BAROCCI, Federico, detto il Fiori

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6 (1964)

BAROCCI (Baroccio), Federico, detto il Fiori

Marylin A. Lavini
Afredo Petrucci

Nacque probabilmente nel 1535 in Urbino da famiglia di artisti: il bisnonno Ambrogio, milanese, era scultore stabilitosi a Urbino per lavorare alla decorazione del palazzo ducale. Il padre dei B., Ambrogio, era un abile orologiaio e incisore di gemme e da lui il B. apprese a disegnare. Ancora bambino studiò con Battista-Franco, che lo introdusse allo studio della scultura antica; più tardi, probabilmente nel 1549, il B. fu mandato a Pesaro presso lo zio Bartolomeo Genga, architetto del duca Guidobaldo II Della Rovere, con il quale studiò geornetria, prospettiva e architettura: a Pesaro, inoltre, ebbe la possibilità di osservare dii vicino, nella collezione del duca, i capolavori di Tiziano e di altri pittori veneti.

Ritornato a Urbino, ricevette la prima commissione: una S. Margherita per l'oratorio della Compagnia del Corpus Domini (oggi perduta; mandato di pagamento, gennaio 1556). Pure la pala con S. Cecilia (Urbino, cattedrale) sembra sia stata eseguita dal B. all'età di vent'anni, quando egli decise di recarsi a Roma; qui abitò presso un altro zio che era maestro di casa del cardinale G. Della Rovere, il quale fu tanto ben impressionato dal B. da dargli varie commissioni. Come ogni giovane artista a Roma, il B. studiava le opere dei maestri che l'Avevano preceduto facendo disegni e copie. Aneddoti riferiti dal Bellori rivelano come anche in questi studi egli manifestasse una perizia tecnica che lo distingueva dagli altri. Non si conoscono opere, né ci sono documenti sul suo primo soggiorno a Roma. Nel 1557 egli era tornato ad Urbino dove restò per i quattro anni seguenti. Della sua attività di questi anni si conosce il Martirio di S. Sebastiano per la cappella di S. Sebastiano nella cattedrale di Urbino. Nel 1560 il B. ritornò a Roma, questa volta per eseguire una commissione papale, cioè una parte considerevole della decorazione del casino di Pio IV (1561-63) nei giardini vaticani. Subito dopo (1563), mentre lavorava all'affresco con Mosè e il serpente in una stanza dei Belvedere, la sua carriera romana si interruppe improvvisamente: fu colpito da una grave malattia intestinale che lo tormentò poi per tutta la vita. Bellori e altri scrittori asseriscono che il B. fu avvelenato da colleghi gelosi, ma, qualunque sia stata la causa del male, i medici lo giudicarono inguaribile e gli consigliarono di tornare alla migliore aria di Urbino. Consiglio che il B. seguì; e non si allontanò più dalla sua città se non per brevi assenze. Questo isolamento a Urbino, se non arrestò lo sviluppo artistico del B., ne escluse i contatti diretti con la grande arte romana: egli, per esempio, non dipinse mai più un affresco. La sua malattia limitò molto il tempo che poteva dedicare al lavoro, e, pur essendo vissuto sino a tarda età, la sua salute si mantenne sempre malferma; d'Altra parte, al momento del suo ritorno in Urbino, cominciarono a giungergli commissioni in gran numero ed egli, nonostante la lentezza con cui lavorava, riuscì a mantenere un ritmo regolare di produzione. Poco dopo il suo ritorno furono completate tre pale d'Altare: la Madonna di S. Giovanni (1565-66), la Crocefissione (1566 circa) per la cappella del conte P. Bonarelli nella chiesa del Crocefisso miracoloso ad Urbino e la Madonna di S. Simone (1567), tutte attualmente nella Gall. naz. delle Marche ad Urbino. Nel 1569 il B. portò a termine la Deposizione per la cappella di S. Bernardino nel duomo di Perugia, che segna l'inzio del periodo maturo. Quasi subito dopo (1570) egli ricevette la sua prima commissione ducale: il Riposo della fuga in Egitto (Roma, Pinac. Vaticana) per il duca Guidobaldo. Due anni dopo (1572) venne incaricato di ritrarre il giovane principe Francesco Maria per celebrarne il ritorno dalla battaglia di Lepanto: questo incontro diede origine a un legame sia professionale sia personale tra il B. e Francesco Maria, che doveva continuare per il resto della loro vita. Intorno al 1573-74 il B. eseguì per il conte Antonio Brancaleoni la Madonna del gatto (Londra, National Gallery).

Nello stesso periodo lavorava all'estasi di s. Francesco, detta il Perdono d'Assisi, che Niccolò Ventura aveva ordinato nel suo testamento e che, terminata probabilmente nel 1576, fu posta nel coro della chiesa di S. Francesco ad Urbino (la composizione fu incisa, in scala molto maggiorata, dal B. stesso nel 1581). Verso il 1575 fu dipinta l'immacolata Concezione ora molto rovinata (Urbino, Gall. Naz.) per l'Altare della compagnia della Concezione della chiesa di S. Francesco.

Nello stesso anno la Pia Confraternita dei laici di S. Maria della Misericordia gli commissionava la pala d'Altare per la propria cappella nella Pieve d'Arezzo (Vasari ne fu l'Architetto): si tratta della Madonna del popolo (firmata e datata 1579, Firenze, Uffizi), della quale ci restano almeno settantacinque disegni preparatori (Berlino, Firenze, Londra, ecc.).

Il B. ricevette negli anni immediatamente successivi cinque importanti commissioni per fuori Urbino: la Deposizione (firmata e datata 1582) per S. Croce a Senigallia, collocata dal B. stesso; il Martirio di S. Vitale per la chiesa omonima di Ravenna (firmato e datato 1583, Milano, Brera); la Vocazione di S. Andrea (firmata e datata 1586, già letto 1583) per l'oratorio della confraternita di S. Andrea di Pesaro (Bruxelles, Musée Royal des Beaux-Arts); l'Annunciazione (1580-84) per la cappella del duca Francesco Maria II a Loreto (Roma, Pinac. Vaticana) e la Visitazione (1583-86) per la cappella Pozzomiglio (cappella della Visitazione) nella Chiesa Nuova a Roma, costruita per s. Filippo Neri. Questi lodò molto l'opera, e il B. fu scelto, ancora nel 1593, per la pala d'Altare con la Presentazione della Vergine, nella cappella Cesi nel transetto di sinistra della stessa chiesa. Uno dei pochi quadri di soggetto profano dipinti dal B., la Fuga da Troia in fiamme (1587-89), fu commissionato, per i buoni uffici del duca d'urbino, dall'imperatore Rodolfo II, prova questa dalla vasta fama raggiunta dal Barocci. L'originale, del quale si dice che avesse le figure in grandezza naturale, è scomparso; ma la composizione ci è nota in proporzioni minori, attraverso una copia (Roma, Gall. Borghese) che il B. stesso eseguì nel 1598 per mons. Giuliano Della Rovere del quale aveva già fatto (1595 circa) il ritratto (ora a Vienna, Kunsthist. Museum).

Nell'ultimo decennio del secolo, uno dei periodi più produttivi nell'Attività del B., nacquero le seguenti opere: Cristo e la Maddalena (firmato e datato 1590; Monaco, Alte Pinacothek; piccola replica autografa agli Uffizi); Circoncisione (firmata e datata 1590) per la compagnia del Nome di Dio, già sull'Altar maggiore della chiesa del Nome di Gesù a Pesaro (Parigi, Louvre); Madonna del Rosario (1589-93) per la confraternita dell'Assunta e del Rosario di Senigallia (Senigallia, pal. vescovile); Madonna della gatta (1589-93; Firenze, Uffizi); Presentazione per la Chiesa Nuova, già menzionata; Ultima cena (1590 circa-1599) per la cappella ducale del SS. Sacramento (Urbino, cattedrale); Stigmate di S. Francesco (Urbino, Gall. Naz.) per la chiesa dei cappuccini di Urbino; Crocefissione, firmata e datata 1596 (Genova, duomo, cappella di Matteo Senarega); Natività per il duca Francesco Maria 11 (1597 circa; Madrid, Prado).

Nei primi anni del sec. XVII B. fece molti ritratti fra i quali un Ritratto di gentiluomo firmato e datato 1602 (Londra, coll priv.) e l'Autoritratto (Firenze, Uffizi). Nel 1604 dipinse per il duca d'Urbino il Crocefisso spirante, che fu più tardi offerto al re di Spagna (Madrid, Prado). L'ultima commissione papale venne da parte di Clemente VIII, per l'istituzione dell'eucarestia (1604-1607; Roma, S. Maria sopra Minerva, cappella Aldobrandini), per la quale furono richiesti all'Artista molti cambiamenti sia per la composizione sia per il contenuto iconografico. Poco dopo il B. completò una delle sue opere più alte: la Beata Michelina (1606) per la cappella della beata Michelina Malatesta nella chiesa di S. Francesco a Pesaro (Roma, Pinac. Vaticana). Due anni dopo venne colpito da una febbre che non lo abbandonò più ed aumentò la sua debilítazione fisica, ma non per questo egli interruppe il suo lavoro. Appartengono infatti agli ultimi quattro anni della sua vita il Commiato (Chantilly, Museo Condé), l'Assunzione (Varese, coll. privata), l'Annunciazione di Gubbio (distrutta) e il Compianto per il duomo di Milano (Bologna, Pinac.), nessuna delle quali terminata; e tuttavia le opere che ci sono rimaste dimostrano come la mente che le ideò fosse ancora lucida e vigorosa dell'artista.

Lo stesso duca d'urbino (Diario) attesta infatti che, malgrado le sue precarie condizioni fisiche, le facoltà del B. non subirono mai un offuscamento. L'Artista era un esecutore lento: non adempì mai in tempo a una commissione (il Bellori lo giustifica facendo notare che, per le sue condizioni fisiche, egli poteva lavorare solo un'ora la mattina e una nel pomeriggio), ma, probabilmente, questa lentezza era accentuata da un metodo di lavoro assai complesso, che comportava centinaia di disegni e studi preparatori oltre ad una complicata tecnica di verniciatura. Il B. aveva una bottega con molti assistenti e scolari che certamente sollevavano le sue fatiche, ma sembra che in realtà essi non fossero più numerosi di quelli di qualsiasi altro artista affermato della stessa epoca.

Bisogna d'Altra parte notare che tanto lo stile quanto il contenuto delle opere del B. non riflettono mai le sue pene fisiche o le sue angosce psicologiche. Egli era un uomo profondamente infelice: nella sua corrispondenza con il duca Francesco Maria temi ricorrenti sono la sua salute cagionevole, la sua malinconia e persino la sua irascibilità. A un certo punto, cedendo alle insistenze del duca, andò ad abitare al palazzo ducale, ma il suo carattere difficile e il suo desiderio di solitudine gli resero il soggiorno così penoso che presto se ne tornò via. Eppure le sue pitture, con i loro lieti colori, le immagini serene, devote, ottimistiche, non lascerebbero mai supporre una vita così lungamente sofferente.

Il B. morì a Urbino il 30 sett. 1612.

Cronologicamente la sua attività coincide con il periodo della "maniera" e ciò aiuta a intendere il suo stile originale; come gran parte delle pitture della fine del sec. XVI, i quadri del B. sono pieni di figure rappresentate in vigorosa azione. D'altra parte, mentre le figure dei manieristi presentano spesso atteggiamenti esagerati e innaturali deformazioni, le sue figure si mantengono aderenti alla struttura organica e i loro atteggiamenti esprimono direttamente la situazione psicologica (Annunciazione nel casino di Pio IV; Deposizione). Seguendo i concetti spaziali della "maniera", egli preferiva una visuale pittorica limitata: la sua formula usuale consisteva in una prospettiva che precipita rapidamente in un primo piano angusto e poi sale rapidamente in alto (Riposo della fuga in Egitto; Presentazione). Ma contrariamente agli effetti disordinati e illogici dello spazio dei manieristi, quello del B. è calcolato matematicamente ed è sufficiente non solo a contenere le figure, ma ad esaurire il loro movimento (Estasi di S. Francesco; Natività). Le sue composizioni, inoltre, sono legate a rigorosi schemi strutturali che mettono ordine anche nelle scene più complicate (Madonna del popolo, S. Vitale). Altra caratteristica della pittura del B. che egli condivideva con la "maniera" è l'arbitraria manipolazione del colore. Ma i manieristi usavano per lo più colori intermedi (giallo-verde; verde-azzurro; arancio-giafio, ecc.), in toni molto leggeri, delimitati da linee di contorno caricate, e per le ombre usavano lo stesso colore dell'oggetto che le proiettava, in un tono fumoso e cupo; il B. invece usava tutti i colori (primari, secondari e intermedi) in una gradazione intensamente satura e li usava proprio per costruire le forme senza servirsi delle linee di contorno (Ritratto di Francesco Maria II; Crocefissione di Genova) e inoltre usava per le ombre il colore complementare dell'oggetto che le proiettava (Deposizione) con il risultato che nei suoi quadri quasi non ci sono zone scure, ma essi si presentano come campi continui di colore fluttuante.

Le innovazioni del B. per quanto riguarda la scelta del soggetto non sono meno interessanti delle sue deviazioni stilistiche dalla "maniera". Per la prima volta nella storia dell'Arte egli rappresenta il misticismo religioso trasportando la scena in una sfera completamente distaccata da qualsiasi elemento narrativo, in diretta comunicazione con la fonte celeste della rivelazione (Madonna del Rosario, Beata Michelina); in ciò è probabilmente riflessa una semplice, personale esperienza di quel pietismo che costituì un aspetto di fondo, non militante, della Controriforma nell'italia centrale e del nord.

Pur essendo ben radicato nell'Arte ufficiale del suo tempo, il B. si ispirava direttamente all'Alto Rinascimento, e in particolare alle teorie sul colore di Leonardo e alle concezioni pittoriche del Correggio e attraverso questi suggerimenti sviluppò uno stile indipendente che contribuì ad aprire la strada allo sviluppo del Barocco.

L'imponente complesso dei suoi disegni, paragonabile quantitativamente solo con quello di Leonardo, ce lo mostra disegnatore superbo. Con attenzione meticolosa egli studiava la forma esterna di ogni elemento della composizione. Ma anche i disegni rivelano la sua profonda sensibilità coloristica: spesso usava la carta del colore che avrebbe avuto la forma nel quadro unicamente per studiare in carboncino e biacca le luci e le ombre; altre volte, per studiare i colori degli oggetti stessi, usava gessi di vari colori su carta neutra. Alcuni di questi disegni, quando sono molto elaborati, raggiungono il livello di opere d'Arte autonome. E questo rende più facile capire perché il B. fu altamente ammirato non solo da artisti del Seicento come Rubens e Van Dyck, ma anche da artisti rococò del secolo seguente, specialmente in Francia e in Germania.

Non è stata mai tenuta una mostra delle pitture del Barocci. Nel trecentesimo anniversario della sua morte (1912) agli Uffizi furono esposti alcuni suoi disegni, evento che fu accompagnato da un catalogo, da una serie di studi e dal lavoro del Di Pietro che, anche se incompleto, era la più utile e vasta raccolta di riproduzioni delle opere del Barocci sino alle recentissiina pubblicazione dell'olsen (1962). Dal 1950 sono state pulite alcune delle opere (Cena di Urbino; Fuga da Troia; Beata Michelina), e ciò ha reso possibile un più accurato apprezzamento dei suoi risultati cromatici.

Il posto che il B. occupa nella storia dell'incisione in rame è piccolo per il numero defle opere prodotte (405 in tutto), ma grande per i risultati ottenuti e l'influenza esercitata sugl'incisori posteriori: da un Cantagallina o un Mercati nel '600 a un Vasi e un Piranesi nel '700 Giovanni Baglione, discorrendo del B., dice che si acquistò gran credito e molta fama "specialmente nelle eseguite carte ch'egli intagliò in acquaforte, nel cui genio mostrò eccefienza sopra gli altri". Il Baglione intuì e apprezzò, come l'avevano apprezzata i contemporanei del pittore, ma non seppe spiegare l'eccerenza del B. acquafortista: egli fu il primo ad adottare quel sistema d'incisione all'Acquaforte che fu detto poi "a più riprese* o "per coperture" (a differenza di quello comunemente usato dai tempi del Dúrer e del Parmigianino, che era detto "a morsura piana").

Il sistema consiste nel sottoporre le parti vicine e quelle lontane di un soggetto ad un'azione più o meno prolungata del mordente, in modo da ottenere per le prime un intaglio più profondo e vigoroso e per le altre un intaglio più magro e basso di tono. Specialmente indicato nella incisione di paesaggio, nella quale è così possibile graduare prospetticamente, senz'altri arufizi, i diversi piani di uno spettacolo, questo procedimento fu adottato dal B. in due dei suoi rami: quello dell'Annunciazione e quello, più piccolo, delle Stimmate di S. Francesco.

Le altre due stampe del B., invece, che sono da considerare, in ordine di tempo, la prima e l'ultima, furono incise a morsura piana. La prima anzi gli riuscì difettosa, non essendo il mordente penetrato ugualmente in tutti i tagli, ed egli dovette ritoccarla a bulino. Conosciuta col nome di Madonnella sulle nubi, che "cinge per davanti il figliuolino con le braccia", è firmata "F.B.V.F.".

Nonostante la sua imperfezione tecnica, la Madonnella piacque molto, per la purezza del disegno e la dolcezza dell'espressione, al più provetto incisore dell'epoca, Agostino Carracci, che volle subito fame una copia, con l'intento di ridurla a miglior taglio. Ma il B., umbratile e permaloso, reagì, secondo il Malvasia, con mal garbo, ed Agostino ne fu molto amareggiato. Ciononostante, anche Annibale Carracci volle ricopiare la Madonnella, e così fecero il Vanni, lo Schiaminossi ed altri. Quanto ad Agostino, sappiamo che nel 1595, recidivo, volle incidere in rame il colossale quadro del B., poi andato perduto, della Fuga da Troia in fiamme (la "gran carta dell'Anchise"), ma ne ebbe anche questa volta una risposta così "risentita ed indiscreta" da farne una malattia. Il B. aveva evidentemente un altro concetto dell'Arte dell'incisione, specie per quanto riguardava i "perfezionamenti" che Agostino era solito permettersi.

La seconda delle acqueforti del B. sembra essere quella dell'Annunciazione, dedotta con tutta probabilità da un disegno o da un bozzetto del quadro eseguito poi per la cappella del duca Francesco Maria II nel duomo di Loreto ed ora nella Pinacoteca Vaticana.

L'Annunciazione è firmata: "Federicus Barocius Urb. inventor excudit". Quell'excudit ci dice che l'incisore volle in principio far da sé e non affidare, com'era allora uso generale, la sua lastra ad un editore-calcografo.

In questa incisione il paese inquadrato nella finestra e l'episodio della vita della Vergine all'interno della cameretta sono sottoposti ad un diverso grado di morsura, meno prolungato il prirno, più prolungato il secondo. Ed ecco il motivo della sua "eccellenza", o meglio il perché della sua differenza dalle altre stampe del tempo. Le lontananze "manco tocche" dal bulino, che Giorgio Vasari aveva notate, per caratterizzarli, nei rami incisi da Luca di Leyda, sono in questa lastra del B. "manco tocche" invece dal mordente.

Dello stesso procedimento dell'Annunciazione il B. si servì, con accresciuta esperienza e consapevolezza, nel terzo dei suoi rami, Le stimmate di S. Francesco, corrispondente ad un altro suo quadro: quello dipinto per la chiesa dei cappuccini in Urbino, conservato ora in quella Galleria Nazionale.

In questo rame, trattandosi di un soggetto all'aria aperta, con la figura del santo in primo piano e lo scenario via via sempre più labile del paese alle sue spalle, si può osservare meglio che nell'altro come, per effetto del diverso grado di corrosione dei singoli piani, le lontananze si perdano di veduta, per dirla col Vasari, allo stesso modo che "si perdono dall'occhio le naturali". Due morsure per l'Annunciazione, dunque, tre almeno, data la presenza a mezza strada verso il convento di un altro frate in cammino, nelle Stimmate, il rimanente è opera del raschietto e del brunitoio. E quello che poteva sembrare solo un espediente tecnico, estraneo al processo della creazione, diventa invece un nuovo modo del linguaggio, al servizio della raffinata sensibilità atmosferica e tonale dell'incisore. La lastra è firmata, come quella della Madonnella, "F.B.V.F.".

La quarta incisione del B., L'estasi di S. Francesco, detta Il perdono di Assisi, rappresenta, al contrario della precedente, un interno senza lontananze o aperture di cielo, cioè la cappella della Porziuncola; essa perciò è incisa a morsura piana, cioè con un solo bagno di acido, uniforme in tutte le sue parti.

Questa lastra, che riproduce il dipinto eseguito per la chiesa di S. Francesco in Urbino, è la più vasta e compiuta del B., ma dal punto di vista linguistico non dice niente di nuovo, scevra com'è' non solo di "lontani" a morsura bassa, ma anche di quegli accenni di equivalenza cromatica che egli aveva tradotti col punteggiato e con altri sottili artifizi specialmente nell'Annunciazione. Reca la firma per esteso, "Federicus Barocius Urbinas incidebat", e la data 1581. Geloso delle sue fatiche, il B. volle assicurare a questa lastra il "privilegio" di Gregorio XIII per dieci anni e sottrarla così ai pericoli cui era andata incontro la Madonnella.

Anche il Bellori ricorda l'Attività acquafortistica del B. e afferma che i suoi intagli rivelano "la bellezza del suo disegno". Egli gli riconosce tre stampe, ignorando la Madonnella. Altri scrittori invece gli assegnano dubitativamente una quinta stampa, però, incompiuta, rappresentante come la prima una Madonna col Bambino.

Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Naz., Francesco Maria Il duca d'Urbino, Diario, 8 sett. 1582-1624, cod. Magliab. V, cl. XXV; G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, VII, p. 91; B. Baldi, Encomio della patria... sec. XVII, in Memorie concernenti... Urbino..., Roma 1724, p. 33; G. Mancini, Consider. sulla pittura (1619-21), a cura di A. Marucchi-L. Salerno, I-II, Roma 1956-57, V. Indice; G. Baglione, Le vite del pittori, scultori ed architetti (1614-21), Roma 1935 (ed. fac-simile), pp. 133 s.; G. P. Bellori, Le vite de' Pittori, scultori ed architetti moderni 1617-21, Roma 1931 (ed. fac-simile), pp. 165-196; C. C. Malvasia, Felsina pittrice, Bologna 1678, IV, VI). 447 s.; F: Baldinucci, Notizie de' profess. del disegno..., III, Firenze 1702, pp. 110-119; M. Dolci, Distinto ragguaglio delle pitture che si trovano nelle chiese e nei palazzi d'urbino, a cura di L. Serra, in Rass. marchigiana, XI (1933), cfr. Indice a p. 365; A. Lazzari, Memorie di alcuni celebri pittori d'urbino, Urbino 1800, passim; Id., Delle chiese di Urbino..., Urbino 1801, passim; A. Mezzanotte, La deposizione della Croce, quadro di F. B. di Urbino nella cattedrale di Perugia, descritto in ottava rima, con una lettera storica di G. B. Vermiglioli, Perugia 1818; J. Dennistoun, Memoirs of the dukes of Urbino, London 1851, 111, pp. 369-76; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d'urbino..., Firenze 1859, Il, P. 492; G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, pp. 74-144; E. Calzini, Per F. B., in Rassegna bibl. dell'Arte italiana, I (1898), pp. 103-108; E. Scatassa, Documenti relativi a F. B., ibid., IV (1901), pp. 129-131; A. Anselmi, Un quadro del Rosario di F. B. a Senigallia. Notizie e documenti, Firenze 1905; W. Friedlaender, F. B., in U. Thieme-F. Becker, Kúnstler-Lexikon, II, Leipzig: 1908, pp. 511-513; W. Bombe, F. B. e un suo scolaro a Perugia, Perugia 1909; A. Schmarsow, F. B., in Das Museum, XI (1909), pp. 57-64; Id., F. B., ein Begrúnder des Barockstils in der Malerei, in Abhandlungen... der kónigl. sdchsischen GeselIschaft der Wissenschaften, XXVI (1909), fasc. 4;Id., F. B. Zeichnungen'i: Die Zeichnungen in der Samml. Uffizìen zu Florenz, ibid., fasc. 5; 2: Die Zeichnungen in den ùbrigen Samml. Italiens, ibid., XXVIII (1910), fasc. 3; 3: Die Zeichnungen in den Samml. ausserhalb. Italiens: westliche Halfie Europas, ibid., XXIX (19 11), fasc. 2; 4: ... éistliche Hdifte Europas, ibid., XXX (1914), fasc. 1; W. Friedlaender, Das Casino Pius des Vierten, Leipzig 1912; R. H. Krommes, Studien zu: F. B., Leipzig 1912; G. Poggi, Mostra dei cartoni e disegni di F. B. nel Gabinetto dei disegni della R. Gall. degli Uffizi..., Bergamo 1913; M. Marangoni, Mostra di disegni del B. agli Uffizi, in L'Arte, XVI (1913), p. 65; F. di Pietro, Disegni sconosciuti e disegni finora non identificati di F. B. negli Uffizi, Firenze 1913 (con numerose ili.); Studi e notizie su F. B., a cura della Brigata urbinate degli amici dei monumenti, Firenze 1913 (saggi di A. Mufíoz, C. Ricci, A. e L. Venturi, ecc.); H. Voss, Die Malerei der Spatrenaissance in Rom und Florenz, Berlin 1920, II, pp. 473-98; W. Friedlaender, B. und Tintoretto, in Yahrb. f. Kunstwissenschaft, I (1923), pp. 259-62; C. Ricci, F. B., in Encicl. Ital., VI, Roma 1930, pp. 216-18 (con ult. bibl.); A. Venturi, Storia dell'Arte italiana, IX, 7, Milano 1934, pp. 879-953; G. Gronau, Docum. artistici urbinati, Firenze 1936; W. R. Valentiner, Two child portraits by F. B., in Bulletin of the Detroit Institute of Arts, XXIV, 3 (1944-45), pp. 305.; Id., The last Prince of Urbino, in Gazette des Beaux-Arts, XXVII (1945), pp. 27-38; H. Bardon, L'enéide et l'Art XVI et XVIII siècle, ibid., XXXVII (1950, ma pubbl. 1959), pp. 92 ss.; T. P. Baird, Two drawings related to Ws "Entombment", in Record of the Art Museum, Princeton University, IX (1950), n. 1, pp. 11-16; H. Olsen, F. B., a critical study in Italian Cinquecento painting, Stockholm. 1955 (bibliografia, pp. 200-207; catal. delle opere e indice dei disegni, pp. 217-228; non ill.); M. A. Lavin, A late work by B., in Metropolitan Museum Bulletin, XIII (1955), pp. 266-71; C. Peman, Nuevos antecedentes grabados de cuadros zurbaranescos, in Archivo espaflol de arte, XXIX (1956), n. 116, pp. 298-301; M. A. Lavin, Colour study in Ws drawings, in The Burlington Magazine, XCVIII (1956), pp. 435-39; Id., recens. a H. Olsen, F. B., ibid., XCIX (1957), p. 166; L. Bianchi, Disegni inediti del B. Una mostra romana della Biblioteca Comunale di Urbania, Roma 1958, pp. 13-21; S. T. Madsen, F. Ws "Noli me tangere" and two cartoons, in The Burlington Magazine, CI (1959), pp. 273-77; L. Moranti, Bibliografla urbinate, Firenze 959, pp. 56-59, nn. 297-350, V. Indice, p. 407; L. S. Richards, F. B., a study for "Aeneas, flight from Troy", in Cleveland Museum Bulletin, XLVIII (1961), pp. 63-65; R. Linnenkamp, Zwei unbekannte Selbstbildnisse von F. B., in Pantheon, XIX (1961), n. I, pp. 46-50; F. Olsen, F. B., Copenhagen 1962 (in ingl., con catal. ragionato delle opere aggiornato, indice dei disegni, bibl., pp. 259-268, e 206 illustraz.); R. e M. Wittkower, Born under Saturn, London 1963, pp. 79-81, 90 s.

Per il B. acquafortista, oltre alle fonti, i repertori, ecc., v. anche C. de Heinecken, Dici' des artistes doni nous avons des estampes..., II, Leipzig 1788, pp. 140-151; Ch. Le Blanc, Manuel de l'Amateur d'estampes, I, Paris 1854-1888, pp. 149 s.; A. Bartsch, Le peintre graveur, XVII, Leipzig 1870, pp. 1-4; F. Lijppmann, Der Kupferstich, Berlin 1896, p. 178; A. M. Hind, A short history of engraving and etching, London 1911, pp. 113, 362, 367; P. Kristeller, Kupferstich und Holzschnitt..., Berlin 1911, pp. 273-275, 277; F. Hermanin, F. B. incisore, in Studi e notizie su F. B., Firenze 1913, pp. 127-133; M. Pittaluga, L'incisione ital. nel Cinquecento, Milano s. d. (ma 19281, pp. 313-317, 335 n. 95; A. Petrucci, I "fondi Persi* del B., in Primato, IV, 7 (1943).

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE
TAG

Guidobaldo ii della rovere

Immacolata concezione

Giuliano della rovere

Battaglia di lepanto

Annibale carracci