LUPOTTI, Bartolomeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 66 (2006)

LUPOTTI (Lupoto, de Lupotis, de Durio), Bartolomeo (Bartholomaeus de Grignasco, de Novaria)

Arnaldo Ganda

Nacque probabilmente a Grignasco, nel Novarese, nel primo ventennio del XV secolo. Il padre si chiamava Ubeco; si ignora il nome della madre. Il L. ebbe due fratelli, Milano e Giuliano.

Lupotto doveva essere un soprannome, che indicava persona di grande abilità e astuzia; col tempo si trasformò nel cognome Lupotti (de Lupotis), che finì con l'avere il sopravvento su quello originario Durio (de Durio).

Non è noto dove il L. abbia appreso l'arte di scrivere, miniare, decorare e rilegare i libri. Ignoto è anche l'anno del trasferimento a Genova, dove la sua presenza (come risulta dal Librum [sic] rationis mei Bartolomei de Lupotis de Grignasco Novariensis) è attestata dal gennaio 1448 nella bottega del "carubeo Fili" (oggi vicolo del Filo, di fronte alla cattedrale di S. Lorenzo), luogo in cui erano strategicamente collocati i banchi dei cartolai, dei venditori di filo di lino e dei cambiavalute.

L'arrivo a Genova del L. dovette essere precedente a quell'anno, in quanto il Librum rationis registra la riscossione di crediti per copiature, miniature e legature di alcuni volumi effettuate precedentemente.

Il Librum rationis (Arch. di Stato di Genova, Fondo manoscritti, 685) per le registrazioni contabili a doppia partita è la principale fonte documentaria sulla vita e l'attività del L. per il periodo dicembre 1448 - maggio 1456. Tale registro (di cui restano 99 carte delle 100 originarie) fu conservato sino alla fine del sec. XIX presso l'Archivio del Banco di S. Giorgio (Morandi, p. 146). I primi a darne notizia furono Belgrano nel 1866 e Varni nel 1870 e ampi stralci del registro furono editi nel 1907 a cura di G.B. Morandi. L'edizione integrale apparve in G. Pistarino, B. Lupoto e l'arte libraria a Genova nel Quattrocento, Genova 1958; Pistarino individuò una dozzina di mani diverse tra i compilatori del manoscritto e pubblicò in appendice anche l'inventario dell'"apotheca" redatto dopo la morte del Lupotti.

Nel Librum rationis sono registrati gli acquisti, i prezzi del materiale scrittorio destinato alla vendita, i compensi per gli amanuensi, i salari del personale e degli apprendisti; sono elencati anche i ricavi dovuti ai numerosi prestiti concessi dal L., gli incassi per le prestazioni giornaliere di rilegatura, copiatura, decorazione e miniatura dei volumi, quelli per la vendita di registri cartacei, di fogli di pergamena, di ampolle di inchiostro, di penne e taglierini per le stesse, dei segnalibri, delle chiavette e stringhe di pelle o di pergamena per la chiusura dei codici; si fa anche menzione di alcune spese personali del L. che, a volte, venivano annotate anche in un "libreto parvo", non più reperibile.

Altra intensa attività dell'officina fu la decorazione di "capse" di natura non meglio specificata, ma presumibilmente contenitori per doti.

Il L. vendeva anche berretti di varie fogge e colori, panno, velluto, lino, indumenti femminili, armi, filotorto o spago. Partecipò a investimenti finanziari in diverse società e commerciò in generi alimentari (vino, granaglie, formaggi, pesce sotto sale e sardine). Il tutto è documentato attraverso minute registrazioni giornaliere. In aggiunta a quelle relative al periodo 1448-56, il Librum rationis ne raccoglie altre quattro, posteriori di alcuni anni e relative ai rapporti di natura economica tra il L. e i fratelli Giuliano e Milano, che vivevano a Grignasco.

Le prime due (26 luglio 1461 e 6 nov. 1462) riguardano rispettivamente la consegna "in acomenda ad medium lucri" di 128 lire imperiali e di 25 ducati a Giuliano. Nella terza (20 marzo 1463) il L. si dichiarò creditore di 30 ducati della Comunità di Borgosesia per un messale vendutole. Nella quarta (15 nov. 1464) il L. annotò una sua visita a Giuliano per consegnargli una lista di debitori dimoranti in Valsesia e incaricarlo di recuperare quei crediti; quale retribuzione anticipata per tale onere gli corrispose 8 ducati e un messale valutato 100 lire imperiali. In tale circostanza - non è noto a che titolo - consegnò ai suoi fratelli due letti con i loro accessori, capi di biancheria, indumenti e altre masserizie.

Il L. aveva concesso un prestito di 200 lire imperiali ai suoi fratelli il 2 ag. 1455 e il 1 ag. 1457 aveva consegnato loro un cavallo e 21 ducati d'oro perché, con tale somma, si costituisse la dote della cugina Antonia, figlia di Pietro, fratello del loro padre Ubeco; altri prestiti vennero via via concessi a persone di Genova, Ovada, Castelnuovo e Varallo Sesia. Da tali notizie si può dedurre che gli utili del L. a Genova dovevano essere elevati.

La rete d'affari era molto estesa, dato che le committenze giungevano da tutta la Liguria e dalla Lombardia da parte di famiglie nobili o anche di altri cartolai per la scrittura o per la miniatura o per la semplice decorazione anche di testi scritti altrove, cioè di opere grammaticali (Doctrinali di Alexander de Villadei; Tabulae; Epigrammata di Prospero d'Aquitania e un gran numero del Donatus pro pueris), libri d'ore, breviari, rituali pro baptizando e messali, oltre a classici latini (Esopo, Ovidio, Terenzio, Virgilio).

Nel marzo 1450 l'officina eseguì l'insegna araldica dei Doria "supra unum kalendarium". Tre anni dopo per Brancaleone Grillo ornò con duecento lettere iniziali, in parte decorate e in parte miniate, un codice plautino. Per tale prestazione il L. ricevette 40 lire genovesi.

Le lettere capitali potevano essere di solo inchiostro, oppure ornate con bianchi girari ("principium laboratum circum circa") e a volte con dorature ("de penna"; "de penna et penello" e "cum auro"). Il L. fu anche abituale fornitore, per registri, carta e fogli di pergamena, dei banchi di Sarvaggio Spinola, di Giacomo Grimaldi, di S. Giorgio e della cancelleria di Spinetta Fregoso, rivendendo tra l'altro per conto di terzi anche libri usati.

Dal 1449 ebbe a bottega un certo Giovanni, forse un nipote, remunerato modestamente con 1 lira mensile e con alcuni capi di vestiario. Per fronteggiare il gran numero di commissioni, il L. dovette ricorrere alla prestazione di altri miniatori e copisti. I nomi sono noti attraverso il Librum rationis: Giovanni Montenero da Riomaggiore - nipote di Pietro, prete della stessa località e a sua volta copista per conto del L. - il 25 maggio 1451 si impegnò per 27 lire a scrivere un messale "de bona littera". Altro messale, valutato 77 lire e 10 soldi imperiali, venne copiato l'anno dopo da Pietro da Bergamo che decorò anche diverse "capse" e copiò alcuni Donati. Altrettanto fecero frate Gian Antonio Ricci e i fratelli Obertino e Galeotto Balbi da Castelnuovo. Melchione Garibaldo da Taggia per le sue prestazioni durate un biennio, dal luglio 1454, ricevette 2 lire e 5 soldi mensili per il primo anno. La somma fu poi elevata a 2 lire e 10 soldi. Il 2 dic. 1455 Baldassarre de Scenardis si impegnò a scrivere un Doctrinale glosatum a fronte di una retribuzione di 2 soldi per ogni carta. Prete Giovanni Vernazza da Rapallo nel 1453 copiò per 15 lire un breviario portatile. Un altro prete, Battista Falco, il 5 febbr. 1455 ricevette un acconto di 5 lire per copiare la stessa opera. Altri miniatori e copisti furono Sardino Bianco, maestro Paolo Nona (che il L. chiamò "compater noster"), Gregorio Roffino, Paolo da Castelnuovo, Manuele Usodimare, prete Gaspare da Taranto, Percivalle Fieschi e Leonardo Ravascheri.

Il 7 ag. 1467 fu a Novara per citare in giudizio il cugino Giovanni, figlio dello zio paterno Pietro, cartolaio nella stessa città e suo debitore di 56 lire e 4 soldi per un messale. Il volume, opera dell'officina del L., era stato venduto, tramite Giovanni, a un certo Arasmino e a tre abitanti di Mercurago (Novara), che forse lo avevano acquistato per conto della loro Comunità. Gli stessi furono insolventi verso il diretto venditore che, a sua volta, lo fu verso il L.; il giudice Guglielmo Scribanti condannò pertanto Giovanni a versare al L. 88 lire e 4 soldi imperiali entro la festa di S. Martino dello stesso anno. La somma, onerata degli interessi, comprendeva il prezzo del messale, le spese giudiziarie e quelle sostenute dal L. per la trasferta da Genova a Novara.

L'avvento della stampa (introdotta a Genova nel febbraio 1471 da Lambert Laurenszoon di Delft e da Antoine Mathias di Anversa con il finanziamento dei giureconsulti Francesco Marchese, Luca Grimaldi e Francesco Pammoleo) determinò indubbiamente un rallentamento dell'attività scrittoria del L. e dei suoi collaboratori. È nota la supplica dei calligrafi e dei miniatori "pro parte Consulum et totius Artis scriptorum librorum" inoltrata il 12 maggio 1472 agli Anziani della città perché si proibisse agli stampatori di imprimere grammatiche, Donati, libri d'ore, breviari e messali. Tuttavia il L. seppe adattarsi alla nuova situazione e mise in vendita libri a stampa che continuarono a essere decorati e in alcuni casi anche miniati.

Il L. morì prima del 16 maggio 1487, quando il notaio Girolamo Loggi iniziò a inventariare il patrimonio dell'"apotheca" genovese.

L'Inventarium rerum et bonorum repertorum in apotheca quondam magistri Bartholomei de Novaria cartarei [sic] posita in carubio Fili compilato dal 16 al 19 maggio 1487, alla presenza del nipote Giovanni subito dopo la morte del L., attesta che egli disponeva di 1508 volumi tra quelli manoscritti e quelli a stampa. Ben 1058 appartenevano al mercante ed editore milanese Pietro Antonio Castiglione e 86 erano di proprietà di Giovanni Scotti, forse un parente degli Scotti librai e stampatori a Venezia. Evidentemente quei volumi, riguardanti ogni ambito disciplinare, erano stati consegnati all'"apotheca" genovese in conto vendita. I libri del L. erano 364. Tra i manoscritti si trovarono anche due Offitioli: il primo copiato da Damiano Oliva e il secondo miniato "in auro et arzulis" da Antonio da Ivrea. In tale occasione furono inventariati anche gli strumenti per la squadratura e la rigatura delle pergamene e gli attrezzi per rilegare i volumi.

Recentemente è stata posta l'attenzione su alcuni codici: un Giuseppe Flavio e un Sallustio (Parma, Biblioteca Palatina, Parm., 311, e Parm., 857) un Virgilio e un Cicerone (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds Lat., 7938, 10337) un Tacito (Oxford, Bodleian Library, Auct., F.2.24) "i cui colofoni dichiarano una origine genovese e presentano caratteri illustrativi omogenei e perfettamente compatibili con le scarse [(] informazioni fornite dal "Liber rationis", soprattutto in relazione ai frontespizi miniati con inquadramenti e ornati vegetali "circum circa"" (Zanichelli, 2004). Tuttavia manca documentazione convincente per assegnare le miniature di quei codici alla mano del L., tenuto anche presente che dal 1448 al 1487 egli si avvalse di almeno una ventina di collaboratori, tra amanuensi e miniatori. Tra l'altro, riguardo ai manoscritti conservati nelle biblioteche genovesi, "alcuni recano la precisa indicazione dello scrittoio nel quale sono stati prodotti. In nessuno tuttavia, nonostante ogni più accurata ricerca, ci è accaduto d'incontrare il nome di qualcuno degli scriptores che lavorarono per Bartolomeo Lupoto, mentre fra quelli in lettera antiqua, di vario grado di formazione, i termini di confronto con i saggi contenuti nel Liber rationis sono apparsi troppo poco probanti per dare luogo a sicure identificazioni" (Pistarino, p. XLVI). Inoltre "per quanto riguarda le iniziali a inchiostro colorato, che di norma s'incontrano in quei volumi, e le meno frequenti miniature, è possibile che in qualche caso almeno, la paternità vada attribuita al nostro cartarius. Ma qui ancora più che per il precedente campo di ricerca, ogni identificazione è impossibile, sia per l'assenza del nome del rubricator o del miniatore del manoscritto, sia per la mancanza di qualche indicazione, nel Liber rationis, che possa fornirci termini di confronto" (ibid.).

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Fondo notai giudiziari, filza 67, Notaio Loggi Girolamo, cc. 50-52r (16 e 19 maggio 1487); Arch. di Stato di Novara, Fondo notarile, filza 1782 (7 ag. 1467), Notaio Rosati Giovanni Antonio; L.T. Belgrano, Della vita privata dei Genovesi, in Atti della Soc. ligure di storia patria, IV (1866), 2, p. 133; S. Varni, Appunti artistici sopra Levanto con note e documenti, Genova 1870, pp. 29, 62-74; G. D'Adda, L'arte del minio nel Ducato di Milano dal sec. XIII al XVI, in Arch. stor. lombardo, XII (1885), pp. 545, 557; A. Neri, Un corale genovese, in Giorn. stor. e letter. della Liguria, IV (1903), 1-3, p. 73; G.B. Morandi, Un miniatore novarese del '400 a Genova, in Boll. stor. per la provincia di Novara, I (1907), pp. 138-146; P. Accame, Alcuni appunti di arte ligure. La biblioteca di Bartolomeo da Novara, in Miscellanea di studi storici in onore di A. Manno, I, Torino 1912, pp. 106-140; P. D'Ancona - E. Aeschlimann, Dictionnaire des miniaturistes du Moyen Âge et de la Renaissance, Milano 1949, p. 135; G.Z. Zanichelli, Otium e miniatura: codici umanistici tra Genova e Milano. B. Lupoto e Filippo da Milano, in Parma per l'arte, II (1996), pp. 7-30; Id., in Il gotico a Piacenza (catal.), a cura di P. Ceschi Lavagnetto - A. Gigli, Milano 1998, pp. 217-220; G.Z. Zanichelli, Lupoto B., in Diz. biogr. dei miniatori italiani, sec. IX-XVI, Milano 2004, pp. 408 s.; Rep. font. hist. Medii Aevi, VII, p. 372.

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