BEATRICE di Lorena, marchesa e duchessa di Toscana

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BEATRICE di Lorena, marchesa e duchessa di Toscana

Margherita Giuliana Bertolini

Figlia di Federico, duca dell'Alta Lotaringia, e di Matilde, figlia di Ermanno II duca di Svevia e di Gerberga figlia di Corrado re di Borgogna, apparteneva a una delle famiglie più illustri dell'Impero. Morto nel 1033 il padre Federico, B., allora "puellula", fu accolta e "nutrita", insieme con la sorella Sofia "in aula regis" dalla zia imperatrice Gisella, consorte di Corrado II, che adottò "in filias" le orfani nipoti e uniche superstiti della famiglia di Federico. Sposò in prime nozze il canossiano Bonifacio, marchese e duca di Toscana, alle sue seconde nozze, avvenute certo dopo il febbraio 1036, data a cui risale l'ultima testimonianza della prima moglie di Bonifacio, Richilde, ma prima del 5 ott. 1040, quando per la prima volta B. appare in Italia.

La posizione politica di Bonifacio in Italia e la sua potenza economica da una parte, la posizione sociale ed economica di B., unica erede insieme alla sorella dei beni paterni, dall'altra, fanno accettare senza dubbi la notizia d'un intervento regio nella conclusione di queste nozze tramandataci da un tardo cronista lorenese Lorenzo di Liegi ("Beatrix data est a rege uxor Bonefacio Italiae marchioni").

Poiché ottimi furono i rapporti tra l'imperatore Corrado II e il marchese di Toscana, uno dei "duo lumina" del suo regno in Italia, mentre precari quelli tra Bonifacio e il successore di Corrado Enrico III; e d'altronde evidenti i legami tra B. e Corrado, non v'e dubbio che per volontà di quest'ultimo le nozze furono concluse, e quindi prima del 4 giugno 1039.

È possibile, seppure in via ipotetica, un'ulteriore precisazione cronologica: se le nozze furono celebrate in Lorena, come dice il monaco Donizone nel suo poema celebrativo delle glorie canossiane, si debbono porre tra il luglio dell'anno 1036, quando Bonifacio si trovava a Nimega per un'assemblea che probabilmente doveva prendere disposizioni riguardo all'imminente discesa di Corrado II in Italia, ed il luglio del 1037, prima testimonianza del suo rientro in Italia: infatti i dati noti di Bonifacio successivi a tale data e precedenti alla morte di Corrado non permettono di supporre un viaggio al di là delle Alpi; se invece esse avvennero in Italia - è nota l'inesattezza e la fantasia che spesso dominano il racconto di Donizone, il quale a proposito di queste nozze è di tono nettamente leggendario - si possono porre negli anni 1037-1038 essendo assai verosimile che B. seguisse la corte imperiale in questi anni in Italia.

Ciò permette di inquadrare il matrimonio di B. nell'ambito di quella politica matrimoniale che Corrado andò conducendo negli anni 1036-1037 per legare famiglie della grande feudalità germanica, a lui particolarmente vicine, e della grande feudalità italica allo scopo di dominare la situazione del Regnum turbata dalla pericolosa preponderanza dell'arcivescovo di Milano Ariberto.

Senza dubbio importanti furono i beni portati da B. in dote anche se su. questi non ci sono notizie dirette e precise; fastose le feste che accompagnarono le nozze, tanto da rimanere nella tradizione dei territori canossiani a Nord dell'Appennino, come attesta il racconto di Donizone: Bonifacio va in "Gallia", con cavalli dai ferri d'argento mal battuti, onde si potessero perdere per strada a indicare l'opulenza del principe; al suo ritorno con la sposa, tiene corte bandita a Marengo, in territorio mantóvano, per tre mesi: qui le vivande vengono portate alle mense su splendidi vasellami d'oro e d'argento, a dorso di cavallo; secchi d'argento attingono il vino dai pozzi, mentre musiche di cetre e lire allietano i commensali.

Difficile precisare e valutare l'attività di B. negli anni in cui fa vicina a Bonifacio. È, stata sottolineata la coincidenza tra il cambiamento avvenuto nella politica del marchese di Toscana dopo la morte di Corrado II e la presenza di B. al suo fianco: nei primi anni del regno di Enrico III infatti, Bonifacio, approfittando dell'indebolirgi della posizione di Milano ove la potenza dell'arcivescovo Ariberto era ormai in crisi di fronte all'evolversi della situazione sociale ed economica, cercò di crearsi un forte stato. personale nell'Italia centro-settentrionale, ponendosi quindi in urto col nuovo re; tanto più in quanto cercò e trovò il suo naturale appoggio nei Tuscolani a Roma, in Guaimario di Salerno e Drogone di Puglia nell'Italia meridionale, proprio in quelle forze cioè contro cui si svolgeva parallelamente la politica diEnrico III, preoccupato della, propria autorità e sinceramente desideroso di ridare nuovadignità alla Chiesa liberandola dal dominio delle famiglie dell'aristocrazia romana: è noto che fu per l'appoggio datogli da Bonifacio che il tuscolano Benedetto IX, già deposto da Enrico III nel dicembre 1046, poté, dopo la morte del papa imperiale Clemente II (9 ott. 1047), tornare a Roma (novembre 1047); ed è noto il rifiuto che lo stesso Bonifacici oppose alla richiesta avanzata dall'imperatore di far da scorta al pontefice di sua nomina Damaso Il.

Dunque B. potrebbe non essere stata estranea ai nuovi orientamenti del marchese di Toscana; fu anzi forse utile tramite fra gli antienriciani italiani, tra loro collegati, e gli antienriciani della Lorena e dei Paesi Bassi che si ribellarono a Enrico III proprio in coincidenza con la ribellione aperta di Bonifacio (1047-1048; cfr. Falce, Bonifacio, I, pp. 151 s., 174-202). In realtà non si hanno notizie di rapporti tra B. e la Lorena in questi anni in cui ella appare, dalla scarsa documentazione rimastaci, intenta a 1 costituire col consenso di Bonifacio, e forse in relazione alle sue ambizioni, un suo patrimonio in Italia con una serie di atti stipulati nei territori canossiani a Nord degli Appennini, ove sembra che abbia esclusivamente soggiornato nel periodo del suo primo matrimonio.

Il 5 ott. 1040 B. è in territorio bolognese (Zola Predosa); il 13 marzo 1042 in territorio ferrarese (Bondeno); il 14 maggio 1044 in territorio mantovano (Gonzaga); il 14 giugno 1044 nell'Emiliano (Castellarano). Da ricordare in particolare, per l'importanza e l'estensione dei beni acquistati, l'atto del 14 maggio 1044, con cui, per 1000 libbre d'argento, B. comprò una serie notevole di beni posti, nei comitati di Piacenza, Reggio Emilia e Mantova, alcuni dei quali "cum castro et turre"; e gli atti distinti, ma della stessa data, 14 giugno 1044, con cui B. venne in possesso, per complessive 250 libbre d'argento, di una cospicua parte d'una corte e castello in territorio lucchese, quello di Porcari.

È possibile tuttavia che vi fossero relazioni tra il capo dei ribelli lorenesi, il duca dell'Alta Lotaringia Goffredo detto il Barbuto, e B., se è vero che questi, investito da Enrico III del ducato dell'Alta Lotaringia nel 1040, fin dal 1033 aveva esercitato una giurisdizione di fatto nel ducato che era stato del padre di B., amministrando anche, come appare assai probabile al Duprée (pp. 14 s.), i beni di B., di cui egli era un lontano parente.

È forse più precisabile il ruolo di B. negli ultimi anni della vita di Bonifacio, dopo che il marchese. di Toscana, falliti i suoi progetti, aveva finito col tornare nell'orbita imperiale, rinunciando a sostenere Benedetto IX, e accompagnando nel luglio 1048 a Roma Damaso II. Le due sole precise testimonianze di B. in questi anni, infatti, la mostrano attiva da sola o con Bonifacio, accanto al successore di Damaso II, Leone IX (consacrato nel febbraio 1049), la prima personalità espressa dai circoli riformatori sostenuti da Enrico III che ebbe tempo di affermarsi; nel maggio dell'anno 1049, durante il sinodo che Leone IX tenne a Pavia mentre si recava dall'Italia in Francia, B. insieme con Bonifacio presentò al pontefice per la conferma un privilegio del papa Adriano I, certo falso, per il monastero di S. Silvestro di Nonantola (per l'attendibilità del privilegio di conferma v. Falce, Bonifacio, II, n. 60, pp. 124 s.); il 19 luglio 1050 Leone IX concesse la protezione della Sede apostolica all'abate Bonatto dei monastero di S. Salvatore dell'Isola (diocesi, di Siena), "inclinati precibus tuis et maxime neptis nostrae Beatricis ducatricis"; anche i racconti confusi e pieni d'incongruenze cronologiche sul ritrovamento del sangue di Cristo a Mantova presso la chiesa di S. Andrea (per cui v. Falce, Bonifacio, II, n. 58, pp. 118-122) permettono tuttavia di avere nuova conferma dei rapporti e del buon accordo tra i, marchesi di Toscana, Leone IX e Enrico III, accomunati dalle fonti nelle vicissitudini di tale ritrovamento.

Ora, B., lorenese, parente di Leone IX, che prima di essere papa era stato arcivescovo di Toul, in terra lorenese, che certo aveva portato con sé personaggi dell'ambiente lorenese, non deve essere rimasta estranea al nuovo mondo che si era affermato a Roma, mondo che ella aveva avuto molto probabilmente modo di conoscere personalmente nella sua giovinezza, e agli orientamenti che questo esprimeva: gli atti più sopra ricordati, la tradizione che attribuisce a B. la costruzione del monastero femminile di S. Tecla a Cremona proprio in questi anni (1050-1051), possono esserne un indizio. È quindi possibile pensare, come è stato fatto, che B. abbia avvicinato il marchese di Toscana agli ambienti riformatori romani e quindi abbia ispirato Bonifacio stesso a prendere iniziative che sembrano esprimere maggiore sensibilità alle esigenze d'un rinnovamento della vita ecclesiastica, estranee del resto alla natura del marchese "helluo bonoruni ecclesiasticoruni": la nomina del monaco Maurilio, nativo di Reims, che aveva studiato a Liegi e proveniva dall'abbazia di Fécamp, ad abate del monastero di S. Maria di Firenze (Badia fiorentina), onde ne riformasse i costumi e ne riordinasse la vita, ne potrebbe essere un indizio.

Il 6 maggio 1052 a San Martino dell'Argine (Mantova) Bonifacio veniva ucciso mentre era a caccia. B., rimasta vedova con tre figli Federico, detto anche Bonifacio nelle fonti, Beatrice e Matilde, ancora in minore età -, aveva di fronte a sé il gravoso compito di governare gli stati del marchese in un momento evidentemente difficile poiché l'uccisione di Bonifacio non è certo da attribuirsi a sola vendetta privata come vogliono le fonti. Non è da stupirsi quindi che assai presto riprendesse marito spinta dalla sua situazione particolare, ben espressa dalle parole che il cronista Lamberto di Hersfeld le attribuisce a giustificazione della sua decisione: "Destitutam se priori marito desolatae domui patronuni paravisse..." (Annales, ad annum 1055, pp. 66 s.): nel 1054, infatti era già avvenuto il suo matrimonio con il duca Goffredo, detto il Barbuto, il quale era anch'egli al secondo matrimonio.

Come è già stato ricordato, Goffredo era figlio di Gozzelone, duca della Bassa Lotaringia, che dal 1033 era succeduto a Federico padre di R. anche nel ducato alto-lotaringico; governatore di fatto di questi ultimi territori per conto del padre e probabile amministratore dei beni di B. in questa zona, Goffredo nel 1040 era stato anche ufficialmente investito da Enrico III dell'Alta Lotaringia; dal 1044 in poi però, dacché Enrico III cioè aveva affidato alla morte di Gozzelone la Bassa Lotaringia al fratello minore di Goffredo, i rapporti tra questo ed Enrico III si erano guastati fino alla ribellione del duca lorenese. Nonostante Una prima riappacificazione nel maggio 1046, che permise a Goffredo di riottenere l'Alta Lotarmgla, una nuova ribellione scoppiata nell'estate-autunno del 1047 e caratterizzata da terribili violenze - e con questa Bonifacio sarebbe stato collegato portò alla definitiva sottrazione dell'Alta Lotaringia a Goffredo (metà ottobre 1048), alla sua scomunica da parte di Leone IX (estate 1049) e al suo imprigionamento; liberato alla metà ottobre, del 1049 per impetrazione di Leone IX stesso, si riaccostò ad Enrico III che gli restituì alcuni beni feudali.

Il matrimonio di B, con un personaggio così turbolento dovette avvenire ad insaputa dell'imperatore, che certo non avrebbe dato il suo consenso all'insediarsi nell'Italia centro-settentrionale dell'ex duca dell'Alta Lotaringia: dalle fonti è visto come un vero e proprio nuovo atto di ribellione di Goffredo verso il suo sovrano. Si può pensare, come si è supposto, che alla conclusione di questo matrimonio non siano stati estranei i nuovi ambienti romani.

Una serie di considerazioni può rendere plausibile questa ipotesi: Leone IX conosceva bene Goffredo di cui era stato intercessore presso Enrico III; aveva portato con sé in Italia il fratello di Goffredo, Federico, che nominò cancelliere della Chiesa (31 marzo 1051); è possibile che abbia portato anche Goffredo, che in questa occasione sarebbe stato ospite della corte di Toscana (Duprée, p. 63); certi sono i rapporti tra Leone IX e Beatrice. D'altra parte in questi anni le relazioni tra il pontefice e l'impero non erano le migliori, e forse il papato era già alla ricerca d'un appoggio diverso per sostenere sia la politica anti-normanna, sia la politica di riforma in Italia, eve il concilio convocato a Mantova il 21 febbr. 1053, e a cui forse presenziò anche B., fallì clamorosamente per l'opposizione del clero lombardo. La famiglia lorenese poteva rispondere a questo duplice scopo: Goffredo non aveva in quel mome 1 nto una posizione forte in Germania, e certo poteva sostenere la politica di riforma voluta dal papato se questo gli tornava vantaggioso; B., dal canto suo, sembrava essere favorevole alla riforma.

La reazione di Enrico III non si fece aspettare: è fuori dubbio che la "communis conspiratio plaebis" che costrinse Goffredo a lasciare l'Italia poco dopo il matrimonio - nel 1055 egli ne era già lontano - fu vista di buon occhio, se non sollecitata dallo stesso Enrico (Sigeberto di Gembloux dice che Goffredo "iussu Imperatoris a Longobardia excluditur"), il quale probabilmente nell'assemblea tenuta a Zurigo nel febbraio dei 1054, ove era presente Ubaldo, vescovo di Cremona, aveva avuto modo di conoscere gli sviluppi della situazione italiana a distanza ormai di più di due anni dalla morte di Bonifacio. Sceso poi Enrico III in Italia per sistemare personalmente le cose - e i numerosi provvedimenti presi m questa occasione sono rivolti proprio contro il potere del marchese di Toscana -, B. fu convocata al sinodo che Enrico III, insieme col papa Vittore II, tenne. a Firenze dal 4 al 14 giugno 1055. Il 31 maggio 1055 era a Pisa, probabilmente nel suo viaggio di, trasferimento, e qui realizzava del denaro liquido svendendo per un prezzo irrisorio i beni posti in territorio lucchese che aveva acquistato il, 14 giugno 1044; l'atto di vendita, sulla cui autenticità la Santoro ha però sollevato dei dubbi (cfr.: Le sottoscrizioni, pp. 274 s.), prevede il riscatto entro un anno e a condizioni assai onerose dei beni medesimi, indizio certo di disagio e ristrettezze materiab, ma anche di speranza in una rapida soluzione del suo problema. A Firenze invece non trovò clemenza: insieme con la figlioletta Matilde, allora di circa dieci anni, che aveva portato con sé, fu tenuta prigioniera e quindi costretta a seguire l'imperatore in Germania. Durante il soggiorno fiorentino B. doveva essere colpita dalla perdita della figlia maggiore Beatrice e dell'unico figlio Federico. là probabilmente da porre in questi stessi anni il ritorno a Fécamp dell'abate della Badia fiorentina Maurilio, incapace di riportare ordine in quel monastero, rimasto privo ormai dell'appoggio dei suoi protettori.

L'esilio di B. e la sua separazione da Goffredo dovevano durare circa un anno; morto infatti Enrico III il 5 ott. 1056, B. poté ricongiungersi al marito che la dieta di Colonia, incaricata di ordinare gli affari dell'Impero - il figlio di Enrico III era in minore età -, riconobbe successore di Bonifacio, evidentemente come sposo di B. e naturale tutore della figlia, ai primi di dicembre del 1056. Tornati in Italia, forse insieme col pontefice Vittore II, che, lasciata la Germania intorno al febbraio del 1057, passava per la Toscana nel suo viaggio verso Roma, i marchesi di Toscana costituirono da questo, momento e per lungo tempo il punto di appoggio del papato in Italia, impegnato in una intensa opera di riforma per liberare la Chiesa dai mali, simonia e concubinato, che l'affligevano, al di fuori ed indipendentemente dalla massima autorità laica.

Negli anni tra il 1057 e il 1069, fino alla morte di Goffredo cioè, si hanno saltuarie testimonianze dell'attività di B., essendo evidentemente il marito, quando si trovava. in Italia, a esercitare la cura del governo. Dovette tuttavia affiancarlo nell'appoggio che il marchese, diede successivamente al papa Vittore II, morto il 28 luglio 1057, al proprio fratello Federico, succeduto a Vittore II col nome di Stefano IX il 2 ag. 1057, al vescovo di Firenze Gerardo, eletto papa nel dicembre 1058 col nome di Nicolò II a Siena, alla elezione del quale B. presenziò; è anzi a questi anni da far risalire l'inizio dei rapporti di B. con alcune delle personalità più eminenti della politica ecclesiastica del tempo: il suddiacono Ildebrando in particolare, che una volta divenuto papa Gregorio VII, si rivolgerà alla marchesa di Toscana con un tono rivelatore di lunga amicizia; e Pier Damiani che, in rapporti personali con Goffredo dal 1057 governatore del ducato di Fermo e della Pentapoli ove ti trovavano le primitive fondazioni monastiche damianee, si rivolse anche a B. con una lettera ove si esprime tutta la sua gioia per la volontà sua e del marito di condurre vita matrimoniale in perfetta continenza. Ed è certo che B. perseverò in questo suo atteggiamento favorevole al. papi riformatori anche quando Goffredo, lasciata l'Italia dopo il 1060 - richiamato in Germania da un nuovo interesse verso la politica tedesca e forse deluso dal riavvicinamento ai Normanni operato da Nicolò II -, si mostrò meno sollecito, anche se sempre sostanzialmente favorevole, alle fortune del papato. Nella crisi infatti che s'aprì a Roma alla morte di Nicolò II (27 luglio 1061) e che vide la corte tedesca, dominata da una reggenza antiriformista, contrapporre ad Alessandro II, eletto il 30 sett. 1061 - era vescovo di Lucca -, un altro papa nella persona del vescovo di Parma Cadalo (Basilea, 28 ott. 1061), fu B. che arrestò, probabilmente sulla via Emilia nei pressi di Modena, l'antipapa nel suo primo tentativo di raggiungere Roma; fu sempre B'. che ancora gli si oppose, ma questa volta invano, nella primavera del 1062. Fu certo a fianco di Goffredo quando questi, comparso nel maggio del 1062 a Roma, venne sostanzialmente in soccorso ad Alessandro II riaccompagnandolo nella sua diocesi di Lucca, probabilmente d'accordo in ciò con la nuova reggenza che poco prima a Kaiserswerth (aprile 1062) aveva preso le redini del governo con orientamenti favorevoli al papa legittimo, e quando lo stesso Goffredo riportò Alessandro II a Roma nel marzo-aprile 1063, in seguito alle decisioni prese dal vescovo Burcardo di Halberstadt, inviato in. Italia per esaminare la situazione; fu infine B., con le sue truppe, che sedò il tumulto provocato dai sostenitori di Cadalo in quel concilio, tenuto a Mantova, centro dei domini canossiani a Nord dell'Appennino, dal 31 maggio al 3 giugno 1064, che riconobbe come unico papa legittimo Alessandro II; e significativo è il fatto che Alessandro II, all'indomani del sinodo, concesse un privilegio alla Chiesa di Mantova, dietro preghiera di B. "dilecta filia nostra".

In questi stessi anni fu B. che si occupò del governo dei territori canossiani, in relazione evidentemente alle assenze di Goffredo: per la prima volta infatti svolse funzioni giurisdizionali presiedendo placiti a Borgo San Lorenzo a favore dei canonici fiorentini di S. Giovanni l'8 nov. 1061 e il 10 dicembre dello stesso anno a Firenze, "ad vicem viri sui", a favore della Badia fiorentina; accolse, inolt re, come padrona di casa a Mantova, in occasione dei sinodo del 1064, l'arcivescovo Annone di Colonia, anima della nuova reggenza tedesca.

Se nei confronti del dissidio sorto per il vertice della Chiesa si può perciò dire con sicurezza che B. senza riserve, e Goffredo con qualche ambiguità - certo dovuta al suo impegno nella politica tedesca in quegli anni assai fluida, impegno che gli fruttò il riconoscimento delAucato della Bassa Lotaringia proprio da parte di quell'Adalberto di Brema che aveva riportato la reggenza su posizioni anti-riformistiche (ottobre-novembre 1065) -, si schierarono a fianco di Alessandro II contribuendo in definitiva. alla causa della riforma; con altrettanta sicurezza si può dire che di fronte alle manifestazioni più radicali e rivoluzionarie nate dalle medesime esigenze di rinnovamento per cui combatteva la Chiesa in quegli anni i marchesi di Toscana, anche se con diverso impegno, si posero in posizione di rifiuto e di difesa dell'ordine tradizionale: troppo pericolosa per la loro autorità di signori feudali era la minaccia di quelle forze, grande e media feudalità campagnola, che stavano dietro a questi movimenti violenti. Allorché infatti Firenze, a cominciare dal 1065, fu turbata da una serie di agitazioni dovute alla predicazione dei monaci vallombrosani guidati dal loro abate Giovanni Gualberto, contro il vescovo Pietro Mezzabarba accusato di simonia, a, Goffredo intervenne de-. cisamente a favore del vescovo simomaco giungendo a promulgare agli inázi del 1068 un vero e proprio editto contro gli avversari del vescovo, con dure minacce di confische e violenze per i suoi trasgressori.

Le poche testimonianze che ci mostrano in particolare l'atteggiamento di B. in questi avvenimenti sembrerebbero confermare una posizione non differente da quella del marito: alla fine del 1067-inizi 1068 è nominata insieme con Goffredo nella carta "ordinationis et reconciliationis" che ricorda la ricostruzione dell'ospedale della Badia fiorentina da parte dell'abate Pietro II, atto questo visto dal Davidsohn come ultimo tentativo d'un accordo a Firenze (ma cfr. Miccoli, Pietro Igneo, 26); dopo la deposizione di Pietro Mezzabarba, decisa nel sinodo romano del marzo 1068, sinodo cui B. presenziò forse in relazione ai non buoni rapporti intercorrenti tra Goffredo e la Chiesa, B. probabilmente cercò di intercedere presso Alessandro II, quando si recò a Lucca nel luglio del 1068, perché concedesse il perdono al vescovo fiorentino: è certo che l'8 di quel mese B. non trovava nessuna difficoltà a presenziare insieme con Pietro Mezzabarba, insignito del suo titolo, a una reinvestitura di beni a favore dei canonici di S. Martino di Lucca.

Risalgono probabilmente a questo anno, 1068, i rapporti tra Cadalo e Goffredo che Pier Damiani rimproverò al marchese di Toscana in una lettera piena di ricordi della valorosa opposizione condotta dal marchese e dalla moglie B. contro lo scomunicato vescovo di Parma; è probabile che questi siano stati contemporanei e in relazione a quelli avuti con il medesimo Cadalo da Annone arcivescovo di Colonia allorché s'avviava a Roma per il sinodo del marzo 1068. Non sono noti i particolari né le ragioni di questi contatti cui forse, Goffredo fu spinto dalla situazione fiorentina. Geneìahnente in rapporto con questo episodio è comunque posto l'"edictuni" di Alessandro II che impose a Goffredo la separazione da B. e, come condizione di remissione della pena, la fondazione d'un monastero con i beni di ambedue gli sposi: questo riferisce il cronista del monastero di S. Hubert (diocesi di Liegi), in un discorso fatto pronunciare in punto di morte allo stesso Goffredo. Qualunque sia il valore di questa interpretazione d'una disposizione, quella stabilita dall'"edictum", di cui non si può dubitare, è certo nuova prova non solo dei non buoni rapporti tra Roma e Goffredo, ma anche della partecipazione di B. alle attività del consorte visto che la pena, come la sua riparazione, ricadeva su entrambi gli sposi.Nel novembre del 1069 B. lasciava per la seconda volta l'Italia per recarsi in Lorena insieme con il marito e la figlia Matilde; le fonti dicono che Goffredo affrontò questo viaggio nella speranza che l'aria natia. gli ridonasse la salute, in Italia precaria; non è da escludere tuttavia che anche radempimento della pena imposta dal papa possa esserne stata una delle ragioni. Di fatto, dal novembre al dicembre del 1069, Goffredo, col consenso o l'intervento di B., operò una serie di provvedimenti a favore di chiese e monast'eri lorenesi: a S. Dagoberto di Stenay sostituì ai canonici di vita evidentemente corrotta monaci dell'abbazia di Gorze; a Mogimont fondò una chiesa intitolata a S. Pietro, infine, a Bouillon fondò un priorato, beneficando quindi l'abazia di S. Hubert, al cui abate Teodorico affidò l'incarico di fondare, secondo la sua volontà la "congregatio monachorum" sui beni da Goffredo assegnati; è per consìglio di B. e per sua intercessione che Goffredo, dando ascolto alle lamentele di molte comunità ecclesiastiche della diocesi di Verdun nei confronti dei propri avvocati, giunse alla decisione di limitare in modo preciso le ricompense degli avvocati stessi.

Il 21 dic. 1069 Goffredo venne a morte a Verdun, ove fu sepolto. Certamente prima della sua morte, nel dicembre stesso, dovette essere celebrato il matrimonio tra Matilde, figlia di B. e Bonifacio, e Goffredo, detto il Gobbo, figlio di primo letto di Goffredo il Barbuto; già fidanzati dal 1056-1057, dovevano assicurare la continuità dell'unione tra la casa lorenese e canossiana di cui erano gli unici eredi. Duraturo rimase il ricordo del principe lorenese nell'animo di B.: nell'unico sigillo della cancelleria dei canossiani pervenuto in un documento di Beatrice del 1073, la leggenda dice: "Sis semper felix, Gotfredo cara, Beatrix". Rimasta nuovamente sola e tornata ben presto in Italia - nel maggio del 1070 era già a Firenze - B. si dedicò al governo dei suoi domini, esercitando una parte di primo piano negli ultimi anni della sua vita che videro la rottura aperta tra papato e impero. Attiva fu la sua opera nella marca di Toscana, opera che la vide impegnata, ben presto coadiuvata dalla figlia Matilde, a reprimere gli abusi che si dovevano essere notevolmente moltiplicati nelle turbolenze degli anni precedenti. Numerosi sono infatti i placiti da B. presieduti, a favore soprattutto di enti e persone ecclesiastiche, negli anni che vanno dal 1070 al 1073: Firenze (maggio 1070, febbraio 1073); Lucca (novembre 1070, settembre 1071); il comitato di Siena (Chiusi, giugno 1072); il comitato perugino (luglio 1072); il comitato aretinò (aprile, ottobre 1073); Pisa (gennaio 1073), sono le tappe del suo itinerario di govemo; i monasteri di S. Salvatore di Fontebuona (maggio 1070) e di S. Salvatore di Monte Amiata (giugno 1072, aprile 1073) nel Senese; di S. Ponziano a Lucca, (gennaio 1073); di S. Felicita, presso le mura di Firenze (febbraio 1073); i canonici della cattedrale fiorentina di S. Giovanni (febbraio 1073) e della cattedrale aretina di S. Donato (aprile, ottobre 1073); la Chiesa di Lucca (settembre 1071), sono gli enti che ricorsero al tribunale marchionale per assicurare i propri beni contro le violenze cui erano fatti oggetto da parte di privati. Ben più rare invece saranno le tracce d'una attività giurisdizionale di B. negli anni tra il 1074 é il 1076 probabilmente in relazione alle turbolenze che allora si verificarono: nel febbraio del 1074 è nel Lucchese; nel maggio 1075 placita a Firenze, nel marzo 1076 a Pisa. È da notare che non si ha notizia di donazioni a chiese o enti ecclesiastici dei territori toscani da parte di Beatrice.

Contemporaneamente B. assicurava la sua presenza anche nei territori settentrionali attraverso una serie di atti, fondazioni o donazioni che, testimoni certo del suo interesse e della sua fattiva opera per il rifiorire della vita spirituale - interdicono tutti l'alienazione, a qualsiasi titolo, dei beni donati pena la perdita degli stessi -, nascondono probabilmente tuttavia anche la preoccupazione e il desiderio di rafforzare la sua autorità, per mezzo di enti monastici a lei fedeli, in, territori che le vicende avevano per gran parte sottratto di fatto o di diritto alla sua giurisdizione., Il 29 ag. 1071 fondava solennemente a Frassinoro un monastero m onore della beata Vergine e di tutti i Santi, riccamente dotandolo di dodici corti, alcune poste nel Modenese, altre nella Lucchesia. La donazione, fatta "pro anima" dei suoi defunti mariti Bonifacio e Goffredo, oltreché per la figlia Matilde e la nipote Beatrice, potenziava in una zona assai importante - Frassinoro controllava il passo delle Radici collegante i territori settentrionali (Modenese, Reggiano) con i territori meridionali (Lucchese) della marchesa - una chiesa e uno ospizio già esistenti: questi, che erano una dipendenza dell'abbazia di San Benedetto di Polirone (Mantova), di antica fondazione canossiana, erano esenti dalla diocesi di Modena nel cui territorio si trovavano. A Frassinoro B. fece spesso sosta evidentemente nei suoi viaggi di trasferimento. Negli anni seguenti, 1072-1073, arricchiva a Mantova il monastero di S. Andrea (gennaio 1072) e i canonici della cattedrale "qui nunc per episcopum vel in faturum sine premio ordinati fuerint regulariter viventes" (10 sett. 1073); a Reggio il monastero di S. Prospero (8 dic. 1073); a Parma il monastero fenuninile di S. Paolo (18 ag. 1073). Mancano notizie di placiti di B. in queste zone, come del resto era avvenuto per Goffredo: è documentato tuttavia un suo vassallo nel Modenese che l'8 giugno 1075 s'impegnava per ordine di B. a rispettare gli obblighi contratti col vescovo di Modena Eriberto; e un suo gastaldo nel Mantovano che il 17 genn. 1076 presenziava al riconoscimento, fatto dal messo di B., il chierico Careto, dei diritti del monastero di San Benedetto di Polirone per certi beni che erano contesi da messi di Beatrice.

Di fronte all'inasprirsi delle relazioni tra il papato e il. re Enrico IV, relazioni che, già deterioratesi negli ultimi anni del pontificato di Alessandro II, dovevano poi completamente rompersi sotto il pontificato del successore di Alessandro, Gregorio VII, B., animata da sincero spirito religioso ma preoccupata d'altra parte dei riflessi che tale conflitto aveva nei territori da lei governati, dimostra nella sua azione di aver avuto soprattutto a cuore il raggiungimento d'un accordo tra i due massimi poteri essendosi sforzata di evitare che giungessero ad una rottura. La sua posizione, unica in Italia, di signora delle zone che collegavano la pianura padana con l'Italia centro-meridionale, posizione che faceva necessariamente convergere su di lei, come nel passato su Bonifacio e Goffredo, l'attenzione delle parti in lotta; i suoi legami feudali e di sangue con il re di Germania; d'altra parte la mancanza per lei di quegli interessi verso la politica tedesca che avevano contraddistinto Goffredo; la sua propensione per gli ambienti riformatori della Chiesa romana; i rapporti di devozione e d'amicizia" che la legavano a Gregorio VII, fin da molto -prima che divenisse pontefice, non potevano suggerirle atteggiamento diverso, ben colto da Donizone: "Inter utrosque [Enrico IV e Gregorio VII] manens Mathildis cognita mater / Ut pax in regno toto fieret sine bello, / Pontificis pacem regem suadebat amore / Atque pium papam de regis amore rogabat" (l. I, cap. XVIIII, vv. 1226-1229).

Trovarono in B. quindi sicura risposta gli appelli che Gregorio VII, poco dopo essere stato eletto papa (22 apr. 1073), le rivolse perché venisse in aiuto alle necessità della Chiesa. Fra le prime, insieme con la figlia Matilde, a ricevere la notizia dell'avvenuta elezione da parte del pontefice, presente alla sua consacrazione (29 giugno 1073), si dedicò con passione, insieme con Agnese imperatrice, madre di Enrico IV e il vescovo Rainaldo di Como, a indurre il re di Ger ania a venire a un Accordo con la Chiesa che da lui esigeva l'abbandono delle pratiche simoniache, l'allontanwnento dei consiglieri già scomunicati da Alessandro II, la sconfessione dell'arcivescovo di Milano Goffredo e dei vescovi lombardi che lo avevano consacrato a Novara (primi del 1073). Questa attività si svolse per tutto l'arco del 1073 e parte del 1074 e fu coronata da un effimero successo quando Enrico IV, impegnato nel problema dei confini settentrionali dell'impero, accolta a Norimberga, dopo la Pasqua del 1074, la missione inviata da Roma, promise di rispettare le decisioni del sinodo romano del marzo di quell'anno contro la simonia e il concubinato ecclesiastico; e si dichiarò pronto a risolvere i problemi di Milano secondo i desideri del pontefice, ottenendo così l'assoluzione dalla scomunica da cui era stato colpito fin dall'ultimo sinodo di Alessandro II (febbraio 1073).

Pronta fu anche B. a secondare gli sforzi di Gregorio VII nell'Italia meridionale, ove cattive erano le, relazioni di Roma con i Normanni, e nel progetto, che il papa vagheggiò nel secondo anno del suo pontificato, d'una crociata che lo avrebbe dovuto portare a Costantinopoli nella speranza d'una ripresa di contatti con la scismatica Chiesa orientale (cfr. lettera di Gregorio VII a Rodolfo, di Borgogna, 2 febbr. 1074). Il 12 giugno del 1074 B. era infatti a, Monte Cimmino insieme con Matilde e il pontefice per il concentramento delle truppe che avrebbero dovuto condurre la campagna contro i Normanni. Nonostante l'imponente massa di armati presente - Amato di Montecassino dice che le truppe delle marchese ammontavano a 30.000 cavalieri di cui 500 tedeschi -, le operazioni belliche non poterono avere mai inizio per le discordie intervenute tra il contingente pisano, che abbandonò il campo, e quello salernitano e per disordini in Lombardia, in relazione ai quali è probabile che verso la fine del mese B. fosse nel Mantovano. In questi stessi anni B. cercò, ma senza successo, di riportare l'accordo tra sua figlia Matilde e il genero Goffredo il Gobbo, accordo utile per B., che nel principe lorenese poteva avere un aiuto prezioso nel suo govemo, e auspicato dalld stesso Gregorio VII, che su di lui faceva molto conto agli inizi del suo pontificato perché la Chiesa fosse aiutata al di qua e al di là delle Alpi (v. lettera di Gregorio VII a Goffredo il Gobbo del 6 maggio 1073).

Matilde aveva lasciato Goffredo qualche anno dopo le nozze - nel settembre 1071 era già a Lucca a fianco di B. in un placito e Goffredo era sceso in Italia alla fine del 1072 evidentemente per tentare una conciliazione; per molti mesi partecipò alla vita delle marchese di Toscana e alla giurisdizione della marca - il 17 genn. 1073 sedeva a giudizio con B. a Pisa e nell'aprile ad Arezzo - presenziando probabilmente anche alla consacrazione di Gregorio VII. Alla fine dell'estate 1073, però, lasciava l'Italia per non più tornare. Da questo momento i rapporti tra Goffredo da una parte e le marchese e Gregorio VII dall'altra non fecero che peggiorare, trasformando quello che doveva essere un elemento di sicurezza per il papato in un elemento di debolezza. Il 7 apr. 1074 il pontefice si lamentava con il principe lorenese perché non aveva dato seguito alle sue promesse di aiuto nella spedizione contro i Normanni; nello stesso mese accoglieva le lamentele e le richieste che Teodorico abate di S. Hubert gli aveva portato contro Goffredo, colpevole di non rispettare le disposizioni paterne a pro del monastero: concesse infatti all'abate stesso un privilegio il 29 aprile, e sollecitò l'intervento del vescovo di Liegi contro il duca. Non dovevano essere certo rimaste estranee a questa amichevole accoglienza le raccomandazioni per il papa di cui B. e Matilde avevano munito Teodorico, loro ospite a Pisa sia all'andata sia al ritorno da Roma; l'11 sett. 1075, in una lettera diretta alle marchese, il giudizio di Gregorio VII è completamente negativo sul conto del duca lorenese. E Goffredo fu tra quelli che nel gennaio 1076 a Worms decisero la deposizione di Gregorio VII.

È tuttavia da notare come spesso preoccupazioni concrete di situazioni singole nei suoi territori o nei suoi rapporti personali fecero talora assumere a B. atteggiamenti o decisioni non del tutto in armonia col pensiero o coi voleri papali, attirandosene a volte severi rimproveri, rimproveri che tuttavia mai portarono a velare la grande fiducia reciproca. Proprio gli interessi che aveva nelle regioni settentrionali, ove prevalente era l'ostilità alla Chiesa riformatrice, dovettero infatti portare B., agli inizi del pontificato di Gregorio VII, a non rifiutare dei contatti col clero lombardo scomunicato, il quale forse per mezzo suo sperava di trovar comprensione presso il nuovo papa: così almeno sembra di poter dedurre dal tono con cui il pontefice da una parte raccomandava a B. di non avvicinare i vescovi lombardi e dall'altra assicurava Erlembaldo, capo dei patarini milanesi, dell'assoIuta fedeltà delle marchese di Toscana alla Chiesa, rispettivamente il 24 giugno e il 27 sett. 1073. E ancora in relazione al problema lombardo vanno poste le "murmurationes" che B. e Matilde andavano facendo nei confronti del papa per le decisioni prese nel sinodo romano del marzo 1074 (lettere di Gregorio VII a B. e a Matilde del 15 aprile e del 16 ott. 1074). E così furono certo le preoccupazioni di veder assicurato l'ordine ecclesiastico nell'antica capitale della marca toscana, Lucca, dai tempi di Bonifacio la più insofferente al governo marchionale, che spinsero B. a rivolgersi al papa lungo il 1073 perché permettesse al vescovo di quella diocesi, Anselmo II, di ricevere dal re l'investitura dell'ufficio, incontrando un netto rifiuto (lettere di Gregorio VII a B. e Matilde del 24 giugno 1073 e ad Anselmo del 1° sett. 1073: Anselmo sarà poi investito da Enrico IV, ormai sollevato dalla scomunica, dopo il 29 sett. 1074). Ragioni locali o personali la resero esitante a definire il conflitto tra il vescovo di Roselle Dodone e il conte Ugolino della stessa città, per quanto fosse stata incaricata di ciò dal pontefice presso il quale Ugolino aveva esposto le sue lamentele (vedi i rimproveri di Gregorio VII a B. e Matilde nella lettera del 4 marzo 1074); e a trattenere nei suoi territori il vescovo Werner di Strasburgo, reduce dal sinodo del marzo 1074, ciò che era, come l'anirnoniva il pontefice, "inhonestum vobis... milii verecundum... beato Petro et apostolice Sedi contumeliosum..." (lettera a B. e Matilde del 15 apr. 1074).

Ancora le preoccupazioni e gli interessi di signora feudale dettarono a B. la sua posizione nella situazione determinatasi all'indomani del sinodo romano del febbraio 1075 che stabilì l'iwceità dell'investitura laica di vescovati, abbazie e chiese. Questo decreto, che colpiva alla radice i mali che affliggevano la Chiesa ma che ledeva la potenza del re e di un vasto ceto ecclesìastico e laico, non poteva non essere mal accolto in Germania ed in Italia dagli antiriformisti. Ed è assai probabile che anche questa decisione abbia avuto la sua influenza nei gravi disordini che si verificarono a Milano nella primavera di quell'anno e che culminarono con l'uccisione del capo della pataria Erlembaldo il 28 giugno 1075. Re Enrico, non ancora troppo sicuro dei suoi confini settentrionali ove ancora minacciosi erano i Sassoni, prese l'iniziativa di allacciare trattative con il papato nell'estate del 1075, il cui oggetto assai verosimilmente doveva essere il decreto sulle investiture e forse anche la corona imperiale; a queste trattative, che data la delicatezza della materia dovevano essere tenuterigorosamente segrete per desiderio dello stesso re, furono chiamate a far da tramite solo B., Matilde e Agnese imperatrice, fidate e gradite ad entrambe le parti. Nell'autunno tuttavia il re stesso sembrò avere un atteggiamento meno fattivo. E tuttavia B. e Matilde in particolare, allorché Enrico IV, evidentemente in mala fede, dopo non aver fatto seguito alle ambascerie dell'estate, mutò posizione e propose di trattare pubblicamente quanto era stato fin'allora oggetto di trattative segrete, appoggiarono la proposta del re presso Gregorio VII, preoccupate di una rottura e desiderose soprattutto del raggiungimento d'un accordo così necessario per la pace di tutti.

Vivo doveva essere infatti in B. il pensiero dello stato dei suoi territori: in Toscana dal maggio 1075 Lucca era di nuovo priva del capo della sua diocesi Ansehno, che sembra si fosse allontanato per scrupoli religiosi - egli aveva ricevuto l'investitura del vescovato da Enrico IV - e forse per l'opposizione che la sua opera di riforma aveva incontrata; a Fiesole, dove dal 1073 erano nati disordini contro il vescovo Trasmondo accusato di siinonia, la situazione non si doveva essere normalizzata del tutto, se nel marzo ancora vive erano le opposizioni al vescovo (vedi la lettera di Gregorio VII al popolo di Fiesole, 5 marzo 1075). Invano B. aveva cercato di intervenire: nel maggio 1075 era a Firenze certo in relazione a questi problemi, come dimostra il placito che presiedette a favore del vescovo di Lucca, cui confermò beni in Montecatini, importante punto di passaggio tra Pistoia e Lucca, e ove forse si trattò d'una guerra contro quest'ulthna città, come appare ipotesi probabile al Davidsohn. Nei territori nord-appenninici poi, dopo l'uccisione di Erlembaldo, avevano ripreso il sopravvento gli elementi antipatarinici che portarono alla discesa in Italia di Eberardo di Nellemburg, uno dei consiglieri di Enrico IV, nell'autunno dell'anno 1075, alla condanna dei patarini e all'elezione d'un nuovo arcivescovo di Milano da parte di Enrico IV nella persona del suo cappellano Tedaldo (tardo autunno 1075); e non è da escludere che la presenza a Modena di B. nel giugno di quest'anno fosse in relazione con la situazione generale e che a questi tempi sia da porre l'immissione a S. Apollonio di Canossa, nell'Appennino reggiano, punto delicato e importante, di una comunità di monaci, si pensa cluniacensi, al posto dei canonici che vi erano stati stabiliti dal fondatore, il capostipite canossiano Adalberto Azzo; è certo che B. fu in contatto con Eberardo di Nellemburg, cui richiese ed ottenne la liberazione di patarini a Piacenza.

Gregorio VII rifiutò energicamente la nuova proposta avanzata da Enrico IV, comprendendone l'insincerità: nella lettera alle marchese toscane dell'11 sett. 1075, da cui si viene a sapere della prima e della seconda proposta di Enrico, è espressa tutta la sua meraviglia per il fatto che B. e Matilde lo volevano consigliare su cose che il re aveva già definito, con una proposta poi che non era onorevole "Beato Petro ac nobis", né giovevole al re stesso.

Nell'ultimo anno della sua vita B. assistette così al fallimento degli sforzi suoi e degli altri fedeli di S. Pietro per la pacificazione tra Gregorio VII ed Enrico IV: la deposizione del papa decisa a Worms nel gennaio del 1076 e la successiva scomunica lanciata al re nel febbraio dello stesso anno precedono infatti di pochi mesi la sua morte, avvenuta in Pisa il 18 aprile 1076.

Il suo corpo venne sepolto nella chiesa cattedrale di S. Reparata, lontana sia dai primi cancíssiani, che si trovavano a S. Apollonio di Canossa, sia dal marito Bonifacio, sepolto nella cattedrale di Mantova. Alla sua tomba fu apposta, a quanto riferiscono le fonti, la nota epigrafe: "Quamvis peccatrix, sum domna vocata Beatrix / In tumulo missa quamquam fuerim Comitissa / Quilibet ergo pater noster, det pro mea anima ter.". L'antico sarcofago ove fu sepolta si trova ora, dopo aver subito varie vicissitudini, nel portico settentrionale del camposanto di Pisa.

Nel codice fatto preparare da Donizone per presentare alla figlia di B., Matilde, il suo poema, che ora si trova alla Biblioteca Vaticana, n. 4922, B. è rappresentata in una miniatura sedente in trono con la figura ammantata e la testa coronata, recante un giglio in mano; la leggenda dice: "Det Deus in claris cameris tibi stare Beatrix".

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