BALDO d'Aguglione

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BALDO d'Aguglione (Baldus, Ubaldus de Agulione, Aguglione, Agoione, Aglione, ecc.)

Roberto Abbondanza

La famiglia di B., venuta a Firenze dal contado, era di tradizione ghibellina e traeva origine e nome dal castello d'Aquilone (Aguglione secondo la forma antica) in Val di Pesa. Il padre Guglielmo e il fratello Puccio nel 1268 erano stati banditi da Firenze come ghibellini. Non è dato sapere se B., di cui non si conosce l'anno di nascita, fosse a quell'epoca già capace di autonome decisioni politiche: il primo ricordo che si abbia di una sua partecipazione alla vita pubblica cittadina è del gennaio 1293, allorché B., certamente guelfo, figura come uno dei tre compilatori degli Ordinamenti di giustizia,la legislazione antimagnatizia fiorentina ispirata da Giano della Bella, che consacrò il passaggio definitivo del potere alle corporazioni artigiane e delineò una struttura dello stato comunale destinata a durare a lungo. B., che con ogni probabilità aveva studiato a Bologna, doveva godere già allora di una notevole reputazione di giurista e di uomo politico e doveva essere già membro influente di quell'Arte dei giudici e notai che in Firenze primeggiava allora come la più nobile, la più potente e la più numerosa delle corporazioni.

In talune delle disposizioni degli Ordinamenti di Giustizia,quella, per esempio, che escludeva i forestieri dall'Arte dei giudici e notai, è stato giustamente notato lo spirito particolaristico dei legislatori - e perciò anche di B. - a favore della categoria cui appartenevano, categoria di cui riuscivano abilmente a tutelare gli interessi nell'atto stesso in cui mostravano - coi bando dei giuristi forestieri indicati come i soli cattivi interpreti - di aderire alle istanze popolari di una severa riforma ed epurazione della classe forense odiata per il suo eccessivo tecnicismo.

Menzionato come testimone in un documento del 13 dic. 1293 relativo al sindacato dei magistrati di Poggibonsi, il 9 dic. 1294 B., che apparteneva al sesto di Porta San Piero, fu eletto fra i quattordici "arbitri" deputati alla riforma generale della legislazione fiorentina, riforma voluta da Giano della Bella al fine di adeguare la legislazione stessa allo spirito degli Ordinamenti di giustizia e di sottrarla alla faziosa attività interpretativa dei "maladetti giudici" (Compagni); questi, dopo essere stati in un primo tempo (interessatamente, in quanto aspiravano agli uffici del Comune) dalla parte del riformatore democratico, ora lo avevano abbandonato, per seguire il più naturale orientamento della loro classe che li affiancava agli ambienti magnatizi. Dalla commissione dei quattordici "arbitri" uscì la riforma degli Ordinamenti del 6 luglio 1295. Ma in seno ad essa si lavorò anche - come racconta Dino Compagni che ne faceva parte - alla rovina di Giano della Bella, mediante l'opera subdola di cinque degli "arbitri", tra i quali B., segretamente d'accordo con i nemici - magnati e dirigenti della parte guelfa - del capo del governo popolare. Pur essendo rimasti sostanzialmente immutati gli Ordinamenti (cfr. Ottokar), anche dopo la scomparsa di Giano, la stella di B. dovette continuare a salire, se dal 15 aprile al 15 giugno 1298 lo troviamo priore. Nello stesso anno egli partecipò, verosimilmente, alla mediazione fiorentina di pace tra Bologna e gli Estensi e il 29 dicembre, nella piazza di S. Reparata a Firenze, assistette alla solenne cerimonia che sancì la conclusione di un primo accordo tra le parti in contesa. Avendo il pontefice, nel corso dell'anno seguente, avocata a sé la soluzione definitiva della vertenza, B. fu compreso nell'ambasceria inviata il 10 sett. 1299 da Firenze a Bonifacio VIII per seguire le trattative. A questa data B. - che il Compagni definisce "giudice sagacissimo" e l'Anonimo fiorentino "pessimo giudice ghibellino antico" - aveva già operato la famigerata soppressione di documenti pubblici che gli sarebbe costata una forzata interruzione della carriera professionale e politica.

Dalla confessione strappata con la tortura al podestà trevisano Monfiorito da Coderta (deposto ai primi di maggio del 1299 e quindi processato per la scandalosa corruzione del suo governo) era emerso tra l'altro che il giudice Nicola Acciaiuoli, ragguardevole esponente della borghesia al potere, s'era a suo tempo macchiato di falsa testimonianza. In un primo momento la rivelazione era passata sotto silenzio. Nominato qualche tempo dopo priore, dal 15 agosto al 15 ottobre, l'Acciaiuoli, su consiglio di B. suo avvocato e valendosi della sua nuova autorità, s'era fatto consegnare dal notaio competente il registro nel quale era stata riportata la confessione di Monfiorito, e B. aveva provveduto a fare scomparire i passi compromettenti per il suo cliente (non è certo se strappando il foglio in cui erano contenuti, o solamente facendo delle rasure).

È probabile che l'ambasceria a Bonifacio VIII fosse il premio per il grosso servizio reso. Scaduto l'incarico dell'Acciaiuoli, fu subito scoperto il gravissimo fatto, e il 19 ott. 1299 fu iniziato un procedimento penale, dal quale l'Acciaiuoli uscì con la pena onerosa di una multa di 3000 lire e B., contumace (secondo le cronache egli sarebbe fuggito da Firenze; più probabilmente non era nemmeno rientrato da Anagni dove si trovava con l'ambasceria al papa), fu condannato a pagare 2000 lire e a restare confinato per un anno.

Dante rese famoso questo episodio di malgoverno, ricordando (Purg., XII, 104-105) "... le scalee [quelle che dal ponte di Rubaconte conducevano a S. Miniato] che si fero ad etade 1 ch'era sicuro il quaderno e la doga". In questi versi il poeta allude a un'epoca in cui i pubblici registri e le pubbliche misure (la "doga" è un riferimento alla frode sul peso del sale compiuta da Donato Chiaramontesi) non rischiavano di venir falsificate da magistrati corrotti. A B. Dante accenna poi più esplicitamente in Par., XVI, 52-57, quando fa pronunciare al bisavolo Cacciaguida dure espressioni contro la gente "nuova" che dal contado s'è introdotta in città, guastando la purezza dell'antico sangue fiorentino: "Oh quanto fora meglio esser vicine / quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo / e a Trespiano aver vostro confine, / che averle dentro e sostener lo puzzo / del villan d'Aguglion,di quel da Signa, / che già per barattare ha l'occhio aguzzo!".

La riabilitazione di B., tuttavia, non dovette tardare molto, perché già nel 1300 lo troviamo scelto come arbitro nella controversia patrimoniale tra Corso Donati e la moglie Tessa da una parte, e Giovanna, vedova di Ubertino da Gaville e madre di Tessa, dall'altra.

L'anno precedente, infatti, Giovanna era stata condannata in un processo celebrato davanti al podestà Monfiorito; sul verdetto di quest'ultimo avevano potentemente influito le pressioni di Corso Donati, parte interessata nella vertenza. In seguito alla condanna Giovanna era stata anche incarcerata; tuttavia, deposto ed incriminato il corrotto podestà, la questione venne riaperta e fu portata, perché la dirimessero, davanti a due arbitri, dei quali uno, B., era reduce da un processo che lo aveva bollato per falso in atti pubblici!

Anche nella vita politica B. rientrò prestissimo. Il 15 dic. 1301 era presente e attivo nel Consiglio delle Capitudini delle XII arti maggiori e dei savi. A partire da questa data fino all'autunno dei 1313 gli interventi documentati di B. nei molteplici consigli della Repubblica (i cosiddetti "consigli opportuni") sono frequentissimi. E frequenti anche e delicati gli uffici e gli incarichi affidatigli dalla fazione dei neri, che dal novembre 1301 era divenuta padrona assoluta di Firenze, e alla quale B., già di parte bianca, aveva prontamente aderito: "Molti di parte bianca, e antichi Ghibellini per lunghi tempi furono riceuti da, Neri in compagni loro, solo per malfare, fra' quali fu ... M. Baldo d'Aguglione...". Così il Compagni, al quale dobbiamo anche il ricordo della rampogna che il giudice Donato di Alberto Ristori (catturato nel marzo 1303 dopo il fallimento di un'impresa di fuorusciti bianchi contro Pulicciano e destinato al supplizio) scagliò contro gli antichi compagni rinnegati - tra i quali fece il nome di B., già suo collega all'epoca della redazione degli Ordinamenti di giustizia - "che hanno distrutto Firenze".

Priore dal 15 ottobre al 15 dic. 1302, nel 1305 B. partecipò attivamente ed ebbe una parte determinante nelle deliberazioni relative alla guerra contro i bianchi di Pistoia; sempre in quest'anno fu anche uno dei dodici "sapientes et nobiles viri" autori delle "provisiones et ordinamenta super custodia et defensione civitatis Florentie et fortificatione felicis florentini exercitus pistoriensis intrinsecus, et refrenatione et diminutione expensarum inutilium"; infine, nell'ottobre, rappresentò Firenze, insieme ad altri due "sindici", nel procedimento iniziato a Lucca dai legati pontifici per risolvere il conflitto. Alla fine del marzo 1306 fu eletto con Dardano Acciaiuoli "ad contrahendum ligam cum communi Bononiae et cum aliis civitatibus de quibus placuerit eisdem sindicis"; e il 5 aprile successivo nella città emiliana strinse con i rappresentanti di Bologna, Lucca e Prato un'alleanza diretta "... ad conculcationem, depressionem, exterminium atque mortem perpetuam Ghibilinorum atque Alborum, eorum complicum et fautorum". Nuovamente priore dal 15 giugno al 15 ag. 1307, il 14 dic. 1308 fu uno dei due "sindici" eletti "super pace tractanda cum sindicis communis Aretii". Quindi dal 16 febbraio al 14 apr. 1310 fu uno dei 18 capitani di guerra (eletti in numero di tre per ogni sesto).

All'attività politica e diplomatica si accompagnò quella del professionista legale. Una prima testimonianza di B. consulente risale con ogni probabilità al 1296-97, quando venne interposto appello innanzi al giudice Guido da Montalcino contro una sentenza pronunciata su consiglio di B. e di Boninsegna Beccanugi (Manni, pp. 82 s.). S'è già vista la parte avuta da B. nell'affare del "quaderno", e s'è già ricordata la sua nomina ad arbitro nella controversia tra Corso Donati e la suocera. Dai verbali dei diversi "consigli opportuni", nei quali il suo nome è sempre accompagnato dalla qualifica di "iudex" o di "iurisperitus", appaiono affidate a B. nel 1308, 1309, 1310 diverse curatele di fallimenti" E ancora: in un documento del 26 maggio 1310 è ricordato un "consilium." di B. a favore della Badia Fiorentina e dei figli di ser Spigliato da Filicaia a proposito dell'acquisto di un terreno da certi ufficiali del Comune.

Dal 15 agosto al 15 ott. 1311 B. (di cui il 12 agosto era stata letta nel consiglio di San Gimignano una lettera in favore di Donato di Ventura da Semifonte) fu per la quarta volta nel collegio dei priori, e legò il suo nome al richiamo in Firenze della maggior parte degli sbanditi. Ciò avvenne con gli ordinamenti (che erano stati preceduti da una provvisione del 27 agosto) promulgati il 2 sett. 1311 dai priori e da "dodici buoni uomini", ordinamenti che furono ben presto conosciuti come la "riforma di B. d'Aguglione", il quale certamente ne dovette essere - egli espertissimo giurista e uomo politico - il più autorevole ispiratore e compilatore.

L'amnistia pei "vere guelfi, mares et femine, tam populares quam magnates, natione seu origine de civitate, comitatu et districtu Florentie", proclamata nell'imminenza della calata di Arrigo VII e volta a rinsaldare con un atto di pacificazione la compagine del Comune per il quale si preparavano giorni difficili, fu un atto di grande saggezza politica; anche se le lunghe liste degli esclusi dal beneficio (i ghibellini e, accomunati a questi e confusi sotto il loro nome, i guelfi bianchi responsabili di precisi atti di ostilità contro la signoria nera) contribuirono alla triste fama di cui fu circondato nell'opinione pubblica e nella storiografia il provvedimento, nella valutazione del quale prevalse il suo aspetto negativo, quello cioè della crudele e faziosa perpetuazione di un bando che colpiva, tra gli altri, Dante Alighieri. Questi, oltretutto, s'era precluso da sé la via del ritorno con le lettere del 31 marzo dello stesso anno ai Fiorentini e del successivo 16 aprile all'imperatore, lettere che erano certo conosciute a Firenze al tempo della "riforma". La "riforma" di Baldo d'Aguglione (detta anche dai contemporanei "il libro di messer Baldo", "la cerna di messer Baldo", e considerata un punto di riferimento obbligato per la pratica discriminazione tra cittadini guelfi e ghibellini) diventò nel commento di Benvenuto da Imola, per il quale B. è "magnus canis", una sorta di trattato teorico sui guelli e i ghibellini, sulla cui esistenza - come capostipite di una celebre e sterminata letteratura - ancora credeva, al principio di questo secolo, il Davidsohn.

Nel marzo del 1312 B. venne eletto con Duccio Magalotti "ad contraliendum ligam cum communibus Luce, Senarum, Bononie et Padue et cum quibuscumque, regibus, baronibus, civitatibus et terris prout ipsi voluerint". Per lo stesso anno è assai improbabile che sia fondata seriamente la notizia (fornita dall'Encicl. dantesca dello Scartazzini) secondo la quale B., giunto Arrigo VII sotto le mura di Firenze (quindi nel settembre 1312), sarebbe fuggito nel campo imperiale, per il qual fatto sarebbe stato dichiarato ribelle dalla città assediata ed avrebbe avuto confiscati i suoi beni. L'avarizia lo avrebbe costretto quindi a tornare. Lo Scartazzini si fondò con ogni probabilità sulla "nota di quelli che andarono allo Imperatore Arrigo quando puose hoste a Firenze", pubblicata in una fonte settecentesca (Delizie..., XI, pp. 109 ss.), documento che è difficile far accordare con il fatto che dal 15 dic. 1312 al 15 febbr. 1313 B. fu nuovamente priore, ed appare, di lì a poco, nominato personalmente ("Baldus de Agullione qui dicitur iudex",perché solo dall'autorità imperiale derivava il nome, l'autorità e la pubblica fede del giureconsulto) nella lunga lista dei fiorentini condannati per la ribellione all'impero. Il20 maggio 1313 troviamo B. testimone all'elezione dei "sindici" che dovevano offrire al re Roberto d'Angiò la signoria su Firenze per cinque anni.

L'ultima volta che B. viene nominato nei consigli è il 18 sett. 1313. Egli dovette morire tra questa data e il 19 marzo dell'anno successivo, che è il giorno sotto cui il notaio Dolcibene di Chiarissimo attesta una ricognizione di debito fatta da Gasdia, moglie del fu B., con l'autorità dallo stesso B. concessale nel suo testamento. Non possediamo tale testamento, ma sappiamo che fu rogato da Albertino Campi.

Gasdia, figlia di Buoso di Forese Donati, doveva aver sposato B. intorno al 1288, secondo quanto risulta da un pagamento fatto dalla vedova madre, monna Bella, a "Giambono sensale per lo piato quando si maritò la Gasdia sua figliuola". Come s'è visto Gasdia sopravvisse, non sappiamo per quanto, al marito. Non è perciò sostenibile la data "non dopo il 24 marzo 1313" assegnata dal Piattoli a un documento del suo Codice diplomatico dantesco,in cui, fra i nomi dei fratelli defunti della società dei Preti, detta anche Compagnia del Pellegrino, figura monna Gasdia.

Poco si sa della discendenza di B.: un documento dell'11 ott. 1315, conservato nell'archivio del vescovato di Fiesole, accenna ai suoi eredi, indicati del resto nel protocollo di Dolcibene di Chiarissimo nelle persone della moglie, di Chele del fu ser Guarnieri e di Piero dei fu Lando d'Aguglione. Una figlia di B., Sandra, è ricordata come sposa di Francesco Del Mazza, nel 1342, nel popolo di S. Stefano di Firenze (Manni). Il Del Lungo fa estinguere la famiglia di B. nella seconda metà del Trecento. Secondo il Manni un'iscrizione già posta sulla facciata principale di S.Croce indicava "Sepulcrum D. Baldi q. Guglielmi de Aquilone et nepotuin".

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