AUTORITARISMO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

AUTORITARISMO

Gianfranco Pasquino

In prima approssimazione l'a. si può considerare come quel complesso di fenomeni che si manifestano nell'imposizione dall'alto, in forma gerarchica e con il ricorso alla coercizione, di comandi, ordini, obbedienza. Abitualmente, l'a. viene analizzato da tre punti di vista. Dal punto di vista della personalità fa testo la famosa, per quanto controversa, ricerca di Th. W. Adorno e dei suoi collaboratori (1950), in cui i tratti specifici della personalità autoritaria vengono individuati nel conformismo, nella sottomissione agli ordini, nell'aggressività più o meno contenuta, in una visione cinica e negativa dei rapporti interpersonali. Altri autori, anch'essi fortemente e più o meno direttamente influenzati dall'esperienza del nazismo, come E. Fromm (1941), hanno sottolineato che la personalità autoritaria emerge e viene plasmata da un periodo d'insicurezza quando, rotti i legami tradizionali con la propria comunità, l'individuo viene proiettato in una situazione nella quale deve assumere responsabilità personali. La 'fuga dalla libertà' è, allora, tipica degli individui incapaci di assumere tali responsabilità e quindi disponibili a delegarle alle autorità. La fase di transizione da una società tradizionale, protetta e rassicurante, a una società di massa, nella quale gli individui sono al tempo stesso sradicati e atomizzati, è quella nella quale, secondo per es. W. Kornhauser (1959), si producono le più diffuse predisposizioni all'autoritarismo.

In questa fase, in società di questo tipo, possono nascere e diffondersi ideologie autoritarie. Ideologie di questa natura, che mettono l'accento sui valori tradizionali − obbedienza, ordine, sottomissione, religiosità, rispetto delle gerarchie, accettazione delle diseguaglianze come naturali, riconoscimento delle posizioni sociali date −, sono sempre esistite, anche se il loro rigoglio sembra essersi avuto proprio nel periodo in cui, con il collasso del regime feudale e con la comparsa della società borghese, quei 'valori' tradizionali vennero sfidati in maniera più esplicita. Infine, le ideologie autoritarie più moderne si sono nutrite, oltre che di una denuncia esplicita dell'egualitarismo, di anti-semitismo e di razzismo.

Sul terreno predisposto dall'esistenza di personalità e di ideologie almeno potenzialmente autoritarie e nelle fasi di transizione da un assetto sociale tradizionale (relativamente stabile) a uno relativamente moderno (non consolidato) s'innestano, ed è questa la terza prospettiva, gli esperimenti e i regimi autoritari. La loro varietà, come suggerisce il sociologo e politologo spagnolo J. Linz, lo studioso che ha trattato il problema più a fondo, è enorme. Appare perciò opportuno restringere il campo ai regimi autoritari della fine del 19° e del 20° sec. ed escludere dall'analisi le monarchie tradizionali e assolute e i dispotismi, così come non debbono essere fatte rientrare nelle categorie dei regimi autoritari le dittature personali.

Così delimitato il campo, la definizione più diffusa e maggiormente accettata è per l'appunto quella di Linz, formulata in riferimento al franchismo spagnolo, ma facilmente estensibile e applicabile a numerosi altri casi storici concreti.

Secondo Linz (1970, p. 255) "i regimi autoritari sono sistemi politici a pluralismo politico limitato, non responsabile; senza un'ideologia direttiva elaborata (ma con mentalità distintive); senza estesa o intensa mobilitazione politica (ad eccezione di alcuni momenti nel loro sviluppo); e nei quali un leader (o occasionalmente un piccolo gruppo) esercita il potere entro limiti formalmente mal definiti, ma in realtà alquanto prevedibili". In questa definizione, l'attenzione è indirizzata all'incapacità del potere politico a sopprimere le altre strutture sociali e politiche. Chiesa, burocrazia, forze armate, organizzazioni economiche permangono e svolgono un qualche ruolo, svincolate dal controllo dei cittadini. Contrariamente ai regimi totalitari, i regimi autoritari non hanno un'ideologia forte, programmatica, vincolante, ma si fondano su alcune mentalità tradizionali e tradizionalistiche. Essi non mirano a mobilitare la popolazione, tranne che in alcuni momenti: talvolta nella fase di instaurazione oppure in presenza di difficoltà operative. Comunque, non sono regimi di mobilitazione di massa e godono, semmai, di un consenso che è largamente passivo. Infine, il leader esercita un potere che è notevole ma mai assoluto, quindi non svincolato dalle aspettative degli altri attori, più spesso mantenuto nell'ambito dei rapporti fra le istituzioni e i gruppi che formano la coalizione autoritaria e diretto a contenere gli eventuali dissidi e scontri.

Un regime autoritario è spesso il prodotto di un processo di modernizzazione politica che, una volta iniziato, non ha trovato sufficiente forza e adeguato sostegno per creare una democrazia. Nel cruciale passaggio da regimi quasi-democratici a partecipazione limitata, come per es. l'Italia giolittiana o la Spagna repubblicana, la mobilitazione secondaria delle forze che occupano le posizioni di rilievo nel sistema socio-politico riesce a impedire alle classi di recente mobilitazione di creare nuovi equilibri politici, sociali ed economici e a bloccare il processo di costruzione di una democrazia a partecipazione allargata. La coalizione autoritaria, composita al suo interno, poco omogenea quanto agli obiettivi, non particolarmente moderna, non può spingersi fino a un esito totalitario. Per queste ragioni, nonostante avessero più di una propensione ideologica in questo senso, né il fascismo di Mussolini né l'a. di Franco hanno saputo o voluto spingersi fino alla creazione di un regime totalitario.

I regimi autoritari non si propongono né di cambiare l'uomo né di modernizzare la società. Lasciando un certo spazio a una limitata competizione fra le forze economiche, tuttavia, i regimi autoritari sono costretti a fare i conti con il cambiamento. Cercano di filtrarlo, di attenuarlo, di regolamentarlo; non hanno né la forza né le capacità d'impedirlo del tutto. Paradossalmente, il loro maggiore successo consiste proprio nel rallentare il ritmo del cambiamento socio-economico e quindi nell'assimilare lentamente nella struttura del potere esistente i nuovi gruppi di sfidanti, fermo restando che i vecchi gruppi di oppositori vengono tenuti ai margini del sistema o fuori di esso.

Poiché il leader del regime autoritario − nella stragrande maggioranza dei casi il suo fondatore − è il vero ago della bilancia all'interno della coalizione autoritaria, il vero problema di questi regimi è costituito dalla successione al vertice. Nonostante alcuni tentativi di istituzionalizzare le procedure di successione, prevalentemente con la scelta dell'erede da parte del leader in carica, la crisi di successione si è sempre rivelata fatale per i regimi autoritari. Si sono così aperti spazi che l'opposizione democratica ha potuto sfruttare con maggiore o minore successo (a un regime autoritario non è detto, infatti, che faccia immediatamente seguito una democrazia stabile; può succedere prima un altro regime autoritario più debole e fragile, poi un esperimento democratico), a seconda della sua coesione, della sua rappresentatività, della sua abilità politica.

I regimi autoritari non hanno dimostrato grandi capacità di durata neppure nella loro espressione contemporanea, vale a dire quella di regimi più o meno apertamente militari, ma la loro comparsa è sempre possibile, in rapporto alle crisi di legittimità e di funzionamento delle democrazie.

Bibl.: E. Fromm, Escape from freedom, New York 1941 (trad. it., Milano 1963); Th. W. Adorno e altri, The authoritarian personality, ivi 1950 (trad. it., Milano 1973); W. Kornhauser, The politics of mass society, Glencoe 1959; B. Moore jr., Social origins of dictatorship and democracy, Boston 1966 (trad. it., Torino 1969); J. Linz, An authoritarian regime: Spain, in Mass politics, a cura di E. Allardt e S. Rokkan, New York 1970, pp. 251-83; Id., Totalitarian and authoritarian regimes, in Handbook of political science, a cura di I. Greenstein e N. W. Polsby, Reading (Mass.) 1975, vol. 3, pp. 175-411; A. Perlmutter, Modern authoritarianism. A comparative institutional analysis, New Haven-Londra 1981; Mort des dictatures?, a cura di L. Hamon, Parigi 1982; L. Morlino, Autoritarismi, in Manuale di scienza della politica, a cura di G. Pasquino, Bologna 1986, pp. 137-89; Transitions from authoritarian rule. Prospects for democracy, a cura di C. O'Donnell, Ph. Schmitter, L. Whitehead, Baltimora 1986.

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