UBALDI, Baldo degli

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020)

UBALDI, Baldo di Francesco degli (Baldus de Perusio, Baldus de Ubaldis)

Ferdinando Treggiari

Nacque a Perugia il 2 ottobre 1327, primogenito del medico Francesco di Benvenuto de Ubaldis e di Monalduccia di Angelo. Ebbe due fratelli, Pietro e Angelo, e una sorella, Benvenuta.

La data di nascita del 2 ottobre 1327, annotata da un nipote ex filio di Baldo su un foglio dell’attuale ms. Città del Vaticano, Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 1409, c. 96v, supera la supposizione della nascita nel 1319, deducibile dalla attestazione finale del trattato De pactis, che dichiara il 1340 come ventunesimo anno di vita di Baldo.

Nel 1341 la famiglia risiedeva a Perugia nel rione di porta Eburnea, parrocchia di S. Angelo. Nel 1361 Baldo, Pietro e Angelo vivevano ancora insieme, in comunione di beni, in porta S. Pietro, parrocchia di S. Lucia, in una casa dal cui ampliamento deriverà il primo dei due palazzi familiari perugini.

I tre fratelli condivisero anche la carriera giuridica. Furono insieme per vari anni docenti nello Studio di Perugia: Baldo e Angelo lettori di diritto civile, Pietro lettore di diritto canonico (così nei primi anni Cinquanta del Trecento, nel quadriennio 1364-68 e nell’anno accademico 1382-83; Baldo e Pietro furono insieme docenti anche nello Studio di Firenze dal 1361 al 1363). L’esempio di questa rara triade giuridico-accademica influenzò le scelte professionali dei discendenti: diciotto sono i ritratti dei giuristi della famiglia affrescati nella Sala dei Legisti dell’altro palazzo familiare di Perugia. Gli Ubaldi/Baldeschi si fregiarono di un’arme, d’oro a due fasce di nero, già presente sia nel sigillo professionale, sia sulla lastra tombale di Baldo.

Baldo si formò nello Studio di Perugia negli anni Quaranta del Trecento, seguendo i corsi dei civilisti Giovanni Pagliaresi, Francesco Tigrini (post 1345), Bartolo da Sassoferrato (il maestro «qui multum contulit ingenio»: In usus feudorum commentaria, tit. Si de feudo fuerit, § Vasallus) e del canonista Federico Petrucci (ante 1343, ricordato da Baldo nel commento a C. 1, 3, 48 (49), 8). Incerto è l’anno del suo dottorato, o dei suoi dottorati, potendo egli aver conseguito insieme o separatamente i gradi accademici in diritto civile e in diritto canonico. Baldo comunque si sottoscrive ed è ovunque attestato come dottore in utroque iure: «iuris utriusque unicus professor» lo definisce il fratello Angelo (cons. 36, n. 3, c. 14vb dell’ediz. Lione 1532). La notizia autobiografica contenuta nel proemio della Lectura in usus feudorum del 1393, in cui Baldo si dice in cattedra da quasi quarantasette anni, fa collocare la sua laurea attorno al 1347, quando aveva circa venti anni; e quasi certamente a Perugia, ove, stando a quanto ci tramanda il fratello Angelo (nel commento a D. 3, 1, 1, 3, § Pueritiam), già all’età di quindici anni avrebbe tenuto – evidentemente da studente, in assolvimento degli obblighi di publice legere – la sua prima repetitio (sulla l. Centum Capuae, D. 13, 4, 8).

In passato, la laurea di Baldo fu collocata a Siena e nel 1344; da Siena e in quello stesso anno Baldo sarebbe passato ad insegnare a Bologna, sostenendovi il 16 novembre una lunga disputatio con Bartolo. Questo racconto ripeteva le notizie contenute nella Practica iudiciaria domini Baldi de Perusio, risultata però una falsificazione della Compendiosa di Tancredi da Corneto, come hanno dimostrato le ricerche di Domenico Maffei. Cadono perciò anche le ipotesi, dipendenti dalla data del 1344, di un lungo insegnamento bolognese (1344-51) e di un supposto discepolato pisano di Baldo presso Tigrini e Bartolo (ante 1344).

È solo probabile che il promotore civilista della sua laurea sia stato Bartolo da Sassoferrato. Alcune edizioni a stampa della Lectura di Baldo al quinto libro del Codice (in C. 5, 7, 1) lo lascerebbero presumere, ma sono smentite da differenti versioni a stampa dello stesso brano e dal più attendibile ms. Lucca, Biblioteca capitolare Feliniana, 345 (Maffei, 1979, pp. 73 s.). Quanto alla laurea in diritto canonico, l’unica traccia che conduca a identificare il suo promotore rimanda al magistero perugino di Federico Petrucci.

Dopo aver compiuto l’intero ciclo di studi nell’università della città natale, Baldo prese a insegnarvi continuativamente fino al 1357, diventando collega del suo maestro Bartolo. La mancanza dei documenti relativi a questo primo periodo della sua docenza (il documento del 19 giugno 1351, che ne attesterebbe la nomina a Savio dello Studio di Perugia, non pare riguardarlo) ha permesso alla letteratura otto-novecentesca di ricomporre con una certa disinvoltura i primi frammenti della sua biografia. È certa infatti solo una sua repetitio perugina del 1357, mentre sono deboli gli indizi che ne comproverebbero la docenza già nel 1348. Più sicure prove della sua presenza a Perugia offrono documenti successivi: i due atti (del 6 aprile 1353 e del 12 marzo 1356), che ne attestano le funzioni di giudice del Comune; la partecipazione il 5 agosto 1355 all’atto di sottomissione del Comune di Sarteano (politicamente molto significativo nel contesto della politica espansionistica di Perugia di quegli anni) e il 27 agosto 1355 alla cerimonia della muratura, in una nicchia della parete esterna del Palazzo dei Priori, dei privilegi concessi da Carlo IV alla città e allo Studio di Perugia. Origina dall’Ughelli la notizia di una sua elezione nel 1354 a vicario del vescovo di Todi.

Nel 1357, come prova il pagamento in data 13 aprile di 35 fiorini in suo favore per la lettura ordinaria del Digestum vetus, passò ad insegnare a Pisa, ma vi restò un anno o poco più. Dall’ottobre 1358 si trasferì nello Studio di Firenze, ove rimase sei anni, alternando la lettura del Codex a quella del Digestum vetus, remunerato con un salario fra i più alti, che dai 250 fiorini iniziali salì ai 300 degli anni accademici 1360-61 e 1361-62. Nel 1359 la Signoria gli conferì la cittadinanza fiorentina e a malincuore il 13 settembre 1364 gli concesse il nulla osta per il rientro a Perugia. Inutili furono i tentativi del governo fiorentino di ingaggiarlo nuovamente: già nel 1366, perché occupasse la cattedra lasciata da Riccardo da Saliceto e il 19 luglio 1385, quando Coluccio Salutati scrisse ai Perugini per riaverlo a Firenze; tre giorni prima, però, Baldo si era vincolato con un giuramento a non lasciare la sua città, dopo che il governo perugino aveva deliberato che consentirne la dipartita avrebbe significato «annichilare et destruere Studium Perusinum». A Firenze Baldo si era trasferito con la moglie, Landa di Vanni dei conti di Coldimezzo, discendente di una famiglia di antico lignaggio con vasti possedimenti nei territori di Assisi, Perugia e Todi. E a Firenze, sabato 16 novembre 1359, erano nati i due gemelli, Francesco e Giovanni Zenobio, detto Bobio. L’evento, sopraggiunto mentre teneva una lezione serale, venne immortalato nel suo commento a D. 7, 1, 12.

Al rientro a Perugia nel 1364 fu condotto alla lettura del Codex e del Digestum vetus. Nel 1365 stipulò un contratto di insegnamento della durata di dieci anni, sino al 1376, che onorò. Almeno nel quadriennio 1364-68 insegnò in concorrenza e a pari salario con Conte di Sacco, docente a Perugia dal 1362. Con Conte e con Guglielmo di Cellolo, altro civilista dello Studio, tra 1367 e 1370 condusse, a nome del comune di Perugia, le frustranti trattative di pace con l’Albornoz (presso il quale si recò nell’aprile 1367) e con Urbano V (che insieme agli altri ambasciatori perugini incontrò il 9 giugno 1367 a Corneto). Tornata nel 1368 sotto la giurisdizione della Chiesa, nel 1369 Perugia era stata colpita dall’interdetto del pontefice per aver represso nel sangue una congiura di nobili filopapali. Durante il conflitto, che ne seguì, nel marzo 1370 Baldo fu eletto fra i Tre della Guerra e tra il settembre e il novembre 1370 fece parte dell’ambasciata che a Bologna firmò l’umiliante pace tra la città umbra e il nuovo legato e fratello del papa, Anglic de Grimoard. Durante il soggiorno propiziato da questi accordi, su invito proprio del Grimoard, il 2 o il 4 dicembre 1370 tenne a Bologna la repetitio sulla l. Petens ex stipulatione (C. 2, 3, 27), come testimonia l’explicit di suoi testimoni manoscritti (Perugia, Biblioteca Augusta, ms. E 49, c. 170v; Città del Vaticano, Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 2683, c. 258vb).

Nel marzo 1376 si trasferì ad insegnare a Padova, ingaggiato «magna auri summa» da Francesco il Vecchio da Carrara. L’insegnamento padovano durò poco più di tre anni ed è documentato da diverse sue repetitiones disputationes. Aggregato al collegio dei dottori giuristi della città, Baldo fu in questi anni anche giudice delegato del Carrarese, al quale nell’autunno del 1379, in procinto di rientrare a Perugia, dedicò la Lectura super sexto libro Codicis, sebbene in una redazione non ancora completa. A Padova nel luglio 1378 stese – su richiesta di un cardinale, di cui volle tenere segreto il nome – il primo suo parere favorevole alla validità dell’elezione di Urbano VI.

A richiamarlo in patria fu il governo perugino, per il quale già nel settembre 1379 aveva compiuto un’ambasciata presso Carlo di Durazzo, in quel momento a Padova, per indurlo a perorare presso il pontefice la causa del governo popolare perugino, che da poco aveva ripreso le sue forze, dopo la cacciata nel 1376 dell’abate di Monmaggiore. A Perugia il 17 gennaio 1380, insieme al fratello Pietro, partecipò all’assemblea pubblica che discusse la riforma dei capitoli della pace conclusa con Città di Castello; il successivo 24 giugno, insieme al fratello Angelo, fu testimone dell’accordo stretto con quella città. Il 2 luglio 1380 i priori lo autorizzarono a trasferirsi presso la curia pontificia e a restarvi per il tempo voluto dal papa, che ne aveva richiesto una nuova consulenza sulla questione della validità della sua elezione. A Roma soggiornò nel palazzo del cardinale Tommaso Orsini e compose le Allegationes secundae pro Urbano, stesura più ampia delle ragioni favorevoli alla validità del contestato conclave romano. Come compenso ottenne da Urbano VI i diritti sul castello di Biscina (nel territorio di Gubbio), prendendone possesso solo nel 1386 o forse mai, come lascia intendere Paolo da Castro. Il problema dello Scisma non cessò di interessarlo e alla sua possibile soluzione conciliare fece più tardi riferimento nei suoi commentari canonistici.

Il suo impegno istituzionale e diplomatico continuò: verso la fine del 1381 fu inviato a Napoli per rendere omaggio a Carlo di Durazzo in occasione della sua seconda incoronazione e chiederne nuovamente l’appoggio alla causa del governo popolare; nel gennaio 1384 fu tra i cinquanta «prudentes cives notabiles Perusinos» chiamati a provvedere «pro bono et pacifico statu et libero» della città in occasione dell’ennesima rivolta nobiliare.

Il decennio perugino 1380-90 consacrò la sua fama, grazie ai numerosi incarichi pubblici, all’intensa attività consulente, alle funzioni giudiziarie, all’impegno accademico e scientifico. In questo periodo pubblicò le sue maggiori opere civilistiche. La Lectura super quarto libro Codicis (poi ampliata a Pavia) risale probabilmente al 1382 e di quegli anni è anche la Lectura super primo, secundo et tertio libro Codicis. Nella seconda metà degli anni Ottanta pubblicò la Pars prima della Lectura Digesti veteris (D. 1-11); la stesura della Pars secunda fu iniziata a Perugia e proseguita a Pavia, città del suo ultimo decennio di attività. Incerta, ma anch’essa collocabile tra Perugia e Pavia, è la datazione delle Lecturae ai restanti libri del Codex: quella sul quinto libro, che dall’ediz. Venezia 1485 in poi circolò congiuntamente alla Lectura sul quarto libro; e quelle sui libri settimo, ottavo e nono, che raccolgono materiali composti in diverse epoche. Incomplete restarono le Lecturae al Digestum Infortiatum, che termina a D. 35, 1, e al Digestum Novum, ferma a D. 46, 8. La Lectura ai Tres libri Codicis tratta solo i libri 10 e 11 (fino a C. 11, 6 (5), 6) e fu diffusa a stampa insieme a quella del fratello Angelo. Solo a quest’ultimo apparterrebbe invece la Lectura Authentici, che un unico testimone manoscritto (ms. Torino, Biblioteca nazionale universitaria, G.I.4, cc. 7ra-15va) attribuisce anche a Baldo.

La condotta triennale, che nel 1389 Baldo si era impegnato a svolgere nello Studio di Perugia, fu vanificata dalla sua chiamata allo Studio di Pavia da parte di Gian Galeazzo Visconti con l’offerta dell’eccezionale stipendio di 1.080 fiorini annui. Baldo partì per la città lombarda il 19 febbraio 1390 insieme al figlio Zenobio. Nello Studio ticinese, ovviamente, si distinse: Paolo da Castro, che era stato suo studente a Perugia (lo fu anche il canonista Pietro d’Ancarano), ricorda di averlo visto vincere su Filippo Cassoli, civilista a Pavia già dal 1374, una disputa in materia di successioni; il 19 marzo 1392 le sue scuole furono ampliate per consentire agli studenti, evidentemente numerosi, di frequentare più comodamente le sue attività didattiche. La sua attività di esaminatore e presentatore a Pavia è documentata con continuità dal 23 marzo 1390 al 16 novembre 1399; il rotulo dei lettori di Piacenza, dove lo Studio fu trasferito a causa della peste, gli assegna per l’anno accademico 1399-1400 la lettura ordinaria del Codex.

La sua produzione scientifica durante il decennio di permanenza a Pavia fu particolarmente significativa. Oltre alla revisione e al completamento dei commentari civilistici, nei primi anni attese alla composizione della Lectura super usibus feudorum, pubblicata nel 1393 insieme al commento al trattato della Pace di Costanza e dedicata al signore di Milano. Fu probabilmente quest’ultimo a commissionargliene la redazione, non essendovi prova di un suo indirizzamento didattico (Danusso, 1991, pp. 11 s.). La rivalutazione del diritto feudale e la riconsiderazione del trattato della Pace di Costanza, due campi normativi da tempo trascurati dalla scienza giuridica, si riconnettevano all’esigenza di determinare l’effettivo contenuto dei poteri esercitabili da Gian Galeazzo Visconti, allora vicario dell’imperatore, sulle città e sui potentati locali interni al suo dominio territoriale, prima che i privilegi imperiali del 1395 e 1396 e la concessione della dignità ducale, consacrandone la plenitudo potestatis, risolvessero ogni dubbio a proposito della sua iurisdictio. La finalità politico-pratica del commento ai Libri feudorum («iste opus debet legi in curiis regum», scrive Baldo) ne spiega anche «l’impianto questionatorio» (Montorzi, 2005, pp. 236 s.), debitore della feudistica precedente e come quella costruito su una sequenza di problemi e di casi della prassi consuetudinaria. Il successo della Lectura feudorum è testimoniato da ben quarantadue manoscritti e da ventitré edizioni a stampa, di cui otto incunabole. Quello del Commentum de Pace Constantie, composto sulla falsariga della precedente opera di Odofredo, si deve invece non solo all’aver diviso la sorte della Lectura feudorum, in appendice della quale fu edito, ma anche alla circostanza che il commento accompagnò in forma di apparato il testo della Pace, dopo che questo venne incluso nel quinto volume a stampa delle edizioni del Corpus iuris civilis.

Collocabile verso la fine del periodo pavese e interrotta dalla morte è la Lectura Decretalium, che forse si coordinava a suoi corsi universitari canonistici. Preparata dalle Notulae decretalium, conservate nel ms. Città del Vaticano, Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 1398 (Colli, 1998, p. 330 s.; Colli, 2005a, p. 53 s., n. 64), l’esegesi della compilazione di Gregorio IX è limitata ai primi due libri e all’inizio del terzo (fino a X. 2, 3, 8) e presenta molte omissioni. Le migliori indagini di Vincenzo Colli hanno fatto cadere la supposizione che Baldo avesse composto un commentario al Liber Sextus, essendoci pervenuti solo brevi testi esegetici relativi a parti di quella collezione di decretali. Tra le opere canonistiche minori, un gruppo di testi ruota attorno all’Apparatus di Innocenzo IV: il Repertorium super Innocentio, anche detto Margarita Innocentii, tre diverse raccolte di Dicta Innocentii cum additionibus Baldi e due diverse raccolte di Additiones super Apparatu Innocentii IV. Da segnalare, ancora, sono una collezione di excerpta, l’Extractus Innocentii, detto anche Cottidiana Innocentii, l’Extractus super toto Archidiacono, contenente brani tratti dal Rosarium Decretorum di Guido da Baisio e un breve repertorio di contenuto canonistico intitolato Peculium. Un altro importante gruppo di opere canonistiche minori è legato alle opere di Giovanni d’Andrea: le Apostillae ad Novellam Sexti, le Apostillae ad Mercuriales, la Glossa alle Clementinae e una breve raccolta di Notabilia alla Glossa al Liber Sextus, di cui una copia d’autore è conservata nel ms. Barb. lat. 1398 (Colli, 1998, pp. 329 s., 339-346). Anche le Additiones allo Speculum iudiciale di Guillaume Durand (siamo qui però nel campo del diritto processuale) integravano quelle di Giovanni d’Andrea. Un incunabolo (Roma 1475) gli attribuisce anche un Repertorium super Speculo Guillelmi Durandi e una raccolta di Singularia speculatoris ad causas cotidianas per Baldum collecta. All’ambito canonistico – ma più per la vicenda che ne propiziò la redazione, che per l’ampio spettro delle fonti impiegate – vengono annoverate anche le due già citate allegationes del 1378 e del 1380 sulla validità dell’elezione di Urbano VI.

Dei trattati circolati sotto il nome di Baldo, sicuramente suoi sono sette. Alcuni di essi corrispondono a commenta interni alle sue Lecturae civilistiche. È il caso del De mercatoribus o De constituto, composto a Perugia quando era «advocatus» dell’Arte della Mercanzia e che riproduce il commento alla rubrica del titolo del Codice sul costituto di debito (C. 4, 18); è il caso anche del De syndacatu officialium, che corrisponde al commento a D. 1, 16, 4, 2, già parte della sua Lectura Digesti veteris; e lo è infine anche del De iure prothomiseos, che, edito insieme al trattato di Matteo d’Afflitto, commenta la costituzione Sancimus sulla protimesi (diritto di prelazione a favore dei vicini su beni immobili confinanti), tradizionalmente attribuita a Federico II di Svevia ma di origini bizantine. Veri e propri Tractatus sono invece il già ricordato De pactis, di cui non sono noti testimoni manoscritti e la cui più antica stampa (Venezia 1503) porta nel colophon la notizia di essere stato composto da un Baldo ventunenne e in una data, il 1340, che aveva costituito la fonte principale per fissare al 1319 il suo anno di nascita; e il trattato De tabellionibus, a lungo attribuito a Bartolo e a Gozzardino de’ Gozzardini, restituito a Baldo dal Valentini e risalente anch’esso al periodo giovanile. Compose anche un’Additio al Tractatus de duobus fratribus di Bartolo, rimasta unita a quest’opera incompiuta del suo maestro fin dall’editio princeps (1472) della raccolta dei trattati bartoliani. Fu infine autore di un breve, perduto De commemoratione famosissimorum doctorum in utroque iure, tramandatoci dalla memoria di vari studiosi di età moderna e direttamente utilizzato da Tommaso Diplovatazio nel suo Liber de claris iurisconsultis, da cui è citato ventiquattro volte.

Più lungo è l’elenco delle opere apocrife o d’incerta attribuzione, ricostruito da Vincenzo Colli (2005a, pp. 31-46) e di cui si riportano qui i dati principali. Già si è detto della falsificazione editoriale ai danni di Tancredi da Corneto, la cui Compendiosa fu spacciata, a partire dall’edizione del 1513, come una Practica iudiciaria di Baldo, contribuendo con le notizie pseudo-autobiografiche lì contenute al disordine della sua biografia. Domenico Maffei, che ha restituito quest’opera al suo vero autore, ha tolto a Baldo anche la paternità della Lectura Institutionum attribuendola a Bartolomeo da Novara (Maffei, 1990). Non è suo il Tractatus de questionibus o de tormentis, che il Diplovatazio attribuì a Bartolo inserendolo nella raccolta a stampa dei suoi trattati e che nel corso del tempo, anche a causa delle sue redazioni plurime, ha ricevuto almeno una dozzina di paternità; l’attribuzione a un Baldus emerge da un solo manoscritto e dall’edizione a stampa più antica di questo trattato. Incerta è la paternità del Tractatus de carceribus: attribuito a Baldo da Mariano Socini, dal Diplovatazio e dai Tractatus universi iuris, è stato assegnato anche a Bartolo, Matteo Mattesillani, Angelo de’ Perigli, Pietro d’Ancarano e a un «filius domini Baldi». Il Tractatus de guarentigiis è in realtà una rielaborazione, curata da un discepolo di Angelo degli Ubaldi, del materiale presente nel trattato assegnato a Guido da Suzzara e composto da una raccolta di quaestiones disputatae di vari autori. Due incunaboli attribuiscono a Baldo l’Apparatus substitutionum, ma esso altro non è che una compilazione di excerpta dalle opere di Bartolo redatta probabilmente da suo genero Nicola Alessandri. Il Tractatus de permutatione beneficiorum è attribuito a Baldo da un catalogo poco attendibile della Biblioteca nacional di Madrid, che descrive una copia mutila di un’edizione d’incerta datazione. Il De testibus, attribuito a Baldo da una rubrica dell’editio princeps (Venezia 1472) e delle successive riedizioni dei Tractatus di Bartolo, è in realtà una raccolta di excerpta di Lecturae baldiane. Infine, il Tractatus de statutis, che il Degli Azzi (in L'opera di Baldo, 1901, pp. 145-168) ha attribuito a Baldo desumendolo dalla Practica Baldi, è invece parte della Compendiosa di Tancredi da Corneto.

Un capitolo fondamentale della esperienza giuridica di Baldo è costituito dalla sua attività di consulente, testimoniata da un numero sterminato di consilia, oltre tremila tra editi e inediti. L’intensità di questa produzione ha fatto calcolare che egli desse un parere, consilium o allegatio, all’incirca ogni due giorni (Vallone, 1989, p. 85): un ritmo e un’organizzazione di lavoro straordinari, se si pensa al concomitante impegno nella docenza e negli incarichi istituzionali e diplomatici. Le minute dei consilia inviati ai richiedenti ha dato luogo a due serie di suoi Libri consiliorum: una perugina, contenente i consilia del periodo dal 1380 al 1390, l’altra pavese, che raccoglie i consilia dal 1390 al 1400. Queste due serie furono riunite quando, dopo la sua morte a Pavia, il figlio Zenobio portò con sé i Libri consiliorum di Pavia a Perugia. I minutari restarono nella casa Baldeschi di Perugia fino al secolo XVII, quando l’ultimo discendente di Zenobio, Giulio, li cedette insieme ad altri manoscritti a papa Urbano VIII. Nella casa Baldeschi di Perugia fu trascritto nel secolo XV anche il cod. 351 della Biblioteca Capitolare di Lucca, appartenuto al canonista Felino Sandei (1444-1503) e contenente 443 consilia di Baldo, numerati e tutti della stessa mano, di cui circa 300 inediti. I Consilia di Baldo furono stampati a Brescia nel 1490-1491 in quattro volumi, che raccolgono 1.874 pezzi; a Venezia nel 1491, in un’edizione che aggiunse un quinto volume con 162 consilia; e a Milano nel 1489 [1491]-1493, i cui cinque volumi elevarono il numero dei consilia a circa 2.500.

Baldo morì a Pavia all’alba del 28 aprile 1400. Come richiese nel testamento del 26 ottobre 1399, fu sepolto nella chiesa francescana della città ove fosse venuto a morte, quindi nella chiesa di S. Francesco dei conventuali di Pavia, ove i figli gli eressero un monumento funebre, trasferito nel 1787 all’Università di Pavia.

Entrambi i figli di Baldo furono giuristi, docenti e titolari di cariche pubbliche. Zenobio, che nel 1377 risulta iscritto all’Arte della Mercanzia di Perugia, si laureò in diritto civile nel 1394 nello Studio di Pavia, in cui insegnò dal dicembre di quell’anno fino al 1400. Nei documenti universitari e nel testamento del padre è designato come miles: fu infatti eques auratus ed intimo del duca di Milano, che lo impiegò in numerose missioni diplomatiche: nel 1398 in Francia come consigliere di Giovanni figlio del re Carlo VI e l’anno successivo come consigliere di Filippo duca di Borgogna. Fu in corrispondenza con Paolo da Castro, che gli scrisse da Parigi nel 1399 per chiedergli di sollecitare il padre a un nuovo intervento per la soluzione dello Scisma. Alcuni suoi consilia sono stampati insieme a quelli del padre. Sposò Lambertina di Baglione della nobile casata dei Montevibiani, dalla quale ebbe cinque figli (Amedeo, Sinibaldo, Bianca, Carlo e Galeazzo). Morì a Perugia il 23 novembre 1401.

Più a lungo di lui visse il gemello Francesco. Si laureò in utroque iure a Perugia poco prima della partenza del padre e del fratello per Pavia, ma nel 1381 era già stato capitano del popolo di Assisi. In età più matura fu podestà di Orvieto (1407), avvocato concistoriale (dal 1407) e giudice del Comune di Perugia (dal 1423). Fu prevalentemente un canonista, come provano le sue letture universitarie e l’inventario dei libri della sua biblioteca. Curò la redazione dei Libri consiliorum perugini del padre e compose propri consilia (in parte stampati con quelli paterni, in parte inediti), le cui minute riunì in un Liber (Città del Vaticano, Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 1407). La sua prima docenza a Perugia (lettura delle Decretali) risale al 1391-92; condotte perugine successive sono attestate ininterrottamente dall’anno accademico 1415-16 (in cui lesse il Sesto e le Clementine) al 1421. È stato proposto come autore del trattato De carceribus (Diplovatazio, 1968, p. 298). Si sposò in prime nozze con Monalduccia di Angelo della nobile famiglia dei Ranieri, da cui ebbe due maschi, Angelo (morto nel 1427) e Mario (morto ante 1438); e due femmine, Montea e Leonarda. Rimasto vedovo, si risposò con Antonia di Balduccio Cinoli. Morì poco prima del 18 febbraio 1426.

Fonti e bibliografia

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