COLLEONI, Bartolomeo

Enciclopedia Italiana (1931)

COLLEONI, Bartolomeo

Roberto Cessi

Nato a Solza presso Bergamo nel 1400 da Paolo Colleoni e da Riccadonna del Valvassori di Medolago, visse i suoi primi anni come paggio ai servizî di Filippo Arcelli, signore di Piacenza. Sconfitto l'Arcelli (1418), il giovane C. passò nell'Italia meridionale, sotto la condotta di Braccio da Montone (1419), al servizio di Alfonso di Aragona; abbandonò poi Braccio da Montone per passare tra le fila dell'emulo, Muzio Attendolo Sforza (nel 1424) e ricevette il battesimo del fuoco nello scontro dell'Aquila degli Abruzzi (2 giugno 1424). Per quel felice evento guadagnò fama e celebrità; presto entrò al soldo della Repubblica di Venezia, nella terza fase della guerra contro Filippo Maria Visconti (1431), quando Venezia s' apprestava a occupare Cremona. Nell'impresa il C. raccoglieva allori, come uno dei più validi strumenti che seppero fronteggiare le avversità della rotta, cui il Carmagnola, sciente o no, aveva trascinato l'esercito affidato al suo comando. Ebbe allora maestro della sua carriera militare Erasmo da Narni, il Gattamelata, che lo portò poi seco a battagliare nell'Italia centrale e meridionale dal 1432 al 1437. Allorché però la guerra veneto-viscontea si riaccese, col suo capo egli ritornò ai servizî della repubblica veneziana, a detta di taluno, intelligente e acuto consigliere del timido e incerto capitano generale, il Gonzaga, e poi collaboratore del Gattamelata, sostituito nel comando generale al marchese di Mantova (1438). Chiamato al comando supremo Francesco Sforza, sotto di lui il C. fu autore della resistenza ordinata intorno a Verona, che decise di tutta la campagna, conclusa vantaggiosamente con la pace di Cremona (20 novembre 1441). Nel succedersi degli eventi, fino all'epilogo, il C. è in prima linea: il suo nome figura nelle imprese più decisive della campagna, da Verona a Brescia, guadagnando ricompense tangibili, che lo legavano più strettamente alla fortuna della grande repubblica. Se infatti la grettezza veneziana decideva il C., a pace conclusa, a porsi al soldo del Visconti (1442), la parentesi non doveva essere molto lunga. Morto Erasmo, scomparso il Piccinino, stornato lo Sforza, il C. primeggiava come il più spregiudicato e autorevole dei condottieri. Nel 1447, incarcerato ai Forni di Monza, riuscì a fuggire nel campo degli avversarî, per tornare al se vizio di Venezia (1448) a fianco di Francesco Sforza.

È questo il momento più splendido della sua vita militare: la condotta veneziana del 10 marzo 1448 inaugura il ciclo delle sue gesta memorabili, dalla battaglia di Caravaggio alla campagna nel Bresciano, nel Bergamasco, nel Parmense, alla battaglia della Sciesa e di Borgomanero. Si sdegna quando vede passare il bastone di comando, cui aspirava, a Gentile della Leonessa: diserta ancora una volta (1451), e preferisce servire fuori di patria. Volentieri egli si associa a Francesco Sforza, nemico ormai di Venezia, ma non per combattere Venezia. Un lieve sospetto adombrava la fiducia dello Sforza sulla fedeltà del C.; onde preferì mandarlo a combattere nel Monferrato. Venezia infatti lo desiderava, e quand'egli fu inviato dallo Sforza contro Bergamo, mentre combatteva, già negoziava il nuovo mutamento di posizione che la pace di Lodi (1454) prevenne, restituendogli libertà d'azione. Tornato a Venezia, ebbe finalmente l'agognato bastone del comando; ma Venezia furbescamente relega il condottiero in mezzo agli splendori d'una corte quasi regale nel castello di Malpaga. Lo sollecitano i richiami francesi, lo invoca Pio II: Venezia non lo lascia sfuggire al suo controllo. La guerra di Morea lo affascina (1464); Venezia lo pacifica, allargando, con ritegno però, i cordoni della borsa. Infine i casi di Romagna lo fanno uscire (1467) dall'inerzia: ma è già troppo vecchio e consumato e Venezia altrettanto vigile. Alla Riccardina è l'ultimo sfolgorio d'una virtù, che si spegne nel 1476, in un'atmosfera d'insidie, d'attentati e di spionaggi.

Il suo nome è legato a due insigni opere d'arte: la cappella Colleoni in Bergamo, decorata dall'Amadeo e la mirabile statua equestre del Verrocchio, nella piazza dei Ss. Giovanni e Paolo in Venezia.

Bibl.: Cornazzano, De vita et gestis B. Colleoni principis bello invictissimi, in J. G. Graevius, Thesaur. antiq., ecc., IX, vii; Giovio, Elogi, vite brevemente scritte di uomini illustri, Firenze 1554; P. Spino, Istoria della vita e fatti dell'eccellente capitano di guerra B. Colleoni, Bergamo 1569; G. Terapino, Ritratti di cento capitani illustri, Roma 1596; D. Calvi, Campidoglio di guerrieri ed altri illustri personaggi di Bergamo, Milano 1868; Lomonaco, Vita dei famosi capitani d'Italia, Lugano 1831; G. Rosa, Bart. Colleoni da Bergamo, in Archivio stor. ital., anno 1866, p. 132 segg.; V. Ponzi, B. C. capitano generale di Venezia, in Riv. mil. ital., 1910, p. 1631 segg.; L. Beltrami, B. C. e il castello di Malpaga, in Illustr. ital., 1894, p. 90 segg.; G. Graevenitz, Gattamelata und Colleoni, Lipsia 1906; A. Semerau, Die Condottieri, Jena 1909; Beavington Atkison, Condottiere C.: his Lombard castle and mountain sepulchre, in The Art Journal, 1886, p. 225 segg.; A. Mazzi, La giovinezza di B. C., in Arch. stor. lomb., 1905, p. 376 segg.; L. Fumi, La sfida del duca Galeazzo Sforza a B. C., in Arch. stor. lomb., 1912; B. Belotti, La vita di B. C., Bergamo 1923; id., B. C. nella poesia, in Nuova Antologia, 1921.

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