Automazione

Enciclopedia delle scienze sociali (1991)

Automazione

Bruno Bezza
Giovanni Dosi

Introduzione

Si definisce 'meccanizzato' ogni processo che sostituisce procedimenti lavorativi basati su fonti di energia inanimata a operazioni compiute dall'uomo (o, meno spesso, dagli animali: ad esempio il lavoro dei cavalli, ecc.). L'automazione di un qualsiasi processo produttivo implica non solo meccanizzazione, ma anche qualche tipo di autoregolazione in varia misura 'automatica' del processo stesso. Più precisamente, l'automazione rappresenta quella specie ristretta di processi meccanizzati nei quali le macchine sono capaci di accumulare e di elaborare gradi diversi di informazione, 'inputata' ad hoc dagli operatori o, a livelli superiori di automazione, acquisiti direttamente dagli apparati nella loro storia operativa. Almeno dall'epoca della rivoluzione industriale è avvenuta una trasformazione estremamente rapida - se comparata con le epoche precedenti della storia umana - nelle tecnologie produttive, della quale trasformazione un aspetto fondamentale è stato la progressiva meccanizzazione della produzione. L'invenzione e l'utilizzazione economica della macchina a vapore e, in seguito, del motore a combustione interna (motore a scoppio) e dell'elettricità hanno permesso una progressiva e sempre più estesa meccanizzazione di singole fasi dei processi lavorativi (ad esempio il movimento dei telai) e di interi processi (ad esempio la locomozione e il trasporto di persone e di merci). Tale trasformazione ha implicato storicamente un passaggio talvolta rapido nell'uso e nella gestione delle macchine, generalmente intese, per la produzione. Ad esempio, l'elettricità rispetto al vapore ha comportato la possibilità di distribuire l'energia a seconda delle necessità produttive e a seconda della distribuzione delle medesime (layout). L'intera fabbrica ha potuto quindi essere organizzata sfruttando una sola fonte energetica, ma differenziandone l'impiego. Inizialmente forme di automazione embrionale si erano realizzate, sfruttando per l'appunto l'energia elettrica, coi tapis roulants, intorno alla prima guerra mondiale, in funzione della produzione di massa per scopi bellici (proiettifici, spolettifici, immagazzinamento, ecc.). Queste esperienze furono estese rapidamente alle fabbriche meccaniche civili (soprattutto di automobili) tentando di ottimizzare un regime elettromeccanico (torni multipli, fresatrici elettriche, ecc.) e generando standard e regole efficaci a quel livello tecnico-produttivo.

Questo processo di medio periodo venne significativamente sostenuto da un comparto di forza-lavoro in gran parte nuovo e privo di quelle capacità professionali che avevano caratterizzato la cultura e le procedure produttive delle generazioni precedenti. L'equivalenza mestiere-abilità non era più il requisito fondamentale per l'erogazione della prestazione lavorativa. Ciò comportava uno sconvolgimento nelle gerarchie e una frantumazione delle qualità della prestazione lavorativa, che si ricomponeva in un diverso disegno organizzativo. La qualità della prestazione lavorativa si differenziava seguendo, quasi pedissequamente, i processi embrionali di automazione in fabbrica.In epoca recente - grosso modo nel corso degli ultimi cinquant'anni -, un numero crescente di processi produttivi è stato 'automatizzato': non solo essi sono stati meccanizzati in alcune o in tutte le fonti di movimento (ad esempio il movimento elettrico delle macchine, lo spostamento dei semilavorati, ecc.) ma anche le fasi di lavorazione sono divenute automaticamente ordinate, in tutto o in parte, da meccanismi interni alle macchine stesse. L'esempio probabilmente più noto è la catena di montaggio, in cui una serie di procedure (innanzitutto il movimento dei semilavorati da un'operazione a quella successiva) è automaticamente gestita da apparati elettromeccanici a ritmi prestabiliti. Analogamente, la maggior parte delle produzioni a ciclo continuo (ad esempio produzioni chimiche, siderurgiche, ecc.) coinvolgono in misura diversa automatismi nei flussi produttivi regolati da vari apparecchi di misura e controllo. Più recentemente - approssimativamente dagli anni sessanta - l'introduzione di apparati elettronici nelle apparecchiature di produzione (misura e controllo) ha permesso l'introduzione crescente di forme di automazione che implicano anche: a) la riprogrammabilità delle operazioni secondo istruzioni imputabili ad hoc; b) varie forme di retroazione tra le condizioni dell'ambiente in cui le macchine operano e le operazioni che le macchine stesse svolgono; c) conseguentemente l'estensione di tecniche produttive automatizzate anche a operazioni che precedentemente richiedevano un qualche intervento discrezionale dei lavoratori. Ad esempio, rispetto al punto a), macchine controllate elettronicamente, dalle macchine a controllo numerico sino ai sistemi di produzione flessibile (Flexible Manufacturing Systems - FMS), permettono il cambiamento della natura e delle sequenze delle operazioni da svolgere. Inoltre, parecchi sistemi produttivi elettronici (ad esempio robot corredati di sensori) sono in grado di 'riconoscere' alcuni manufatti sui quali devono operare e pertanto 'scegliere' le procedure appropriate. Infine, gli apparati di produzione elettronici permettono di codificare e standardizzare ampie classi di operazioni precedentemente basate sulle capacità dei singoli lavoratori.Nei capitoli che seguono verranno discussi alcuni aspetti economici di questi processi di automazione.

Alcune tendenze generali della meccanizzazione e dell'automazione dei processi produttivi

Si è già accennato alla tendenza generale, affermatasi dai tempi della rivoluzione industriale, verso una crescente meccanizzazione dei processi produttivi. Dal punto di vista economico ciò ha implicato anche mutamenti di lungo periodo nell'intensità relativa con cui i vari inputs erano utilizzati e nella loro produttività.In questo quadro una prima tendenza riguarda l'uso crescente di energia per unità di prodotto (ovviamente le fonti di energia sono diverse ed è anche mutata la loro importanza relativa: ad es. si è passati dallo sfruttamento dei corsi d'acqua alla combustione di materiali fossili, alla fissione nucleare, ecc.). Una seconda tendenza riguarda l'aumento secolare di produttività per addetto, in special modo nell'industria manifatturiera.

Una terza concerne l'aumento, ugualmente di lungo periodo - seppure con ritmi diversi -, nella quantità e nel valore del capitale fisso in rapporto a ciascun lavoratore.

D'altra parte, la produttività del lavoro è aumentata anche nella produzione delle macchine stesse. Inoltre, continue innovazioni produttive incorporate in tali beni di produzione hanno determinato una crescita della loro produttività fisica. Questi due fenomeni, insieme, hanno fatto sì che, approssimativamente, e malgrado significative fluttuazioni fra diversi periodi e tra diversi paesi, il rapporto capitale/prodotto (cioè il valore medio dei mezzi di produzione impiegati per ogni unità di produzione) sia rimasto relativamente stabile nel tempo. Questa è la quarta tendenza storica.I processi di meccanizzazione/automazione sono stati molto spesso correlati a un crescente sfruttamento di economie di scala nella produzione (quinta tendenza). È abbastanza intuitivo che meccanizzazione e automazione di un qualsiasi processo lavorativo richiedono certe soglie minime di produzione per unità di tempo: l'uso efficiente di un qualsiasi apparato elettromeccanico (e anche, come vedremo, elettronico) di produzione richiede la ripetizione di una sequenza (o di un insieme comunque delimitato) di operazioni a intervalli sufficientemente frequenti.

Correlativamente, data l'indivisibilità degli impianti, i costi fissi degli stessi si ripartiscono su ciascun costo di produzione unitario in proporzione inversa alle quantità prodotte. Inoltre, per quanto riguarda specificamente le produzioni a ciclo continuo, che implicano generalmente il contenimento e il movimento dei fluidi (ad esempio nella chimica di base, idrocarburi e loro derivati), le produzioni per unità di tempo dipendono dai volumi dei contenitori, dei reattori, ecc., mentre una porzione significativa dei costi di tali impianti è funzione della loro superficie. Tecnicamente accade però che le superfici aumentino secondo il quadrato delle misure lineari e i volumi secondo il cubo; pertanto, a parità di altre condizioni, i costi fissi unitari degli impianti (cioè i costi fissi totali per unità di tempo divisi per le quantità prodotte in tale unità di tempo) tenderanno a diminuire in funzione delle quantità prodotte.

Una ulteriore fonte potenziale di aumento di efficienza dei processi produttivi meccanizzati e, a maggior ragione, automatizzati risiede in un aumento (seppur variabile, a seconda delle tecnologie e delle attività produttive) della standardizzazione sia dei prodotti che dei processi produttivi (sesta tendenza). La standardizzazione delle operazioni produttive tende a generare specializzazione; inoltre, se una stessa operazione può essere compiuta sia, diciamo, per la produzione di automobili che di autocarri, essa potrà più facilmente essere meccanizzata o anche automatizzata. Infatti la meccanizzazione di un processo produttivo basata su tecnologie elettromeccaniche richiede una definizione accurata delle caratteristiche del prodotto (e pertanto standardizzazione). Inoltre si basa su macchine 'dedicate', cioè costruite appositamente per particolari operazioni (e pertanto richiede specializzazione). Una importante conseguenza di tutto ciò è che nella storia delle economie contemporanee standardizzazione e specializzazione hanno generalmente indotto una crescente divisione tecnica del lavoro tra singoli lavoratori (o gruppi), ripetizione delle mansioni, codificazione e automaticità delle procedure. Tutto ciò (come aveva già congetturato Adam Smith nella Ricchezza delle nazioni, più di due secoli fa, all'origine dell'economia politica come disciplina scientificamente autonoma) può facilmente generare un notevole abbrutimento delle prestazioni socialmente richieste a porzioni significative di forza-lavoro, ma anche notevoli incrementi nella destrezza e produttività del lavoro stesso. Assistiamo pertanto a due fenomeni apparentemente contraddittori: da un lato la specializzazione delle produzioni, dall'altro la despecializzazione di un'importante frazione della forza-lavoro, dovuta alla meccanizzazione delle produzioni e, per così dire, all'incorporazione delle 'abilità professionali' nelle macchine stesse.

Nel caso italiano possiamo notare un fenomeno di ampia rilevanza economica e sociale, che segnò per tutto il periodo dagli inizi del secolo fino agli anni venti la qualità della prestazione lavorativa con notevoli effetti sul piano sia politico che sindacale. L'abilità professionale incorporata nell'operaio di mestiere, generalmente localizzato nei vecchi nuclei 'storici' operai (Milano, Torino, Genova e pochi altri ancora), con l'avanzare delle forme rudimentali di automazione perde gran parte della sua importanza; l'innovazione tecnologica e la pressione del mercato del lavoro (giovani, donne e disoccupati in genere) corrodono le forme di rappresentanza e la struttura tradizionale della composizione della forza-lavoro. Negli incrementi occupazionali la crescita percentuale più rilevante è tra le donne e i giovani non qualificati. Questo processo conduce a una tendenziale riunificazione del mercato del lavoro: stabilità occupazionale, economie di scala, aumenti nella produttività media, accrescimento dei consumi di massa rompono le vecchie barriere della separazione nel mercato del lavoro tra specializzazione e non.

Settima tendenza: qualsiasi apparato produttivo meccanizzato/automatizzato implica specifici 'scarti' o 'alternative' (trade offs) tra flessibilità ed economie di scala. Abbiamo già accennato che meccanizzazione e automazione richiedono, in varia misura, standardizzazione di prodotti e procedure produttive, e che ciò implica anche che macchine e apparati siano in varia misura 'dedicati'. Per esempio, ancora un decennio fa, con l'automazione elettromeccanica, una linea di montaggio era compatibile con una sola produzione (ad esempio un modello particolare di automobile); oggi, come vedremo, l'automazione elettronica permette una maggiore 'flessibilità' produttiva. In ogni caso, essa rimane però significativamente minore della flessibilità che potrebbe essere raggiunta con minori livelli di meccanizzazione/automazione (ad esempio, nel caso delle produzioni meccaniche con singole macchine utensili 'universali') seppure a costi molto più alti.

Ovviamente, gli apparati di produzione hanno una vita fisica ed economica molto maggiore di un singolo periodo produttivo (cioè il periodo intercorrente tra l''entrata' delle materie prime e/o dei semilavorati e l''uscita' del prodotto finale). Pertanto, ogni decisione da parte degli agenti economici (tipicamente le imprese) di meccanizzare/automatizzare un qualsiasi processo produttivo è anche influenzata dall'incertezza rispetto alle future tendenze dell'ambiente in cui operano, riguardanti, ad esempio, la domanda futura, le sue fluttuazioni, gli sviluppi tecnologici, ecc.

Qualsiasi forma di meccanizzazione/automazione della produzione richiede un correlativo mutamento delle forme di organizzazione delle imprese stesse (ottava tendenza). Persino semplici cambiamenti nella disposizione (layout) delle varie macchine richiedono spesso mutamenti organizzativi. A maggior ragione, mutamenti significativi nei processi produttivi richiedono generalmente ampie modificazioni nelle procedure di lavoro, nei flussi informativi, nella struttura degli incentivi, nei modelli decisionali delle imprese.

Si pensi alle enormi modificazioni organizzative indotte nell'impresa moderna dal 'taylorismo' (parcellizzazione e codificazione delle mansioni associate a specifiche macchine) e dall'automazione elettromeccanica (implicante, fra l'altro, catene di montaggio, gerarchizzazione dei processi decisionali e, spesso, 'divisionalizzazione' delle attività produttive, cioè forme di organizzazione dell'impresa per linee di prodotto). Più specificamente, è plausibile congetturare che particolari forme tecniche di automazione siano associate a un numero molto limitato di forme organizzative ragionevolmente efficienti dal punto di vista economico, e che transizioni fra diversi modelli organizzativi siano dinamicamente accoppiate a correlate trasformazioni tecnologiche.

A livello microeconomico non vi è in ciò un puro e semplice cambiamento di ordine tecnico, ma è l'intero modo di lavorazione che viene mutato: si passa da un sistema di lavoro in cui l'attività produttiva è fondata su macchine singole, che richiedono processi di apprendimento costituiti da un lento accumulo di 'mestiere', a un altro in cui questo mestiere non è più indispensabile. La scelta dei tempi di lavoro e dei metodi per eseguirlo è compito di una struttura apposita, come d'altronde la contabilità d'officina, precedentemente legata al sistema retributivo e alle responsabilità del cottimo d'appalto. Sotto questo aspetto si presentano complessi problemi di gestione contabile legati anche alle economie di scala e alla gestione di impianti che richiedono una diversa attenzione economica nell'impresa. Così come i processi di innovazione tecnologica richiedono, ora, una capacità del microsistema di seguire, più che la dinamica della forza-lavoro, le 'traiettorie tecnologiche' nel miglioramento delle macchine, dei componenti intermedi e così via. Questo passaggio, teorizzato da Taylor, segna l'affermazione dell'automazione, con tutte le sue conseguenze sulla struttura produttiva.

In generale, particolari processi di meccanizzazione/automazione si approfondiscono anche attraverso particolari forme di apprendimento (nona tendenza). Tale apprendimento riguarda: a) i produttori delle macchine stesse, tendenti a migliorare le loro prestazioni, a eliminare eventuali problemi critici nella loro utilizzazione, a diminuire i loro costi di produzione; b) gli utilizzatori, che molto spesso tendono ad apprendere per esperienza (learning by doing e learning by using) l'utilizzazione efficiente degli apparati e anche le loro potenzialità di miglioramento.

Sulla base di queste tendenze e di 'fatti stilizzati' generali, nel capitolo che segue considereremo più in dettaglio alcune caratteristiche specifiche dell'automazione basata sull'elettronica.

Dall'automazione elettromeccanica ai processi di automazione elettronici

Le prime forme di automazione erano basate su processi elettromeccanici di lavorazione, trasporto, controllo. Nelle lavorazioni meccaniche la precondizione dell'automazione era stata la parcellizzazione delle mansioni lavorative (il cosiddetto taylorismo), associata, come già accennato, a un aumento radicale della divisione tecnica del lavoro e allo sviluppo di macchine utensili elettriche dedicate a specifiche fasi lavorative. L'automazione elettromeccanica incorpora ed estende la divisione del lavoro tayloristica e generalmente collega le varie stazioni lavorative attraverso linee di trasferimento (di montaggio) che procedono a passi predeterminati, nel modo più indipendente possibile dai ritmi di lavoro dei singoli lavoratori (il lettore può visualizzare l'archetipo di tale organizzazione pensando al locus classicus cinematografico che è Tempi moderni di Charlie Chaplin). In questo diverso metodo di esecuzione non c'è più spazio per processi lavorativi fondati su una concezione chiusa e immutabile dell'abilità personale (mestiere) e su una gerarchia professionale (operaio, aiuto operaio, apprendista, ecc.). La parcellizzazione del lavoro e la ripetitività di singole mansioni molto semplici eliminano buona parte delle precedenti professionalità operaie. D'altra parte, la spersonalizzazione della produzione in regime di automazione, attraverso l'organizzazione tayloristica, fa sì che il nuovo regime sia fondato sull'aumento del lavoro preparatorio (preparazione degli attrezzi, programmazione del layout, dei ritmi delle macchine e altro ancora) a cui corrisponde la diminuzione del lavoro di esecuzione. Inoltre, avviene una totale separazione tra le figure operaie che svolgono i primi compiti (preparazione) e i secondi (esecuzione).

Nel caso italiano, nell'arco rapido di un quindicennio (1918-1930), si trasforma il rapporto dell'intera forza-lavoro col ciclo di produzione e con i relativi sistemi di organizzazione. Si passa dall'organizzazione del lavoro centrata sul subappalto d'officina all'unità di processo: gli operai sono inseriti, in quest'ultima fase, in un insieme coordinato e razionale, scandito dai tempi della produzione, e sono in grado di svolgere una fase del processo produttivo e di inserirvisi.

L'insieme delle procedure e delle innovazioni organizzative determinate dal nuovo regime ha prodotto, in tempi e in situazioni diverse, un vero e proprio sistema di pensiero sui problemi generali dell'organizzazione del lavoro e dell'impresa. Lo scientific management ha spaziato in vari campi recuperando al filone manageriale politologi (Mary Follett), economisti politici (Walter Rathenau) e matematici progettisti (C. Babbage). I temi dello scientific management assunsero una portata internazionale e nazionale quando uscirono dall'ambito strettamente tecnicistico per assumere con tutta chiarezza la veste di una vera e propria proposta sociale di tipo nuovo.

L'automazione elettromeccanica è storicamente parte fondamentale di ciò che viene spesso definito un 'regime fordista' di organizzazione della produzione. Tale modello produttivo è emerso gradualmente negli Stati Uniti nel periodo tra le due guerre e si è affermato, con qualche ritardo e significative specificità nazionali, negli altri paesi dell'Occidente sviluppato. Queste differenze nazionali sono anche il frutto di tempi diversi nello sviluppo economico e di culture generali proprie dei singoli paesi.

Caratteristiche fondamentali del regime fordista sono: a) come detto sopra, forme di automazione elettromeccaniche; b) una forte tendenza verso lo sfruttamento delle economie di scala e la standardizzazione della produzione; c) forme di collegamento dei salari operai alla dinamica della produttività. Inoltre, la generale applicabilità e 'progressività' (in termini di efficienza economica) di tale paradigma produttivo ha generalmente implicato anche: d) una relativa stabilità nella crescita economica (è intuitivo che, con un'alta variabilità della domanda, linee di produzione abbastanza rigide e con alti costi fissi di impianti risulterebbero non economiche nei periodi di depressione macroeconomica); e) l'accesso massiccio, per la prima volta nella storia del capitalismo, dei lavoratori stessi, oltre che delle classi medie, all'acquisto dei beni di consumo durevoli prodotti dall'industria manifatturiera 'automatizzata' (ad esempio automobili, televisori, ecc.).

L'automazione elettronica si distingue da quella elettromeccanica innanzitutto per la programmabilità dei compiti delle singole macchine o di interi sistemi. A sua volta, tale programmabilità è resa possibile dall'incorporazione di apparati di governo e di controllo basati su strumenti microelettronici (microprocessori, memorie a semiconduttore, sensori elettronici, ecc.).

La forma più semplice di automazione elettronica si basa sull'utilizzazione di singole macchine programmabili (quali torni, frese, fresalesatrici a controllo numerico). Forme più complesse implicano il trasferimento elettronicamente controllato dei semilavorati da una macchina all'altra. Infine i cosiddetti flexible manufacturing systems automatizzano intere fasi di produzione, gestite da un calcolatore centrale.

Correlativamente, tali forme di automazione tendono ad aumentare la flessibilità della produzione su larga scala (ad esempio, su linee di produzione elettroniche è possibile mutare agevolmente le caratteristiche dei prodotti - diversi tipi di automobili, ecc. - a seconda delle variazioni della domanda).Inoltre, l'automazione elettronica tende ad abbassare la soglia dimensionale alla quale è economicamente efficiente automatizzare, in varia misura, la produzione. Infine, tale 'paradigma' d'automazione approfondisce ed estende il campo di applicabilità di processi produttivi automatici: lo approfondisce nel senso che permette, anche nelle produzioni già tayloristiche/fordiste, un'ulteriore incorporazione nei sistemi automatici di mansioni e di procedure precedentemente discrezionali (la fabbrica interamente robotizzata appare per la prima volta nelle potenzialità della tecnologia disponibile); lo estende, nel senso che amplia il campo dell'automazione perché permette il graduale sviluppo di processi automatici anche in attività produttive per le quali forme non elettroniche di automazione erano inapplicabili: si pensi all'uso di robot e laser per la movimentazione e il taglio dei tessuti, e, ancor di più, ad attività quali il disegno e la progettazione.

Al momento attuale questo processo di diffusione dell'automazione basata sull'elettronica è ancora agli inizi, ma appare orientato a pervadere abbastanza velocemente la quasi totalità delle attività produttive, con profonde influenze sull'organizzazione socioeconomica generale. Ovviamente, in economie miste, come quelle dei paesi non pianificati centralmente, tale processo di automazione è trainato, in varia misura, da decisioni microeconomiche motivate da obiettivi di profittabilità, prese da operatori (tipicamente le imprese) che competono tra di loro in uno o più mercati. Pertanto, l'analisi delle modalità e dei tassi di automazione dell'economia deve necessariamente considerare l'interazione tra opportunità virtuali e incentivi economici.

La microeconomia dell'automazione: opportunità, incentivi, vincoli

È già stato detto che spesso, storicamente, nuovi processi produttivi più meccanizzati/automatizzati si rivelano più efficienti in termini di produttività del lavoro, senza peraltro modificare radicalmente il rapporto capitale/prodotto. In queste circostanze una loro proprietà economica è quella di essere superiori alle precedenti tecniche, indipendentemente dai prezzi relativi (ad esempio il prezzo relativo del lavoro rispetto alle macchine) prevalenti in una specifica economia. Più formalmente, in economia si definisce 'frontiera profitti-salari' la relazione tra il livello dei profitti e il livello dei salari, che ciascuna tecnica permette (naturalmente una tecnica 'superiore' permette di generare più alti salari per dati profitti o viceversa). In effetti si può dimostrare che la 'frontiera' profitti-salari di una tecnica produttiva con le caratteristiche di cui sopra non interseca la 'frontiera' della tecnica 'inferiore' e pertanto, dato un certo livello del salario, essa determinerà un profitto più alto, o, di converso, dato un livello del profitto, sarà associata a un salario più alto.

Sorgono allora due quesiti analiticamente fondamentali: primo, perché tale tecnica virtualmente superiore diventa disponibile solo in un certo momento storico (ad esempio, perché non è stata sviluppata prima)? secondo, se la tecnica è virtualmente superiore, perché non tutti gli agenti economici l'adottano immediatamente?

Rispetto al primo quesito va subito notato che nelle economie contemporanee esistono molteplici e complementari fonti di nuove opportunità tecnologiche. In genere, le tecnologie particolarmente nuove - quelle che alcuni definiscono come nuovi 'paradigmi tecnologici', quali ad esempio le nuove tecnologie basate sulla microelettronica - hanno come condizione necessaria per il loro sviluppo avanzamenti scientifici, spesso generati in istituzioni extraeconomiche (ad esempio università, laboratori di ricerca, ecc.). Nel caso dell'automazione elettronica, il suo ampio campo di opportunità tecnologiche, ancora largamente inesplorate, è fondato, in ultima istanza, sui risultati dell'esplorazione scientifica delle proprietà - derivate dalla meccanica quantistica - dei semiconduttori e sugli sviluppi delle discipline logico-informatiche. Comunque, lo sfruttamento effettivo di queste opportunità virtuali richiede anche lo sviluppo di interfacce tra elettronica e meccanica, e lo sviluppo di sistemi complementari (quali sensori per l'interazione con l'ambiente). Tipicamente nelle economie contemporanee i livelli di capacità tecnologica e i tassi di apprendimento dei produttori di apparati industriali elettronici e di macchine industriali, e qualche volta dei grandi utilizzatori che diventano essi stessi produttori, influenzano fortemente la dinamica innovativa nei beni di investimento automatizzati. Abbiamo quindi una congettura di carattere generale in risposta alla prima domanda: lo svolgimento temporale delle innovazioni dipende, nel lungo periodo, dai tassi di generazione di nuovi paradigmi tecnologici e, nel breve periodo, direttamente dalle competenze tecnologiche specifiche, soprattutto tra i produttori di beni d'investimento. Ciò implica anche che possono esistere notevoli opportunità di innovazione che sono solo molto parzialmente esplorate dalle imprese, per le limitazioni delle loro competenze tecnologiche.

Ma, data una certa innovazione, per esempio un nuovo apparato d'automazione virtualmente più efficiente, perché essa non è immediatamente adottata, ma spesso occorrono addirittura decenni per la sua diffusione completa? La risposta implica molti fattori, tra cui: a) gli utilizzatori potenziali sono diversi in termini di scale di produzione per unità di tempo e, correlativamente, differenziati rispetto alla convenienza economica ('l'incentivo') dell'adozione; b) essi sono diversi nelle aspettative rispetto alle potenzialità effettive e all'evoluzione futura delle tecnologie in questione; c) sono diversi infine nelle loro capacità tecnologiche e, pertanto, anche nella capacità di usare efficientemente le nuove tecnologie. Riteniamo che il terzo fattore sia di importanza cruciale. Come già affermato, l'introduzione di ogni nuova tecnologia implica apprendimento produttivo e organizzativo, più o meno nuove professionalità, ecc. Ogni decisione di adottare nuove tecnologie è come tale un processo innovativo. Riteniamo, ancora, che una determinante fondamentale delle differenze tra imprese e tra paesi nei tassi di introduzione di tecnologie automatizzate risieda in differenze analogamente ampie nelle competenze tecnologiche dei potenziali adottanti, prima ancora che in differenze nei prezzi relativi (per illustrare, estremizzando, questa interpretazione, diciamo che la prima ragione dei livelli enormemente più bassi di automazione - per esempio, in Africa rispetto al Giappone - non risiede nei diversi prezzi relativi lavoro/macchine, ma piuttosto nel gap di capacità tecnologiche). Ovviamente i prezzi relativi e la loro dinamica sono importanti: focalizzano le direzioni della ricerca tecnologica, stimolano o rallentano i tassi di sostituzione di vecchie 'annate' (vintages) di beni capitali. È opportuno però sottolineare anche l'importanza delle 'asimmetrie' tecnologiche tra gli agenti economici, oltremodo cruciali quando le nuove tecnologie, come nel caso delle tecnologie d'automazione, tendono a prevalere - in termini di efficienza - sulle tecniche precedenti.

Varie imprese, naturalmente, caratterizzate da tecniche e livelli di automazione diversi competono continuamente sui mercati nazionali e internazionali. Per quanto concerne questi ultimi (e in alcuni settori) alcune imprese riescono a compensare, o persino a sovracompensare, tecniche meno automatizzate (e spesso inequivocabilmente meno efficienti) con salari più bassi. Tutte, seppure a tassi diversi, 'apprendono', sia dalle proprie esperienze passate che dai concorrenti. Complessivamente, le interazioni concorrenziali, con modalità abbastanza diverse tra settori, paesi ed epoche storiche, selezionano (cioè attribuiscono premi e penalità in termini di quote di mercato e profitti) tra la molteplicità degli agenti. In tutto questo processo l'incentivo microeconomico a forme crescenti di automazione e a innovazioni di prodotto (sia per gli utilizzatori che per i produttori di 'macchine') è molto spesso un correlato fondamentale dell'esigenza di rimanere competitivi o di aumentare la propria competitività.

Seppure lungo 'traiettorie' tecnologiche che sono anche specifiche della storia tecnologica e organizzativa delle singole imprese, ampiamente influenzate dal contesto socioeconomico nazionale in cui operano con diversi gradi di successo competitivo, le imprese esibiscono una generale tendenza di lungo periodo verso livelli crescenti di automazione produttiva.

Automazione e dinamiche macroeconomiche

Tutto ciò che è stato detto nel capitolo precedente concerne un livello propriamente microeconomico (cioè quello dei processi di decisione delle singole organizzazioni e della loro reciproca interazione). Ma cosa accade a livello di grandi aggregati (livello macroeconomico)? In particolare quali sono le relazioni tra processi di automazione e variabili quali il tasso di crescita del reddito, l'occupazione, ecc.?

Una consolidata tradizione di pensiero sostiene che il sistema economico tende ad autoequilibrarsi, indipendentemente dalle caratteristiche specifiche del progresso tecnologico, a livelli vicini al pieno impiego di tutte le risorse produttive (inclusa, ovviamente, la forza-lavoro). Tale ipotesi è formalmente giustificata sulla base di altre ipotesi, concernenti la scelta delle tecniche e il consumo. Nella loro essenza ecco le ipotesi rilevanti: a) i prezzi di ciascun fattore produttivo o bene finale reagiscono con sufficiente flessibilità e rapidità a eventuali eccessi di domanda o di offerta; b) sono disponibili in ogni istante insiemi abbastanza ampi di 'piani di produzione' implicanti intensità fattoriali relative sufficientemente diverse (cioè diverse combinazioni di, per esempio, capitale e lavoro); c) analogamente, i panieri di consumo finale sono discretamente reattivi alle variazioni dei prezzi relativi delle merci finali. Sotto queste condizioni si può dimostrare che, in generale, la specifica natura del progresso tecnologico (ad esempio verso una crescente automazione) non presenta particolari difficoltà per l'aggiustamento macroeconomico.

Nella letteratura economica tale concezione è stata sovente criticata rispetto all'ipotesi sub a): in mercati caratterizzati molto spesso non da concorrenza perfetta ma da varie forme di oligopolio, i prezzi tendono a essere rigidi rispetto a variazioni della domanda e viene meno pertanto un fondamentale ingrediente dell'aggiustamento macroeconomico. Non abbiamo difficoltà a sottoscrivere la plausibilità empirica di tale critica. A nostro giudizio, comunque, è ancora più rilevante che nemmeno le ipotesi b) e c) siano empiricamente corroborate. Infatti: 1) i processi di innovazione tendono a seguire 'traiettorie' relativamente ordinate, caratterizzate anche da una molto limitata sostituibilità interfattoriale a ogni istante (cioè, in generale, se, ad esempio, il lavoro è relativamente 'abbondante' rispetto al capitale, non è affatto certo che esistano tecniche produttive atte a impiegare tutto il lavoro disponibile); 2) le reazioni dei processi innovativi (inclusi, ovviamente, i processi di automazione) a shocks da prezzi relativi tendono spesso, certo, a economizzare sui fattori relativamente più costosi, senza peraltro indurre generalmente un aumento assoluto dell'intensità d'uso di quelli 'più abbondanti' (per un esempio di tali shocks si pensi all'aumento del prezzo dell'energia per effetto dell'aumento dei prezzi petroliferi nel 1973. Ciò ha certo stimolato il risparmio di energia, ma non per questo ha indotto l'aumento nell'intensità di uso, ad esempio, del lavoro); 3) i modelli di consumo hanno spesso reazioni 'locali' e limitate a variazioni dei prezzi relativi (per esempio, burro vs. margarina, vs. olio d'oliva), ma, più generalmente, presentano regolarità che dipendono dai livelli di reddito e da fattori strettamente extraeconomici (socioculturali in senso lato) che reagiscono a variazioni dei prezzi relativi. Sotto queste condizioni, a nostro avviso generalmente più plausibili, diviene anche molto più fragile la presunzione teorica che il cosiddetto 'effetto compensativo' (tra aumento di produttività e aumenti delle domande di inputs di lavoro) operi diffusamente.

In generale, le variazioni macroeconomiche dell'occupazione seguono la relazione

formula

dove N, Y e Π rappresentano, rispettivamente, l'occupazione, il reddito aggregato e la produttività del lavoro, e i puntini stanno per i tassi di variazione per unità di tempo.

La questione se un'automazione in estensione produca tassi di crescita del reddito aggregato crescenti o decrescenti e maggiore o minore occupazione concerne allora le implicazioni dell'automazione stessa rispetto: a) ai tassi di accumulazione (che influenzano Y); b) all'intensità e alla ripartizione del lavoro sociale complessivo (che influenzano la differenza tra l'occupazione misurata in termini di numero di occupati e l'occupazione misurata in termini di ore lavorative); c) ai modelli di consumo e ai meccanismi di formazione della domanda aggregata (che di nuovo influenzano Y).

Nell'interpretazione qui suggerita non esiste alcun necessario meccanismo di aggiustamento dei processi di innovazione, accumulazione, consumo che garantisca automaticamente la loro compatibilità a tassi di attività macroeconomica prossimi al pieno impiego. Precisamente, riteniamo, le fasi di transizione tra diversi regimi tecnologici di organizzazione della produzione (come, alla fine di questo secolo, la transizione verso forme elettroniche di automazione) implicano accoppiamenti dinamici tra processi di esplorazione/apprendimento tecnologico; modificazioni nei patterns di accumulazione; cambiamenti nelle forme di organizzazione sociale e nei modelli di consumo. Certamente le forme di automazione basate sull'elettronica hanno contribuito alla crisi del modello fordista di organizzazione della produzione. Nuove opportunità tecnologiche, forse anche più efficienti produttivamente, implicano pure processi di esplorazione tra diverse (più o meno nuove) modalità di regolazione socioeconomica.

Così è stato in passato, ad esempio durante quell'enorme trasformazione - congiuntamente tecnologica, sociale ed economica - che è stata la rivoluzione industriale. In quel periodo, certo, la produttività del lavoro è cresciuta, ma è anche cresciuto il tasso di accumulazione e, pertanto, è aumentata la domanda di lavoro dell'industria manifatturiera. In modi molto diversi, è stato così anche per il taylorismo/fordismo e per la fase che potremmo chiamare keynesiana dello sviluppo economico. Una distribuzione del reddito tale da consentire l'accesso delle classi medie e della classe operaia ai beni di consumo durevoli ha rappresentato un potente fattore di espansione della domanda aggregata (e quindi del reddito e della domanda di lavoro). Inoltre, la spesa pubblica ha rappresentato, per circa un quarto di secolo dopo la seconda guerra mondiale, un altrettanto potente fattore di stabilizzazione della crescita economica, seppure in modi diversi, in tutti i paesi occidentali. Infine l'aumento secolare della produttività del lavoro (nell'aggregato, e specialmente nell'industria manifatturiera e nell'agricoltura) non si è tradotto completamente in aumento di produzione: in parte si è tradotto nella diminuzione del tempo dedicato al lavoro nell'arco della vita.

È una nostra congettura generale che l'ordine di grandezza dei mutamenti contemporanei sia, grosso modo, simile alle grandi transizioni del passato. A un livello più specificamente tecnologico, il nascente regime di automazione elettronica della produzione definisce un campo importante di opportunità, di incentivi e di vincoli sull'insieme delle configurazioni socioeconomiche potenzialmente realizzabili; nello stesso tempo, questo è anche un periodo di grande sperimentazione socioistituzionale (ad esempio: quali saranno le forme di organizzazione della forza-lavoro che utilizza apparati elettronici? quali saranno le modalità di distribuzione del reddito compatibili con tassi sostenuti di espansione della domanda aggregata? quali riduzioni dell'orario di lavoro saranno necessarie per impedire ampie divaricazioni tra offerta e domanda di lavoro? e così via). I tassi di variazione nel reddito e nell'occupazione saranno precisamente il risultato congiunto di questi processi di esplorazione tecnologica e socioistituzionale. (V. anche Disoccupazione; Divisione del lavoro; Industria; Innovazioni tecnologiche e organizzative; Macchine; Occupazione; Produttività; Taylorismo; Tecnica e tecnologia).

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