BONCOMPAGNI LUDOVISI, Baldassarre

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)

BONCOMPAGNI LUDOVISI, Baldassarre

Vincenzo Cappelletti

Nacque a Roma il 10 maggio 1821, secondogenito di don Luigi, principe di Piombino, e di Maria Maddalena Odescalchi. Tra gli studiosi che ebbero influenza su di lui vi furono, secondo A. Favaro, l'abate D. Santucci, B. Tortolini - il fondatore degli Annali dimatematica - e I. Calandrelli, professore di ottica e di astronomia nell'Archiginnasio romano, Non ancora ventenne, il B. pubblicava sul Giornale arcadico i profili biografici del Calandrelli e dell'astronomo A. Conti, e nel 1 43, sul Journal fürdie reine und angewandteMathematik, una memoria sugl'integrali definiti. Della vocazione storiografica, che sarebbe poi prevalsa, dava invece atto nel '46 l'articolo Intorno ad alcuni avanzamenti..., anch'esso uscito sul Giornale arcadico.

Le premesse sono alquanto retoriche, e mostrano il B. alieno, agl'inizi, come poi sarebbe rimasto, dalla consapevolezza filosofica del problema della storiografia scientifica. Si doleva "che in niuna opera fossero stati finora convenevolmente esposti i maravigliosi avanzamenti" della fisica sperimentale, poiché "secondo il sapientissimo detto di Bacone, la storia delle scienze è l'occhio della storia del mondo" (Intorno ad alcuni avanzamenti, p. 3). Il B. passa poi in rassegna, ma senza alcuna sistematicità, i "notabili fatti" scientifici di P. Sarpi, G. B. Della Porta, G. Cardano, G. B. Benedetti, D. Barbaro, G. Fracastoro, B. Cavalieri, V. Vincenti, B. Castelli, G. F. Sagredo, F. Maurolico. A riguardo di quest'ultimo autore egli riusciva a correggere gli inesatti giudizi di J. E. Montucla (in Histoire des math., I, p. 626) sulla datazione dei Photismi delumine et umbra e di J. Priestley (in The history andpresent state ofdiscoveries relatingto vision, p. 32) sulla priorità, che l'autore inglese attribuiva al Keplero, dell'"uso delle lenti convesse e concave per le varie strutture dell'occhio".

Nel '51 uscivano sugli Atti dei Nuovi Lincei due lavori compiuti dal B. su quei traduttori italiani del secolo XII, che avrebbero acquistato particolare importanza per la storiografia della scienza in quanto tramite all'introduzione dell'algebra nell'Europa medievale. Preceduto nella formulazione di queste vedute generali da M. Chasles (Aperçu historiquesur l'origine et ledéveloppement des méthodes en géométrie, Bruxelles 1837), il B. ebbe il merito di sottoporre ad accurate indagini diplomatiche e bibliografiche le due personalità maggiori: Platone di Tivoli e Gherardo di Cremona.

Nello scritto su Platone tiburtino (Delle versioni fatte da Platonetiburtino...) il B. dava notizia delle traduzioni dall'arabo a lui dovute, dei codici che ne erano stati reperiti e delle successive edizioni, incominciando da quella, molto rara, del trattato di astronomia dell'Albatenio fatta a Norimberga nel 1537. In tal modo si otteneva un profilo completo di uno dei più celebri traduttori italiani del dodicesimo secolo, come lo aveva definito G. Libri nell'Hist. des sciences mathém. en Italie (I, Paris 1838, p. 168), malgrado il "latin barbare" imputato a Platone dal Delambre (Histoirede l'astronomie, p. 10). Platone tiburtino tradusse: un trattato di astronomia di Albatenio principe di Siria; gli Sferici di Teodosio di Tripoli; un trattato di Abualcasin sull'astrolabio e un trattato di geometria del matematico ebreo Savosorda (o Savosarda). Il Liber in geometria del Savosorda (Biblioteca Naz. di Parigi, Ancien Fonds, ms. lat. 1724), databile al 1116, nella traduzione del Tiburtino, veniva ad essere il primo testo scientifico dell'Occidente in cui si fossero trovate ricerche sull'algebra. Mentre l'esemplare parigino era stato studiato anche dal Libri, il B. ne segnalò un secondo, esistente nella Biblioteca del convento di S. Marco a Firenze (n. 184). Il Savosorda è probabilmente da identificarsi con l'ebreo spagnolo Abrāhām ben Hiyyā che tradusse le opere matematiche arabe in ebraico per i Giudei della Provenza e della Francia meridionale.

Personalità ancor più ricca e varia di Platone tiburtino apparve essere quella di Gherardo cremonese, dopo l'accurata ricostruzione fattane dal B. in un lavoro pubblicato anch'esso nel '51 (Della vita e delle opere di Gherardo cremonese...). Si compiva così l'auspicio dell'ignoto autore di un elogio di Gherardo, che il B. pubblicava da un manoscritto della Vaticana: "Ne igitur magister gerardus cremonensis sub taciturnitatis tenebris lateat, ne fame gratiam quani meruit admictat ..." (ibid., p. 3).

Gherardo cremonese era noto come il traduttore dell'Almagesto di Tolomeo. Il B. si trovava innanzi a un compito biografico oltre che diplomatico, in quanto Gherardo era stato riferito a Carmona, nell'Andalusia, anziché a Cremona - da Niccolò Antonio, scrittore del '600 -, e considerato identico al Gherardo da Sabbioneta cremonese, che visse invece nel secolo successivo, come il B. poté dimostrare con argomenti probativi. Enucleata la personalità storica del Cremonese "magnus linguae translator arabicae" - come l'aveva definito il domenicano F. Pipino nella cronaca pubblicata dal Muratori (Rerum Italic. Script., IX, col. 600) - anche in virtù di alcuni documenti inediti da lui rinvenuti nella Biblioteca Vaticana, il B. ne ricostruì il formidabile apporto al rinnovamento scientifico del secolo XII. Gherardo, che a meglio conoscere la scienza araba si era stabilito a Toledo - "Tolecti vixit, Tolecti reddidit astris" - tradusse in latino, oltre al già citato Almagesto, un trattato dei crepuscoli di Alhazen, i tredici libri di Euclide e il trattato dei cinque corpi regolari di Ipsicle alessandrino, gli Sferici di Teodosio e l'omonima opera di Menelao di Alessandria. Particolare importanza assumeva, nel lavoro del B., la pubblicazione di un testo tradotto dall'arabo in latino ad opera di Gherardo cremonese (cod. Vat. 4606), in quanto esso avvalorava l'ipotesi dello Chasles che l'algebra numerica era entrata in Europa con i traduttori del secolo decimosecondo. Fra le notazioni usate nel trattato, se ne riscontra una riferentesi alle quantità negative. Altra importante traduzione del Cremonese fu quella di un trattato sulla misura della superficie e dei volumi dei corpi di un "Abuchri qui dicebatur Heus". Qui risulta nota la duplicità delle radici dell'equazione di secondo grado.

Nel '52, sugli Atti dell'Acc. Pont. dei Nuovi Lincei, usciva il primo lavoro del B. su Leonardo Pisano. Aveva inizio così una paziente ricostruzione diplomatica, filologica e biografica di una delle figure dominanti la matematica del secolo XIII, non ancora ben conosciuta.

Leonardo Pisano - Fibonacci, probabilmente da "filius Bonacci" o "de filiis Bonacci"; "bigollo" o "bigollone", come lo chiamavano i concittadini, forse per certa tendenza all'ozio o, secondo una successiva più sagace ipotesi (G. Bonaini, in Gior. stor. d. arch.toscani, I, [1857], p. 240), perché "biglosus", bilingue - aveva viaggiato in Africa settentrionale, Medio Oriente e Grecia, come riferisce nel proemio al Liber Abbaci, ed era vissuto alcuni anni in Africa con il padre, "publicus scriba in Duana Bugea pro pisanis mercatoribus". Ivi, nella città tunisina di Bugia "ex mirabili magisterio in arte per novem figuras Yndorum introductus" - cononosciuta, cioè, la notazione numerica poi invalsa nell'uso, e che si supponeva e ancor oggi da taluni si suppone originaria dell'India -, capì che essa era molto superiore a quella adoperata in Occidente. Il citato Liber Abbaci, in quindici capitoli, fu l'opera nella quale il Fibonacci si propose di esporre sistematicamente i principi dell'aritmetica e dell'algebra indiane ed arabe: ma l'opera nacque anche, come afferma l'autore, da una lettura approfondita di Euclide. Il B. accertò che l'Abbaco era stato scritto nel 1202 e nuovamente edito nel 1228, con un'aggiunta e una dedica a Michele Scoto, astrologo della corte di Federico II. Al sovrano svevo il Fibonacci fu presentato a Pisa da un maestro Domenico, che il B. identificò a Dominicus Hispanus: gli furono proposti, come si soleva, difficili quesiti scientifici, che il Fibonacci risolse nel Flos super solutionibusquarundam questionum e nel Liber quadratorum (la prima opera è dedicata al cardinale Raniero Capocci da Viterbo, la seconda allo stesso imperatore).

Il B. ebbe il merito d'individuare esattamente le opere del Pisano: il Liber Abbaci, la Practica geometrie, il Flos super solutionibusquarundum questionumad numerum et adgeometriam vel adutrumque pertinentium, il De modo solvendi questionesavium etsimilium, il Liber quadratorum, un Commentoal X libro diEuclide e un Libro dei mercanti di minor guisa. Il B. scoprì anche due nuovi codici del Liber Abbaci - l'uno membranaceo della fine del 400 nell'Ambrosiana, l'altro cartaceo della prima metà del '500 nella Biblioteca Borbonica di Napoli -, descrisse i già noti e nel '57 curò la prima pubblicazione a stampa dell'opera maggiore del Pisano. Il Libri, che aveva avuto piena consapevolezza della fondamentale importanza storica del matematico di Pisa (Histoire des sciencesmathématiques, II, p. 32), aveva pubblicato il capitolo XV dell'Abbaco in una nota al citato tomo secondo della sua storia delle matematiche.

I capitoli I-VII dell'Abbaco vertono sulle operazioni elementari con numeri interi e frazionari; i capitoli VIII-XII affrontano numerose equazioni di primo grado attinenti a problemi commerciali; il capitolo XIII si occupa delle cosiddette operazioni di falsa posizione; il capitolo XIV verte sull'estrazione delle radici quadrata e cubica, e il successivo ed ultimo, XV, contiene un breve trattato d'algebra. Il Fibonacci ricavò la regola per l'estrazione della radice cubica dall'analisi dello sviluppo del cubo di un binomio. "Vero è che essa si riscontra anche nel Tractatus numerandi di Sacrobosco pubblicato dallo Haliwell nel... 1839; ma Sacrobosco è morto nel 1256 e quindi può averla appresa dal libro di Leonardo scritto nel 1202. È certo invece che questa regola non si riscontrò finora in alcuno dei trattati di algorismo antecedenti a Leonardo" (G. Codazza, p. 22).

Nel '62, in un secondo volume degli Scritti inediti di Leonardo Pisano, il B. pubblicava per la prima volta a stampa la Practica geometrie. Lo stesso volume conteneva una seconda edizione degli opuscoli del Fibonacci: il Flos, le Questiones avium e il Liberquadratorum che, già editi dal B. nel '54, avevano presentato alcune mende segnalate da A. Genocchi (Intorno a tre scrittiinediti di Leonardo Pisano,pubblicati da B. B., in Ann. d.scienze mat. efis., VI [1855], pp. 47-68).

Composta nel 1220, la Practica geometrie precorre l'applicazione moderna dell'algebra alla formulazione e alla soluzione di problemi geometrici. Vi si trovano, tra l'altro, una dimostrazione del teorema di Pitagora attraverso la somiglianza dei triangoli che si possono costruire tirando la perpendicolare all'ipotenusa dal vertice dell'angolo retto; una nuova dimostrazione della formula che esprime l'area del triangolo in funzione dei lati; l'affermazione che l'area di campi posti su una superficie inclinata si deve desumere dalla loro proiezione su un piano orizzontale, e l'enunciato di alcuni fondamentali principî stereometrici. Nel Flos e nelle Questiones avium il Fibonacci aveva invece affrontato problemi determinati e indeterminati di primo grado a più incognite. In uno di tali problemi - "de quatuor hominibus et bursa ab eis reperta" - si è voluto vedere un esempio dell'introduzione di quel concetto di quantità negativa che tradizionalmente si attribuiva a Luca Pacioli. Inediti fino ad allora e leggibili soltanto su manoscritti molto rari - il Liber quadratorum era, in particolare, considerato disperso dal Libri -, gli opuscoli del Pisano furono ritrovati dal B. in un codice dell'Ambrosiana (E. 75, membranaceo, in 4º, del secolo XVI), e restituiti in corretta lezione alla storiografia del pensiero scientifico.

Altro rilevante contributo del B. alla storiografia erudita del pensiero scientifico era stato la pubblicazione (1857) di due trattati di aritmetica dei secoli XII e XIII: gli Algoritmi denumero Indorum e il Liber algorismide practica arismetrice di Iohannes Hispalensis. Il primo fu edito su un codice della Biblioteca di Cambridge, il secondo su uno della Nazionale di Parigi. L'autore del Liber algorismi fu identificato dal Libri (Histoire des sciences…, II, p. 301) con un giudeo, traduttore in ebraico di opere arabe da altri poi volte in latino, mentre lo Chasles (Comp.rend., XIII, p. 514) ritenne trattarsi d'un ebreo convertito che aveva scritto in latino nella prima metà del XII secolo.

I trattati editi del B. uscirono nel momento di massimo fervore delle ricerche sull'origine dell'aritmetica e dell'algebra medievali. Si discuteva in particolare sulla scoperta del sistema di numerazione decimale, che attribuendo a ciascuna delle prime nove cifre e allo zero un valore di posizione oltre che quello assoluto, permette di scrivere con facilità qualsiasi numero: tale scoperta era stata attribuita da alcuni autori agl'Indiani e agli Arabi, mentre lo Chasles (Sur l'origine de notre système denumération, in Compt. rend.des séancesde l'Acad. des sciences, VIII [1839], pp. 72-81) aveva sostenuto la tesi che un analogo sistema esisteva anche presso i Greci. Le cifre da noi usate dovrebbero perciò chiamarsi, secondo lo Chasles, non "arabiche", ma "cifre di Boezio" o "di Pitagora" (Sur le passage du premierlivre de la Géometriede Boèce relatifà un nouveau système denumération, Bruxelles 1836). Abbandonato l'uso dell'abaco - le cui ultime tracce si trovano nel Cinquecento - decadde il termine corrispondente, e si designò l'aritmetica con il termine arabo "algorismo": ciò, secondo lo Chasles, accreditò la tesi dell'origine araba, o arabo-indiana, del sistema numerico attuale.

I due trateati editi dal B. sono tra i più importanti che rispecchiano l'uso dell'algorismo: il Liber algorismi sarebbe l'opera più antica di questo genere, secondo lo Chasles. L'altro trattato, gli Algoritmi de numero Indorum, appartiene invece al secolo XII e venne composto dall'insigne matematico arabo Moḥammed-al-Khuwārizmī, che ebbe gran parte nel divulgare l'aritmetica e l'algebra entro l'ambito del mondo arabo. Pur non intervenendo in modo diretto nella citata polemica sull'origine greca o indiana del sistema decimale di numerazione, il B. attraverso le opere da lui pubblicate poté documentare l'importanza delle traduzioni di testi arabi nella rinascita della matematica occidentale tra il XII e il XIII secolo.

Nel '68, per i tipi della Tipografia delle scienze matematiche e fisiche, usciva il primo fascicolo del Bullettino di bibliografia edi storia delle scienze matematichee fisiche pubblicato da B. B. senza cenno alcuno di introduzione. Già al termine del primo anno di vita, la rivista si presentava con una utorevole collaborazione internazionale (G. Friedlein, A. Sédillot, G. A. Vorsterman van Oijen, M. Steinschneider, F. Viète) oltre che italiana. Agli articoli - pubblicati in italiano, in francese o in latino - seguiva sempre un'ampia rubrica di opere recenti, redatta dal B.; in essa e nelle note, attraverso l'uso continuo e inutile di regole affini a quelle della trascrizione diplomatica per i titoli dei lavori citati, appare subito all'occhio del lettore d'oggi quella "diligenza minuta e attentissima" (G. Manzoni, Studi di bibliografia analitica, Bologna 1882, II, p. 98) ma anche "pedantesca" (A. Mieli, La storia della scienza in Italia, p. 57) che caratterizzarono il Boncompagni. Il Fumagalli (La Bibliografia, Roma 1923, p. XXI) afferma che il B. "famoso raccoglitore di libri di matematica, cultore della storia delle scienze matematiche e fisiche, e bibliografo diligentissimo, anzi troppo diligente, negli ultimi anni spinse tale sua diligenza fino a stranissimi eccessi"; ma questo non diminuì il merito della sua attività bibliografica, come riconosceva il citato Manzoni scrivendo che "il signor Principe aveva pratica di libri ancor più di me" (op. cit., p. 62).

Il Bullettino si pubblicò con ritmo annuale fino al 1887, anno in cui uscì il ventesimo e ultimo tomo. La collaborazione internazionale si arricchì di studiosi di grande prestigio come M. Cantor e C. Henry, quella italiana dei nomi di A. Favaro, A. Genocchi, E. Narducci e numerosi altri. Gli argomenti trattati non si limitarono ai problemi della scienza antica e medievale, ma si estesero anche a una tematica recente, vista peraltro più in senso documentario e biografico che non culturale e teoretico.

In una commossa rievocazione del B., A. Favaro avrebbe ricordato quale somma di lavoro gli costava "l'effemeride da lui fondata", pur accennando ad una "minuziosaggine, spinta all'estremo limite" (Don B. B. e la storia delle scienze..., p. 514). Il Favaro giudicava tuttavia positiva quest'acribia dell'erudito romano, in quanto avrebbe assicurato l'autenticità dell'erudizione "sparsa larghissimamente dovunque" nella rivista, e stimolato l'impegno anche dei "più provetti". Il B. fu prodigo anche materialmente del suo, a beneficio degli studi: la tipografia che stampò il Bullettino e i più importanti lavori del B. era stata fondata da lui, ed ospitata dapprima al pianterreno del palazzo Simonetti sul Corso, poi nel Casino Aurora al quartiere Ludovisi. Riferisce il Favaro che il B. fece fronte da solo "alle enormi spese ... per quasi quarant'anni, concedendo libertà di usare dei suoi tipi per pubblicazioni scientifiche periodiche e non periodiche, con una generosità della quale si cercherebbe invano un altro esempio, non solo in Italia, ma in tutto il mondo" (ibid., p. 512). La stessa generosità si manifestò anche nell'invio gratuito del Bullettino ad accademie, biblioteche e singoli studiosi. Nell'82 il B.: aveva pensato - al dire del Favaro - di sospendere la pubblicazione del periodico, ma si lasciò indurre dalle insistenze di molti a continuarla fino al ventesimo tomo. Pare che, avvertiti i primi sintomi di una grave malattia, abbia cercato di cedere la direzione allo stesso Favaro, che declinò l'offerta per i gravosi compiti inerenti all'edizione nazionale delle opere di Galilei. Il B. si fece anche carico della stampa degli Atti dell'Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei, sovvenzionò volumi e periodici attinenti ai suoi studi, e permise con la sua munificenza la redazione e la stampa del catalogo dei manoscritti della Biblioteca Angelica di Roma.

Del Bullettino furono segnalate sull'autorevole BibliothecaMathematica talune "anomalie", prima dallo Steinschneider (s. XII [1898], p. 64), poi dal Favaro (s. 3, III [1902], pp. 383-385). Il B. faceva ristampare singoli fogli del periodico, su cui fossero apparsi errori di stampa o correzioni non autorizzate dall'autore dell'articolo, e questi fogli corretti erano inviati ai destinatari della rivista: ma le omissioni e le irregolarità che si verificarono nell'invio di tali fogli sostitutivi determinarono difformità non sempre lievi delle varie collezioni del periodico. A corredo dell'ultimo volume furono aggiunti tre utili indici: degli articoli, degli autori e degl'inediti pubblicati sulla rivista.

Cessata la pubblicazione della rivista, il B. si dedicò al riordinamento della sua biblioteca, ricca di oltre 650 manoscritti e di circa 20.000 volumi. Dei manoscritti era uscito un primo catalogo nel '62 a cura di E. Narducci, segretario e collaboratore del B.; una seconda edizione, che descriveva 249 manoscritti non indicati nella precedente, usciva nel '92 a cura dello stesso Narducci.

Sulla biblioteca del B. il Favaro non esitava ad affermare che "messa insieme fino dai primordi con un concetto unico e con mezzi quasi illimitati, doveva riguardarsi come unica al mondo" (op. cit., p. 518): sembra che il principe vi avesse profuso circa venti milioni di lire. Il B. non mancò di preoccuparsi del destino che avrebbe avuto dopo la sua morte un fondo bibliografico di tanta importanza, ma né si concretò la sua intenzione di far dono della biblioteca alla città di Roma, né si conclusero le trattative in un secondo tempo avviate con la Santa Sede. Passata agli eredi, la biblioteca fu messa in vendita, e all'asta, che superò di gran lunga le previsioni dei venditori, parteciparono i principali librai dell'Italia e dell'estero" (Riv. delle biblioteche, IX [1878], p. 48).

II B. morì a Roma il 13 aprile 1894, dopo una vita povera di eventi esteriori. Rampollo di un'illustre famiglia, elevatasi dal rango borghese al nobiliare con l'ascesa al soglio pontificio (1572) di Gregorio XIII, si comportò in modo assai riservato - diversamente da altri membri del patriziato romano - anche al tempo della presa di Roma e dell'annessione della città allo Stato unitario. Ebbe fama di carattere originale e di misantropo, e fu prodigo del suo per gli studi ma anche per scopi caritatevoli. Prescelto nel '47 fra i trenta che furono chiamati da Pio IX a comporre l'Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei, si astenne dal partecipare ai lavori della nuova Accademia dei Lincei costituita dal governo italiano, e declinò per coerenza, ma anche per il carattere modesto, l'offerta di un seggio al Senato fattagli da Q. Sella. Fu membro di vari consessi accademici italiani e stranieri, e socio onorario dell'Accademia delle Scienze di Berlino. L'opera del B., "a volerne dare un giudizio sintetico, fu notevole e talora insigne per l'erudizione filologica e diplomatica: ma questo momento erudito non seppe né trascendersi nell'intelligenza critica di ciò che può e dev'essere la storiografia del pensiero scientifico, né integrarsi entro la cornice d'una storia della cultura o delle idee. L'affermazione giovanile che "la storia delle scienze è l'occhio della storia del mondo" rappresenta tutto quanto seppe dirci il B. non erudito, giudice di se stesso e dell'opera sua. In palese contrasto con un Mach ed un Duhem - a lui contemporanei, anche se l'uno alquanto più giovane e l'altro appartenente alla generazione successiva - il B. intese la scienza come alcunché di autonomo rispetto agli apporti della cultura in genere e della storiografia in particolare, né mai pensò a correlare l'attività storiografica al bisogno già allora vivo d'una comprensione strutturale della conoscenza scientifica del mondo.

Opere: Recherches sur les integrales définies, in Journ. f. die reineu. angew. Math., XXV (1843), pp. 74-96; Intorno ad alcuni avanzamenti della fisica in Italianei secoli XVI e XVII, in Giornale arcadico, CIX (1846), pp. 3-48; Delle versioni fatte da Platone tiburtino,traduttore del secolo duodecimo, in Atti dell'Acc.Pont. dei Nuovi Lincei, s. 1, IV (1850-51), pp. 247-286; Della vitae delle opere di Gherardo Cremonese,traduttore del secolodecimosecondo,e di Gherardo da Sabbioneta,astronomo del secolodecimoterzo,ibid., pp. 387-493; Della vita e delle opere diLeonardo Pisano,matematico del secolo decimoterzo,ibid., s. I., V (1851-52), pp. 208-245; Opuscoli di L. Pisano,pubblicati da B. B.secondo la lezione di un codicedella Biblioteca Ambrosiana diMilano, Firenze 1856; Trattati d'aritmetica pubblicati da B. B., I, Algoritmi de numero Indorum; II, Ioannis Hispalensis liberAlgoritmi de practica arismetrice, Roma 1857; Scritti di LeonardoPisano,matematico,pubblicati da B. B., 2 voll., Roma 1857-62; Bullettino di bibliografia e di storiadelle scienze matematiche efisiche, pubblicato da B. B., tomi I-XX (1868-1887). Una ristampa anastatica del Bullettino è stata effettuata nel '68 dall'editore Forni di Bologna.

Bibl.: M. Cantor, Fürst B. B. Ludovisi. Ein Nachruf, in Zeitschr. für Mathematikund Physik, XXXIX (1894), pp. 201-203; G. Codazza, Il principe B. e la storia delle scienze matematiche inItalia, in Il Politecnico, XX (1864), pp. 5-27; A. De Gubernatis, Dizionariobiografico..., Firenze 1879, p. 220; A. Favaro, Intorno ad una lettera di G. F. Gauss ad E. G. M. Olbers, in Atti del R.Ist. Ven. di scienze lettere ed arti, sez. VII, t. 1 (1884-85), pp. 300-308; Id., Don B. B. e la storia delle scienze matematiche efisiche,ibid., sez. VII, t. VI (1894-95), pp. 509-521; I. Galli, Elogio del principe B. B., in Atti dell'Acc. Pont. dei NuoviLincei, XLVII (1894), pp. 40-45; A. Genocchi, Sopra la pubblicazione fatta da B. B.di undici lettere di Luigi Lagrangea LeonardoEulero, in Atti d. R. Accad. delle scienze di Torino, XII (1876), pp. 350-367; A. Mieli, La storia della scienza in Italia, Firenze 1916, p. 57; E. Narducci, Catalogo di manoscritti ora posseduti da Don B. B., Roma 1862 (2 ed., contenente una descrizione di 249 manoscritti non indicati nella precedente, Roma 1892); J. C. Poggendorff, Biogr-Literar.Handwörterbuch, III, p. 157; M. Steinschneider, Die Schriften desFürsten B.(in Rom) zurGeschichte der Mathematik, in Serapeum, 1858, n. 3, pp. 34-41; S. Negro, Seconda Roma, Vicenza 1966, passim.

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