ATRI

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1991)

ATRI

J.C. Picard

(lat. Hatria, Hadria, Adria)

Città dell'antica regione del Piceno, oggi in prov. di Teramo, situata su un sistema di alture a poche miglia dalla costa. Dopo il 290 a.C. A. fu centro della colonizzazione romana nella regione; con l'epoca delle invasioni e sotto il dominio longobardo e franco, quando venne a far parte del ducato di Spoleto, la città perse la posizione di preminenza territoriale avuta in periodo preromano e romano. Nel sec. 11° divenne feudo di Roberto d'Altavilla, signore di Loritello, e nel sec. 12° fu coinvolta nella lotta tra Federico Barbarossa e i re normanni; passata sotto il controllo svevo e successivamente papale, ottenne nel 1251-1252 il diritto di darsi un proprio statuto comunale e il grado di città vescovile. In periodo angioino godette, come altre città abruzzesi, di considerevole autonomia, riflessa negli ordinamenti del 1362; signoria degli Acquaviva dalla fine del sec. 14°, essendo stata ceduta ad Antonio Acquaviva da Ladislao re di Napoli per 35.000 fiorini, conservò tale stato fino al 1775.L'insediamento medievale interessa un'area limitata alla sola zona centrale della città antica, il cui cardo costituisce ancora il principale asse viario. Con la riduzione dell'abitato alla parte più alta e difendibile del Colle di Mezzo, la città assunse l'aspetto di un borgo fortificato (castellum de Atri, 1085; Sorricchio, 1929, p. 29); la cinta muraria, conservata solo per alcuni tratti, fu di nuovo ampliata nei secc. 13° e 14°, includendo aree non edificate, ed ebbe forse dieci porte. Di notevole interesse è il sistema di condotte idriche sotterranee di formazione antica che garantiva la captazione e il convogliamento delle acque ai luoghi di utilizzo, sistematicamente restaurati o rinnovati nel Medioevo (fonte della Canala con arcate acute, sec. 13°).La cattedrale, uno dei maggiori monumenti d'Abruzzo, ha pianta rettangolare con tre navate e campate di ampiezza diversa (da m. 4,50 a oltre m. 9) divise da archi-diaframma su pilastri quadrilobati. Di questi, quelli corrispondenti alle campate più ampie furono inglobati per esigenze staticostrutturali, poco dopo la costruzione, entro rinfianchi ottagoni. Il campanile quadrangolare (iniziato nel 1268) occupa per metà la navata sinistra; la cella campanaria poligonale e cuspidata è opera di Antonio da Lodi (sec. 15°). La facciata, scandita da quattro alte lesene, ha coronamento rettilineo (rifatto forse nel 1563) con cornice di archetti trilobati; il portale e il rosone, di Rainaldo Atriano (inizi del sec. 14°), sono inseriti in un'unica incorniciatura a timpano tagliata dal cordone marcapiano. Sul fianco meridionale, ugualmente ritmato da lesene, i tre portali datati (1288, 1302, 1305) e firmati sono opera di Raimondo de Podio e di Rainaldo. Il lato orientale, verso il chiostro trecentesco, lascia vedere una parete in pietra meno alta di quella della chiesa attuale; al di sotto un portico dà accesso alla 'cripta' affrescata, in realtà una cisterna romana trasformata nell'Alto Medioevo, sulla quale si fonda in parte l'edificio. Le aperture della cripta (ghiere a rincassi multipli), come pure altri frammenti nell'annesso Mus. Capitolare, sono riferibili a maestranze abruzzesi operanti nell'11° e 12° secolo. Una chiesa, probabilmente benedettina, è già ricordata in questo luogo dal 1140 e fu ricostruita, forse dai Cistercensi, agli inizi del sec. 13°: è testimoniata infatti una nuova consacrazione nel 1223; elevata a cattedrale, dopo il 1252 fu trasformata o quasi del tutto rifatta. Nel corso dei restauri (1954-1964) sono riapparse strutture pertinenti a una fase precedente, riferite alla chiesa del sec. 12° (Matthiae, 1961) o a quella del 1223 (Bozzoni, 1979) o a un progetto rimasto inattuato (Moretti, 1971). Di fondazione tardo-medievale, ma totalmente rifatta, è la chiesa di S. Reparata annessa alla cattedrale.Altri edifici medievali sono: S. Nicola (1256), a tre navate, con bassi archi acuti su pilastri laterizi tondi e ottagoni; S. Andrea, con un portale del sec. 14°; S. Agostino (sec. 15°), con portale ad arco inflesso, nave unica, arcate murate sulla fiancata sinistra e campanile derivato da quello del duomo; S. Domenico, il cui interno fu trasformato nel sec. 18°, con portale in facciata e altra porta archiacuta (ingresso al convento). La chiesa di S. Francesco, del tutto rifatta, conserva parti dell'organismo medievale sul lato destro e sul retro mentre il palazzo Acquaviva mantiene alcune strutture del sec. 14° visibili nel cortile.

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Pittura

Nella cattedrale di S. Maria sono conservati affreschi dei secc. 13° e 14° e dei primi decenni del 15° secolo. Il dipinto più antico è il noto Incontro dei tre vivi e dei tre morti, affrescato nella cappella settentrionale, a sinistra di quella del coro. Sulla parete meridionale tre giovani falconieri, eleganti nei gesti e nell'abbigliamento, lasciati i cavalli e i paggi all'ombra di un albero in fiore, s'arrestano con un moto di incoercibile sorpresa davanti a tre scheletri - due in piedi, l'altro nella bara - raffigurati non sulla medesima parete, ma su quella orientale. Il significato della scena sfocia in un drammatico memento mori, al quale dà voce in maniera esplicita pure la lunga iscrizione su doppio rigo, solo in parte leggibile "[M]ox que liquescit [...] quod [s]umus hoc e[r]itis" (Bologna, 1969, p. 47). Contiguo al fregio che chiude in alto il brano con i tre scheletri, si stende il pannello con le figure di s. Andrea e di un donatore. Stilisticamente diverso dalla scena sottostante, è da dubitare che l'affresco sia a essa posteriore di qualche decennio, come è stato sostenuto (Matthiae, 1969; Gli affreschi della cattedrale di Atri, 1976): è invece incontrovertibile che si tratti del residuo di una più vasta campagna pittorica che l'assenza di marcate cesure fra gli intonaci fa supporre coeva. La scena dell'Incontro costituisce, se non la prima, certamente una delle rappresentazioni più antiche di questo tema. Caratterizzato da un'"attenzione nuova per le spoglie umane" (Tenenti, 1957), l'affresco esprime un senso della morte di stampo profondamente laico; né cristiane sono le sue radici: tale rappresentazione infatti risulta essere il pendant figurale - costruito in Occidente nel corso del sec. 13° - di uno spunto narrativo originario della tradizione letteraria e poetica orientale, sia buddista sia araba preislamica (Bologna, 1969). Successivamente, prima di estinguersi, fu utilizzata talora nella complessa raffigurazione - tutta occidentale - del Trionfo della Morte.Le proposte cronologiche oscillano fra una data precoce, anteriore o intorno alla metà del sec. 13° (Bologna, 1969; Bologna, Leone de Castris, 1984; Leone de Castris, 1986b), e il tardo Duecento (Matthiae, 1969; Gli affreschi della cattedrale di Atri, 1976; Bozzoni, 1979). Di conseguenza, considerando l'affresco un'opera di epoca e cultura federiciana (Bologna, 1969; 1982), svevo-manfrediana (Leone de Castris, 1986a) o post-sveva, la sua incidenza e il suo significato sono destinati a mutare radicalmente.Nell'arcipelago di siffatte posizioni, occorre meditare su un dato incontrovertibile: la pertinenza dell'affresco all'edificio, ricostruito in forme gotiche dopo il 1252 e completato, per quanto riguarda la parte presbiteriale, intorno al 1280.Ritenuto talora un episodio del tutto isolato nel contesto figurativo di tipo monumentale dell'Italia meridionale (Bologna, 1969), questo affresco, al contrario, non è alieno da tenui aperture verso alcune delle linee emergenti all'interno del quadro pittorico abruzzese. I profili delle figure, di stampo inconfondibilmente svevo, hanno paralleli nella regione in alcuni personaggi delle scene del ciclo della Passione affrescato nell'oratorio di S. Pellegrino a Bominaco intorno al 1263, in particolare per quanto riguarda la figura di Giuda; l'impianto a fregio, gli spunti gotici 'francesi' sono pure riscontrabili, privi però di ogni squisita sottigliezza, negli inediti affreschi protoangioini scoperti nell'abside della chiesa di S. Liberatore alla Maiella; infine la figura di s. Andrea è da accostare, per la sua marcata caratterizzazione, ad alcuni fra i santi in S. Maria ad criptas, presso Fossa, la cui datazione è saldamente ancorata entro il ventennio 1263-1283.Rilevante è poi il successivo nucleo di affreschi trecenteschi e protoquattrocenteschi, sparsi sulle pareti e sui pilastri della cattedrale e del cisternone romano sottostante. I dipinti, dai soggetti diversi - ricorrono episodi narrativi, anche cristologici, temi dottrinali, scene e figure di carattere votivo -, sono divisi in pannelli, isolati e conclusi in sé, anche quando si dispongono in sequenza.Contrassegnati da una cultura figurativa nella quale è dominante una componente adriatica, gli affreschi trecenteschi sono in massima parte opera autografa o della scuola del c.d. Maestro di Offida, da scaglionare cronologicamente, con ogni probabilità, in due distinti momenti del suo percorso creativo: intorno al 1340 - Cristo con i simboli della Passione, Annunciazione, sulla controfacciata - e dopo la metà del secolo - per es. Madonna fra quattro santi - (Bologna, Leone de Castris, 1984). Da questo doppio raggruppamento conviene, però, estrapolare alcuni pannelli della controfacciata, come l'Orazione nell'orto o la Crocifissione, marcati da una cultura di matrice locale, in bilico tra eleganze e dolcezze alla maniera dei maestri aquilano-spoletini - dal Maestro del 1310 al Maestro di Fossa - e tratti di matrice espressamente napoletana (per es. il Maestro delle tempere francescane).Fra i pannelli protoquattrocenteschi, alcuni - come S. Giovanni Battista nel deserto e gli altri stilisticamente affini - rivelano, piuttosto che la mano di Antonio da Atri (Bologna, 1983), quella del Maestro del Giudizio, in territorio abruzzese, e del Maestro dell'abside di S. Maria della Rocca a Offida, attivo anche nel grande cantiere di S. Maria a Loreto Aprutino (Dell'Orso, 1988). In questo modo le vicende pittoriche tre e quattrocentesche della cattedrale di A. procedono in singolare parallelismo con quelle della chiesa di Offida nell'ascolano, scandite come sono, nelle loro varie fasi, dalla presenza degli stessi artisti e delle loro équipes.

Bibl.: G.B. Cavalcaselle, J.A. Crowe, Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI, IV, Firenze 19002 (1887), pp. 327-328; Van Marle, Development, V, 1925, pp. 374-376; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932, p. 11 (trad. it. Pittura italiana del Rinascimento, Milano 1936, p. 9); A. Tenenti, Il senso della morte e l'amore della vita nel Rinascimento, Francia e Italia, Torino 1957, pp. 431-432; F. Bologna, Di alcuni rapporti tra Italia e Spagna nel Trecento e l''Antonius Magister', AAM 4, 1961, pp. 27-48: 46, n. 40; id., La pittura italiana delle origini, Roma 1962, p. 89; id., I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, Roma 1969, pp. 41-47 (con bibl.); G. Matthiae, Pittura medioevale abruzzese, Milano 1969, pp. 66-68; B. Trubiani, La Basilica-cattedrale di Atri, Roma 1969, pp. 163-166; G. Verna, Atri-Hatria, Teramo [1969]; Gli affreschi della cattedrale di Atri, a cura di G. Matthiae, B. Trubiani, Roma 1976, pp. 5-12, tavv. V-XIV; C. Bozzoni, Saggi di architettura medievale. La Trinità di Venosa. Il duomo di Atri, Roma 1979; F. Bologna, Nascita della pittura senese, in Il gotico a Siena: miniature, pitture, oreficerie, oggetti d'arte, cat. (Siena 1982), Firenze 1982, pp. 32-33; id., La Perdonanza di Celestino V nelle arti figurative e la Porta Santa del 1397 a Collemaggio, in F. Bologna, A. Clementi, G. Marinangeli, La perdonanza celestiniana a L'Aquila, L'Aquila 1983, pp. 43-63; F. Bologna, P. Leone de Castris, Percorso del Maestro d'Offida, in Studi di storia dell'arte in memoria di Mario Rotili, I, Napoli 1984, pp. 283-305; V. Pace, Pittura del Duecento e del Trecento in Abruzzo e Molise, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, II, pp. 443-450: 443-444; P. Leone de Castris, Pittura del Duecento e del Trecento a Napoli e nel Meridione, ivi, 1986a, pp. 461-512: 462; id., Arte di corte nella Napoli angioina, Firenze 1986b, fig. 17, p. 118; S. Dell'Orso, Considerazioni intorno agli affreschi della chiesa di Santa Maria in Piano a Loreto Aprutino, BArte, s. VI, 73, 1988, 49, pp. 63-82: 73.M. Andaloro

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