AVARI

Enciclopedia Italiana (1930)

AVARI

Fedor SCHNEIDER
Adolf DIRR
Alfredo Trombetti

. È la popolazione più numerosa del Daghestan (circa 700.000 anime), diffusa in una vasta zona che va da Čir-jurt sul Sulak fino a Zakataly, nella parte meridionale oltre la catena principale del Caucaso. Gli Avari nel loro idioma si denominano Ma'aruld "abitatori dei monti": essi conservarono a lungo il primato politico del Daghestan e per molto tempo tennero testa ai Russi.

Come in quasi tutte le zone del Daghestan, anche in quella abitata dagli Avari le maggiori risorse economiche sono costituite dalla coltivazione del grano su campi disposti a terrazze, da pochi frutteti nei pressi delle capanne, dall'allevamento delle pecore, che però è praticabile soltanto nei mesi d'estate; durante gli altri mesi i greggi sono costretti a pascolare in luoghi assai distanti: p. es. in certe zone della Transcaucasia. I villaggi sono spesso situati in posizioni poco accessibili e inadatte a ogni sfruttamento economico; le case si costruiscono con pochissimo legno e con grandi lastre di pietra, che si collocano senza malta l'una sull'altra; hanno generalmente il tetto piano che forma la terrazza e l'atrio della casa soprastante. Pochissime sono le masserizie; per la cucina e per il riscaldamento si usa il kisiak (stabbio combustibile), essendovi grande scarsità di legname. Il vestiario degli uomini è uguale a quello in uso presso i Circassi; il costume delle donne varia secondo le diverse regioni, ma spesso vi si riconosce ancora l'influenza circassa. La religione praticata è quella musulmana, sunnitica.

Lingua. - L'avaro insieme coi gruppi Andi e Dido appartiene a uno dei tre sottogruppi in cui può essere diviso il complesso delle lingue caucasiche (v.), cioè al sottogruppo ceceno-daghestanico. L'avaro è la lingua più importante del Daghestan sia per l'ampiezza del territorio e per il numero di coloro che la parlano, sia per la preminenza politica che gli Avari ebbero un tempo. Numerosi sono i dialetti, fra i quali primeggia quello di Chunzach, siudiato dall'Uslar.

Nei sostantivi, aggettivi e pronomi, l'avaro distingue tre classi: 1. esseri ragionevoli maschili; 2. esseri ragionevoli femminili; 3. il resto. Gl'indici delle classi sono:1. u (v); 2. i (j); 3. b, per il plurale r; p. es. či v-u-go "l'uomo è", č'uzù j-i-go "la donna è", hoi b-u-go "il cane è", habì r-u-go "i cani sono", do-u "egli", do-i "essa", do-b "esso". Complicata è la declinazione in causa della variabilità delle vocali, p. es. emèm per *emèn "padre": plur. umùm-ul. Spesso la variazione è triplice; keto "gatto": ergativo gatica, plurale kttul. La coniugazione ha un'opprimente abbondanza di forme (l'Uslar ne dà 114), che però si riducono a 8 fondamentali. Il sistema di numerazione è decimale.

Storia. - La patria degli Avari era l'altipiano asiatico. Appartenevano alla razza mongolica e, in particolare, al ramo turco; probabilmente furono affini agli Unni. Il loro nome è identico a quello degli Ujguri, chiamati dai Bizantini Ogor (forse nome persiano in origine). Secondo le fonti cinesi, intorno al 400 si formò nella Mongolia, presumibilmente fra gli Ujguri, l'orda Zu-Zu, che vinse la parte degli Ujguri estranea all'orda, poi, intorno al 402, anche gli Unni occidentali, e conquistò al comando del suo Khaqān "Khan dei khan" il paese dei Saviri (che diedero poi il nome alla Siberia), ceppo unno sull'Irtyš nella Siberia occidentale. Questo è il punto di partenza degli Avari: una parte si volse intorno al 460 verso il Mar Caspio e il Mar Nero. Il loro nome appare allora per la prima volta in Europa, in occasione d'un'ambasceria Bisanzio; sparisce quindi per quasi un secolo, e riappare poi di nuovo nella stessa regione. Gli Avari vengono chiamati spesso anche Unni.

Verso il 550 i Turchi, che s'erano insediati intorno alla catena dell'Altai, vinsero gli Zu-Zu e fondarono il grande regno dei Turchi-Altai, fra la Cina, la Persia e il Mar Caspio. Per sfuggire alla servitù dei Turchi, nuclei importanti di questi Ujguri si unirono con i discendenti della loro stessa stirpe, gli Avari, ma furono sospinti dai Turchi più a occidente. Nel 558 li troviamo presso gli Alani (v.), cioè nella regione fra la Crimea e il Caucaso. Qui s'insediarono alcuni loro nuclei; nel Lesghistan, a settentrione del Caucaso (nell'odierna repubblica sovietica del Daghestan), si trova un ceppo chiamato degli Avari e lo stesso nome porta pure un fiume, l'Avarskoe-Koisu. Gli Avari chiesero a Giustiniano, per mezzo di un'ambasceria (558), una regione per stabilirvisi ed egli li fece deviare verso l'Ucraina occidentale, per combattere col loro mezzo le popolazioni nemiche degli Unni e degli Slavi. Pare che già Giustiniano abbia loro assegnato la Pannonia.

Fra i dotti bizantini si formò allora la leggenda etimologica, che gli Avari non fossero Avari veri e proprî, ma che fossero solo ritenuti tali dalle popolazioni unne del Mar Caspio e che essi stessi avessero adottato questo nome temuto. Si ritenne veramente trattarsi di due ceppi di nome Var e Chunni, ai quali, insieme, si diede il nome di Varchonitae. Questa favola gode ancor oggi di credito immeritato ed ebbe origine dalla erronea spiegazione del nome Varchonitae, che significa "Unni avari".

Mentre il Gran Khan dei Turchi cercava di frustrare i loro sforzi mediante l'invio d'un'ambasceria a Bisanzio, gli Avari si spinsero fino al confine orientale del regno dei Franchi. In Turingia essi furono vinti intorno al 561 o 562 dal re d'Austrasia Sigiberto; ma in una seconda scorreria essi lo fecero prigioniero e strinsero con lui un patto che garantiva i Franchi da ulteriori invasioni avare; conseguenza, senza dubbio, della mutata politica dell'imperatore Giustino II a loro riguardo. Nemico di Bisanzio, il Khaqān Baian, fondatore del regno degli Avari, penetrò nella Pannonia, dove ferveva la lotta fra i Longobardi, stretti allora d'amicizia con i Franchi, e i Gepidi sostenuti da Bisanzio; egli s'alleò con il re dei Longobardi Alboino e venne così a far parte di una grande combinazione politica (Bisanzio-Gepidi-Turchi contro Franchi-Longobardi-Persiani-Avari), alla quale si riconnettono i combattimenti di Narsete nella Venezia contro i Franchi, e che si concluse con la perdita di mezza Italia, passata in potere dei Longobardi. Con questi ultimi, gli Avari distrussero il regno dei Gepidi (566 o 567), ma Alboino, obbligato, secondo i patti, a cedere agli Avari il paese conquistato, dovette ritirarsi, davanti alla loro superiorità, in Italia (568).

Alboino aveva ceduto agli Avari le sedi dei Longobardi in Pannonia; quelli da parte loro s'obbligarono di prestargli aiuto in Italia e di restituirgli il paese ricevuto in cessione, nei prossimi due secoli, nel caso fallisse l'avventura italiana. Gli Avari hanno assalito invero più volte il Friuli (610 e 663), ma per lo più soltanto per ridurre all'obbedienza i duchi ribelli, per incarico di re longobardi con i quali essi erano, anche per altri riguardi, in rapporti amichevoli. Profughi politici, come il re Perctarit detronizzato da Grimoaldo (661), e più tardi i congiurati col duca Rodgaudo contro Carlomagno (776), trovarono spesso asilo e protezione presso il Khaqān.

Dal 568 gli Avari abitarono nella puszta ungherese, e dominarono popolazioni bulgare, gepide e slave. Il loro regno sembra essersi esteso, al tempo della loro maggior potenza, dalla Dalmazia fino alla Boemia, con inclusione dell'Austria e dell'Ungheria, dalle Alpi Orientali fino alla Transilvania. Dal 575 e 576, da quando cioè assalirono l'Impero bizantino prima per mezzo di popoli loro vassalli, bulgari e slavi, e poi direttamente, essi divennero per sessant'anni il terrore dei paesi balcanici; patti d'alleanza e pagamenti di tributi offrirono agl'imperatori sempre solo brevi periodi di pace. Fino al Peloponneso si spinsero queste orde barbariche e con queste scorrerie incomincia la devastazione e la slavizzazione della regione balcanica. Al terribile assedio di Salonicco (600) non diede tregua che la peste, che decimò l'esercito degli Avari; nel 619 essi stanno davanti a Costantinopoli; poco dopo li vediamo nuovamente far parte di una combinazione politica contro Bisanzio. Mentre Eraclio riesce a vincere i Persiani solo dopo aspri combattimenti, gli Avari, cui i Persiani mandano invano, per mare, truppe ausiliarie, assediano Costantinopoli (626) con le loro popolazioni vassalle, un variopinto composto di Bulgari, di Slavi e di Gepidi. Gli Avari furono forse allora costretti alla ritirata dall'irruzione dei Serbi e Croati nei paesi balcanici.

Alla loro massima potenza segue il rapido tramonto. Alla stessa epoca il franco Samo fondò un grande regno slavo: da allora gli Avari dovettero rinunciare per sempre alla Boemia. Successivamente si staccarono dal regno degli Avari i Bulgari, i quali fondarono per conto loro un regno nei Balcani. Con i Franchi gli Avari vissero in pace; una guerra in Turingia, nell'anno 596, si deve mettere certamente in relazione col passaggio dei Franchi ai Bizantini. Quando i Bavari diventarono confinanti degli Sloveni, sottomessi agli Avari, scoppiarono frequenti lotte di confine, alle quali però gli Avari non presero parte direttamente che molto di rado. Intorno al 740 passano sotto il dominio del duca dei Bavari anche gli Sloveni Carantani (della Carinzia), i quali erano rimasti fino allora semi-indipendenti dai Franchi. Solo quando Carlomagno tolse di mezzo il ducato di Baviera, la guerra contro gli Avari divenne un compito politico del regno franco. Lo stato del Khaqān si trovava ormai in dissoluzione e neppure i suoi rapporti con gli altri nemici di Carlo, i Sassoni e i Saraceni di Spagna, poterono salvarlo dalla rovina portatagli dalle guerre che nel 791, 795 e 796 gli mossero, con il concorso dei Longobardi, re Pipino, figlio di Carlo, ed Enrico margravio del Friuli. Il bottino fu immenso, la nobiltà fu annientata, il popolo rimase esausto o fuggì cercando asilo presso i Bulgari. I resti degli Avari furono battezzati e presero dimora fra il Danubio e la Raab; nell'822 essi si presentano per l'ultima volta come popolo unito; i loro ultimi resti erano già tributarî dei Bavari, quando intorno all'870, vengono menzionati per l'ultima volta sotto il nome di Huni nella Conversio Bagoariorum et Carantanorum dell'anonimo Salisburghese (Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, ediz. Pertz, XI). Quanto grande fosse l'impressione che tale rovina degli Obri (così sono chiamati) fece sul mondo slavo, è possibile rilevare da quel che dice il cronista russo Nestor. I pochi superstiti si fusero in prosieguo di tempo con gli Ungheresi.

Gli Avari rimasero sempre un popolo di cavalcatori nomadi, che, quale aristocrazia guerriera, visse interamente a spese dei suoi sudditi slavi e gepidi, coltivatori; nei loro valli formidabili, nella puszta, essi nascondevano i tesori predati nelle razzie. In guerra mandavano avanti, ai primi assalti, le truppe ausiliarie; essi poi, quasi cresciuti come in un corpo solo con i loro cavalli, e pieni di ardore guerresco, simili per il modo di combattere selvaggio agli Unni, divennero una terribile potenza guerresca. Il loro regno era uno stato feudale, come più tardi fu quello degli Ottomani. A lato del Khaqān stava il Jugur; fra i capi, Tarchani, eccelleva il Tudun. La forza selvaggia degli Avari tralignò ben presto, dopo che cessarono le loro razzie; gli Slavi si ribellarono alla loro dominazione crudele. Indeboliti e fiaccati anche da lotte intestine, essi soggiacquero ai Franchi senza eccessiva resistenza.

Bibl.: E. Gibbon, The history of the decline and fall of the Roman Empire, ed. J. B. Bury, Cambridge 1909, IV e V; K. Zeuss, Die Deutschen und die Nachbarstämme, Monaco 1837, pp. 727-742; M. Büdinger, Österreich. Gesch. bis zum Ausgang des XIII Jahrh., I, Lipsia 1858, passim; K. Hopf, Gesch. Griechenlands vom Beginn des Mittelalters bis auf unsere Zeit (395-1381), voll. 2, in Ersch e Gruber, Allgemeine Encyklopädie der Wissensch. und Künste, Berlino 1867; F. Krones, Handbuch der Gesch. Österreichs, I, Lipsia 1879, p. 238 segg.; A. Huber, Geschichte Österreichs, Vienna 1885, p. 47 segg.; E. Mühlbacher, Deutsche Gesch. unter den Karolingern, Stoccarda 1896, pp. 176-187; H. Gelser, Die Genesis der byzant. Themenverfassung, in Abhandlungen d. Phil. Hist. Cl. der Sächs. Gesellsch. d. Wissensch., XVIII, LIpsia 1899, pp. 42-64; L. M. Hartmann, Gesch. Italiens im Mittelalter, II, Gotha 1899, i, pp. 16-19 segg.; L. Schmidt, Gesch. der deutschen Stämme bis zum Ausgang der Völkerwanderung, I, Lipsia 1904-1910, p. 440 segg.; I. Peisker, Die älteren Beziehungen der Slaven zu den Turkotataren und Germanen und ihre soziale Bedeutung, in Vierteljahrschr. f. Sozial- u. Wirtschaftsgesch., III (1905), pp. 297 segg., 487 segg., 531 segg.; W. Tomaschek, s. v., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswl., Stoccarda 1906, II; E. Stein, Studien zur Gesch. des byzant. Reiches, vornehmlich unter der Kaisern Justinus II und Tiberius Constantinus, Lipsia 1919, passim; J. B. Bury, History of the later Roman Empire from Theodosius I to the death of Justinian, I (359-568), II, Londra 1923, pp. 314-316; id., The invasion of Europe by the Barbarians, Londra 1928, p. 262 segg.; A. Dopsch, Verfassungs- u. Wirtschaftsgesch. des Mittelalters, Vienna 1928, pp. 240-245. Una storia degli Avari, comunque soddisfacente, manca fino ad oggi.

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