PERUZZI, Baldassarre

Enciclopedia Italiana (1935)

PERUZZI, Baldassarre

Adolfo Venturi

Pittore e architetto, nato a Siena nel 1481, morto a Roma il 6 gennaio 1536. A vent'anni dipinse nella cappella di S. Giovanni nel duomo di Siena, probabilmente come aiuto del Pinturicchio, i cui metodi pittorici recò a Roma, quando vi giunse alla fine del pontificato di Alessandro VI, insieme col pittore volterrano Pietro d'Andrea, già impiegato dalla curia papale. Allora frescò col compagno la cappella dell'altar maggiore in Sant'Onofrio; ma a Roma sviluppò i suoi studî sull'architettura, già rivolto verso l'artista universale, che a Siena aveva tenuto il campo in tutte le arti, Francesco di Giorgio Martini, e qui si dedicò alle ricerche dell'antichità classica, dando esempio, secondo il Vasari, a Maturino e a Polidoro da Caravaggio.

Entusiasta dell'antico, quando il P. edificò per Agostino Chigi la Farnesina, pensò di costruirla e decorarla come Ovidio descrisse nelle Metamorfosi la reggia del Sole. E a cominciare dall'esterno che il P. adornò di terretta con istorie di sua mano, desunte dalle descrizioni del palazzo del Sole, continuò, nella loggia del giardino, a figurare le costellazioni di Perseo e di Calisto; negli esagoni entro le lunette, i segni dello zodiaco; nei peducci della vòlta, Argo, il Cocchiere, il Cigno, il Triangolo, Pegaso, Andromeda, ecc. E seguitò il P., non solo a far dipingere da Sebastiano del Piombo altre rappresentazioni indicate nelle Metamorfosi d'Ovidio, ma a illustrare, nel salone superiore, il diluvio deucalionico, la creazione degli uomini, Apollo e Dafne e altre figure del libro primo di quel poema. Ma dal 1503, quando frescava a Sant'Onofrio, al 1510, quando edificava la Farnesina, e la rivestiva di figure e scene colorate, il pittore, distratto dalla scultura e dalla pittura classiche, perdette l'antica fisionomia pinturicchiesca, mentre, nella Farnesina, l'architetto serbò ancora le impronte del tardo Quattrocento senese con la sottigliezza forbita e compassata sua propria.

Intento all'architettura, il P. non si dedicò più che in piccola parte alla pittura. Ben presto trovò proporzioni, giustezza di rapporti, nella Natività di San Rocco a Roma, e v'aggiunse una misura cinquecentesca e lo spirito classico che si era impadronito di lui. Nella Farnesina, si può vedere l'evolversi del pittore: dal fregio d'una sala a pianterreno, con piccole figure studiate dagli antichi encausti, non senza richiami al Pinturicchio, si passa alla loggia del giardino, dove i nudi staccano sui finti musaici a tessere d'oro, come aveva già fatto l'umbro maestro, ma a guisa di bassorilievi. E quantunque il P. sentisse gli esempî della Galatea di Raffaello e della Stanza della Segnatura, l'amore dell'antico, dello scorcio, dell'effetto prospettico lo trasportarono, cosicché, nel salone superiore, in particolare con i partimenti di colonne figurate in prospettiva ottenne l'illusione di maggiore ampiezza del vero. E pare che là si sia concentrato nella ricerca prospettica tanto vantata dall'Aretino e dal Serlio che molto si valse dei disegni del maestro nei suoi trattati.

Nella Presentazione al Tempio in Santa Maria della Pace, ancora il P. assiepa ricordi dall'antico, mentre si studia d'avvicinarsi alla grazia raffaellesca; ma giunto a Roma, verso il 1515, il Sodoma, per dipingere nella Farnesina, egli si diede con armi e bagagli al maestro caro ai suoi conterranei; e fu allora ch'egli fece il suo capolavoro pittorico con gli affreschi della cappella Ponzetti in Santa Maria della Pace. Tutt'intento all'architettura, egli non s'era affannato a farsi uno stile pittorico. Si era prima avvicinato a Raffaello, che assecondava il suo spirito elegante di senese, più che la terribilità di Michelangelo. S. Maria Maddalena e S. Caterina da Siena in S. Silvestro al Quirinale ripetono forme del Vercellese, e, ancor tardi, il P., dopo il sacco di Roma, dipingendo a Siena, in Fontegiusta, Augusto e la Sibilla, e, nell'Arco delle due porte, Madonna e Santi, riflette il Sodoma. E ritraggono infine di questo maestro gli affreschi della cappella del castello di Belcaro, le figure colà allungate, stinte classicamente.

La decorazione della cappella Ponzetti in Santa Maria della Pace, eseguita nel periodo 1816-17, mostra la mutevolezza stilistica dell'artista, e, anche nell'architettura, niuno potrebbe riconoscere il forbito edificatore della Farnesina nella tarda sua opera romana, il palazzo Massimo alle Colonne, dove le tracce dell'antica educazione senese quasi dispaiono, rifugiate in qualche sagoma di finestra, in qualche trama ornamentale: l'amore del grandioso, della cinquecentesca opulenza, allontana dalle sue origini l'arte del P., che nei primordî, pur riflettendo gli schemi di Francesco di Giorgio, ci appare vestita di un'armoniosa e fredda compostezza, lontana dallo spirito vivace del celebrato ingegnere architetto di Siena.

Nel 1520 il P. fece scenografie per la recita della Calandra in Vaticano, nel 1523 l'apparato per l'incoronazione di Clemente VII. A Bologna, dove, come a Carpi, gli vengono attribuite diverse opere, nel 1522 diede disegni per la facciata e per altre parti di S. Petronio. Fuggito dal sacco di Roma nel 1527, stette fino al 1532 a Siena; dove, nel 1529, stimò gli affreschi del Sodoma nella Sala del Mappamondo, in Palazzo Pubblico; nel 1531, il cartone del Beccafumi, rappresentante Mosè che riceve le tavole della legge, per il pavimento del duomo. Architetto della repubblica senese, attese a fortificare di bastioni la città, a munire le terre senesi; diede disegni per il duomo (fra altro, per l'altar maggiore), progetti per S. Domenico, opera a costruzioni civili. La data del 1534 si legge nella sua decorazione della cappella del Castello di Belcaro presso Siena, e in quell'anno stesso, precedente la sua morte, tornò a Roma, dove fu eletto architetto di San Pietro per il quale già al tempo del Bramante, e "seguitandone i vestigi" come ricorda S. Serlio, aveva fatto un modello a pianta concentrica. Nella fabbrica di S. Pietro era già stato associato altra volta ad Antonio da Sangallo il Giovane, ma non è determinato quanto egli vi abbia contribuito allora e nell'ultimo anno di sua vita.

Il figlio del Peruzzi, Giovanni Salustio, o Giov. Salverio, o Salvestro, nato forse a Siena, seguì l'esercizio dell'architettura. Fu adoperato al tempo di Paolo IV nelle fortificazioni di Roma, e particolarmente a fare il portone di Castel Sant'Angelo, veduto dal Vasari per metà rovinato, e recentemente ricomposto: opera che il Vasari descrive "condotta tutta di travertino, a uso di arco trionfale magnifico e sontuoso", con cinque nicchie adorne di statue. Disegnò anche la facciata della chiesa di S. Maria in Traspontina a Roma; e nel 1565, insieme col Vignola, lavorò per il conclave di Pio V. Nel 1567 partì per Vienna al servizio dell'imperatore Massimiliano II, e vi rimase probabilmente fino alla morte.

(V. tavole CCXXV e CCXXVI).

Bibl.: G. Vasari, Le vite, a cura di G. Milanesi, IV, Firenze 1879, p. 589 segg.; G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura, ecc., Milano 1585; A. Venturi, La Farnesina, Roma 1890; H. Egger, Entwürfe B. P.'s für den Einzug Karls V. in Rom, in Jahrb. d. Kunst. Samml. d. allerh. Kaiserh., XXIII (1902), p. i segg.; W. W. Kent, The life and works of B. P. of Siena, New York 1925; Pignotti, Il taccuino di B. P. nella bibl. com. di Siena, in Rass. d'arte senese, XVI (1923), p. 38 segg.; V. Mariani, Dal "taccuino" di B. P., in L'Arte, XXXII (1929), p. 256 segg.; F. Hermanin, la Farnesina, Roma 1927; L. Marri Martini, Le fonti storiche per la vita e le opere di B. P., in La Diana, IV (1929), p. 127 segg.; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VIII, i e ii, Milano 1923 e 1924; IX, v, ivi 1932; P. Metz, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVI, Lipsia 1932.