AVALOS, Andrea d', principe di Montesarchio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

AVALOS, Andrea d', principe di Montesarchio

Gaspare De Caro

Si ignora la data di nascita dell'A., figlio di Giovanni e di Andreana di Sangro dei principi di Sansevero. È errata la notizia del Capasso secondo cui l'A. avrebbe ricoperto la carica di prefetto dell'annona di Napoli tra l'8 febbr. 1635 e il 12 dic. 1637: in questo periodo l'ufficio era infatti tenuto dal padre di Andrea. Alla medesima carica di grassiere l'A. fu designato invece da Masaniello durante i moti popolari del luglio 1647. La carica tuttavia non fu assunta dall'A., che, temendo il diffondersi dell'insurrezione, si era già recato nel suo principato di Montesarchio per prepararvi la difesa contro i popolari. L'odio per questi, e soprattutto per il loro capo, indusse l'A. ad inviare a Napoli, con l'incarico di eliminare Masaniello, un suo servitore, Tommaso De Caro, e questi ebbe effettivamente una parte importante nell'uccisione del tribuno il 16 luglio 1647. Nella reazione nobiliare dopo la morte di Masaniello, l'A. si distinse con una serie di iniziative volte a bloccare la città ribelle e a ridurla alla fame: occupò Acerra e Nola, distrusse i mulini di Poggioreale e deviò le acque da quelli di Napoli, impedì il transito nei suoi territori, passaggio obbligato per le Puglie, del grano inviato alla capitale. Invano i popolari, dopo aver saccheggiato per vendetta il suo palazzo di Napoli, diressero contro Montesarchio le bande di Paolo di Napoli e di Giacinto d'Ambrosio, che l'A. massacrò al passo delle Foci di Arpaia nei primi giorni del gennaio 1648.

Nonostante questa sua energica azione antipopolare, l'A., uomo di sconfinata ambizione, tentò, sia pure con tutte le possibili cautele, di approfittare della crisi del paese per trarne personali vantaggi: così, al principio del 1648, quando il duca di Guisa fece appello ai principali esponenti dell'aristocrazia del Regno per guadagnarli alla propria causa, l'A. trattò segretamente con lui; ma, quando le sorti dell'avventuroso duca si avviarono verso la completa disfatta, l'A. fu abbastanza abile da evitare di rimanere compromesso.

Passato in Puglia al soccorso del fratello Francesco, principe di Troia, contribuì in notevole misura alla repressione degli ultimi residui della rivolta nella regione, strappando ai popolari le città di Troia e Lucera. Tuttavia non mancarono verso di lui i sospetti degli Spagnoli, e particolarmente del viceré conte d'Oñate, che trassero poi nuovo alimento dal comportamento dell'A. a Procida nel giugno del 1649: l'A. respinse gli attacchi di una squadra francese della flotta di Tommaso di Carignano, ma poi abbandonò l'isola tornandosene a Napoli, sicché, essendosi successivamente i Francesi impadroniti di Procida, l'Oñate poteva comunicare (16 ott. 1649) a Filippo IV il sospetto che l'impresa del Savoia fosse stata piuttosto favorita che avversata dall'Avalos. La crisi recente del potere spagnolo indusse tuttavia il viceré a non portare avanti l'inchiesta: meditò peraltro di allontanare l'intrigante patrizio da Napoli con il comando di due reggimenti in procinto di partire per il Milanese, ma prima dell'attuazione del progetto fu scoperta la partecipazione dell'A. al nuovo complotto antispagnolo, che da lui prende il nome di "congiura del principe di Montesarchio".

Grande era il risentimento del patriziato napoletano per la politica dell'Oñate, il quale, convinto che frenare il baronaggio era condizione essenziale per impedire nuovi pericolosi sussulti popolari, si opponeva alla pratica esecuzione delle promesse di premi e riconoscimenti largamente fatte ai nobili da don Giovanni d'Austria. Si formò pertanto intorno al figlio di Filippo IV un partito di aristocratici programmaticamente ostili all'autorità vicereale. Quando a Madrid ci si rese conto dei pericoli di questo dualismo, don Giovanni fu inviato da Napoli come viceré in Sicilia (23 sett. 1648). Il malcontento continuò, e l'A., al quale il viceré aveva rifiutato la concessione del feudo di Ischia, reso vacante dalla morte della marchesa del Vasto, sua zia, divenne il centro del risentimento nobiliare, che si concretò nel disegno di sopprimere il viceré, scacciare gli Spagnoli da Napoli e dalla Sicilia e proclamare l'indipendenza dei due Regni sotto il governo di don Giovanni d'Austria. Si ignora la consistenza raggiunta dal complotto: pare probabile che soltanto alcuni esponenti dell'aristocrazia ne conoscessero interamente i termini, esposti dall'A. in un memoriale a don Giovanni dell'autunno 1648.

Il giorno della rivolta venne fissato per la vigilia della festa di san Giovanni Battista (23 giugno 1649). Ma la congiura fu scoperta dall'Oñate per la delazione di un nobile, Pietro Carafa, e l'A., che, sotto pretesto di recarsi in pellegrinaggio a Soriano Calabro, tentava di raggiungere in Sicilia don Giovanni, fu rinchiuso in Castel dell'Ovo (17 dic. 1648).

Mentre i congiurati di condizione borghese venivano sbrigativamente giustiziati, il prestigio del nome salvò l'A.: il vicerè non volle assumersi la responsabilità di un provvedimento capitale e chiese disposizioni alla corte; questa dispose, il 29 giugno 1649, la traduzione dell'A. in Spagna. L'Oñate, tuttavia, per continuare nell'opera di intimidazione della nobiltà, trattenne l'A. nella fortezza napoletana, sotto vari pretesti, sino al 23 maggio 1651, allorché ne decise l'invio in Spagna insieme con un altro dei maggiori implicati nella congiura, Gregorio Carafa. Giunto in Spagna, l'A. fu trattenuto in carcere sino al 18 ott. 1652, allorché una giunta consultiva nominata da Filippo IV ne decise la liberazione. Si interdisse, però, all'A. il ritorno a Napoli fino a che vi fosse rimasto l'Oñate. Intanto egli fu accolto onorevolmente a corte e lo si destinò, addirittura al seguito di don Giovanni d'Austria: prova che l'affetto del re per il figlio non fu estraneo al provvedimento di clemenza deciso verso il feudatario ribelle.

Con don Giovanni l'A., al comando di un reggimento di fanti napoletani, partecipò alla guerra contro i separatisti di Catalogna, distinguendosi in vari fatti d'arme e particolarmente, al principio del 1653, nella difesa di Gerona contro i Francesi. Il comportamento dell'A. durante questa campagna gli guadagnò definitivamente il favore di Filippo IV, tanto da ottenerne, nel 1654, una pensione privilegiata di 1500 scudi e successivamente l'autorizzazione a ritornare a Napoli.

Nel 1660, al comando dapprima di sei, quindi di dodici vascelli napoletani, l'A. prese parte alla guerra contro il Portogallo. Come ammiraglio delle galere napoletane, carica che gli fu rinnovata alla morte di Filippo IV (1665) dalla reggente Maria Anna Teresa, l'A. negli anni successivi guerreggiò incessantemente a difesa dei traffici marittimi spagnoli contro le navi inglesi, olandesi e barbaresche e di queste ultime attaccò a varie riprese le basi sulla costa africana.

Prese anche parte alla guerra per la rivolta di Messina (1674-78), combattendo dapprima agli ordini dell'ammiraglio Melchor de La Cueva. Quando, per lo scacco inflitto alla flotta spagnola dai Francesi l'11 febbr. 1675, il La Cueva venne destituito, l'A. fu designato da Madrid a sostituirlo col titolo di "capitano generale dell'armata del Mare Oceano". L'ostilità degli esponenti spagnoli dell'armata creò al nuovo ammiraglio molte difficoltà, aggravate anche dai dissidi col vicerè di Sicilia, marchese di Villafranca, che lesinava gli approvvigionamenti alla flotta. Nel novembre 1675, una violenta tempesta distrusse circa metà delle sue navi, sicché dovette rifugiarsi a Palermo e rimanervi sino all'arrívo dell'alleata armata olandese guidata dal Ruyter. Con questo l'A. partecipò alla battaglia di Stromboli (8 genn. 1676), ma il malanimo degli Spagnoli e la diffidenza del viceré lo costrinsero ad abbandonare nello stesso mese il comando e a recarsi a Madrid per giustificarsi. L'appoggio di don Giovanni d'Austria gli riottenne il comando della flotta di Sicilia, e nel 1678 il ritorno a Messina per la riconquista della città.

Nel luglio 1683 l'A. fu nominato membro del Consiglio di guerra e lasciò il comando delle galere siciliane; ma, mentre viaggiava verso la Spagna per prendere possesso della carica, fu catturato dai Francesi e rilasciato solo nel 1685.

Nel 1687 rinunziò, per l'età avanzata, ad ogni incombenza e si ritirò a Napoli.

Una parte importante egli ebbe di nuovo allorché, nel 1701, fu scoperta in Napoli la congiura detta "di Macchia", con la quale una frazione della nobiltà mirò a consegnare il Regno agli Austriaci. L'A., benché vecchissimo (aveva circa novanta anni, secondo il Granito), si mise risolutamente alla testa della nobiltà rimasta fedele alla Spagna e, con l'aiuto determinante dei marinai napoletani, tra i quali era popolarissimo per averne avuti molti con sé durante la sua attività di ammiraglio, represse rapidamente, il 23 e il 24 settembre, la congiura. Forse l'A. sperò di ottenere in premio dal governo spagnolo i feudi di Vasto e Pescara, appartenenti al cugino Cesare d'Avalos che si era schierato con la fazione austriaca, ma fu soltanto insignito del Toson d'Oro.

Ancora nel 1707 l'A. tentò di opporsi alla conquista austriaca di Napoli, capeggiando la milizia urbana del Mercato.

Morì non più tardi dell'anno successivo.

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