BASILEA

Enciclopedia Italiana (1930)

BASILEA (A. T., 20-21)

Alberto PINCHERLE
Adriano Augusto MICHIELI
Heinrich TURLER
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Carlo BATTISTI
Adelmo DAMERINI
Fritz GYSIN
Arturo Carlo JEMOLO

Città svizzera, una delle più progredite ed attive: certo deve ciò alla sua fortunata posizione geografica che l'ha resa da secoli un centro di scambî e d'interessi internazionali. Essa sorge, infatti, nella parte NO. della Confederazione, sulle due rive del Reno, là dov'esso fa la grande ansa con cui s'avvia verso la Germania. Il Reno la divide in due parti, la grande, a sinistra, e la piccola a destra, congiunte ora da quattro ponti, ma per secoli e secoli solo da uno: quello costruito da Enrico di Thun. Nonostante la sua ubicazione e i suoi commerci, Basilea serbò fino alla metà del sec. XIX un carattere eminentemente militare e solo nel 1860 le necessità poleografiche la costrinsero ad abbattere la cinta delle mura edificate fin dalla prima metà del sec. XI, e accelerarono con ritmo sempre crescente il suo ampliamento territoriale. Spianando i bastioni, si colmarono i vecchi fossati e sulla loro area sorsero gli edifici pubblici e privati più belli. Come in tutte le città militari-religiose, conservatesi per secoli, e si può dire fino ai tempi napoleonici, uguali a sé stesse, molti fortilizî e molti conventi ebbero poi entro il sec. XIX nuove destinazioni, venendo radicalmente rinnovati; cosicché oggi della vecchia Basilea non rimangono che pochi monumenti e le tre porte di S. Albano, di S. Giovanni e di S. Paolo. La città ebbe in origine press'a poco la forma d'un circolo attraversato dal Reno e assunse poi via via, nei suoi successivi sviluppi, quella di un poligono irregolare, che torna, oggi, cosa curiosa, ad avvicinarsi alla forma di un circolo ben più esteso ed ampio, per serbare meno lontani dalla maggiore arteria del luogo, anche i quartieri più eccentrici. Essendo, però, più opportuno ed agevole costruire sulla sinistra che non sulla destra del fiume (riva più alta, maggiore spazio libero e minori ostacoli alle spalle), la città è cresciuta di più da questa parte ed è quindi divisa in grande e piccola Basilea. La prima sorge sopra un terrazzo fluviale, solcato nel mezzo dal Birsig, che con la sua antica conoide diede ai primi abitanti del luogo una sede sicura dalle inondazioni e dai nemici. Le sue acque già nel sec. XIV furono canalizzate, e su quella conoide fu edificata l'antica rocca e la prima chiesa cristiana. Intorno a quel nucleo si sviluppò, si può dire, tutta la città, con scale e rampe nei tempi più antichi, con grandiose livellazioni e sventramenti nei tempi più vicini a noi; mentre la seconda si estese fin dall'inizio sopra un piano a lieve pendio, privo di ostacoli e ben irrigato dal Wiese, affluente di destra del Reno, da cui trasse la forza per muovere i suoi mulini e le sue fabbriche. Le vie sono ampie e regolari; i quartieri urbani (7 sulla sinistra del Reno, e 4 sulla destra), intramezzati da giardini e da parchi; gli edifici più antichi, come le chiese, il palazzo del municipio (Rathaus), l'ospedale maggiore, l'università, ecc., e quelli più recenti costruiti dagl'istituti bancarî, di beneficenza, di commercio, ecc., o da privati, sono per lo più in stile archiacuto a tetti spioventi e veri modelli di signorilità e di praticità.

Il clima della città è indicato dai dati seguenti:

Delle precipitazioni il 6% è dato da neve, con una media di giorni nevosi 32,8; mentre i giorni di pioggia sono in media 138.

Rispetto alla popolazione Basilea, dato il suo carattere religiosomilitare, cominciò ad avere incremento solo nel terzo decennio del sec. XIX, passando dai 16.000 abitanti, che press'a poco aveva sempre avuto, ai 21.000 e, successivamente, nel 1850, ai 27.110; nel 1860 ai 37.915, nel 1870 ai 44.122, per salire, nei censimenti decennali posteriori, alle cifre di 60.550; 69.809; 109.244 e nell'ultimo censimento svizzero alla cifra cospicua di 137.500 ab. Questi rapidi aumenti sono però in parte dovuti all'aggregazione dei sobborghi industriali più vicini; l'immigrazione della mano d'opera straniera indispensabile per lo sviluppo delle industrie locali portò poi in tali cifre notevoli spostamenti rispetto alle religioni, alle lingue e ai sessi, aumentando la percentuale dei cattolici (passati dal 15,7% nel 1837, al 34% nel 1925), dei Tedeschi e delle donne.

Dal lato economico Basilea dev'essere considerata come uno dei maggiori centri d'affari dell'Europa centrale, non solo perché in essa si trovano gl'istituti finanziarî e le direzioni tecniche più importanti della regione vicina, ma perché in essa hanno per così dire la loro piazza d'incontro molti commerci internazionali di transito, d'importazione e di esportazione della Francia orientale, della Germania renana e della Svizzera. Essa è stata prescelta dalla Conferenza dell'Aia del gennaio 1930 quale sede della Banca internazionale dei pagamenti, istituita in esecuzione del Piano Young. Ingente è il movimento ferroviario e pure notevole si mantiene il traffico fluviale sul Reno. Le merci prevalenti negli arrivi sono i cereali e i carboni; mentre quelle prevalenti nelle partenze sono i materiali da costruzione e il legname.

Istituti culturali.

Centro della vita culturale della città è diventata di nuovo nei tempi più recenti, com'era stata nel primo periodo dopo la sua fondazione (v. sotto: Storia), l'università. Riorganizzata fra il 1813 e il 1818 secondo le moderne esigenze degli studî, efficacemente sussidiata dalla Akademische Gesellschaft, libera associazione di cittadini sorta nel 1835 per sopperire con contributi privati ai crescenti bisogni della ricerca scientifica e dell'insegnamento, l'università dispone ora di 18 istituti ausiliarî (il più antico è quello botanico che risale al 1692), 12 cliniche e 16 seminarî, a cui si devono aggiungere il Museo storico (che dal 1894 si trova in quella che fu la chiesa degli Scalzi), la collezione d'arte (quadri ed acqueforti), il Museo di storia naturale, la Biblioteca (1460) e il Museo etnografico. Il numero degli studenti s'aggira sui 1300 in ogni semestre, e l'insegnamento vi ha tradizioni ormai gloriose. Fu a Basilea che il Schönbein fece le sue celebri ricerche sull'ozono e sul cotone fulminante. Il Nietzsche v'insegnò filologia greca negli anni battaglieri dell'Origine della Tragedia e delle Considerazioni inattuali. Erwin Rohde vi professò la stessa disciplina prima di passare a Heidelberg. E per decennî vi svolse tutta la sua attività colui che a ragione fu chiamato "il nume indigete del luogo", Jacob Burckhardt, il grande interprete della Rinascenza italiana.

Due sono gli archivî importanti: l'Archivio di stato, che possiede molti documenti, specie dal 1836 (v. il Repertorio compilato da R. Wackernagel, Basilea 1904); e l'Archivio economico, fondato nel 1910 per la raccolta di documenti sulla storia economica della Svizzera. Delle 18 società scientifiche esistenti nella città le più antiche sono la Società di scienze naturali (1817), la Società storica ed antiquaria, sorta nel 1874 dalla fusione delle due società fondate nel 1836 e nel 1842 e che vanta importanti pubblicazioni (v. Bibliografia), la Società di scienze teologiche cristiane (1836), la Società di statistica ed economia nazionale (1870), la Società svizzera di demopsicologia (1896). Notevoli tradizioni ha infine a Basilea anche la musica. C'è dal 1875 un buon teatro; e l'attuale Conservatorio (1905) fu preceduto, fin dal 1867, da una pregiata Musikschule. Larga rinomanza hanno conquistato in vario tempo, le due società corali: il Basler Gesangverein, fondato nel 1824, e la Basler Liedertafel, sorti nel 1852.

Biblioteche. - Tra le biblioteche, ottima è l'universitaria, che possiede, oltre a circa 420.000 volumi e 244.000 opuscoli, non meno di 2800 incunaboli, provenienti in massima parte dalle più antiche tipografie della città; essa ha 5420 manoscritti e circa 100.000 fra carte e stampe. Notevoli le piccole ma organiche raccolte librarie specializzate: quella del Club alpino svizzero, della Società biblica e della Società delle missioni evangeliche. La città è pure provveduta d'una biblioteca popolare. La stampa ebbe alla fine del Quattrocento uno sviluppo notevole a Basilea, dove, oltre a Giovanni Frobenio, "il principe degli stampatori", esercitarono l'arte Giovanni di Amerbach, Nicolò Kessler e Michele Furter.

Bibl.: Per una guida storica delle biblioteche di Basilea, v. R. Wackernagel, Geschichte der Stadt Basel, 1924, III.

Per ciò che concerne la musica, la biblioteca dell'università contiene antichi trattati musicali manoscritti dei secoli XIII e XVI, messe, mottetti di Josquin, Isaac, ecc., l'Orgel-Fundamentbuch di Hans von Constanz, le rarissime Canzoni nove, stampate a Roma nel 1510 da Antiquo de Montona (cfr. J. Richter, Kat. der Musik-Samm., ecc., Lipsia 1872; id., Kat. der Univers. Bibl. zu Basel, in Monatsh. f. Musik-Gesch., 1892). Il Museo storico ha un'importante raccolta di strumenti musicali (cfr. K. Nef, Kat. der Musikinstr. im histor. Museum zu Basel, in Festschrift z. 2. Kongress d. Intern. Musikgesell., appendice, Basilea 1906).

Monumenti.

La chiesa più importante è la cattedrale, in cui si distinguono quattro periodi: della prima costruzione, fondata da Arrigo II e consacrata nel 1019, rimangono le fondamenta e la parte inferiore del campanile settentrionale; il celebre paliotto d'oro, appartenente anch'esso a quest'epoca, è ora nel museo di Cluny a Parigi. Al periodo romanico risale la navata in stile lombardo (affine al S. Ambrogio di Milano), il transetto, la Porta di S. Gallo sul fianco settentrionale (circa 1180), con rilievi che risentono delle influenze lombarde e francesi, il coro poligonale di stile francese e la cripta. Al periodo gotico anteriore al 1356 appartiene la facciata con le statue equestri di S. Giorgio e S. Martino. Dopo il terremoto del 1356 furono ricostruite le vòlte e venne affrescata la cripta; e sono del Quattrocento i campanili e il chiostro principale. Nell'interno presentano speciale interesse il pulpito gotico, varie tombe, tra cui ricordiamo quella della regina Anna (morta nel 1281), moglie di Rodolfo di Asburgo, e quella di Erasmo da Rotterdam. Per la città l'epoca più importante, ricca di costruzioni ecclesiastiche, fu quella del Concilio (1341-1448); allora vennero cominciate e finite le chiese gotiche degli Scalzi (oggi Museo storico), della Certosa, di S. Leonardo, di San Martino, di S. Teodoro, e quella dei domenicani, notevole per il chiostro con affreschi della Danza Macabra (1460). Da osservare fra le sculture è lo Spalentor (1400-1480). Gli affreschi medievali e del Quattrocento sparirono quasi tutti con la Riforma (1529), benché questa non segni la fine della pittura e dell'architettura civile. Nel municipio (1513), con affreschi di Hans Dyg (1519) e Hans Bock (1610), andarono distrutti quelli del Holbein nella sala principale. Ottimi esempî dello stile Rinascimento sono il Geltenzunfthaus (1578) e lo Spiesshof (1580), sulla cui costruzione influì visibilmente lo stile del Serlio e del Palladio.

Del Settecento restano alcune belle case private (Markgräflerhof, Stadthaus, Weisses Haus, Kirschgarten). Nella galleria si conservano opere importanti della scuola di pittura medievale di Basilea fra le quali i quadri di Konrad Witz meritano il primo posto, poi la più importante collezione d'opere del Holbein (ritratti di sua moglie, di Amerbach, di Erasmo e d'altri, il Cristo morto, l'altare della Passione, frammenti degli affreschi del municipio, ecc., e molti disegni), e di pittori suoi contemporanei: Urs Graf, Niklaus Manuel, M. Grünewald ec H. Baldung. Anche la pittura tedesca del Rinascimento e quella olandese del Seicento sono assai ben rappresentate. Fra i moderni notiamo specialmente Arnold Böcklin (autoritratti, la Peste, Ulisse e Calipso, il Bosco sacro, le Naiadi, l'Isola dei Morti, ecc.), e i più recenti pittori svizzeri e di Basilea. La collezione di disegni e d'incisioni del Rinascimento è preziosissima. Il Museo storico raccoglie opere regionali di scultura e d'arte industriale. Importantissime le sue collezioni d'arazzi del periodo gotico, di sculture in pietra e in legno, di oreficerie medievali (tesoro della cattedrale) e moderne, di vetrate del Rinascimento, di medaglie e monete, di armi e d'antichità romane. Singolari sono la ricostruzione di dodici camere con mobili dal Quattrocento sino al Settecento; e la raccolta di cimelî di Erasmo.

Bibl.: Baugeschichte des Basler Münsters, edita dal Basler Münsterbauverein, Basilea 1895; M. Wackernagel, Basel, Lipsia 1912; K. Escher, in G. Dehio, Handbuch der deutschen Kunstdenkmäler, IV, Berlino 1926, p. 504 segg.

Storia.

L'altura dove oggi sorge la cattedrale era abitata nei tempi più antichi dai Rauraci che vi avevano fondato un oppidum, mentre circa 1 km. e mezzo più ad occidente esisteva un villaggio celtico con più di 50 abitazioni scavate nel suolo. La felice posizione geografica sul Reno, in un punto di traffico notevole, fece sì che la terra non restasse mai più disabitata; nell'età romana, anzi, i primi villaggi sono divenuti la città di Basilia, menzionata la prima volta nel 374, quando Valentiniano I vi soggiorna e fa erigere, nelle sue vicinanze, il castello chiamato Robur (il nome della città doveva significare propriamente "città sull'acqua", e solo più tardi venne interpretata come Basilea = città regia). Divenuta sede del vescovado sul principio del sec. VII, Basilia fu più tardi depredata dagli Ungari (917); ma l'imperatore Enrico II riedificò la chiesa basileese, e da allora il vescovo fu signore della città, provvedendo egli stesso alla nomina dei funzionarî, e all'amministrazione interna. Col sec. XI la città s'andava formando e ingrandendo intorno al nucleo primitivo; nei secoli XI e XII s'aggiunsero nuovi quartieri di mercanti attorno a istituti religiosi (per esempio il convento dei cluniacensi di S. Albano, fondato nel 1083). E pertanto, se il potere politico rimaneva ancora nelle mani del vescovo, con l'aumento della popolazione cittadina e l'accrescersi del commercio la borghesia laica acquistava forza e preparava la sua ascesa morale e politica. Già nel sec. XII ottenne un consiglio, che però era nominato dal vescovo, e solo nel 1212-1218 diventò indipendente grazie a un privilegio imperiale; poi, nel sec. XIII, venne a lotta aperta col vescovo, distruggendone finanche il palazzo (1247). Nel 1248 tuttavia la rivolta borghese era domata; ma le successive contese tra le due consorterie nobilesche degli Stelliferi e degli Psittaci, dopo il 1260, dividendo le forze della nobiltà, diedero un colpo molto rude alla signoria del vescovo e favorirono Rodolfo d'Asburgo nella lotta contro la città. Nel 1273 egli assediava Basilea; eletto re trasformò in un baliaggio dell'Impero quello che fino allora era stato un baliaggio episcopale, pur lasciando al vescovo gli altri diritti signorili. Era, questo, un colpo grave all'indipendenza cittadina, ma ad un tempo un vantaggio innegabile per la classe borghese nei confronti del potere vescovile; e ulteriori passi innanzi moveva la borghesia nel sec. XIV, approfittando appunto delle contese tra i suoi vescovi e gli Asburgo. Nonostante i tempi difficili e inquieti - basterà ricordare l'interdetto sotto il quale rimase la città quasi ininterrottamente dal 1328 al 1346, la peste del 1349 e il grande terremoto del 18 novembre 1356 - le classi laiche cittadine accrebbero il loro potere: le corporazioni artigiane, sorte già nel sec. XII, ottennero nel 1332 una rappresentanza permanente nel consiglio, che fu composto di 4 cavalieri, 8 borghesi e 15 artigiani, a cui s'aggiunsero ancora, nel 1382, 15 capi di corporazioni. Nel 1375 il vescovo stesso diede in pegno alla città il dazio e il diritto di batter moneta e nel 1385 l'avogadria (Schultheissenamt). Ma se da una parte il governo interno passava a poco a poco nelle mani dei cittadini, dal difuori premeva minacciosa la casa d'Asburgo; la quale, insediatasi nelle terre vicine alla città, era riuscita ad assoggettarsi di fatto anche quest'ultima, soprattutto dopo il cosiddetto "tristo carnevale" del 26 febbraio 1376 (alcuni nobili austriaci vennero uccisi dai borghesi in una zuffa). E gli Asburgo trovavano partigiani in Basilea fra i nobili, che naturalmente si servivano dell'appoggio asburgico per dominare in citta. La lotta contro gli Asburgo s'intrecciava quindi con il contrasto interno fra nobiltà e borghesia; quest'ultima, ereditaria virtuale del programma anti-asburgico dei vescovi, doveva diventare, per forza di cose, ora che diveniva sempre più padrona in città, nemica degli Asburgo; e pertanto il progressivo riacquisto dell'indipendenza da parte della città (favorita dalla sconfitta del duca Leopoldo d'Austria a Sempach) significò progressivo predominio della borghesia. Così mentre da una parte il consiglio cittadino otteneva dall'imperatore prima la carica di balivo imperiale (1386), poi Basilea piccola (Kleinbasel) nel 1392 e nel 1400 aveva in pegno dal vescovo oberato di debiti la città e la rocca di Waldenburg, le fortezze di Homburg e la città di Liestal; dall'altra la borghesia e le corporazioni artigiane affermavano sempre più - frammezzo a continue lotte con la nobiltà e con parte dell'alta borghesia - il loro predominio.

Finalmente, dal 1450 in poi, allontanatisi in gran parte i nobili dalla città, il governo passò definitivamente nelle mani delle corporazioni.

Nonostante i contrasti interni e i pericoli esterni (degna di essere ricordata la minaccia degli Armagnacchi, che il 1444 cercarono d'impadronirsi della città e furono allontanati solo dopo faticosi negoziati) la città perveniva in quel torno di tempo a un alto grado di prosperità. Dapprima era soprattutto una prosperità economica; ma a poco a poco cominciava una fiorente vita culturale. Le discussioni provocate dal celebre concilio (1431-1447) erano primo incentivo a che la borghesia cittadina ampliasse il suo orizzonte spirituale; la creazione dell'università (istituita nel 1460 da papa Pio II) segnava un ulteriore passo innanzi. In breve Basilea diviene attivissimo centro culturale, di fama europea: le numerose e celebri tipografie che vi s'impiantano sin dalla seconda metà del sec. XV, e da cui escono edizioni di gran valore e notorietà; l'università; l'opera di alcuni dei più noti umanisti europei, quali Reuchlin, Brant, Erasmo da Rotterdam, che convengono a Basilea, sono i fattori della fioritura culturale basilese. Dalle file della ricca borghesia cittadina escono, seguaci degli umanisti europei, gli Amerbach.

Così una più varia e complessa vita interiore fa riscontro al crescere del dominio esterno cittadino. Nel 1461 Basilea compera la signoria di Farnsburg, con i diritti langraviali e delle signorie minori; per assicurarsi il possesso di questi paesi e per liberarsi da un troppo pericoloso vicino, partecipa anzi alle guerre contro Carlo il Temerario duca di Borgogna. Ma un definitivo consolidamento della sua posizione la città non lo trova se non nel momento in cui entra il 13 luglio 1501, come undecimo cantone, nella Confederazione dei cantoni svizzeri (v. sotto, il cantone di basilea), da cui era rimasta sino a quel momento staccata, tanto da serbar la neutralità nella guerra di Svevia, tra i confederati e Massimiliano imperatore, nel 1499.

In tali condizioni sopravvenne il movimento riformatore. I dissensi della città col vescovo erano continui; nel 1521 il consiglio si liberava interamente dall'obbligo di prestar giuramento al vescovo e ad un tempo annullava ogni ingerenza di questo nell'elezione dei consiglieri, dopo che nel 1516 già era stato nominato il primo borgomastro borghese. La predicazione evangelica trovava quindi un terreno favorevolmente predisposto non solo dal punto di vista spirituale (influsso delle idee riformiste di umanisti come Erasmo, ecc.), ma anche da quello politico. Pertanto il suo successo fu rapido. Giovanni Ecolampadio predicò le nuove idee; e dopo due dichiarazioni di tolleranza (ottobre 1527 e febbraio 1528), dopo che il 5 gennaio 1529 si era demandata la decisione sull'accettazione della nuova fede al voto delle corporazioni, l'8 febbraio 1529 una folla tumultuante procedette senz'altro al saccheggio delle chiese e alla distruzione delle immagini. Ecolampadio, il 1° aprile, organizzava ufficialmente la nuova chiesa: il vescovo cattolico già nel 1528 si era trasferito a Porrentruy; il capitolo metropolitano si recò allora a Friburgo in Brisgovia. (La risoluzione definitiva delle questioni con il vescovo avvenne tuttavia solo nel 1585, allorché, in base ad una sentenza arbitrale, il vescovo Cristoforo Blarer abbandonò alla città, dietro compenso pecuniario, tutti i diritti e i pegni da lui posseduti nel territorio di essa; mentre la città, dal canto suo, rinunziò alla concittadinanza, Burgrecht, con i riformati del Laufental ed altri).

Dopo il periodo della Riforma, la vita basileese non raggiunse più lo splendore della seconda metà del sec. XV. La cultura fiorì ancora, anche per il fatto che Basilea divenne dal 1572 in poi rifugio di molti ugonotti francesi: così l'università, riordinata nel 1532, si segnalò per valore di docenti, quali il francese Hotman. Ma in complesso il periodo splendido della cultura basileese era tramontato: la città non fu più quel centro culturale europeo che era stata nell'età di Reuchlin e di Erasmo. Economicamente invece continuava la prosperità: giovò grandemente anche qui l'afflusso di artigiani francesi, esuli dalla patria per motivi religiosi.

Costituzionalmente, dopo la riforma, il Consiglio di 60 membri era composto esclusivamente di persone appartenenti alle corporazioni e di fatto si reclutava da sé; lo stesso si dica del Gran consiglio, che contava 180 membri. Ma il governo vero e proprio era nelle mani dei cosiddetti Tredici o Consiglio segreto, presieduto dai 2 borgomastri e dai 2 Oberstzunftmeister (capi delle corporazioni): sicché il potere passò a poco a poco nelle mani di una ristretta oligarchia. Dominavano le corporazioni dei banchieri e dei grandi commercianti; anzi, in pratica, dominavano poche famiglie dell'alta borghesia. Contro un tale sistema si cercò di reagire; ma la rivolta del 1691 fu soffocata nel sangue e le cose non mutarono.

La vita politica (e intellettuale) cittadina rimaneva così improntata ad un geloso esclusivismo grasso-borghese che si manifestava ancor più aspramente nei riguardi del territorio sottoposto alla città (v. oltre). Nemmeno il periodo della Rivoluzione francese riusciva a infondere nuova e più larga vita, sebbene uomini come l'Ochs e lo Stehlin propugnassero in città i principî dell'89. Solo dopo la separazione della campagna dalla città, nel 1833, cominciò un lento processo di trasformazione interna. La lotta contro il principio corporativo, ancora vigente e tale da attribuire ai soli membri delle corporazioni (i borghesi) il potere, divenne tanto più viva quanto più s'intensificava il ritmo della vita economica basileese, grazie all'avvento della navigazione a vapore sul Reno e alla costruzione delle ferrovie, che, collegando Basilea con la Svizzera centrale, la Germania meridionale e la Francia dell'est, dovevano farne un centro di comunicazioni e di traffico sempre più importante. Quindi contrasti politici e sociali fra il vecchio ceto borghese e il nuovo ceto operaio: 1848, primo sciopero. E poiché dal 1848 affluisce in città una massa sempre più grande di Svizzeri d'altri luoghi, l'antico ceto dominante si trova in condizioni d'inferiorità - numerica e morale - crescente. Il partito radicale - dal 1850 - assume posizione contro il vecchio regime; e si giunge così alla costituzione del 9 maggio 1875, che assicura finalmente un reggimento liberale alla città (nel 1874 la nuova costituzione cantonale aveva già soppresso i privilegi politici delle corporazioni). Successive leggi (del 1890, 1891, 1905) accentuano ancora questo nuovo carattere della vita basileese; infine nel 1913 viene introdotta la rappresentanza proporzionale. Negli ultimi decennî poi, in prima linea si è posto il partito socialista, apparso verso il 1870-1880.

Il cantone di Basilea.

Il cantone di Basilea si divide in due parti: Basel-Stadt, cioè cantone di Basilea-Città, e Basel-Gebiet, cioè cantone di Basilea-Campagna. Il primo ha un'estensione di kmq. 37,07 e il secondo di kmq. 426,97.

Il cantone di Basilea-Città è per tre quarti nella piana del Reno, a quote variabili fra i 250 e 290 m., in una zona di sprofondamento più bassa del pilastro cristallino cui s'appoggia (Selva Nera), di ben 1000 m. Le rocce che lo costituiscono sono in prevalenza del Terziario, ed è sopra terreni di tale età che sorge la città di Basilea. Non mancano i terreni del Triassico e del Giurassico, coperti, però, gli uni e gli altri, da una coltre più o meno spessa di terreni diluviali. La regione, scolpita dagli affluenti del Birse, del Birsig e del Wiese, è formata essenzialmente dai colli e dai terrazzi scendenti dal Giura al Reno, e non supera i 520 m. di altezza s. m. Il clima della regione è uno dei più miti della Svizzera, essendo essa riparata dai venti del N. dal baluardo della Selva Nera, e dalle ondate di föhn dalle catene che sorgono nel cantone di Basilea-Campagna. La temperatura media annua è di 9°4 con una media nel gennaio di −0°3 e nel luglio di 19°7. Le precipitazioni sono piuttosto scarse, non superando in media gli 837 mm. all'anno. Le nebbie sono scarse e i venti predominanti, molto deboli, provengono dal NO. La popolazione del cantone nel 1835 era di 23.254 ab.; nel 1850 di 29.698; nel 1880 di 64.207; nel 1910 di 135.918; nel 1920 di 140.708, mentre nel 1925 era stimata di 143.220 ab.; passò quindi nel volgere di 90 anni da una densità di 627 ad una di 3870 per kmq. Il 95% di essa è di lingua tedesca; il 68% di confessione protestante; il 52% è dedito all'industria. Fatto spiegabile, ma degno di rilievo, è anche questo: che su 100 persone presenti nei due ultimi censimenti (1910 e 1920), solo il 25,9% era nativo del cantone, mentre il 35,8% era svizzero, ma di altri cantoni, e il 38,3% era costituito da stranieri. Il suolo è quasi tutto produttivo (l'81,9%) ed è coltivato a campi, praterie, vigneti e frutteti, mentre la zona del Dinkelberg è coperta di bellissimi boschi. Tutte le industrie sono rappresentate, ma specialmente quelle alimentari, chimiche, tessili e siderurgiche, cosicché il commercio è attivissimo e le sole entrate doganali rappresentano un terzo degl'interi incassi doganali svizzeri. I maggiori centri, dopo Basilea, sono Bettingen, Kleinhüningen e Riehen, tre comuni agricoli che lavorano per l'alimentazione del grande agglomerato urbano da cui dipendono, e le borgate di Therwil, Flüh e Mariastein interessanti dal lato turistico.

Il cantone di Basilea-Campagna si stende a S. del precedente ed è molto più ampio dell'altro, misurando un'area undici volte e mezzo maggiore. Dal lato geologico, escluse le parti del Giura tabulare a terreni terziarî e diluviali, il paese mostra le numerose anomalie stratigrafiche proprie delle falde di ricoprimento. Le rocce che vi prevalgono presentano di fatto sovrapposizioni e pieghe che non si possono spiegare se non con una spinta proveniente dal S. Il cantone è diviso in due parti dal corso del Birse ed ha dal SO. al NE. la catena del Giura che gli fa da muraglia di sostegno per ben 25 km., con quote dai 700 ai 1160 m., mentre all'O. prevale una zona a tavolati con le scarpate esterne ripide e scendenti quasi tutte verso la valle del Reno. Il clima è temperato, poiché i monti proteggono il paese dai venti rigidi del N. e non lasciano arrivare le nebbie dell'altipiano. La temperatura media annua del cantone verso NE., a Buus (alt. m. 460), è di 7°8; e al S., a Langenbruck (alt. m. 715), è di 5°9. La nebulosità è di appena 6,3%; le piogge non superano mai, in media, i mm. 780 (a Basilea 837). L'idrografia è semplice, non scorrendo nel cantone, oltre al Reno, che ne costituisce il confine N., altro fiume se non l'Ergolz e pochi altri (Birse, Birsig e i due Frenke). Questi corsi d'acqua hanno un pendio piuttosto forte e un regime assai irregolare, e, pur venendo sfruttati a scopi irrigatorî e idroelettrici, hanno avuto bisogno di grandiose sistemazioni, come hanno bisogno di continua assistenza anche i torrenti e i fiumi più piccoli per la facilità con cui straripano e convogliano seco il grosso ciottolame dei loro letti.

La popolazione del cantone ammonta oggi (1929) a 86.550 ab., di cui il 78% protestante e il 20,9% cattolico. La parte maggiore di essa vive nei distretti industriali di Arlesheim e di Liestal, mentre è assai scarsa in quelli montagnosi. Nel 1850 essa era di 47.885 ab.; nel 1880 di 59.171; nel 1910 di 76.488; nel 1920 di 82.390: passò quindi in 70 anni dalla densità di 112,1 a quella di 190,4, ch'è divenuta oggi di 204. Le colture più diffuse sono quelle dei cereali, degli alberi da frutta, della vite, degli ortaggi; esse coprono con i prati il 58,5% del suolo produttivo, mentre il 34,2% è occupato da foreste e il 2,6% da pascoli estivi. Il cantone, per la sua posizione geografica, è tuttavia eminentemente industriale; sono specialmente sviluppate le industrie tessili (seta, cotone, lino), le chimiche, le siderurgiche, quelle di congegni di precisione (orologi e strumenti scientifici) e quelle edilizie. In tali industrie è occupata quasi metà della popolazione (cioè 40.000 individui su 85.550) e con un numero di donne quasi pari a quello degli uomini. I maggiori centri industriali, esclusa la zona di Basilea città, sono Arlesheim, Liestal, Muttenz, Pratteln, congiunti ormai, con rapidi e svariati mezzi di trasporto, alle vicine arterie ferroviarie delle valli dell'Aar e del Reno.

Storia. - Il cantone di Basilea, aggregatosi alla confederazione elvetica il 13 luglio 1501, ebbe riconosciuta la sua completa indipendenza dall'Impero - di cui prima era considerato parte - col trattato di Westfalia (1648), ed ebbe definitivamente delimitato il suo territorio dal congresso di Vienna nel 1814-15. Sino al sec. XIX il cantone fu in mano alla borghesia cittadina, che con esclusivismo e ristrettezza di vedute volle mantenere i suoi privilegi di fronte alla campagna. Bisognò attendere la Rivoluzione francese perché la città abrogasse formalmente, nel 1790, la servitù della gleba e perché la costituzione del 20 gennaio 1798 stabilisse l'uguaglianza giuridica-nominale fra i cittadini e i contadini. Ma era, anche questo, un semplice e passeggero successo dei contadini, ché la nuova costituzione del 4 marzo 1814 ridiede alla borghesia cittadina la sua supremazia. La campagna non poté liberarsene se non nel 1833, quando il lungo periodo di tensione e di contrasti fu risolto a mano armata: la sconfitta delle truppe cittadine (3 agosto 1833) suggellò la separazione e l'indipendenza della campagna dalla città. Da allora, il cantone di Basilea venne - e rimane - diviso nei due semi-cantoni di Basilea città e Basilea campagna.

Anche nel semi-cantone di Basilea campagna il periodo seguente alla separazione fu contrassegnato da continui dibattiti interni tra liberali e radicali, e specialmente, dopo il 1860, fra coloro che volevano una revisione della costituzione (partito di Cristoforo Rolle) e gli antirevisionisti. Nel complesso, a partire dalla nuova costituzione del 1863 che stabiliva fra l'altro il referendum obbligatorio, l'ordinamento di Basilea campagna ha subito un notevole processo di democratizzazione.

Il principato vescovile di Basilea. - Il vescovo di Basilea, tra il sec. X e il XIV, acquistò la signoria temporale su Basilea, l'odierno Giura Bernese e una parte della campagna di Basilea. Al tempo della Riforma egli perdette tutti i suoi diritti su Basilea; e solo nella seconda metà dello stesso sec. XIV il vescovo Blarer restaurò, in parte, la potenza del vescovado e ricondusse al cattolicismo il Laufenthal e il distretto di Birseck. Capitale del principato vescovile fu, dal 1528, Porrentruy. Il principato ebbe fine col periodo della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche; ché la parte settentrionale del Giura costituì nel 1792-93 la Repubblica rauracica, dal 1793 al 1800 (dal 1797-98 con la parte meridionale) il dipartimento francese del Mont-Terrible, dal 1800 al 1814 una parte del dipartimento del Haut-Rhin e nel 1815 fu assegnata definitivamente dal congresso di Vienna al cantone di Berna, mentre il Birseck fu unito con Basilea.

Trattati di Basilea. - Il trattato di Basilea del 22 settembre 1499 pose fine alla guerra di Svevia combattuta tra il re Massimiliano e gli Svizzeri. Questi ultimi ottennero il langraviato in Turgovia e l'indipendenza dalla Corte suprema di giustizia dell'Impero (Reichskammergericht). Il merito di aver condotto a termine le trattative che si erano arenate spettò al duca di Milano, Ludovico il Moro, e al suo ambasciatore Galeazzo Visconti. Il trattato è pubblicato negli Eidg. Abschiede, III, 1, 758 segg.

Il trattato di pace del 5 aprile 1795 fu conchiuso tra la Prussia e la Francia dopo la prima guerra della Rivoluzione francese. Analogo trattato fu firmato, pure a Basilea, il 22 luglio 1795 tra la Spagna e la Francia.

Gli stemmi. - Stemma della città di Basilea: un pastorale nero in campo argento; di Basilea-Campagna: un pastorale rosso con sette palline sul pomo, in campo argento. Antico stemma del vescovado: pastorale rosso in campo argento.

Fonti: Urkundenbuch d. Stadt Basel, voll. 11, Basilea 1890-1910; H. Boos, Urkundenbuch d. Landschaft Basel, voll. 3, Basilea 1881-83; Basler Chroniken, voll. 7, Basilea 1872-1915; Basler Biographien, voll. 3, Basilea 1900-1905; Germania Pontificia, II.

Bibl.: Per la parte geografica: A. Boos, Urkundenbuch der Landschaft Basel, 1893; Freivogel, Die Landschaft Basel; si vedano le numerose memorie, articoli, monografie pubblicate dalla Naturforschende Gesellschaft di Basilea e dalla Société Helvétique des Sciences Naturelles. Molti importanti studî sulla geografia fisica ed antropica del cantone compaiono anche nelle pubblicazioni della sezione di Basilea della Schweizer Vereinigung für Heimatschutz, fondata nel 1906; G. Burckardt, Basler Heimatkunde, Basilea 1927; H. Hassinger, Stadtgeographie von Basel, Karlsruhe 1927.

Per la parte storica: fondamentale il lavoro di R. Wackernagel, Geschichte d. Stadt Basel, voll. 4, Basilea 1907-24. Cfr. A. Heusler, Gesch. d. Stadt. B., Basilea 1917; id., Rechtsquellen von Basel, voll. 2, Basilea 1856-65; Verfassungsgeschichte d. Stadt B. im Mittelalter, Basilea 1860; T. Geering, Handel u. Industrie d. Stadt Basel bis zum Ende des 17. Jahrh., Basilea 1886; K. Weber, Die Revolution im Kanton Basel 1830-1833, Basilea 1907; L. Vautrey, Histoire des évêques de Bâle, voll. 2, Einsiedeln 1884-86; I. Trouillat, Monuments de l'histoire de l'ancien évêché de Bâle, voll. 5 (fino al 1500), Porrentruy 1850-57; L. Stouff, Pouvoir temporel des évêques de Bâle, voll. 2, Parigi 1891; H. Rohr, Die Entstehung d. weltl. insbesondere d. grundherrl. Gewalt d. Bischofs v. Basel, Basilea 1915; H. Henrici, Die Entstehung d. Basler Kirchenverfassung, in Schweizer. theologische Zeitschrift, 1918; cfr. Neujahrsblatt, Basilea 1821 segg.; Beiträge zur vaterländischen Geschichte, Basilea 1839-1901; Basler Jahrbücher, Basilea 1871 segg.; Basler Zeitschrift f. Gesch. u. Altertumskunde, Basilea 1902 segg.; un ampio e nutrito articolo complessivo in Dictionnaire historique et biographique de la Suisse, I, Neuchâtel 1921, s. v.

Il concilio di Basilea.

Nella storia del contrasto fra la tendenza episcopalista o decentratrice della chiesa e quella accentratrice o papale, il concilio di Basilea segna il momento in cui la prima comincia a decadere. Il papato, pur costretto a compromessi e umiliazioni, esce vincitore; e i suoi rivali, quante volte in avvenire tenteranno di fare ancora udire la loro voce, altrettante saranno battuti. Centoquindici anni più tardi, a Trento, la superiorità del papa sul concilio (già manifestatasi, com'era naturale, senza contrasti nel concilio Lateranense V del 1512-17) si eserciterà senza resistenze; e nel concilio Vaticano del 1870 quella superiorità verrà dogmatizzata insieme con l'infallibilità pontificia.

Il concilio di Costanza aveva stabilito convocazioni periodiche di concilî ecumenici. Il primo doveva tenersi a Pavia nel 1423; e Martino V in effetto lo aprì. Ma l'epidemia di peste costrinse ad un rapido trasferimento a Siena, dove il concilio, poco numeroso, si sciolse senza conclusione, indicando (19 febbraio 1424), con l'approvazione del papa, Basilea quale sede della prossima convocazione. Nel 1425 gl'inviati del re d'Inghilterra chiedevano al papa che tale convocazione venisse fatta subito, ma Martino V, conscio delle tendenze episcopaliste ed antipapali che non avrebbero mancato di manifestarsi, opponeva a questo e a consimili incitamenti di altri una resistenza passiva. Finalmente gl'insuccessi della crociata contro gli Ussiti lo mossero a cedere. Convocò il concilio e ne affidò la presidenza al cardinal Giuliano Cesarini; ma morì avanti che si aprisse. In ogni modo, la capitolazione elettorale del conclave imponeva ad Eugenio IV di tenere esso il concilio già indetto. La convocazione era fissata per il 23 luglio 1431; ma, per la lentezza dei prelati, solo il 7 dicembre poté aver luogo la prima sessione. In questa il concilio stabiliva di voler procedere all'estirpazione delle eresie e alla composizione delle guerre che travagliavano la cristianità. Ma anche Eugenio IV era, come il suo predecessore, assai sospettoso verso il concilio; temeva pure che in seno al sinodo venisse contestata la sua elezione, compiuta escludendo, contro una disposizione di Martino V, il non ancora promulgato cardinale Capranica. Mosso da questi timori, agì con estrema imprudenza, inviando al cardinal Cesarini una bolla (12 novembre) di scioglimento del concilio, e pubblicando intanto egli stesso la bolla in concistoro (18 dicembre). E a nulla valsero le preghiere del Cesarini perché il papa ritornasse su tale decisione.

I padri di Basilea elusero la bolla allontanandosi dal luogo della riunione allorché essa doveva venir letta; e nella seconda sessione del 14 febbraio 1432, dichiarato il concilio legittimamente convocato, ripeterono l'affermazione di Costanza, che il sinodo generale rappresenta la chiesa militante, ha potere direttamente da Cristo, e tutti, anche il papa, debbono obbedirgli, in his quae pertinent ad fidem, et extinctionem dicti schismatis et ad generalem reformationem Ecclesiae Dei in capite et in membris. Era la teoria conciliare svolta in quel torno di tempo appunto da Nicolò da Cusa nel De concordia catholica, da cui discendeva il diritto del concilio di deporre il papa, non solo per eresia ma per qualunque colpa. I padri sapevano di poter contare sull'appoggio del re dei Romani Sigismondo, nonché del duca di Milano e del duca di Savoia subito dichiaratisi a loro favorevoli, mentre per il papa erano Venezia e Firenze. Perciò, procedettero risolutamente nella ribellione. Nella III sessione del 29 aprile, anzi, assegnarono a Eugenio IV e ai cardinali tre mesi di tempo per venire al concilio o farsi rappresentare, se impediti; nella settima, 18 dicembre, assegnarono 60 giorni al papa perché ritirasse la bolla di scioglimento; nella decima, 19 febbraio 1433, lo dichiararono disobbediente. Intanto il concilio svolgeva anche un'intensa attività diplomatica per controbilanciare quella del pontefice. Nel maggio 1433 re Sigismondo, recandosi a Roma, faceva scrivere ai Padri che egli vi si recava magis pro bono universalis Ecclesiae quam pro corona sua imperiali e che avrebbe esortato il papa ad aderire al concilio. Tuttavia, raccomandava caldamente al sinodo la prudenza. Le pressioni di imperatori, di re, di prelati, nonché il fermento dello stato pontificio, indussero allora Eugenio IV a cedere. Dopo varî tentativi inutili per ottenere il trasferimento del concilio in una città italiana e l'annullamento dei suoi atti, il papa, con le lettere Dudum sacrum del 15 dicembre 1433, revocava tre sue precedenti bolle dello stesso anno, riconosceva legittimamente convocato il concilio dalla sua apertura e ammetteva ehe esso dovesse continuare la sua opera. Il concilio alla sua volta revocava tutti gli atti diretti contro la persona e la dignità del papa (5 febbraio 1434).

Il dissidio non era naturalmente composto, rimanendo in seno al sinodo un forte partito antipapale con a capo il cardinale Luigi d'Aleman d'Arles. Nel 1433-35 l'opera conciliare si esplica nelle trattative con gli Ussiti, indeboliti dai dissensi interiori; nelle discussioni sulla comunione sotto le due specie (e qui le pretese degli Ussiti son confutate dal domenicano Giovanni da Ragusa con una orazione che dura otto giorni) e sulla confessione dei peccati pubblici; nei numerosi decreti di riforma, diretti contro i chierici concubinarî, gli abusi nel culto, gl'interdetti generali pronunciati per cause particolari, gli appelli troppo frequenti a Roma. Inoltre, viene ordinata la celebrazione regolare dei sinodi diocesani e dei concilî provinciali. Nella primavera del 1435 il concilio dà mano a togliere quello che a suo giudizio era un altro abuso: cioè il diritto, comune al papa e ad altri prelati, di percepire tasse a titolo di conferma di dignità, di conferimento di pallî agli arcivescovi, di collazione dei benefici o degli ordini sacri (soppressione delle annate). Nonostante la decisa opposizione dei legati pontifici (che avrebbero almeno voluto un compenso a tale perdita), il concilio approvò la soppressione, aggiungendo la clausola della denuncia del papa al concilio generale qualora esso, operando in senso contrario, desse scandalo in seno alla chiesa. Ma sono della XXIII sessione del 25 marzo 1436 le deliberazioni del concilio che troncano ogni possibilità di accordo con la Santa Sede. Si stabiliscono allora norme severe per l'elezione del papa: non si riterrà validamente eletto se non presti giuramento, asserendo tra l'altro di professare la dottrina cattolica secondo la tradizione dei concilî, ivi inclusi quelli di Costanza e di Basilea. Altre norme riguardano il governo della chiesa da parte di lui, il governo dello stato pontificio, la nomina dei cardinali (cooptazione, esclusione dei nipoti del papa e di altri cardinali, non più di uno per ogni città e diocesi, non più di un terzo del plenum del S. Collegio per ogni stato). Sopprime inoltre il concilio tutte le riserve pontificie, salvo quelle espressamente menzionate nel Corpus iuris canonici o vigenti nello stato della chiesa, e ristabilisce la libertà di elezione canonica per ogni dignità ed ufficio.

Eugenio IV inviò allora un'enciclica ai capi di stato, lagnandosi degli attentati portati alle sue prerogative e annunciando la propria intenzione di sciogliere il concilio; tanto più che egli era riuscito ad accordarsi con i Greci, i quali chiedevano che il concilio fosse tenuto in una città italiana. Favoriva la posizione diplomatico-politica del papa anche la morte di Giovanna II di Napoli (principio del 1435), che aveva costretto Carlo VII di Francia a trattative col papa e, sembra, a promesse sue di un diverso comportamento dei legati francesi al concilio. Certo, nel 1436 il re si presentava palesemente come mediatore e pacificatore tra papa e concilio. Ma la Francia, in compenso, mirava a strappare al pontefice il consenso a che tutte le cause ecclesiastiche si esaurissero nel regno, senza appelli a Roma; pretendeva di aver sempre un numero di cardinali doppio di quello della nazione che ne avesse di più; e, concorde col papa nel voler allontanato il concilio da Basilea, ne desiderava la traslazione non già in una città italiana (come il papa tanto raccomandava ai suoi legati Cesarini e Cervantes), ma a Lione o Viennes o Avignone. Questo mutato atteggiamento del re impressionò il concilio, ma provocò al tempo stesso la reazione dei prelati tedeschi. Ed i legati pontifici non ristavano dal raccomandare ad Eugenio IV di usare prudenza, in particolare di non eleggere nuovi cardinali. Gli scrivevano anche che, per ottenere una decisione favorevole sulla traslazione del concilio, sarebbe occorso che egli accettasse prima le decisioni conciliari, soprattutto quelle sulle annate.

Dopo lunga e tenace lotta nelle deputazioni durate varî mesi, nell'adunanza del 7 maggio 1437 si ebbe la scissione del concilio in due gruppi, ciascuno dei quali si proclamava concilio legittimo; la maggioranza, che dichiarava di voler tenere il concilio di unione con i Greci a Basilea stessa, ad Avignone o in Savoia; la minoranza, con a capo i legati pontifici, che proclamava sé stessa pars sanior e sceglieva Firenze o Udine per il concilio con i Greci. La maggioranza si rivolgeva subito all'imperatore Sigismondo per aiuto; ma, senza bisogno del suo aiuto, in Basilea la vittoria restava ad essa. Se non che il papa aveva già tratto a sé i Greci; ciò costituiva un grande successo in quel momento; e, con la Magnas Omnipotenti del 9 aprile 1437, datata da Ferrara, aveva dichiarato che il concilio per l'unione delle chiese latina e greca si sarebbe tenuto in quella città. I padri di Basilea, allora, nella sessione XXVI, citavano il papa, tempestandolo di accuse (31 luglio 1437). Eugenio IV rispondeva con la Doctor gentium del 18 settembre 1437, mostrando l'infecondità del concilio nei sei anni di sua vita, rappresentando al mondo cristiano le usurpazioni e gli eccessi e la litigiosità dei Basileesi, proclamando l'immediato trasferimento del concilio a Ferrara nel caso che quelli osassero cosa alcuna contro il papa e i cardinali e mantenessero il loro monitorio. In ogni caso questo trasferimento avrebbe dovuto sempre avvenire appena giunti a Ferrara i Greci, partiti nel novembre. Allora il pontefice si sarebbe giustificato della sua condotta. In attesa, i Basileesi si occupassero solo dell'affare boemo.

Fu questo il momento saliente della lotta tra papa e concilio. Se i vescovi della cristianità avessero, in maggioranza, aderito a Basilea, sarebbe stata la fine della supremazia pontificia; e la chiesa si sarebbe divisa in chiese nazionali interamente soggette agli stati, destinate a differenziarsi lentamente nella disciplina, nella liturgia e forse anche nel dogma. Ma non fu così. Dopo la Doctor gentiun le sorti dei Basileesi decaddero lentamente ma continuamente. Abbandoni di vescovi e abbandoni di principi. Passò al papa anche una delle più alte menti del secolo e dei più decisî sostenitori della teoria conciliare, Nicolò da Cusa. Tuttavia i padri di Basilea dichiaravano nulla la Doctor gentium e minacciavano ad Eugenio IV la sospensione e la deposizione, nonostante le esortazioni del cardinal Giuliano Cesarini, che lasciava allora Basilea. Continuavano quindi i loro lavori. E negli ultimi giorni del 1437, approvavano contro gli Ussiti la comunione sotto una sola specie; nel gennaio del 1438 sopprimevano l'avocazione a Roma di molte cause; rinnovavano la soppressione delle riserve pontificie. Fecero di più: apertosi l'8 gennaio 1438 il concilio di Ferrara, sospesero Eugenio IV (24 gennaio); quindi, nella sessione XXXIII, dichiararono eretico chi negasse la superiorità del concilio sul papa e l'incompetenza del papa a sciogliere o prorogare o trasferire un concilio. Infine, il 25 gennaio 1439 (sess. XXXIV), per le mene del cardinale d'Arles, presenti solo sette vescovi, deposero Eugenio IV. L'elezione del nuovo papa, per deliberazione del concilio, doveva esser fatta dal cardinale d'Arles (e da quei cardinali che eventualmente giungessero al concilio); più, da altri ecclesiastici che egli si aggregasse fino al numero totale di trentadue. E i trentadue elettori, tra cui erano il cardinale e 11 vescovi, elessero l'ex-duca Amedeo di Savoia, che assunse il nome di Felice V, e fu, com'è noto, l'ultimo antipapa. Lo riconobbero i duchi di Savoia e di Milano, Alberto duca d'Austria, Giovanni di Baviera, qualche principe tedesco minore, la Scozia; ma la Francia e la più gran parte dei principi tedeschi rimasero neutrali. Neutrale, Alfonso d'Aragona; finché Eugenio IV non lo riconobbe re di Napoli, dandogli anche Benevento e Terracina (1443). Allora Alfonso richiamò da Basilea i suoi prelati, fra cui era l'insigne canonista Nicolò de Tudeschis, arcivescovo di Palermo, che l'antipapa aveva elevato alla porpora. L'esempio del re fu seguito lo stesso anno dal duca di Milano e dalla Scozia. La vittoria di Eugenio IV, che il 28 settembre 1443 rientrava in Roma, dopo quasi dieci anni di forzata assenza, si delineava sempre più netta.

Peraltro i Francesi e i Tedeschi non avevano mancato di approfittare delle circostanze critiche della chiesa per regolare con leggi statali materie ecclesiastiche di grande importanza. L'assemblea di Bourges, del luglio 1438, composta di laici e di ecclesiastici, aveva votato la prammatica sanzione di Bourges, che conteneva disposizioni adottate a Basilea (v. prammatica sanzione). Ed i principi tedeschi che, nella dieta di Francoforte sul Meno del marzo 1438, avevano dichiarato la loro neutralità, il 26 marzo 1439 nella dieta di Magonza, pur protestando contro l'attitudine dei Basileesi nei riguardi del papa, difeso fortemente dal Cusano, accolsero una serie di decreti del concilio. La posizione di Eugenio IV sembrò nuovamente oscurarsi quando, all'inizio del 1446, volle deporre gli arcivescovi elettori di Colonia e di Treviri, principali fautori del Concilio. Ai due arcivescovi aderirono gli elettori di Magonza e del Palatinato, di Sassonia e del Brandeburgo; e il papa si sentì prospettare minacciose richieste, tra cui quella di riconoscere la superiorità conciliare. Ma al papa giovò molto, allora, l'azione di Enea Silvio Piccolomini, già attivo gregario dei Basileesi e dell'antipapa, ma passato nel 1442 al servizio di Federico III, e allora voltosi ad Eugenio IV. Egli riuscì a guadagnare alla causa di Eugenio l'elettore di Magonza e il marchese di Brandeburgo; e nel gennaio del 1447, accompagnò a Roma i nunzî di varî principi tedeschi.

Questa ambasceria segnò la fine dello scisma. Essa portò ai concordati, ossia al riconoscimento di Eugenio IV come solo papa legittimo da parte dei principi tedeschi; ed a quattro atti pontifici del 5 e del 7 febbraio 1447, con cui il papa riconosceva i decreti del concilio di Costanza sulla superiorità del concilio, reintegrava gli arcivescovi di Colonia e di Treviri, confermava e sanava tutte le provviste ecclesiastiche fatte in Germania dopo il 17 marzo 1438, rinunciava alle annate, stabiliva la libertà delle elezioni vescovili ed abbaziali e la limitazione degli appelli a Roma. Però contemporaneamente, con la bulla salvatoria, tenuta segreta, ricordando le sue gravi condizioni di salute che gli avevano impedito di esaminare a fondo le concessioni richiestegli (Eugenio IV era realmente in fine di vita), ritrattava in esse, come fatto forzatamente, quanto potesse essere contrario alla dottrina dei santi Padri o pregiudizievole alla Santa Sede.

Il concilio di Basilea aveva intanto continuato stentatamente la sua attività; e può essere ricordata la deliberazione della sessione XXXVI (1439) che dichiara ab omnibus catholicis approbandam fore, tenendam et amplectendam la dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine, più tardi dogma, nullique de cetero licitum esse in contrarium praedicare seu docere, e l'istituzione della festa della Visitazione di Maria Vergine (sess. XLIII, estate 1441), che tuttavia era già stata deliberata da Bonifacio IX.

Minacciato da Federico III il bando dell'impero a Basilea, il concilio si trasportò a Losanna, mentre il vescovo di Basilea e la città si sottomettevano al papa. Nell'estate 1448, Carlo VII di Francia mandò a Roma un'ambasceria, con a capo l'arcivescovo di Reims, per trattare sulla fine dello scisma. Il nuovo papa Niccolò V (Tommaso Parentucelli di Sarzana), fece quanto era umanamente possibile per agevolare la pacificazione della chiesa, e addivenne a tutte le concessioni che l'amor proprio e la suscettibilità dei Basileesi poteva desiderare. Invero, il 18 gennaio 1449 ('48 stile romano) ritirò le censure pronunciate contro gli aderenti al concilio. Felice V depose la sua dignità nelle mani dei padri di Losanna il 7 aprile 1449, e Niccolò gli fu largo di concessioni onorifiche, mentre accordò alla sua famiglia il privilegio di nominare i vescovi dello stato. Il concilio, il 16 aprile, tolse tutte le censure comminate contro i cardinali e gli aderenti ad Eugenio IV; e il 19 elesse a sua volta lo stesso Parentucelli, nella sua obbedienza detto Niccolò V. Sei giorni dopo, si sciolse e Niccolò V il 18 giugno 1449 confermò le collazioni dei benefici attuate dai Basileesi e dal loro papa, e restituì negli uffici tutte le persone rimosse dalle loro cariche durante e a causa dello scisma. Era nel medesimo tempo la vittoria del papato e la pace della Chiesa.

Bibl.: Gli atti del concilio in Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio del Mansi, edizione a cura del Passionei, XXIX e XXX, Venezia 1788-92; una interessantissima pubblicazione di diarî, protocolli e documenti relativi al concilio, ampliamente illustrati, è quella che s'intitola Concilium Basiliense. Studien und Quellen zur Geschichte des Concils von Basel, raccolti da Giovanni Haller, Basilea 1896 segg. (fin qui sette volumi, di cui l'ultimo apparso nel 1926, ad opera di Gustavo Beckmann). Cfr. C. J. von Hefele, Conciliengeschichte, VII, Friburgo in B. 1874; L. von Pastor, Storia dei papi, trad. italiana, Mercati, I, Roma 1908; N. Valois, Le pape et le Concile (1418-1450), voll. 2, Parigi 1909.

La confessione di Basilea.

Vanno sotto questo nome due simboli di fede, entrambi della Riforma. La prima Confessio basileensis è del 1531 e rientra in quel movimento stesso che aveva condotto all'elaborazione, l'anno precedente, della Confessio tetrapolitana (adottata dalle quattro città di Strasburgo, Costanza, Lindau e Memmingen). Politicamente, è un'espressione delle tendenze centrifughe dall'Impero della Germania meridionale, il cui colorito democratico era poco gradito a Lutero, che contava sull'appoggio di principi come Filippo d'Assia. Favoriva invece questo movimento democratico lo Zwingli; e di quel periodo è appunto la polemica tra i due riformatori, il tedesco e lo svizzero, sulla presenza reale del Cristo nelle specie eucaristiche. La prima Confessione di Basilea (detta anche di Mühlhausen, perché adottata da questa città) rappresenta uno degli sforzi fatti in quel tempo per trovare una formula conciliativa che realizzasse l'unione dei protestanti. Ha per base una confessione di fede contenuta in un discorso di Ecolampadio, ma fu realmente elaborata dal Myconius e promulgata solennemente il 21 gennaio 1534.

La seconda Confessione, di tendenze zwingliane, ma che tentJ pure una conciliazione con il luteranesimo, fu elaborata da un comitato composto di Bullinger, Myconius, Grynaeus. Approvata il 30 gennaio 1536, fu portata da Bucer a Lutero, che l'approvò. È la cosiddetta Confessio helvetica prior, per distinguerla dalla posterior del 1566; in origine un simbolo di fede personale del Bullinger, ch'ebbe poi sotto il nome di Confessio helvetica larga fortuna per tutta Europa.

Bibl.: K. R. Hagenbach, Kritische Geschichte der Entstehung und der Schicksale der ersten Basler Konfession, 2ª ed., Basilea 1857; Vorlesungen über Wesen und Geschichte der Reformation, I, i, 3ª ed., Basilea 1857; Burckhardt e Biedermann, in Anzeiger für schw. Geschichte, 1886, p. 359; E. F. K. Müller, Bekenntnisschriften der reformierten Kirche, Lipsia 1903, pp. 95 segg.

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