BANCA

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

BANCA

Francesco Spinedi

. I sistemi bancarî dei diversi paesi sia appartenenti a gruppi di interessi imperiali, sia che debbano soltanto servire ai bisogni creditizî di un solo mercato ben delimitato, geograficamente e politicamente, hanno subito, durante la crisi, una profonda e radicale trasformazione. Le tendenze direttrici di questa revisione dei quadri bancarî mondiali possono essere individuate, brevemente, così:

1. la banca ha perduto, forse per sempre, il carattere di azienda privata, per assumere una preminente funzione pubblicistica, come strumento tecnico indispensabile alla manovra finanziaria e politico-economica degli stati;

2. la scelta degli investimenti e le direttive di impiego del risparmio nazionale, raccolto in queste grandi centrali di smistamento del nuovo capitale formatosi, diventano sempre più subordinate alle finalità proprie che persegue lo stato, come comando centrale economico del paese;

3. la banca è divenuta, in molti paesi, uno dei mezzi tecnici più importanti e di maggiore efficacia, per dirigere e realizzare la manovra economica unitaria della nazione. Questa funzione direttiva della banca assume una particolare importanza nei paesi formalmente a reggimento democratico-parlamentare. Infatti, in essi, la manovra economica statale non viene effettuata per via diretta e con intervento tecnico sul mercato; ma per vie interne e indirette, a carattere essenzialmente bancario e creditizio, le quali dovrebbero realizzare, grosso modo, le medesime finalità che perseguono gli altri governi, a comando accentrato. Si può quindi affermare che la banca, in quanto istituzione economica dei grandi mercati, ha assunto, dalla crisi mondiale, una preminente importanza nei paesi cosiddetti democratici, come indispensabile strumento tecnico di manovra economica; mentre ha perduto il rango direttivo, che forse ha esercitato in passato, nei paesi dove il comando economico sul mercato è più attivamente e direttamente esercitato, in tutti i settori, da parte dello stato.

Questi tre aspetti della banca odierna, non fanno, in sostanza, che esprimere le diverse facce di una medesima realtà: il dominio esercitato sul mercato, dall'attività e dalle direttive centrali assunte dallo stato e alle quali è inevitabile che anche le banche si sottomettano. Veniva spesso ripetuta, prima della guerra mondiale, una massima che la sapienza popolare aveva coniato per precisare, grossolanamente, i rapporti che avrebbero dovuto intercorrere fra banca e politica, cioè fra l'orientamento creditizio di un certo sistema bancario e le direttive di Politica economica realizzate dallo stato. La massima era: "la banca deve essere nella politica, ma non la politica nella banca". Si voleva, cioè, intendere come la banca dovesse orientarsi, nel suo lavoro, nelle sue direttive cioè di realizzazione concreta dei "piani di finanziamento" sottopostile dagli imprenditori, secondo le linee di marcia della politica economica perseguita dallo stato; ma non mai subordinare la scelta specifica dei suoi investimenti a interferenze e a esigenze politiche le quali sarebbero state sempre dannose e pericolose.

Questo criterio di esatta gestione è stato, in sostanza, applicato ai rapporti concreti esistenti fra le banche e le tesorerie dei varî stati, per regolare l'attività di quelle nelle nuove situazioni createsi sul mercato. Ciò ha significato, in sostanza, che le banche hanno perduto la preminente loro funzione di controllo finanziario delle grandi imprese produttive che costituiscono, in ogni paese a forte attrezzamento tecnico, i "punti nodali" di decisiva importanza per il lavoro e l'economia nazionale.

Le tendenze del capitalismo prebellico, le quali si affermavano nel senso di attribuire il predominio direttivo al capitale finanziario nella gestione dei grandi nuclei produttivi, sono state decisamente modificate nel senso di togliere alle banche private lo scettro del comando produttivo, per consegnarlo a mani che si ritiene siano più consapevoli delle necessità tecniche ed economiche indispensabili per la condotta delle aziende.

Queste direttive di massima, comuni a tutti i paesi, si sono manifestate in modo diverso, secondo le particolari situazioni di ogni mercato, dall'aspetto delle tradizioni storiche, politiche, ambientali proprie di ciascuno. Un breve esame di queste situazioni particolari ci permetterà di vedere come e in quali limiti quelle direttive si siano manifestate.

Cominciamo dal sistema bancario inglese il quale è, indubbiamente, uno dei più complessi e di più antica tradizione in ordine al tipo moderno della gestione finanziaria, che esista attualmente nel mondo. Dopo la guerra mondiale il sistema bancario inglese aveva subito una profonda modificazione strutturale. Un deciso moto di concentrazione aveva riunito in 5 grandi aggruppamenti bancarî (a gestione unitaria e a comando accentrato) le banche esistenti prima della guerra, aventi centro a Londrra. Nel 1913 esistevano 43 aziende con 5797 filiali. Nel 1920 ne esistevano soltanto 20 con 7612 filiali. Questo concentramento era perà un "big five" (delle "cinque grandi banche") ora dominanti la City, è, appunto, la formazione storica di molte fusioni, realizzatesi in progresso di tempo intorno a un nucleo centrale la cui origine (salvo per la Barclays Bank la quale nasce come trasformazione creditizia di una grande casa mercantile del sec. XVI) è da ricercare negli anni intorno al 1830. Le nuove forze direttrici della congiuntura mondiale manifestatesi subitaneamente nel dopoguerra, impressero a questa tendenza un ritmo di notevole accelerazione. Sono ragioni tecniche, di gestione meccanizzata, di unità di comando, di accertamento di poteri direttivi, quelle che vennero proposte a giustificazione del concentramento. Ma queste esigenze tecniche si realizzarono anche in un clima politico-economico nettamente favorevole ad esse. Si trattava di riconquistare il primato finanziario mondiale il quale era sfuggito alla sterlina e che, per complesse ragioni contingenti, era stato attribuito al dollaro dalle risultanze economico-monetarie del conflitto europeo. Bisognava agire con ogni accuratezza per poter vincere, con il perfezionamento e l'efficienza dei mezzi tecnici, la forza altrui e della quale non sembrava che le strutture esistenti altrove fossero capaci di sfruttare tutte le possibilità offerte. Fu, cosi, iniziata una politica di sviluppo delle operazioni dette advances con le quali le banche inglesi provvedono, di regola, a fornire alle industrie i capitali di cui esse hanno bisogno per l'esercizio delle loro aziende. Questo sviluppo delle interessenze bancarie nelle industrie, le quali presero tecnicamente anche la forma di sconti cambiarî, senza però perdere la loro natura di immobilizzi, fu una delle cause della grave crisi finanziaria del 1931. Infatti, in conseguenza di complesse vicende politiche, finanziarie, sociali, fu deciso il 21 settembre 1931 di abbandonare la vecchia parità aurea prebellica, riconquistata a prezzo di gravi sacrifici, nel 1925, e la moneta nazionale fu sacrificata nell'intento di salvare dal crollo tutta l'economia produttiva del paese, la quale non aveva saputo o potuto adattarsi al nuovo livello dei valori che il ritorno alla parità aveva imposto, dopo oltre un decennio di prezzi mercantili in aumento. Ma una delle ragioni tecniche e finanziarie che, nelle contingenze, fu tra le più gravi e decisive del provvedimento di svalutazione, era la situazione di forte indebitamento verso l'estero in cui risultavano le banche a breve termine, per depositi ricevuti da stranieri. Questo fatto va ricordato perché in esso si trova la radice di ulteriori sviluppi odierni (febbraio 1938) di grande rilievo. Londra aveva ricevuto e lungamente ospitato, come comporta la sua tradizionale politica, ingenti capitali esteri, che si erano trasformati in sterline, attratti dalle vaste possibilità di investimento sia in forme bancarie, sia in titoli o altri impegni facilmente mobilitabili, e che, all'inizio del 1931, erano valutati a oltre 250 milioni di sterline. A fronte di questo ingente debito verso l'estero, la City aveva accantonato soltanto una modesta quota di proprie accettazioni bancarie, le quali risultavano giacenti per conto dell'estero, come investimento in sterline fatto per ordine e con disponibilità di stranieri. Un Report redatto da una commissione parlamentare nominata dal governo laburista allora al potere e presieduta dal Macmillan (dal quale prese il nome), pubblicato appena dopo la decisione della svalutazione della sterlina, diede per la prima volta dati completi e precisi sulla posizione debitoria internazionale delle banche inglesi, e chiarì, a posteriori, la necessità essenzialmente finanziaria, del provvedimento attuato nel settembre 1931. Era avvenuto, infatti, che Londra, nell'esercizio del suo potere selettivo e di smistamento dei capitali internazionali vaganti, a carattere bancario, cioè indifferenziati dall'aspetto dell'impiego produttivo - i quali avevano affidato alla City, per delegazione fiduciaria di potere, il compito di effettuare gli investimenti - aveva scelto e avviato questi capitali verso alcune destinazioni centro-europee nonché in Germania. Questi paesi, in conseguenza della loro particolare situazione di crisi, non avevano potuto prontamente e nuovamente trasformare in sterline, o in altre divise auree a circolazione mondiale, i finanziamenti ricevuti da Londra e immobilizzati; non avevano potuto rispondere alle richieste di rimborso con prontezza uguale a quella con cui i creditori esteri della City (i depositanti esteri di disponibilità trasformate in sterline) avevano sollecitato i banchieri inglesi.

L'errore in cui erano incorsi i finanzieri di Londra, era stato di non valutare adeguatamente i rischi degl'investimenti effettuati per intermediazione mondiale, in ordine alla liquidità degl'impieghi la quale avrebbe dovuto corrispondere alla medesima liquidità, illimitata, concessa dalle banche della City ai propiî depositanti. Fu un errore che si spiega con la mentalità tuttora prevalente in quei circoli finanziarî, adusati alla grande avventura degl'investimenti internazionali, e che si era formata nel lungo periodo di pace e di tranquillità eccezionale che caratterizza il sec. XIX, quando pericoli essenziali per la liquidità degl'investimenti non erano da prendere in seria considerazione. Cambiati sia la situazione politica sia i rapporti di potenza fra i varî paesi, rotto l'equilibrio fra i potenziali economico-finanziarî delle diverse nazioni, sarebbe stato opportuno che fossero modificati, in corrispondenza, anche i criterî con cui la City amministrava i poteri attribuitile, per tradizione, dal mondo. Ma questo non avvenne. E dalla rottura del sistema aureo, il quale non poteva più funzionare appunto a causa del profondo disequilibrio politico-economico retaggio della guerra, fu creata una nuova forma di regolazione economica, nella quale le banche, nei paesi a regime formale democratico-parlamentare, furono chiamate ad esercitare una prevalente funzione direttiva e tecnica.

Si tratta di espandere il credito concesso al paese, non in base alle richieste che si manifestino dalle attività economiche produttive del mercato, espressione delle decisioni di singoli imprenditori, ma alle esigenze finanziarie della tesoreria, la quale manovra il debito pubblico in quelle forme tipiche a breve scadenza (buoni del tesoro) che possono essere prese a base dalle banche per concedere anticipazioni ai loro clienti. Alla mancanza delle cambiali mercantili, si sopperisce con le "cambiali" della tesoreria (buoni). Questi titoli vengono emessi non più a fronte di un disavanzo temporaneo dei pubblici conti, come mezzo tecnico, assai utile, di "lubrificazione" della gestione della tesoreria, così come si faceva prima della guerra; ma vengono creati allo scopo di influire sul mercato creditizio interno, in modo da raggiungere, sostanzialmente, due finalità: a) una di carattere interno e che consiste nella facilitazione concessa a tutti i finanziamenti a scopo produttivo richiesti dal mercato in ripresa; b) l'altra di carattere internazionale e che tende a regolare, secondo le esigenze produttive interne, l'influenza esercitata sulla struttura bancaria e creditizia del mercato, l'afflusso o il deflusso aureo.

È questa l'essenza della nuova tecnica bancaria realizzatasi con i fondi di equalizzazione dei cambî esteri, i quali fanno gravare sul mercato creditizio interno la raccolta delle disponibilità necessarie ad assicurare il mercato stesso dalle conseguenze delle varie vicende della congiuntura finanziaria mondiale e dalle migrazioni auree che ne conseguono, destinando una parte, anche notevole, del potenziale creditizio del paese a questo scopo che è nettamente infruttuoso nei riguardi dell'economia produttiva del paese. A Londra si cominciò nel 1932 con un fondo di 250 milioni di Lst. aumentato successivamente a 550 milioni (1937), secondo le esigenze dell'afflusso di oro addensantesi nella City a seguito delle varie oscillazioni della fiducia mondiale sulle sorti della sterlina rispetto alle altre monete.

In questa complessa vicenda, nella quale le banche inglesi sono chiamate a contribuire con un apporto decisivo, la struttura creditizia londinese si è dimostrata, indubbiamente, dotata di alta capacità reattiva e guidata da abili direttive.

Le cinque grandi banche (Midland Bank; Lloyds Bank; Barclays Bank; Westminster Bank; National Provincial Bank), ciascuna secondo il proprio settore di specializzazione, hanno corrisposto egregiamente, dal punto di vista dell'interesse finanziario e imperiale anglosassone, alle esigenze della manovra della tesoreria. Hanno largamente accettato buoni del tesoro come garanzia di anticipazioni bancarie, quando era necessario espandere il credito e mantenere basso il costo del denaro (il quale dal 30 giugno 1932 e finora [febbraio 1938] è stato mantenuto fermo al 2%, per le operazioni dirette della Bank of England, e oscillante intorno a quella quota, per tutte le altre espressioni del mercato monetario libero). Hanno accompagnato con spostamenti tempestivi e sapienti, i loro impieghi, dagli sconti e dalle anticipazioni su garanzie produttive, verso gl'investimenti rappresentati da titoli di stato; quando la congiuntura economica consigliava una siffatta politica la quale, d'altronde, e considerata in astratto, non sembra affatto tecnicamente commendevole in quanto tende all'immobilizzo.

Hanno accantonato presso la Banca centrale un'adeguata disponibilità di riserve liquide, sotto forma di depositi, quando ciò era necessario per contenere la circolazione fiduciaria del paese.

Con questa azione intelligentemente affiancatrice dell'opera e delle direttive perseguite dalla tesoreria, le banche inglesi hanno saputo portare un contributo veramente prezioso alla manovra imperiale che ha fatto riconquistare, almeno finora (inizio del 1938), una posizione di preminenza mondiale alla sterlina.

Ma vi sono molte zone d'ombra in questa situazione finanziaria inglese, le quali riguardano l'importo dei capitali esteri a breve termine, depositati dai più diversi paesi a Londra in sterline, e che hanno chiesto alla City un semplice e temporaneo "diritto di asilo" senza volersi fissare in alcun circuito produttivo della Gran Bretagna. A fronte di questo incognito apporto del capitale apolide e vagante - una delle manifestazioni più gravi e moralmente più misere - della crisi mondiale del capitalismo, c'è la massa costituita dall'oro accantonato presso il "fondo di equalizzazione", il quale può stimarsi a circa 600 milioni di sterline. Una massa di manovra che sembra dare tutte le possibili e concrete garanzie per assicurare una relativa tranquillità di gestione al mercato creditizio inglese, nel senso ch'essa può mantenerlo indenne, com'è presumibile, dalle conseguenze turbatrici che in esso potrebbero manifestarsi a causa di ritiri massivi, subitanei, urgenti dei capitali bancarî internazionali che hanno trovato temporaneo asilo a Londra.

Così il sistema bancario della City si dimostra formato da due zone. sostanzialmente identiche ma che tecnicamente si cerca di mantenere il più possibile distinte e separate: il settore destinato a raccogliere e ad amministrare le giacenze internazionali, non pertinenti per forze proprie al mercato imperiale della City; e il settore più propriamente bancario interno, relativo ai bisogni creditizî del Commonwealth e che deve fronteggiare la richiesta di finanziamento del sistema economico che fa capo a Londra. L'anello di sutura fra questi due settori è costituito dalla Treasury, la quale ha assunto una sempre più accentuata natura anfibia. Funziona come banca in quanto amministra le disponibilità monetarie raccolte, oltre ogni bisogno del bilancio inglese, e destinate a fronteggiare le esigenze eccezionali del bilancio dei pagamenti del Regno Unito; funziona, come organo tecnico nella gestione del bilancio finanziario e cioè secondo la tradizione.

Questa situazione di fatto che coinvolge un complesso e profondo spostamento nella struttura, nella manovra e nei sistemi organici dell'ordinamento creditizio anglosassone, trova un adeguato riscontro anche in America. Qui, però, le ragioni peculiari che hanno portato alla trasformazione del sistema bancario inglese e che sono dovute, sostanzialmente, al bisogno di regolare la situazione debitoria di Londra come centro di smistamento mondiale delle disponibilità creditizie a breve termine, sono state meno gravi e urgenti di quelle che hanno operato nella City. In America la trasformazione del sistema bancario nel senso di sottoporlo al controllo della tesoreria, sia come direttive di impiego, sia come indispensabile organismo capillare per l'attuazione delle provvidenze decise dal governo centrale, si è realizzata, dall'aprile 1933 in poi, secondo una linea precisa di riforma legislativa. Essa ha un deciso carattere unificatorio delle varie disposizioni, frammentarie, storiche, e spesso inattuali, nelle quali si era cristallizzata l'emissione bancaria e creditizia della confederazione, come conseguenza dell'immanente lotta fra le libertà locali dei singoli stati e la necessità imperiosa di un sistema organico unitario.

In sostanza le banche americane sono state chiamate a collaborare con la tesoreria confederale al collocamento di tutti i prestiti che, per miliardi di dollari, ha emesso il governo centrale per fronteggiare la crisi e per mitigarne gli effetti. Questa esigenza è quella che ha richiesto la modificazione tecnica e strutturale più notevole di quel sistema bancario. Esso era prima gestito secondo i criterî tradizionali, i quali erano interpretati dal Consiglio federale bancario (Fed. Reserve Board) mediante regulations, cioè norme destinate a individuare, dal punto di vista giuridico e finanziario, le operazioni bancarie permesse agl'istituti aderenti al sistema bancario federale.

Si trattava di sconti di cambiali commerciali a 90 giorni; di acquisto di accettazioni bancarie assunte a fronte di operazioni di importazioni o di esportazioni di merci specificatamente indicate; di anticipazioni di titoli di stato o altri valori di largo e sicuro mercato. Le disponibilità amministrate dalle banche, in deposito, dovevano, inoltre, essere assistite dalla garanzia reale costituita da una giacenza di denaro che i singoli istituti dovevano accantonare, in percentuali variabili, presso banche federali da cui dipendevano per territorio. Questa particolare forma di garanzia obbligatoria, peculiare dell'ordinamento bancario americano, aveva costituito uno dei mezzi tecnici di manovra usati dalle autorità centrali di controllo, per intervenire nella gestione del credito del paese e regolarne gli sviluppi. Altro mezzo di intervento era costituito dalla compera e dalla vendita, decisa da un organo centrale che ha avuto la sua sistemazione statutaria soltanto nel 1935, di titoli di stato, di largo mercato, posseduti dalle banche centrali di riserva e che erano usati come mezzo, rapido e pronto, per aumentare o diminuire il potenziale di vendita di cui le banche disponevano.

Questi due mezzi tecnici di intervento sono stati largamente usati per trasformare e controllare, con aderenza alle nuove necessità, il sistema bancario americano. Si è permesso, in un primo momento, alle banche federali di emettere biglietti non soltanto a fronte di cambiali commerciali di prim'ordine (nei limiti di una copertura aurea di almeno il 40%), ma anche a fronte di titoli di stato e anche oltre i limiti della giacenza aurea. Si è, in tal modo, trasformata la base del sistema monetario e anche creditizio americano, sopperendo, come altrove, alla mancanza di titoli commerciali, originati dalle transazioni mercantili ordinarie ed estremamente limitate dalla crisi, con la garanzia costituita da titoli di debito pubblico, i quali hanno consentito di mantenere al mercato quel potere espansivo creditizio che è indispensabile per la sua gestione.

Ma, in conseguenza delle favorevoli risultanze del bilancio dei pagamenti con l'estero, si è anche provveduto a regolare gli effetti dell'afflusso di oro in America, attratto dalle possibilità di guadagno che si manifestavano in conseguenza della decisa svalutazione del dollaro. Siccome ogni importazione di oro crea di per sé la base per una notevole espansione di credito, pari a due volte e mezzo quell'importo; si creò nel dicembre 1936, un fondo di sterilizzazione dell'oro alimentato dal gettito di dollari ottenuti con l'emissione di titoli di debito pubblico sul mercato interno, in modo da accentrare nelle casse della sola tesoreria il metallo venuto dall'estero, e da evitare ogni effetto sul sistema bancario americano (fondo che fu in seguito soppresso; v. stati uniti: Finanze, App.).

Inoltre si è aumentato notevolmente, fino a 5 volte, il margine di giacenze liquide, da custodire presso le banche centrali a fronte dei depositi amministrati dagli istituti bancarî; e anche questo mezzo è servito ad evitare una pericolosa espansione del credito bancario interno resa possibile, tecnicamente, dall'afflusso eccezionale di oro mondiale a New York. Si calcola che in America (gennaio 1938) abbiano cercato rifugio, nelle banche o tramite quegli sportelli, circa 9 miliardi di dollari di capitale estero, di cui 3 sotto forma di investimenti a lungo termine; e 4 come vera e propria giacenza bancaria a carattere speculativo. Queste cifre che dànno l'ordine di grandezza dello spostamento che si è verificato nel potenziale di credito fra i diversi paesi, giustificano e spiegano la trasformazione tecnica e strutturale del sistema bancario americano, il quale, nel suo complesso, deve sostenere la pressione eccezionale esercitata dalle forze finanziarie mondiali prive di un autoequilibrio. Infatti a fronte di questo afflusso di capitali, si sono costituite le seguenti riserve straordinarie (in miliardi di dollari): 1,1 di oro sterilizzato; 1,8 di oro del fondo di stabilizzazione; 3 di riserve creditizie eccezionali costituite presso le banche mediante l'aumento del margine di copertura dei depositi; 0,8 di riserve ulteriori esistenti nelle banche medesime oltre quel margine; cosicché si sono dovuti accantonare oltre 6,7 miliardi di dollari di riserve, le quali hanno limitato di altrettanto il margine espansivo creditizio che, altrimenti, avrebbe potuto costituire un immanente pericolo di inflazione veramente grave e turbativo. Comunque, nonostante tutte queste limitazioni, il complesso delle disponibilità amministrate presso le banche americane, è tuttora dell'ordine di grandezza di 50 miliardi di dollari, cioè più che sufficiente per fronteggiare ogni e qualsiasi fabbisogno del mercato, senza dover richiedere l'intervento di misure inflazionistiche o espansive. Questo è il quadro della situazione bancaria anglosassone, quale risulta in conseguenza delle trasformazioni subite per la crisi.

In Europa, la situazione risulta meno complessa, sia in Francia, sia in Germania, in quanto entrambi questi paesi non si sono trovati inclusi, specie il secondo, nel movimento oscillatorio dei capitali apolidi, speculativi e bancarî.

In Francia, almeno in apparenza, la struttura e i criterî di amministrazione del sistema bancario non risultano profondamente cambiati per effetto della crisi. Molte ragioni spiegano questo fenomeno: il ritardo di tre anni sulle altre nazioni con cui è maturata la crisi politico-economica nel paese (1935-36); la possibilità di affrontarla in condizioni certamente favorevoli, in conseguenza di un accantonamento aureo costituito da oltre 82 miliardi di franchi oro e che lasciava un margine, eccedente i normali bisogni del mercato, di circa 30 miliardi, come massa di manovra per fronteggiare straordinarie evenienze del bilancio dei pagamenti internazionali. Inoltre esisteva un'amministrazione bancaria saldamente fondata su una distribuzione funzionale di operazioni, per la quale le banche di deposito e sconto si erano mantenute libere da gravi immobilizzi, lasciando alle banques d'affaires, agl'istituti di credito mobiliare, il compito di effettuare le operazioni di collocamento dei titoli emessi dalle aziende per raccogliere il capitale loro necessario.

Le ragioni più gravi di perdite bancarie, di immobilizzi, di interventi statali, di modificazioni legislative, erano, dunque, evitate. Esisteva soltanto un pericolo: la mancanza di elasticità nei congegni tecnici, per operare prontamente una trasformazione degli investimenti, quando le condizioni del mercato mondiale ne avessero manifestato l'opportunità. Infatti l'importazione di oro, eccedente i bisogni di credito del mercato, aveva dato bensì luogo ad una emissione di biglietti; ma questi erano stati rigurgitati dal mercato, e depositati nelle banche e da queste nell'istituto centrale. In modo che a fronte dell'incremento aureo eccezionale, c'era, come contropartita, un notevole importo di depositi costituiti sia presso la Banque de France, sia presso le banche private: depositi che rappresentavano una possibilità di espansione di credito se e quando se ne fosse dimostrata l'opportunità. Quando s'iniziò, nel 1935, l'emorragia aurea che ha fatto perdere alla Francia in poco meno di due anni, oltre 35 miliardi di franchi oro, il circuito creditizio correttivo che avrebbe dovuto svolgersi nel senso inverso a quello che si era verificato nella fase di accumulazione aurea, non poté manifestarsi a causa delle complicazioni sopravvenute nello spirito pubblico e nella fiducia del paese nelle sorti della propria moneta. Si esportò non soltanto l'oro che era stato ospitato per conto dell'estero e che all'estero era giusto che ritornasse, ma si esportò, anche, una notevole parte di oro di pertinenza del mercato francese, cioè necessario all'alimento creditizio della nazione. Questa duplice sottrazione della base monetario-creditizia del mercato influì gravemente sulla compagine bancaria francese, in quanto gl'istituti che avevano effettuato investimenti con i depositi loro affidati, per essere in grado di ridurre i loro impieghi a fronte dei rimborsi loro richiesti sui depositi (per il capitale nazionale in cerca di rifugio all'estero), furono costretti ad attuare una politica di restrizione di fidi, la quale avrebbe condotto a gravi difficoltà d'ordine economico-sociale, se non fosse intervenuta la riforma monetaria del settembre 1936 a svalutare il franco di oltre il 40% del suo peso in oro fissato da Poincaré-Moreau nel 1928.

Può sembrare, dunque, che in Francia la moneta sia stata sacrificata allo scopo di salvare la compagine creditizia del paese. Ma ciò non è esatto, perché mentre nella Gran Bretagna le banche risultavano, nel 1931, gravemente impegnate verso l'estero per tutti i depositi ricevuti a breve termine da molte nazioni, questo indebitamento bancario della Francia verso il mondo era del tutto trascurabile nel momento in cui si verificò la crisi del franco. Poiché una delle caratteristiche del sistema creditizio francese è, appunto, la sua riluttanza ad assumere tutte le funzioni di grande centro di smistamento finanziario mondiale. Tanto è vero che appena fatta la riforma monetaria del 1928, si cercò, invano, da parte di eminenti personalità finanziarie di Parigi, di creare una banca per le accettazioni internazionali, la quale avrebbe potuto esercitare le funzioni di stanza di compensazione delle disponibilità bancarie mondiali, che si fossero trasformate in franchi per trovare un investimento temporaneo. Ma questo disegno che avrebbe potuto, davvero, assicurare a Parigi un sicuro sviluppo internazionale, non poté essere realizzato e quindi mancò il mezzo tecnico efficace per attirare in Francia questi capitali bancarî e vaganti.

Dunque la crisi del franco ha origini non bancarie o creditizie interne, ma cause molto più complesse di natura psicologico-politica che non è qui il caso di individuare e le quali sono più che sufficienti per spiegare la gravità del colpo che è stato inferto alla struttura economica del paese. Può dirsi che in questo profondo travaglio nel quale è impegnata tutta l'attrezzatura produttiva e sociale della Francia, le banche non abbiano sofferto di molto a prescindere da qualche settore particolare (banche popolari) che ragioni politiche hanno consigliato al governo del fronte popolare di sostenere con pubblici contributi; il complesso delle banche francesi è restato immune da profonde trasformazioni.

La Germania, che, per ragioni note, può considerarsi uno dei punti focali della crisi finanziaria mondiale, si è trovata, all'inizio di essa con un'attrezzatura bancaria indubbiamente forte, articolata e differenziata strutturalmente, in modo da poter corrispondere ad ogni esigenza del mercato nazionale. Ma i rapporti debitorî costituiti a suo tempo con altri paesi, durante gli anni della ricostruzione, avevano imposto all'organizzazione creditizia germanica, guidata da H. Schacht, una cauta gestione allo scopo di costituire quei margini attivi nella bilancia dei pagamenti, che erano necessarî al soddisfacimento dei debiti assunti e al loro servizio finanziario. L'aggravarsi delle condizioni economiche mondiali, dopo il 1930, impedì alla Germania di fronteggiare tutti i gravami che essa si era assunti verso l'estero, e mediante accordi internazionali fu iniziato uno stretto e severo controllo del bilancio dei pagamenti tedesco, in modo da sganciare progressivamente il mercato interno dalle risultanze dei conti internazionali, e gestire il credito del paese secondo le esigenze produttive di questo e non subordinandolo a vicende mondiali. Questo orientamento creditizio che si è esteso, poi, a molti altri paesi privi di adeguati imperi coloniali e fortemente importatori di materie prime, attribuisce un primato temporale alla Germania, il quale spiega le ragioni che hanno permesso al sistema bancario tedesco di organizzarsi su basi di autonomia finanziaria, prima e più rapidamente che in altri paesi.

Le grandi banche tedesche prebelliche, ridotte per fusione da quattro a due, le banche berlinesi, le banche di diritto pubblico che costituiscono le maggiori espressioni di questo complesso organismo bancario, a carattere creditizio ordinario, in conseguenza delle necessità finanziarie nelle quali si vennero a trovare per la crisi, furono assunte tutte, direttamente o indirettamente, dallo stato. La gestione così condotta mirò a finalità d'ordine pubblico anziché verso scopi privatistici e di lucro o concorrenziali. Si stabilirono tariffe tipiche per i saggi di rimunerazione e di investimento bancario; si cominciò a regolare, con criterî unitarî e di unificazione legislativa, tutta la complessa congerie di norme, statuti, leggi speciali regolanti la vita delle singole banche. E questa riorganizzazione trovò il suo più completo e organico sviluppo nello statuto bancario del Reich del 5 dicembre 1934, il quale ha stabilito un controllo adeguato, tecnico, finanziario, economico e giuridico su tutte le banche tedesche, con criterî unitarî, con una visione coordinata e comprensiva delle esigenze creditizie del paese. In Germania, come in tutti i paesi a forte ritmo demografico ed elevata espansione produttiva, si è sempre notata una relativa scarsezza di capitali, nascenti dal risparmio nazionale, rispetto alle esigenze dell'organizzazione produttiva. Questa caratteristica, che è anche comune all'Italia, come si vedrà, ha dato luogo a una gestione bancaria la quale ha, sempre, forzato i tempi dell'accumulazione: ha, spesso, trasformato in investimenti a lunga ripresa, di carattere produttivo ma immobilizzati, le giacenze monetarie affidate agl'istituti di credito dai risparmiatori ancora indecisi sull'impiego da dare alle proprie disponibilità, le quali avrebbero dovuto, nell'incertezza, restare investite in impieghi di pronta liquidità.

Questa divergenza fra le esigenze, spesso inconsapevoli, dei depositanti e le necessità inderogabili dell'organismo produttivo nazionale, bisognoso di risparmio per attrezzarsi, aveva spinto le banche tedesche a investire in impieghi di dubbia liquidità, anche se redditizî, le disponibilità loro affidate. Tutto ciò poteva costituire un pericolo anche grave per la stabilità delle banche fino a che queste erano amministrate con criterî e con gestione privatistica, come settore a sé stante del mercato, ed erano prive di un comando organico accentrato e totalitario. Ma non è affatto un danno, quando si costituisca un ordinamento economico controllato dallo stato, il quale abbia anche il dominio tecnico delle banche, nel senso di guidarne la gestione.

È quanto ha fatto la Germania, per opera di un tecnico di alto valore, lo Schacht, il quale è stato il fedele interprete delle direttive politiche di Hitler e del nazismo. Ormai le banche tedesche, sia che rimangano durevolmente sotto l'amministrazione indiretta dello stato, sia che le azioni e il comando che da esse promana siano nuovamente ceduti ai privati, fanno parte unitaria di tutto il settore economico dove è decisiva la volontà e la guida dello stato. Mediante le possibilità tecniche che offre una così fortunata combinazione di cose, la Germania di Hitler ha potuto compiere grandi cose. Il credito è stato usato per mobilitare, con il tramite di accettazioni bancarie create con la firma di grandi istituti bancarî, tutte le giacenze disponibili là dove si formavano. La Reichsbank, cassa centrale di emissione dei biglietti, esonerata dall'obbligo della copertura aurea, ha potuto funzionare da stanza di compensazione di tutte le giacenze bancarie esistenti nel paese. Questa manovra di mobilitazione di ogni possibilità creditizia ha reso possibile non soltanto il grandioso piano di ricostruzione, ma ha, altresi, contribuito a consolidare il bilancio della tesoreria, mediante il collocamento di circa 6,7 miliardi di Rm. di titoli pubblici di cui circa 4 sottoscritti dal pubblico risparmio.

L'Italia ha avviato a una sistemazione organica la propria struttura bancaria per iniziativa del regime che ha emanato norme adeguate, tempestivamente procedendo per gradi, come è necessario in un settore così complicato quale è quello creditizio. Per chiarire le particolarità tecniche del sistema bancario italiano ci riferiamo a quanto si è detto, in genere, per la Germania. Anche in Italia esisteva una gestione promiscua di giacenze monetarie e di risparmî, di depositi a breve termine e di disponibilità destinate all'investimento produttivo; promiscuità che era una conseguenza di molte cause storiche e politiche, ma che andava affrontata con consapevolezza e con visione precisa della necessità di una chiarificazione. Con l'istituzione dell'ispettorato per la tutela del risparmio e la disciplina nell'esercizio del credito (marzo 1936) è stato creato l'organo tecnico adeguato per una organizzazione accentrata ed efficiente del mercato creditizio nazionale. Non a caso quest'organo è stato costituito quando il controllo del bilancio dei pagamenti italiano, affidato con adeguato sistema di norme e di controlli preventivi e concomitanti, aveva assicurato che il mercato creditizio italiano sarebbe stato difeso dalle conseguenze delle alterne vicende del mercato finanziario mondiale. Poiché soltanto quando si sia provveduto a rendere indipendente il settore creditizio nazionale da quello mondiale, il quale, poi, risulta, di fatto, dominato dalle direttive di Londra e di New York, si può pensare in concreto a una gestione bancaria corrispondente ai veri bisogni produttivi della nazione: così come è stato fatto in Italia e in Germania.

In conclusione può dirsi che il credito, in ogni sua manifestazione, come sistema organico di amministrazione, sia dominato da precise direttive in tutti i paesi. Con la differenza che il comando è, in alcuni, assai spesso regolato secondo finalità che risultano turbative ed espansive a danno dei paesi esclusi dal sistema; mentre in altri si tratta di norme difensive che cercano di evitare, al mercato nazionale, le conseguenze e le influenze, spesso gravemente nocive, delle manovre altrui.

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