BAMBOLA

Enciclopedia Italiana (1930)

BAMBOLA (fr. poupée; sp. muñeca; ted. Puppe; ingl. doll)

Giovanna Dompè

Dalla bambola giocattolo bisogna distinguere - per quanto la distinzione non sia sempre e dappertutto facile a farsi - la bambola manichino e la bambola feticcio o figura magica che troviamo presso molti popoli antichi e moderni.

In sostanza identica, variante col variare degli ambienti di cui riflette usi e gusti, la bambola appare fin dalla preistoria: si trova nelle antichissime tombe peruviane, così come rallegrava, a detta di Cortés, Montezuma e la sua corte. Babilonia ce ne ha lasciata una di alabastro con le braccia mobili. Bambole con membra snodabili v'erano anche nell'antico Egitto, ricavate semplicemente da assicelle di legno dipinto a simulare le vesti. Accanto ad esse compaiono quelle di stoffa a testa di legno, vestite ed acconciate come donne adulte. I Greci e i Romani avevano bambole di argilla, di legno, di osso, a volte col corpo di cuoio o di stoffa, spesso articolate, e non prive della loro graziosa minuscola suppellettile, come il bel lettino incrostato di avorio descrittoci da Pausania nel tesoro di Era a Olimpia e gli oggetti trovati negli scavi: mobilucci, piattini e simili. È noto l'uso dell'offerta di bambole e altri giocattoli, da parte delle fanciulle prima di andare a nozze, ad Afrodite e Artemide, ai Lari e ai Penati (Anth. Pal., VI, 280; Pers., Sat., II, V, 70). L'uso di porre bambole nelle tombe dei bimbi si continuò fino all'era cristiana, poiché se ne sono trovate nelle catacombe. Bambole d'avorio erano nella tomba della figlia di Stilicone.

Nel Medioevo le notizie sulle bambole sono più scarse. In realtà le bambole stesse dovevano essere più rozze, di legno per la maggior parte, e perciò andarono più facilmente distrutte. Se ne sono trovate di argilla in Germania e in Francia, e che si usasse anche materiale fragile nella loro fabbricazione è provato dalla pia narrazione di un miracolo di S. Elisabetta, a cui rimasero intatti certi giocattoli che ella aveva lasciato cadere.

Nel Rinascimento il raffinarsi del gusto e dei costumi influisce anche sulla produzione dei giocattoli e sulle bambole in specie; esse si moltiplicano e acquistano carattere particolarmente artistico. La loro storia coincide con quella della moda: compare infatti accanto alla bambola giocattolo, e dura sino al principio dell'Ottocento, la bambola manichino, messaggera della moda, dono diretto attraverso le bimbe alle mamme, e che sfuggì perciò più facilmente alla distruzione cui erano condannate le pupattole modeste.

I conti delle corti, soprattutto di Francia, presentano frequentemente cifre notevoli per l'acquisto o l'invio di queste bambole di lusso (v. Tallemant des Réaux, Historiettes, I, p. 175, su una bambola che con le sue vesti e suppellettili costava ben 2000 scudi).

A che punto giungesse lo splendore e l'accuratezza del loro abbigliamento ci mostra la descrizione del sontuoso corredo della famosa pua donata nel 1484 dalla duchessa di Ferrara, Eleonora d'Aragona, ad Anna Sforza, la undicenne fidanzata di Alfonso d'Este (v. L. A. Gandini, Di una pupattola del sec. XV, Modena 1886). È doloroso però che di questa produzione abbondante ed elegante solo pochissimi saggi ci siano rimasti.

Si evolveva intanto anche il modo di produzione e di smercio, attraverso un abile artigianato, la cui posizione nelle corporazioni non ci è però chiarissima. Mentre altre nazioni e soprattutto l'Italia producevano bambole di lusso, centro della produzione a carattere popolare a buon mercato come un ramo dell'industria del legno si affermava, a cominciare dal 1400, la Germania, con la Turingia, ma soprattutto con Norimberga.

La produzione ingenua e caratteristica dell'industria domestica locale conquistò presto i mercati mondiali per opera di abili incettatori, e a cominciare dai secoli XVII e XVIII vi furono artigiani che si dedicarono esclusivamente alla produzione di bambole.

Le bambole rifletterono man mano la pomposità del Seicento, la grazia leziosa del Settecento, il neo-classicismo del primo Ottocento. Ebbero delle casette che furono miracoli di finezza e di pazienza, soprattutto nei paesi nordici, dove queste costruzioni animate da minuscoli personaggi facevano riscontro alle composizioni dei nostri presepî, per quanto proprio dall'Italia ci venga uno degli esempî più artistici: la casina settecentesca del Museo civico e industriale di Bologna. Non mancò alle piccole rivoluzionarie di Francia la minuscola ghigliottina, destinata a decapitare le bambole aristocratiche, che suscitò l'orrore della madre di Goethe quando questi la incaricò di procurargliene una per farne un regalo.

Alla fine del sec. XVIII comparve dall'Inghilterra come cosa di gran lusso, annunziata per la prima volta nel Journal des Modes del 1791, un tipo di bambola scaduto poi a giocattolo popolarissimo: la bambola ritagliata nel cartone, con vestiti anch'essi di cartone.

Il sec. XIX introdusse alcune importanti novità nella fabbricazione delle bambole: verso il 1860 si cominciò a Norimberga ad usare la cartapesta, che sostituì efficacemente, per le teste, il legno e la cera, e il francese Jumeau introdusse le bambole con testa di biscuit o di porcellana, iniziandone la produzione nel 1862.

Un'altra novità fu l'articolazione, ottenuta non più per mezzo di fili, ma con le pallottole, che prima erano usate solo per i manichini da pittore. Compaiono anche gli occhi mobili, i capelli naturali, che sostituiscono la lana, i suoni che imitano la voce umana. La testa e le mani si continuarono sempre a confezionare a parte. Il corpo era di cuoio o di stoffa, riempito di stracci, di segatura, di crusca, e condannato a sfasciarsi ben presto nelle mani infantili; all'impiego di metalli, gomma, celluloide e stoffe preparate.

La bambola più comune rimane sempre però, anche al giorno d'oggi, quella di cartapesta. Per confezionarla si fabbrica prima il pastello, con carta bollita, segatura e gesso, poi si preparano le forme in pasta separatamente per le gambe, le braccia e il busto. I pezzi vengono essiccati e rifiniti e poi dipinti da specialisti. Le teste di biscuit, di celluloide o di cartone, vengono munite di occhi fissi o mobili, ed eventualmente del soffietto che imita la voce umana. Si procede quindi alla montatura dei varî pezzi. Da ultimo si posano le parrucche, di capelli naturali o della speciale lana moire di provenienza inglese, che prende la forma di riccioli attraverso un'operazione di bollitura. Infine le bambole vengono vestite.

Le nuove invenzioni meccaniche, che esercitarono tanta influenza sui balocchi destinati ai ragazzi, ne ebbero ben poca sulle bambole destinate alla fanciulla, che, per sua natura, è più conservatrice. Solo il gusto moderno ha spezzato la lunga ininterrotta tradizione della bambola vestita da adulta, preferita dalle bimbe per istinto d'imitazione, introducendo la bambola vestita da bambina o da neonato, o sogtituendola addirittura con modelli animaleschi. Ma oggi come ieri la bambola ha il suo posto in ogni casa dove c'è una bimba. Soltanto nei paesi musulmani le bambole sono meno frequenti, per il divieto religioso di rappresentare la figura umana. Del resto, anche in Occidente, pur senza l'esistenza di quel divieto il Vives (De institutione christianae feminae, 1523) dichiarò le bambole imago quaedam idolatriae et quae comptus ac ornatus cupiditatem docent.

Le bambole sono ancora connesse in India ad antichissime costumanze, quali i finti matrimonî tra loro. Ma soprattutto nel Giappone esse godono della massima venerazione, fino ad avere una festa speciale loro dedicata, Hinamatsuri, che si celebra il 3 di marzo e che corrisponde ad analoga festa per i pupazzi dei maschietti, celebrata il 6 giugno. In quel giorno le bamtiole, tanto più antiche e numerose quanto più la famiglia è nobile e ricca, poiché si tramandano di madre in figlia, vengono esposte fra lampade e fiori nella casa e ricevono dalle bimbe riverenze ed offerte.

Questi e simili usi in cui la bambola ha insieme del giocattolo e dell'idolo ci mostrano una volta di più le connessioni ormai evidenti tra il giuoco e il rito, come risulta anche meglio dall'esame di certe costumanze di selvaggi; per esempio l'uso delle giovani Wasaramo che portano costantemente con sé, dalla pubertà a quando hanno il primo figlio, un pupazzo che in casa occupa un posto speciale su uno sgabello; o l'uso patetico, che ha probabilmerite un significato magico, delle Pellirosse, fra cui la madre orbata porta su di sé le bambole e i giocattoli dei figli morti. Una sopravvivenza magica (le bambole tenute sul focolare come buon augurio) vigeva nel Friuli fino a non molto tempo fa (v. R. M. Cossar, in Il Folklore Italiano, III, pp. 267-68).

L'industria delle bambole. - È una di quelle che conservano più tenacemente il carattere dell'artigianato.

L'epoca napoleonica, col passaggio dalla piccola alla grande industria, portò delle innovazioni nel commercio dei giocattoli. Fino al 1800 non seguiamo chiaramente la diffusione del giocattolo dopo l'opera dell'intagliatore e dell'incettatore. Certo sappiamo che la vendita nelle botteghe non era comune, ma si faceva piuttosto per offerta diretta, a mezzo di cataloghi di cui ci rimangono alcuni esemplari. Dopo il 1850 l'industria fu favorita dallo sciogliersi delle corporazioni, che inceppavano lo sviluppo dei rami secondarî.

Un'industria vera e propria della bambola comincia in Italia solo dopo il 1870, con la fabbrica di Canneto sull'Oglio (Mantova) seguita da altre nella Lombardia (Milano, Brescia, Como, Varese) la quale rimane ancora il centro principale di produzione del tipo corrente (cartapesta, gomma, legno, celluloide ecc.); nel Piemonte (Torino); nella Toscana (Firenze); nel Veneto (Venezia, Udine, Verona); nella Campania (Napoli); nel Lazio (Roma, specializzata in bambole di stoffa e bebés). Mantova si è specializzata in bambole di porcellana del tipo di lusso, con teste finemente modellate, capelli veri, occhi movibili; Firenze in bambole infrangibili di cartapesta; Roma in bambole snodabili e lavabili; Napoli e Foggia in mobili e utensili da bambola. Ricordiamo poi la caratteristica industria dei montanari della Val Gardena (Alto Adige), che produce anche modeste bambole di legno. Tale industria fu iniziata indipendentemente da Norimberga, per quanto si facesse ricorso per molto tempo agli artigiani di Oberammergau per la dipintura, nella seconda metà del sec. XVIII, e al principio del secolo scorso contava già trecento intagliatori su una popolazione di 3500 persone; essa va ora rifiorendo dopo un periodo di decadenza dovuto alle dogane protettrici del legno.

Ma la grande tradizione italiana della bambola d'arte, più ornamento che giocattolo, rivisse attraverso il gusto e l'abilità dei nostri artefici e conquistò subito i mercati mondiali con l'apertura (Torino 1919) della fabbrica Lenci, che produce bambole interamente di feltro, formate e cucite a macchina, poi dipinte ed abbigliate con gusto squisito da specialisti.

Carattere di bambola d'arte hanno anche le figurine di legno che si producono da qualche tempo in Sardegna sotto la direzione di artisti e che rappresentano, con fine senso caricaturale e con precisione di dettagli, tipi e costumi locali. L'industria dei giocattoli, la cui produzione è rappresentata per il 60-70% da bambole, conta oggi in Italia circa 150 fabbriche con circa 3000 impiegati. Queste cifre non possono però essere sicurissime, perché accanto alle fabbriche vere e proprie che spesso producono altri oggetti, oltre a bambole e giocattoli, vige ancora l'artigianato per la produzione di pezzi staccati da parte di specialisti; pezzi che vengono poi messi insieme in appositi laboratorî. Tale sistema di divisione del lavoro permette una piacevole precisione nella qualità delle bambole e nella rifinitura dei dettagli, teste, corpi e vesti.

Il nuovo impulso dato recentemente allo sviluppo e alla protezione dell'industria nazionale del giocattolo, ha fatto ultimameute aumentare di molto l'esportazione delle nostre bambole. Mentre nel 1913 si esportarono 13.000 kg. di giocattoli in genere, nel 1927 e nel '28 l'esportazione fu per le sole bambole di 22.000 kg. di bambole ordinarie e 36.000 kg. di bambole speciali all'anno, per un valore di circa 5.000.000 di lire. I mercati di esportazione, dapprima solo Brasile e Germania, sono ora, oltre i principali paesi Europei, gli Stati Uniti, l'Argentina, l'Egitto, ecc. (V. Tavv. a colori).

Bibl.: Per la storia della bambola e per le bambole in genere v. specialmente: L. Beq de Fouquières, Les jeux des anciens, Parigi 1869; L. Claretie, Les jouets, Parigi 1894; E. Vuiller, Plaisirs et jeux, Parigi 1900; H. R. d'Allemagne, Histoire des jouets, 2ª ed., Parigi 1927; F. Nevill Jackson, Toys of other days, Londra 1908; E. Lovett, The child's doll: its origin, legend, and folklore, Londra 1915; Das Puppenbuch (a cura di Erich Reiss), Berlino 1921; P. Calmette, Les joujoux, Parigi 1924; F. Malaguzzi-Valeri, Arte gaia, Bologna 1926, cap. II; K. Gröber, Kinderspielzeug aus alter Zeit, Berlino 1928 (con bibliografia); E. Singleton, Dolls, New York 1928; E. Taube, Allerlei Puppen und ihre Bekleidung, Lipsia 1928; M. von Böhn, Puppen, Monaco 1929 (con bibliografia). Per la bambola presso i varî popoli cfr.: Tylor, Primitive culture, Londra 1873; J. W. Fewkes, Dolls of the Tusayan Indians, in Internat. Archiv für Ethnogr., VII (1894); A. Caswell Ellis e G. Stanley Hall, A study of dolls, Worcester 1896-97; A. MacDonald, Man and abnormal man, in U. S. Senate Documents, IX (1905), n. 187, p. 275; F. Rumpf, Spielzeug der Völker, Berlino 1922. Per la pedagogia e la psicologia: E. Groos, Die Spiele der Tieren, Berlino 1895; id., Die Spiele der Menschen, Berlino 1899; id., Das Seelenleben des Kindes, Berlino 1923; J. Sully, Studies of childhood, Londra 1895; Bösch, Die Puppe als Spielzeug für das Kind, in Kind und Kunst, 1904-05; F. Queirat, Les jeux des enfants, Parigi 1905; Y. Hirn, Les jeux d'enfants (tr. fr.), Parigi 1926.

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