degli stessi, un nucleo di capitoli legati strettamente tra loro: XXII - XXIII, XXVIII - XXXIV. Sia detto anche che a confrontare le date ‛ storiche ' (e cioè morte di Folco di Ricovero Portinari al 31 dicembre del 1289 e di B. all'8 giugno del 1290), esse risultano chiaramente documentabili nelle sequenze sentimentali e poetiche del libello. A un unico momento sembrano riferirsi i sonetti Voi che portate la sembianza umile, Vn XXII 9-10; Onde venite voi così pensose?, e Voi, donne, che pietoso atto mostrate, Rime LXX, LXXI. Atteggiamenti sembianze dubbi sono comuni: comune è la trepidazione, atto conseguente a quelli, che devasta l'animo di Dante. B. triste è segno di un bene terreno che sempre più si assottiglia. Questa fase intermedia è nella canzone Donna pietosa e di novella etade e nel sonetto Un dì si venne a me Malinconia (Rime LXXII). V'è in ambedue lo stesso messaggio funereo: Ben converrà che la mia donna mora (Vn XXIII 21 34) ed Eo ho guai e pensero, / ché nostra donna mor, dolce fratello (vv. 13-14). La morte di B. è una vicenda che consacra l'umanità e la predispone al divino. Non più un divino come miracolo su questa terra, ma un divino come congiungimento della creatura col creatore. I capitoli XXIX-XXXIV della Vita Nuova fissano questo tema di passaggio e concludono, come vicenda e non proprio come figurazione, l'iter terreno. La storia è nella canzone Li occhi dolenti per pietà del core, che pare la più disposta a sciogliersi in veri e propri nessi narrativi: Ita n'è Beatrice in l'alto cielo, / nel reame ove li angeli hanno pace; ovvero Partissi de la sua bella persona / piena di grazia l'anima gentile; o anche Poscia piangendo, sol nel mio lamento / chiamo Beatrice, e dico: " Or se' tu morta? ". I componimenti che seguono (sonetto Venite a intender li sospiri miei e canzone Quantunque volte, lasso!, mi rimembra) fissano, più che svolgere, una sorta di sosta idillica e di malinconico ripensamento. Meglio, forse, la rievocazione in Pg XXX 109 ss. Meglio, certo, il compianto di Cino (Avvegna ched el m'aggia più per tempo), e il preannunzio del destino radioso di B.: " perché Dio l'aggia locata fra i soi, / ella tuttora dimora con voi ".

L'oblio della gentilissima è espediente validissimo sia sul piano dell'arte narrativa (crea una sosta e propone un'attesa), sia sul piano del rilancio di B. e dell'impegno conclusivo di Dante. E il terzo momento: dopo il mirabile e la loda si passa alla celebrazione nei capitoli XXXIX-XLII: ricordandomi di lei secondo l'ordine del tempo passato, lo mio cuore cominciò dolorosamente a pentere de lo desiderio a cui sì vilmente s'avea lasciato possedere alquanti die contra la costanzia de la ragione: e discacciato questo cotale malvagio desiderio, sì si rivolsero tutti li miei pensamenti a la loro gentilissima Beatrice (XXXIX 2-3). La storia è ripetuta in Pg XXX 124-141 (cfr. M. Porena, Le colpe rimproverate, ecc.). Ritornano il pianto purificatore e la solitudine di chi non vede se non sé stesso nel mondo che cammina: dopo la morte di B., Firenze ha perduta la sua beatrice (Deh peregrini 13). S'alza potente l'invocazione di chi ormai s'affida all'intelligenza nova (Oltre la spera che più larga gira 3), a una virtù intellettuale, cioè che sia espressione non solo di amore (qual è nel primo stadio) ma anche di costanzia de la ragione. Di qui la speranza nell'ultimo capitolo del libello, di poter dire di lei quello che mai non fue detto d'alcuna: speranza che può anche non valere una promessa esplicita, che può anche non collegarsi a luoghi più consapevolmente fissati (If II 76; Pg XXXIII 115; Pd IV 118) come volle il Witte; ma che certo è speranza (spero di dicer) che tempo e virtù realizzeranno.

Non è nel Convivio, un momento consapevolmente laico di D., che si riprendono loda e celebrazione di B.: il trattato è il segno di una sosta o, se più vale, di una ricerca filosofica di D., proprio a ridosso delle varie e sconsolanti esperienze degli anni più torbidi della sua vita (1300-1304): è il punto di diramazione di esperienze, varie nelle soluzioni ma unite nel loro seme, che frutteranno col De vulgari Eloquentia e con la Monarchia. In tal senso B., com'è stata costruita lungo l'iter della Vita Nuova (e in Cv II II 1 ss. e II XII 1 ss. si tenta un riassunto-aggancio, che potrebbe valere, come quelli della Commedia, per una presentazione a trilogia dell'opera di D.), vive ai margini, ma pur essa presente accanto ad altro tema che pur commenda e abbellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice (II VI 7-8). Gli è che qui B. non è protagonista: e questo D. se lo pone per proponimento (II VIII 7), perché la donna di cui s'innamora appresso lo primo amore fu la bellissima e onestissima figlia de lo Imperadore de lo universo, a la quale Pittagora pose nome Filosofia (II XV 12).

Ma il Convivio non si deve considerare, nei riguardi di B., una parentesi razionalistica tra il misticismo, sognante e giovanile, della Vita Nuova e quello, forte e vigoroso, della Commedia. Anche la B. del poema presuppone il Convivio. La celebrazione della gentilissima nel libello è giunta, sì, all'apice di quell'iter, ma anche al suo punto di conclusione. Lo svolgimento è nella Commedia ed è possibile con la nuova sostanza del Convivio. Il segno è nei versi di apertura di Pg XXI: La sete natural che mai non sazia / se non con l'acqua onde la femminetta / samaritana domandò la grazia, /mi travagliava: ‛ sete ', dunque, quale la decenne sete (Pg XXXII 2) e il disfamare (XV 76) con cui si ricorda la gentilissima.

La presentazione che Virgilio fa di B. (e il succedere di questa al primo come integrante e nuova guida) non può non tener conto del limite a cui eran giunti Vita Nuova e Convivio. Le virtù di B. sono quelle conquistate con la celebrazione (e qui non importa sottolineare il susseguirsi di termini di scuola stilnovistica). È amor che la muove (If II 72 ss.) dal luogo ove desidera tornare; è prodiga verso chi coopera nel bene; è della stessa sostanza di Dio, " lumen de lumine ", loda di Dio vera; sollecita lacrimando (II 116; Pg XXVII 137). Ci sono tutte le variazioni e i temi psicologici e poetici della Vita Nuova. Se non è vuota baldanza di D. compiere il viaggio nell'aldilà, dopo Enea e Paolo, non è presunzione di B. guidare tale viandante tra angeli e beati nella costante presenza divina (Pg XXX 139-141). Accade che nella Vita Nuova l'umano assurge a divino, nella Commedia il divino si tempera d'umano (se giova accogliere certe suggestive qualificazioni desanctisiane). Possono valere, dopo l'investitura di Virgilio, non tanto il rimprovero degli errori di D. (Pg XXX 55 ss.; XXXI 1-90), quanto il ricordo sollecitante di B. (Pg VI 46-48; XV 76-78; XVIII 46-48) lungo l'ascesa, il suo apparire come dentro una nuvola di fiori (Pg XXX 28 ss.) quasi donna petrarchesca, il suo svelarsi a preannunzio dell'imminente divino (Pg XXXI 139 ss.; XXXII 1 ss.) e a promessa di diretto e totale godimento (Pd XXX 97 ss.). La processione (U. Bosco, Il canto della processione, in D. vicino, pp. 274-296) e l'annunzio di un liberatore la consacrano ritualmente. Nel Paradiso v'è il compimento del tutto: rito e missione insieme. Gli occhi terreni da cui escono spinti d'amore infiammati (Donne ch'avete 52) che sollevano dal fango del mondo, qui sono scala verso Dio da cielo in cielo, subito, nell'avvio (in sul sinistro fianco / vidi rivolta e riguardar nel sole, Pd I 46-47) e dopo, in ogni passaggio. L'esterno è distrutto. Non c'è ambiente: solo luce infinita cui non basta la qualificazione di fondo, per cui B. tutto vede (If X 131) o è tramite tra la verità e la mente umana (Pg VI 45), ma è amanza (Pd IV 118), fiamma (III 128-130; IV 139-142; V 1 ss.) sempre. Nel Paradiso B. è segno di una costanza nella rappresentazione. Quello che ha acquistato non cade, né muta. È sempre sé stessa. C'è un'assunzione di valori, salendo di grado in grado; ma non una differenziazione. L'insistenza sulla luce, che varia ed è sempre sé stessa, muta solo nei dati umani di cui comparativamente s'investe. In tal rapporto B. ora è lieta (V 94), più bella (VIII 15), e bella e ridente (XIV 79), ora è miracol (XVIII 63), fulgore (XXI 11), letizia (XXIII 23), dolce... e cara (XXIII 34), e dolce riso (XXX 26). Sotto l'aggettivazione elegante e stilnovistica c'è una sostanza ben più concreta che non in quella della Vita Nuova. D. ha tenuto presente il compito che l'è stato affidato nell'esortazione a Virgilio e nel succedere a questo. In realtà bellezza e riso, luce e cortesia di B. sono espressioni di una grazia che via via si trasmette come buona operazione, segni di un destino di D. che si sta, cielo per cielo, realizzando. Al limite del compimento della missione Bernardo lo dichiara: A terminar lo tuo disiro / mosse Beatrice me del loco mio (XXXI 65-66). Ed è chiara la circolarità dei temi e delle situazioni che, aperte con If II, qui si conchiudono. E tempo di confessione. L'umiltà, che ha sorretto D. dinanzi a B. nel Paradiso terrestre, ora non basta. Occorre un'esplicita dichiarazione di fede (più completa ferma e totale delle precedenti lungo tutto il Paradiso). D. è pronto: ringrazia B., l'assicura del bene acquisito, s'augura che possa esserle sempre vicino: La tua magnificenza in me custodi, / sì che l'anima mia, che fatt'hai sana, / piacente a te dal corpo si disnodi (XXXI 88-90). Dopo, non c'è che l'apoteosi (XXXIII 38-39), che pur essa chiude e rinfranca l'aspro rimprovero di B. nel Paradiso terrestre.

La lunga storia della gentilissima salva e intreccia, senza mai forzature e anzi naturalmente, testi e componimenti diversi vari per tempi e per occasione. La suggestione di un nome, che aveva in sé segno e suono di lieti annunzi, mai è sterile vagheggiamento; presto, invero, s'arricchisce, e nello stesso giovanile libello, di profondi significati. D. li brucia tutti nell'alta meditazione della filosofia, che non nasce in urto ma sorregge e accompagna come Donna gentile la gentilissima (e si punti alla dinamica del colloquio tra i due pensieri nella canzone di Cv II Voi che 'ntendendo), e poi li assomma nella B. della Commedia. Questa freschezza e novità di B., che come idea ha alle spalle la lunga tradizione del Medioevo (A. Vallone, Personificazioni simboli e allegorie, in Studi su D. medievale, Firenze 1965), si conserva tale, puranco gravata di missioni e di profezie, perché salutarmente si bagna nella fervida invenzione della Vita Nuova.

L'Interpretazione Critica.- I primi commentatori, pur nella lacunosa e imperfetta conoscenza delle opere di D., intesero bene che B. non era un personaggio creato semplicemente dall'immaginazione del poeta o assunto dal mondo della realtà. Essi ne capirono l'ufficio e lo sottolinearono, ma non ne fecero una mala crux: capirono quel che era necessario a intendere la Commedia e ne furono paghi. In sostanza, delle due guide sapevano bene, al di là del testo dantesco, quel che valeva Virgilio; e però partendo da questo, fu agevole dedurre il significato di Beatrice. L'identificazione di B. nella vicenda umana e biografica di D. trapela qua e là, forse già nel 1334 nel volgarizzatore del Bambaglioli (L. Rocca, B. Portinari, in " Giorn. d. " XI [1903] 142; G. Picciola, La V.N., cit., p. 119), certo nel 1360 circa ad opera di Pietro (lez. cod. Ashburnham 841; cfr. L. Rocca, Di alcuni commenti, ecc.; I. Del Lungo, B., ecc., pp. 139-140) e distesamente nel Boccaccio. Questo non creò turbamento. Così Iacopo pensa alla divina Scrittura a proposito di If II 53; il Lana e l'Ottimo, quasi con le stesse parole, alla teologia; e anche Pietro, accanto all'elogio di B. donna " insignis valde moribus et pulchritudine " e al ricordo della vita familiare di lei " nata de domo quorundam civium florentinorum qui dicuntur Portinarii ". E col Boccaccio che il tema si allarga. Egli, nel Trattatello in laude di D., ne ricostruisce la biografia tenendo presente il racconto della Vita Nuova e introducendovi taluni dati, che faranno fortuna. A una riunione del 1° maggio, in casa di Folco Portinari " uomo assai orrevole in que' tempi tra' cittadini ", di tutte le famiglie della contrada, anche D. avrebbe partecipato col padre. " Era intra la turba de' giovinetti una figliuola del sopradetto Folco, il cui nome era Bice, come che egli sempre dal suo primitivo, cioè Beatrice, la nominasse, la cui età era forse d'otto anni, leggiadretta assai secondo la sua fanciullezza, e ne' suoi atti gentilesca e piacevole molto, con costumi e con parole assai più gravi e modeste che il suo picciolo tempo non richiedea; e, oltre a questo, aveva le fattezze del viso dilicate molto e ottimamente disposte, e piene, oltre alla bellezza, di tanta onesta vaghezza, che quasi una angioletta era reputata da molti ". Si dilunga, quindi, il racconto nei particolari d'amore. " Ma, lasciando stare il ragionare de' puerili accidenti, dico che con l'età multiplicarono l'amorose fiamme... Quanti e quali fossero li pensieri, li sospiri, le lagrime e l'altre passioni gravissime poi in più provetta età da lui sostenute per questo amore, egli medesimo in parte il dimostra nella sua Vita nova ". Fu amore " onestissimo " senza " alcuno libidinoso appetito ... non picciola maraviglia al mondo presente, del quale è sì fuggito ogni onesto piacere ". (ediz. P.G. Ricci, Milano-Napoli 1965, 377-379).

Nelle Esposizioni sopra la Commedia questi dati ritornano, qua e là ritoccati con l'annotazione che essi derivano da " fededegna persona ", certamente da monna Lippa, figlia di un Portinari e madre della matrigna del Boccaccio (cfr. Barbi, Problemi II 415-420). In più la corrispondenza di B.-teologia, avanzata nel Trattatello, qui si completa in " grazia salvificante, o vogliam dire beatificante ", per cui " la ragione diviene la prima cosa causata dalla grazia salvificante, la quale l'autore mostra in persona di Beatrice venire a muover Virgilio " (ed. G. Padoan, Milano 1965, 133, 137).

È col Boccaccio (e certo per il gran giro delle sue opere, in generale, e della sua esegesi, in particolare) che il tema-B. diviene problema. L'interpretazione di B. come teologia risponde allo stato della coscienza letteraria e della poetica di gran parte del XIV secolo. Si pensi a D. stesso o anche a Petrarca: " theologiæ quidem minime adversa poetica est " (Familiares X IV 1). A suo merito va detto che egli non vede discordanza o sconvenienza alcuna tra una B. donna e, per quanto nobile e cortese, terrena, e B.-teologia. Il disagio spunta già con Benvenuto, ma egli è troppo buon allievo di Boccaccio per farne un dramma. Accetta i dati biografici e però distingue valori e significati: " Modo ad propositum dico quod Auctor aliquando in suo opere capit Beatrix historice, aliquando vero, et ut plurimum, anagogice pro sacra Theologia, quae eleganter figuratur per Beatricem; sicut enim Beatrix inter dominas florentinas pulcras et vagas erat pulcerrima et pudicissima, ita Theologia inter scientias saeculares pulcras et delectabiles est pulcerrima et honestissima ".

Per di più intuisce il valore metaforico e ricorre, per esemplificazione, alla Laura del Petrarca. Infine conclude che non è " indignum, quod Beatrix mulier carnea accipiatur a Dante pro sacra Theologia ". Non ci fa caso nemmeno l'Anonimo, che pur pensa a B. " donna da Firenze ", con l'aggiunta che di D. si conoscono tre amori: B., Pargoletta da Lucca (ballata Io mi son pargoletta, Rime LXXXVII) e una giovanetta da Pratovecchio (canzone Amor, da che convien, Rime CXVI). Ma nella Commedia B. è pur sempre la teologia. Inaccettabile sembra, invece, al Buti mantenere congiunte l'identità e la corrispondenza. Premessa la triplice distinzione della grazia in proveniente illuminante e cooperante (che ricorre anche in Guido da Pisa: delle tre, dice infatti, la prima " non habet nomen "; la seconda è Lucia; la terza è B.; G. Biagi, Il secolare, ecc., Torino 1924), il Buti pone a Pg XXX 73 una nota, nettamente polemica: " Crederebbe forse altri che Beatrice fusse stata di carne e d'ossa... ma non è così. Anco si de' intendere che Beatrice sia pure la Sacra Scrittura... de la quale s'inamorò l'Autore quando era garsone, quando si fe' frate ". In definitiva si combatte con le stesse armi: a invenzioni biografiche altre si oppongono quando si crede che debba prevalere il concetto di convenienza, che via via prende piede nell'Umanesimo. Ma anche in questo il Boccaccio è bene inserito ed è più comodo seguirlo anziché contrastarlo. Accade infatti che la biografia di D., da lui tratteggiata, rimanga esemplare in molti biografi e per lungo tempo. Così è in F. Villani, in D. Bandini, in L. Dolce, in B. Daniello, in I. Corbinelli e in altri. Il Landino prende una via di mezzo: parte dal racconto del Boccaccio, accetta i dati biografici come veri, ma li interpreta come finzione. La significazione allegorica di B. è data ancora e solo dalla teologia (e con lui i commentatori che Io seguono: Vellutello e Daniello). Più sottilmente, e in armonia col platonismo ficiniano della sua età, intende l' " amore della corporea bellezza " come " una effige et immagine di quello [platonico-divino], né è, se si conserva casto et pudico, degno di vituperazione, ma di loda ". Se la prende, invece, con Gemma (e qualcosa del genere è proprio nel Boccaccio), considerata " morosa e ritrosa " più di Santippe, per cui D. ripiega ancora nell' " amore di Beatrice: il quale, come in molte arti liberali, l'aveva aguzzato et limato, così la Gemma ad molte cose, gli fu molesto impedimento ". Il raffronto è sottolineato da G. Manetti, che già ha usato le stesse parole per Gemma " morosam admodum ", e qualificato i costumi come " perversos ". Ma anche dopo, nel Cinquecento, per M.A. Nicoletti e A. Zilioli la povera Gemma è una nuova Santippe. Chi si oppone decisamente a Boccaccio (e non è l'ultimo), accusato di aver scritto la vita di D. come il Filocolo il Filostrato o la Fiammetta, è L. Bruni. Tutte invenzioni, dunque, da novelliere, anche quella che riguarda Gemma: " Qui il Boccaccio non ha pazienza, e dice le mogli esser contrarie alli studi; e non si ricorda che Socrate... ebbe moglie e figliuoli ". Al di sotto di queste evasioni, dai dati biografici, la rappresentazione di B. come Teologia non subisce modifiche. Era ed è B. la Teologia. Anche per G.M. Filelfo, che distruggendo del tutto l'umanità della donna, la configura come puro simbolo teologico-filosofico. Anzi si può dire che la voce degli antichi commentatori, quasi tutti concordi almeno nella sostanza, e quella autorevole del Boccaccio, discussa in taluni particolari ma non nel suo insieme, ricevono proprio verifica e sostegno da C. Landino e G. da Serravalle. Sembra anzi, per quest'ultimo, che a saper leggere il racconto del Boccaccio, ogni cosa, se bene interpretata, stia bene al suo posto.

B. è la " sacra Theologia ": l'amore della Vita Nuova " valde honestus ". In conclusione, " Dantes dilexit hanc puellam Beatricem hystorice et litteraliter, sed allegorice et anagogice dilexit Theologiam sacram ".

Solo dopo (e si pensi al travaglio del pieno Rinascimento), mutando il fondo delle poetiche (età bembiana, ad esempio), il ricorso alla teologia si attenua o può suonare falso e artefatto. Il Castelvetro, pur considerando B. " fornita di divina conoscenza " a proposito di If II 76 ss., usa ovunque estrema prudenza. Né la situazione si precisa tra Sei e Settecento. Il Lombardi raccoglie in sintesi questa tradizione e parla di " grande controversia ", se " sia la Beatrice Portinari amata da Dante... ovvero soggetto ideale ed allegorico, significante la celeste sapienza, ossia la Teologia ". Pare al Lombardi che accada in D. quel che accade nelle Scritture, in cui " veri personaggi vestono il carattere di qualche virtù ". La via sembrò proba all'Andreoli e ad altri.

Con l'Ottocento, specie lungo la linea Foscolo-Settembrini (cfr. A. Vallone, La critica dantesca nell'Ottocento, Firenze 1958, passim), molte di queste cose cadono e altre ne sorgono. L'interpretazione allegorico-simbolica (settaria in taluni) di D. trova proprio in Foscolo un seme fecondo. Lo coglie per primo G. Rossetti e lo porta a lievitare in forme audaci e stravaganti. Nei commenti all'Inferno (Londra 1826-1828) e al Purgatorio (ed. P. Giannantonio, Firenze 1966) e più precisamente ne La Beatrice di Dante. Ragionamenti critici [1842] (ed. G. De Courten, Imola 1935), ma anche ne Il mistero dell'amor platonico del M.E. derivato da' misteri antichi (Londra 1840), B. è sommersa in una fitta tela di temi e di suggestioni, scoperti in tutti i tempi, con un fervore da iniziato. B. diviene " un essere ambiguo, a cui [si dà] apparenza di Teologia, ma essenza di Filosofia " (La Beatrice, cit., p. 13). Si fonda così l'interpretazione allegorico-simbolica di B., che trova adepti prontissimi a riprendere le fila e a intessere nuovi ragionamenti: F. Perez, L. Valli, A. Ridolfi, e con certi lenimenti G. Pascoli (e ancor più moderatamente L. Pietrobono); e in Francia, P. Aroux, A. Masseron, P. Mandonnet, R. Guenon (cfr. P. Renucci, Dantismo esoterico nel secolo presente, in Atti del Congr. Intern. di studi d., Firenze 1965, I 305-332). Già a proposito di Rossetti, il Leopardi assai felicemente aveva ammonito che non vale distruggere " tutto l'interesse del poema ecc. Noi possiamo interessarci per una persona che sappiamo interamente finta dal poeta, drammatico, novelliere ecc.; non possiamo per una che supponghiamo allegorica " (Zibaldone, ed. Flora, II 1189). Di tutti questi studi il più significativo è La Beatrice svelata [1865] di F. Perez (ed. F. Orestano, Molfetta 19362). Rigettato il racconto del Boccaccio (che invero anche in taluni storici e biografi, come in C. Balbo e C. Troya, pur tra altre invenzioni, subisce un deciso ridimensionamento), riconfermata l'unità di Vita Nuova, Convivio e Commedia e immesso D. tutto intero nella mentalità medievale, B. è tutta allegoria e rossettianamente pronta (il precedente del Biscioni, dal Perez ricordato, è troppo grama cosa) a ogni " riforma sociale, religiosa e civile " (La Beatrice, cit., p. 185). La stessa monarchia universale si presenta come " una rivelazione profetica da bandire " (ibid., p. 302).

A latere, ma con prudenze di ogni genere, specie se l'esame si porta nella buona zona della filologia, si va delineando l'interpretazione puramente idealistica (v'era già, almeno, il precedente di Filelfo). A. Bartoli (Della vita di D.A., Firenze 1884, 52 ss.) e R. Renier (La V.N. e la Fiammetta, Torino 1879) ne divengono i più accaniti sostenitori. Il giudizio, che porta a negare validità storica al racconto della Vita Nuova, poggia essenzialmente sull'acuita interpretazione dei moduli linguistici e letterari. B., in tal senso, può configurarsi come un vero e proprio senhal (" Bull. " XIX [1912] 117). Seguono altri, e tra questi l'agguerritissimo V. Zappia con i suoi Studi sulla V.N. - Della questione di Beatrice (cfr. Barbi, Problemi I 113-132). Coincide con l'interpretazione idealistica, seppure solo in taluni postulati (quali il disconoscimento della storicità di B.), l'interpretazione cattolica, che, nutrita di giobertismo, si corrobora con L. Bennassuti, per cui B. è la Rivelazione (Verona 1865, I 107), P. Fraticelli (Firenze 1865, 52), G. Poletto (Roma 1894, 42), A. Bartolini (Roma 1899, 54), G. Salvadori (Sulla vita giovanile di D., Roma 1906) per taluni morbidi assaggi mistico-francescani, E. Trucchi, seguace del Bennassuti (I personaggi della D.C., Milano-Roma 1925, 9-82; Esposizione della D.C., Milano 1936, 29), L. Tondelli con venature bonaiutiane (G. da Fiore, Il libro delle Figure, Torino 1940, 312 ss.; B. e D., ibid. 1954, 102), R. Guardini (Die Begleiter, ecc.), C. Stange (B. in Dantes, ecc.).

La reazione a queste interpretazioni, a tempo opportuno e per ragioni opposte e con criteri diversi, venne rapida e decisa da una parte dal De Sanctis e Croce e dall'altra da parte del Carducci e D'Ancona e della scuola storico-filologica fiorentina.

De Sanctis è il momento più scoperto e acuto (anche se talune suggestioni su stile e psicologia possono risalire a Foscolo e altri costruttivi avvii al pensiero tedesco di fine Settecento e inizio Ottocento) di rottura e di scardinamento di ogni tradizione allegorica simbolica settaria e misticheggiante; ma anche di ogni intralcio storico che l'eruditismo, in quegli anni e dopo, va sollevando. Alle spalle del De Sanctis, nel sistema esegetico generale, il punto più organicamente accettabile è il Vico, come Croce lo sarà dopo. B. non si sottrae, né poteva, alla concezione unitaria del mondo e della poesia di Dante. C'è, anzitutto, la B. della Vita Nuova e delle Rime, che, lungi dallo staccarsi dalle consorelle cantate e trasfigurate dagli altri poeti, è essa stessa espressione singolare ed emblematica. " La donna di quel secolo acquista il suo nome e la sua forma: è Beatrice, la fanciulla uscita pura dalle mani di Dio... La sua vita terrena è quasi non altro che nascere e morire. La sua vera vita comincia dopo la morte, nell'altro mondo. Ivi è luce mentale o intellettuale, verità e scienza, filosofia. Ma non è filosofia incarnata, mondo vivente, dove l'idea di Dio o del vero sia perfettamente realizzata; è pura scienza, incapace di rappresentazione, nella sua forma scolastica di trattato e di esposizione... è idea, non è visione; è didattica, non è commedia o rappresentazione " (Storia d. letter. ital., a c. di B. Croce, Bari 19542, I 109).

Dopo questa fase, in cui lo stilnovismo non distrugge la biografia ma assume questa a qualificazione poetica, nasce una " seconda Beatrice " come " amore che congiunge insieme intelletto e atto, scienza e vita ". È il tempo però in cui B. diviene simbolo, e la poesia vanisce " nella scienza " (Storia, p. 137). Nello svolgimento dell'opera di D. si è con le canzoni allegoriche e morali e poi col Convivio. Di qui la riserva sull'allegoria, che se dà " illimitata libertà di forme ", soffoca anche la loro " formazione artistica. Dovendo la figura rappresentare il figurato, non può essere persona libera e indipendente, come richiede l'arte, ma semplice personificazione o segno d'idea " (Storia, pp. 154-155). È la base su cui Croce e i crociani porranno ogni questione interpretativa. Ma B. nella Commedia è un'altra cosa. La sua posizione tra libello e poema urge nella mente del De Sanctis, come vero tema critico ed esegetico, nel particolare. " Era ella la stessa? Beatrice ricordanza è egli il medesimo che Beatrice viva? La Beatrice della lirica è la Beatrice della Divina Commedia? Quale parte di sua personalità è rimasta, quale è ita via, che cosa le si è aggiunto? " (Lezioni sulla D.C., a c. di M. Manfredi, Bari 1955, 59). Accade che, più oscurandosi " il mondo esterno, più gli si illumina quel di dentro, e vede Beatrice non più fuori, ma dentro di sé " (Lezioni, cit., p. 63). Il segno nuovo e vivificante è nell'aver riportato, nell'interno dell'animo, vagheggiamento giovanile e cultura e nell'aver nutrito di questa sostanza B., che perciò si riscatta, congiuntamente, da vita terrena e simbolo. In sostanza, B. " è l'antica Beatrice arricchita di tutto ciò di che si è fatta ricca l'anima dell'amante " (Lezioni, p. 72). È un punto questo che De Sanctis tien ben fermo nei suoi molti ritorni, lungo l'esame del poema, e che certo mette a prova il concetto di poesia, nel generale, e la sua applicazione, nel particolare. Né elude le difficoltà. " Sia pure l'altro mondo figura della scienza; ma è, prima e innanzi tutto, l'altro mondo, e Virgilio è Virgilio, e Beatrice è Beatrice, e Dante è Dante; e se d'alcuna cosa ci dogliamo, è quando il secondo senso vi si ficca dentro e sconcia l'immagine e guasta l'illusione " (Storia, p. 169). Tanto più difficile appare questa posizione di difesa, quanto più il critico è portato a valutare l'umano nel divino, le passioni forti e magnanime su quelle estatiche e mistiche. Si pensi a Francesca qualificata come " prima donna del mondo moderno " (ibid., p. 196). Ma quando un po' di quell'umano appare, ad esempio nel Paradiso terrestre, allora anche " l'astrattezza del simbolo è superata " (ibid., p. 227).

In definitiva B. è espressione, nel suo momento più completo, di poesia; è segno di una predilezione psicologica e sentimentale che l'arte traduce in concreta e assoluta vicenda poetica. Legarla a significati di qualsiasi genere o a dati di particolarismo biografico vuoi dire distruggerla come creatura poetica e coinvolgere con essa l'intero poema. Non c'è infatti alcuna industria che possa salvare un'opera nel suo insieme (e la Commedia sembra a tutti, direttamente e indirettamente, indiscutibile poesia) e limitare, a un tempo, a valutazione particolare il personaggio-tema di fondo.

È un seme (tale è, in realtà, se si guarda all'interpretazione della sola B.), che s'inquadra nell'insieme del rinnovamento delle idee operato da De Sanctis. Croce parte da questa posizione e non v'è, in questo senso e tema, svolgimento significativo. Si irrigidiscono però le distinzioni generali, per cui l'allegoria diviene " una sorta di criptografia, e perciò un prodotto pratico, un atto di volontà, col quale si decreta che questo debba significare quello, e quello quell'altro " (La poesia di D., Bari 1921, 13). Né sempre indenne ne esce B., che, pur rivivendo la vicenda desanctisiana, appare, dinanzi a D., come " sorella maggiore, che ha compiuto il corso degli studi e ottenuto il diploma e il premio, e fa scuola al minor fratello ". Al rischio di sottolineare talune venature psicologiche e d'inserirvi B., non si sfugge in quegli anni (v. G. Franciosi, B. e l'anima del poeta, ecc.) ed è questo, certo, un rischio grave. Gli altri allievi e non allievi del De Sanctis rivivono B. con esperienze diverse o ne sfuggono la trattazione, paghi dell'opinione corrente che in sostanza contempera premesse diverse, se non opposte, e coglie nelle tradizioni più varie quella che vale di più per consensi e concordia a lume del buon senso. Un anello intermedio può essere costituito da K. Vossler. Il piano del De Sanctis è presente e sono presenti anche taluni fermenti. B. non è un puro " lume divino ", in tal senso più validi sarebbero stati profeti e sibille, ma è segno di amore, perché " solo nel nostro petto hanno radice i più lontani ideali del Vero e del Divino " (La Divina Commedia [1907-1910], trad. ital., Bari 1927, I 1, 128). Così è che il passaggio dalla Vita Nuova alla Commedia, per B., non avviene " finché il suo mistico amante non avrà chiarito il proprio carattere etico, filosofico ed estetico di fronte alla realtà delle cose " (ibid. II 1, 265). Anche qui il nutrimento di pensieri, Rime allegoriche e Convivio predispone a un'altra Beatrice.

Non meno decisa è la battaglia accanto o non molto dopo il De Sanctis ma da diversa posizione, contro l'abuso dell'allegorismo, sostenuta dalle scuole storiche, pisana (D'Ancona), bolognese (Carducci) e torinese (fondazione del " Giornale storico della letter. italiana ", 1883), entro cui s'inseriscono con un proprio e organico piano di ricerche storico-linguistiche e filologiche gli studiosi fiorentini da I. Del Lungo a M. Barbi, e con loro la pubblicazione del " Bullettino " (poi " Studi danteschi "). Lo studio di D'Ancona su B. (1865, 1871, 1884) è il primo momento, e di maggior vigore, senza precedenti a tal livello, della tesi sulla storicità di Beatrice. I punti di sostegno sembrano acquisiti per sempre, si corroborano di documentazione, si organizzano in unità dimostrativa. " Nel primo momento, Beatrice è donna reale; nel secondo, è vivente personificazione; nel terzo, è simbolo animato, in cui si uniscono e congiungono intimamente la donna e la personificazione " (Scritti danteschi, p. 147). Carducci provvede, da parte sua, a sgombrare astrazioni e sofisticherie allegoriche, a deridere l'interpretazione della Donna Gentile della Vita Nuova come Filosofia e a ridare umanità poetica a B.; ma non si sottrae affatto a intenderne la bellezza quale " argomento visibile dei miracoli e dei misteri della fede, e aiutatrice della provvidenza " (Opere, X 122). La nuova strada è aperta. La ricerca di ogni valido appoggio è affidata al Del Lungo. Nel suo saggio B. nella vita e nella poesia del secolo XIII (1890) si raccolgono dati di tradizione e nuovi, si rivalutano e si verificano, e gli uni e gli altri si coordinano tra loro e nell'iter spirituale e artistico di D. Taluni elementi della Vita Nuova (strade di Firenze; cavalcata; fratello di B. amico di D., XXXII 1 ss. e XXXIII 1; ecc.) non possono che essere reali. B. è la B. di Folco Portinari, cui avevano accennato il volgarizzatore del Bambaglioli (1334), Pietro (1360) e Boccaccio (1363-1364). Folco appare come esponente della magistratura politica dal 1280 in poi, membro del priorato nel 1282, 1285 e 1287 in rappresentanza dell'" elemento magnatizio " e ghibellino (Beatrice, p. 116). La sua morte avviene nel 1289. Delle sue due figlie, Ravignana va sposa a Bandino Falconieri e Bice a Simone dei Bardi, " famiglia di Grandi, ma altresì cambiatori e banchieri " (ibid., p. 118). Di B. si precisano le date essenziali: nascita (1266; Pg XXX 124), matrimonio (1287) e morte (8 giugno 1290; Vn XXIX 1; Pg XXXII 2). La rigidità del piano storico del Del Lungo mette forse in ombra il significato e il valore poetico di B.; salutare fu perciò l'intervento di M. Barbi. Egli accoglie B. come " donna vera e propria " (La questione di B., p. 115) e come non allegorico l'amore di D. narrato nel libello; ma distacca l'interpretazione unitaria di Vita Nuova - Convivio e Convivio - Commedia e dubita di una corrispondenza a reali donne degli amori cantati da D. nelle rime (anche quelle " petrose "), a cui dà soltanto valore di significazione allegorica o poetica. Ma è, certo, vicino a De Sanctis (e un po' meno, forse, a Croce) quando rigetta l'allegoria (e sostiene che " quello che Beatrice e gli altri personaggi dicono e operano non è immaginato in funzione d'un senso riposto, ma ha valore e fine proprio " (La questione di B., p. 132). La stessa identificazione di B. con la Portinari sembra convincere il Barbi solo in parte: a lui interessa più propriamente, sul piano storico-letterario, la " dimostrazione che essa fu donna reale " (ibid., p. 131). La precisazione nasce, al momento giusto, proprio da quel momento di estrema incertezza tra tesi opposte, che possono andare, sul piano della validità critica, da V. Zappia (Della questione di B., Roma 1904; che dà origine alla nota del Barbi) a C. Zacchetti (In difesa di B., ecc., Milano-Palermo 1920) e a P. Carli, che dal Barbi riprende i temi e li porge, caldi di vibrante psicologia, ai commentatori di oggi. Sembra infatti al critico che B. significhi " Fede, teologia e autorità spirituale della Chiesa " (B. beata [1922], p. 106) e che pertanto non può essere " avulsa dal mirabile organismo di poesia in cui vive ", perché " la poetica Beatrice è l'anima di Dante nella infinita varietà delle sue forme e dei suoi atteggiamenti " (ibid., p. 129). Un apporto non secondario alla precisazione di B. nello svolgimento del pensiero e della poesia di D. giunge, negli stessi anni, da parte degli studiosi di filosofia. Certe sottolineature (e non solo nel Convivio e nella Monarchia) erano invero già apparse prima, molto prima. Si pensi alle ricerche degli aristotelici cinquecenteschi, ad esempio a B. Varchi e I. Mazzoni (A. Vallone, L'interpretazione di D. nel Cinquecento, Firenze 1969, 150 ss., 193 ss.) e meglio a C. Lenzoni che vede come " secondo fine " del poema l'onorare B., " havendolo già [Dante] proposto e promesso nella fine della sua Vita Nuova " (In difesa della lingua fiorentina et di D., Firenze 1556, 51); ai grandi pensatori tedeschi di fine Settecento e inizio Ottocento (e si pensi a Schlegel), ai grandi italianisti dell'Ottocento francese (F. Ozanam, La filosofia di D., trad. ital. a c. di I. Coccia, Città di Castello 1923, 304 ss.) o anche a taluni acuti commentatori ottocenteschi che B. identificano con la Filosofia e basta (G. Biagioli, nel suo Commento alla Commedia, Milano 18292, I 32; II 478-479). Tuttavia a fine Ottocento la ricerca del pensiero di D. si coordina alla sua esperienza poetica, punta all'opera nel suo insieme e al tempo che la produce, cerca di riguadagnare temi e figure scacciati o sfuggenti. Più che altro si ricostruisce l'iter conoscitivo di Dante. Ma non si evita il rischio d'imparentare D. alle idee del tempo (e si pensi, per contrasto, al dogmatismo di V. Fornari e al laicismo di G. Carducci, per cui D. è " il primo filosofo laico del popolo italiano " [Opere, VII 308]; che germoglierà in G. Bovio). Sempre maggior rilievo, anche nell'interpretazione di B., assumono gli studi danteschi di G. Gentile. Si seguono, seppure con troppa logica consequenziaria, da Vita Nuova a Commedia, le ragioni della presenza di B., le sue parole e atti e la si classifica, di contro a Virgilio " sapiens spinoziano ", come segno di " quell'altra sapienza, quell'altra via, che secondo Dante si può trovare veramente all'eterna pace " (D. nella storia del pensiero italiano [1904], in Studi su D., Firenze 1965, 27). Per di più, c'è già chiaramente l'organizzazione degli uffici delle varie guide, che si differenziano ma non si contrappongono nei concetti di filosofia e religione (contro Vossler [1908], ibid., p. 128). Sicché " come Matelda rappresenta il compimento di Virgilio, S. Bernardo rappresenta il compimento di Beatrice. La teologia costruttiva, la teologia della ragione illuminata dalla fede, non ha forze sufficienti da elevarsi fino a Dio " (ibid., p. 39). È un logico coordinamento degli elementi della vita culturale di D., che trova appoggi in tutta l'opera. Dopo, B. Nardi, in maggior misura di altri filosofi (G. Tarozzi, Note di estetica nel Paradiso di D., Firenze 1921; A. Guzzo, Studi d'arte religiosa, Torino 1932; A. Banfi, Filosofia e poesia nella D.C., in Studi per D., Milano 1935; È. Gilson, D. et la philosophie, Parigi 1939; ecc.), dà svolgimento e compiutezza in plurime direzioni. Per Nardi l'ascesa di B. è tutt'uno con l'affinamento del poeta, " tendendo a spogliarsi da ogni scoria sensuale e a librarsi nelle eteree regioni della luce " (D. e la cultura medievale, Bari 19492, 46-47). La morte di B. apre l'animo di D. alla filosofia. Di qui la sua nuova prosopopea. " Anche la Beatrice della Vita Nuova era catafratta di tutte le virtù... Ma virtuosa e onesta quanto bella, la Beatrice della Vita Nuova non sillogizza. Invece la Beatrice della Commedia è ritornata a Dante loricata di dialettica, nonché di virtù teologale " (Filosofia e teologia ai tempi di D. [1965], in Saggi e note, ecc., Milano-Napoli 1966, 81). La conclusione è però più propriamente desanctisianobarbiana. B., come Virgilio, non è simbolo, non è la teologia: " non rappresenta proprio nulla, tranne se stessa qual è, cioè l'anima beata d'una povera mortale, cara a Dante " (ibid., p. 83).

Una netta eversione di questi acquisti critici è data dal neoallegorismo emerso a fine Ottocento con il Pascoli. La rottura coinvolge con le idee l'uomo (A. Vallone, Capitoli pascolianodanteschi, Ravenna 1966, 15 ss.), proprio dinanzi ai rappresentanti della nuova filologia fiorentina: I. Del Lungo, G.Mazzoni, M. Barbi. In Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900) e La mirabile visione (1901) l'intreccio di riscontri e suggestive allegorie è fittissimo. B. n'è coinvolta, con Virgilio Matelda e ogni altra figura. Se Virgilio è " studium, cioè studio o amore ", B. è Sapienza, per cui D. che, accompagnandosi a Virgilio, va a B., significa che " diviene e poi è filosofo " (La mirabile visione, Messina 1901, XXVII ss.). Nel pascolismo s'inseriscono, come si è visto, L. Valli e A. Ridolfi e, per taluni aspetti, L. Pietrobono. E allargando il cerchio, in particolari rilievi mistico-allegorici: F. Flamini (Il significato e il fine della D.C., Livorno 1916), L. Giuffré (Una nuova interpretazione del simbolo di B., in " Realtà nuova " I [1948] 184-192),

R. Guardini (Der Engel, in Dantes göttlicher Komödie, Monaco 1951, 71-74), A. Intagliata (Il mistero di B., Milano 1952), K. Stange (B., in Dantes Iugenddichtung, Gottinga 1959; cfr. B. Nardi, in " Giorn. stor. " LXXIX [1962] 49-70), A. Ariaens (D. en de Kerk, S. Gravenhage 1965, 69-87), E. Guidubaldi (D. europeo, Firenze 1968, III 445 ss.); ecc. Altri a questi temi aggiungono venature cisterciensi e francescane, non rare dopo G. Salvadori (E. Bonaiuti, D. come profeta, Modena 19362, 97) o tracce ereticali, come in molti storici di oggi. Quello ch'è certo, a partire da Pascoli e anzi proprio con lui, l'allegorismo si sveste degli elementi rossettiani, politico-settari cioè, e assume profondi significati mistico-agostiniani. La presenza di queste idee nei commenti di oggi, ma anche negli studi specifici oltre la cerchia degli ‛ iniziati ', è decisamente scarsa. A questo ritorno alla ‛ realtà ' esegetica hanno contribuito, per vie diverse, sia le ricerche storico-filologiche, sia l'interpretazione retorico-estetica dell'opera di Dante. Si concorda sostanzialmente su questa traccia: B. parte donna terrena (ed è quasi per tutti quella di casa Portinari) e giunge nell'arte ad alto significato di teologia o scienza divina. È, in fondo, il cammino che solca un secolo e mezzo di esegesi, da V. Poggiali (D.C., Roma 1806, 15) ad oggi. Così è, con minime variazioni, in Scartazzini-Vandelli (Milano 1941, 16), Casini-Barbi (Firenze 1944, 18), Torraca (Genova-Roma 1946, 14), Pietrobono (Torino 1949, 22); Cosmo (L'ultima ascesa, Bari 1936, 386); Momigliano (Firenze 1945 15-16) Pézard (Vita Nuova, Introduzione, Parigi 1953, 67; ecc.), Gmelin (Stoccarda 1954, 54), Sapegno (Firenze 1955, 21), Montanari (L'esperienza poetica di Dante, Firenze 1959, 135-136), Mattalia (Milano 1960, 65), Chimenz (Torino 1962, 20), Montano (Storia della poesia di D., Napoli 1962, I 312), Fallani (Messina-Firenze 1964, 19) e così via via. In sostanza si riconosce che " come la Beatrice-Teologia della Commedia rimane la donna fiorentina già contemplata nelle chiese, nelle feste, per le vie di Firenze, così la donna gentile, nel Convivio interpretata come Filosofia, non annulla la fiorentina " (U. Bosco, Tendenza al concreto e allegorismo in D. [1951], in D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 26). Lungo questa linea, che parte dalla filologia tedesca e inglese (K. Witte, E. Moore, P. Toynbee, ecc.) e fiorentina, con l'affinamento della sensibilità e del gusto, che più propriamente si richiama all'insegnamento di De Sanctis e Croce, oggi si è potuto guardare con più sottigliezza e precisione al valore e al posto di B. in Dante. Si pensi alla penetrazione finemente estetica che ha portato G. Getto a considerare B. e la " teologia nel Paradiso " " come fonte di poesia " (Aspetti della poesia di D., Firenze 19662, 196), o all'industria filologica di D. De Robertis di porre B. come " figura e presenza reale: una realtà poetica, beninteso, che non ha nulla che fare con la eventuale identità storica " (Il libro della Vita Nuova, Firenze 1961, 19). L'uno e l'altro valgono come segni di diverso orientamento critico netti alla loro origine (critica estetica e critica filologica) e poi scomposti e rifusi alla foce. È però la via che ci permette di cogliere i nuovi temi che emergono dalla recente esegesi dantesca, entro e fuori le correnti di gusto e di lettura tradizionali. B., come Virgilio e Catone, rientra nella concezione figurale di E. Auerbach (Figura [1938], in Studi su D., Milano 1963, 176-226), ma nel suo prolungamento storico-critico è creatura che si presenta secondo un tipico modulo barbiano. La Vita Nuova è un " gradino necessario del concetto di realtà ", " il necessario preludio alla Commedia ". B. tra libello e poema è, tra suggestivi innesti vossleriani, " una santa cristiana e un'antica Sibilla; come amata terrena è un sogno giovanile, i cui contorni sono a stento conoscibili, e come beata, membro della gerarchia celeste, è una figura reale " (D. poeta del mondo terreno [1929], in Studi, ecc., p. 57). Né questo distrugge " la vita e la passione di Beatrice ", di cui anzi si sente, desanctisianamente ma per ragioni dissimili, " il profumo della sua persona umana " (ibid., p. 57). L'interpretazione di A. Pagliaro, nel mentre è portata ad accogliere l'acquisto barbiano, tende a sottolineare il passaggio, che è il segno della profonda dialettica dello spirito e dell'arte di D., tra B. come " figura di donna, che la coscienza stilnovistica aveva idealizzato in immagine di perfezione femminile " e B., nella Commedia, come " simbolo della scienza più alta, quella delle cose divine " (Ulisse, Firenze-Messina 1966, 94). " La donna in Beatrice vive come dato istoriale " (ibid., p. 96). Una posizione a sé stante, con venature mistico-platoniche, assume C. Singleton nel suo Journey to B. (1958; trad. ital. Viaggio a B.) e in An Essay, ecc. Se Virgilio è " praeparatio ad gratiam ", B. è " gratia justificans " (Viaggio, p. 82) nello svolgimento, che è teologico e poetico, da Vita Nuova a Commedia. Entro questa linea, che s'avvale dell'esame di tutti i luoghi e circostanze riguardanti B., il fertile ingegno del critico presenta l'immagine di una Donna beata, che Sacra Scrittura e testi medievali proposero a Dante. Entrare in questo mondo significa in definitiva rovesciare uno dei miti rinascimentali e romantici (Croce compreso) più perversi e tenaci: l'allegoria come sovrastruttura. È, in rapporto a certi risultati più generali conseguiti da Spitzer e Auerbach, la lezione più proba che possa capitare al lettore di D., oggi.

In definitiva, almeno da Barbi in poi, l'interpretazione di B. poggia sui seguenti punti: a) riconosci mento della storicità di B. e sua non essenzialità per la qualificazione poetica; b) prevalenza dell'idea di svolgimento da Vita Nuova a Commedia, seppure scandito in tempi e modi diversi; c) centralità del Convivio che non dissolve ma integra nutrendola l'immagine di B., da creatura umana a maestra di scienza divina; d) inserimento ed esemplarità della vicenda umana e artistica nel clima poetico del tempo e suo riscatto; e) reinterpretazione dell'allegoria di B. non come intelaiatura esterna, ma come modo di essere della mente e della poesia di Dante. Ma, ieri come oggi, par chiaro sempre che intendere bene B. significa scoprire nella sostanza il fondo e la totalità dell'opera di Dante.

Bibl. - Gli studi su B. sono assai numerosi, più che per qualsiasi altra figura o aspetto dell'opera di Dante. Qui si segnalano, oltre a quelli già ricordati nel testo, i più significativi. E inoltre si vedano, sub v., i volumi di Indici di: " Bull. ", " Giorn. stor. ", " Giorn. d. ", ecc.

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