ATLETICA - Le specialita: il cross country

Enciclopedia dello Sport (2004)

Atletica - Le specialità: il cross country

Giorgio Reineri

Il cross country

Le origini

La pratica della corsa campestre, già in uso nella società inglese medievale, si intensificò nel corso del tempo e nel 19° secolo venne codificata in una vera e propria disciplina sportiva. Attorno al 1830 era praticata nelle public schools con il nome di hare and hounds, "caccia alla lepre", dove la lepre era rappresentata da una traccia di carta che i giovani atleti dovevano seguire. A livello di club il cross country si diffuse per merito di Walter Rye, un giornalista corrispondente della Sporting Gazette. Nel 1867 Rye organizzò una gara per il Thames rowing club in seguito alla quale l'anno successivo fu fondato il Thames hare and hounds. Subito dopo nacquero altri club: Harriers, Beagles, Tally ho, tutti con un riferimento, almeno nel nome, alla caccia.

La gara organizzata da Rye il 24 febbraio 1877, su un percorso segnalato con tracce di carta, fu il primo campionato di cross country disputato al mondo. La corsa venne vinta da Peter 'Percy' Stunning che avrebbe trionfato anche nei tre anni seguenti. Nel 1880, quando in Inghilterra fu fondata l'Amateur athletic association, il mondo del cross era rappresentato da quattro delegati. Questi tuttavia preferirono varare un'organizzazione indipendente, la National cross country union, che vide la luce il 18 agosto 1883, con la nomina di Rye a presidente.

Fu ai Midland cross country championships nel 1879, nel 1882 e nel 1884, e poi ai campionati nazionali di cross che cominciò ad affermarsi la fama di Walter George, uno dei 'padri' del mezzofondo, assieme a quella di Bill Snook, suo compagno di club al Moseley Harriers. Vent'anni dopo iniziò la sua carriera nel cross country un altro celebre campione delle corse di resistenza, Alfred Schrubb, un muratore che si accorse di avere straordinarie qualità di endurance nel 1898 quando, per spegnere un incendio scoppiato in un villaggio a tre miglia (oltre 4,800 km) da Slinford, nel Sussex, dove era nato, coprì la distanza tra i campi tutta d'un fiato. I suoi compaesani lo convinsero a iscriversi al club degli Harriers di Slinford e a partecipare al campionato di cross country della contea, dove vinse le gare sul miglio, sulle 3 e sulle 4 miglia. Dal 1901 al 1904 fu campione nazionale e, nel 1903, fu anche il primo vincitore dell'edizione inaugurale degli International cross country championships.

A quei tempi il cross country era uno sport tipicamente anglosassone. Il regolamento prevedeva che si praticasse su un percorso il più naturale possibile, che doveva includere qualche salita (hill) e vari tipi di ostacoli come fossi, barriere o siepi. La distanza poteva variare da 14 km sino a quasi 20 km. Al resto d'Europa questa disciplina era quasi sconosciuta o per ragioni climatiche ‒ era difficile correre per prati in Scandinavia o anche nel nord della Germania durante la stagione invernale ‒ o perché quel tipo di attività era estranea agli usi e costumi dei vari paesi. Al contrario si misuravano spesso nelle corse campestri gli allievi dei college degli Stati Uniti: il primo campionato dell'American athletic union si disputò nel 1890, dunque negli stessi anni in cui si tennero le prime competizioni ufficiali in Gran Bretagna. Negli anni Trenta, poi, il cross divenne parte del programma della National collegiate athletic association track and field, che nel 1938 organizzò il primo campionato. Particolarmente forte in quegli anni fu la squadra dell'Università dell'Indiana nella quale il nome di spicco era quello di Don Lash, che vinse per sette anni consecutivi, dal 1934 al 1940, il titolo nazionale

Il cross è sempre stato parte essenziale nella formazione di un buon corridore di mezzofondo e fondo. È raro trovare un grande crossista che non sia stato allo stesso tempo molto forte in pista sui 5000 m e 10.000 m e sui 3000 m siepi. Il dominio britannico e americano in queste specialità sul finire del 19° secolo e agli inizi del 20°, in un'epoca cioè nella quale l'allenamento alla resistenza muoveva ancora i primi passi, può sicuramente essere attribuito alla pratica del cross country. D'altro canto, tra britannici e americani esisteva, fin dalla fine dell'Ottocento, uno scambio di informazioni e di incontri atletici, che consentiva di migliorare le conoscenze attraverso la diffusione delle rispettive esperienze. Una notevole importanza nell'istituire questi legami ebbe Harry Hardwick, giornalista inglese che aveva notevole capacità imprenditoriale ed era stato anche un professionista delle corse a handicap. Nel 1890, Hardwick organizzò il primo viaggio transatlantico di un club ‒ i Salford Harriers ‒ e di una squadra nazionale inglese per incontrare in una serie di gare in pista gli atleti americani.

Otto anni dopo Hardwick guidò un gruppo di specialisti del cross britannico a Parigi, in una spedizione pionieristica, diretta a far scoprire all'Europa la pratica del cross country. La Francia non aveva alcuna tradizione nella specialità e il match con gli inglesi fu del tutto impari: gli otto corridori del Salford Harriers e del club di Manchester avevano da tempo terminato la corsa quando arrivò il primo dei francesi, collassando subito dopo il traguardo.

Gli International cross country championships

Hardwick non fu scoraggiato dal risultato e andò avanti con il suo programma teso ad allargare l'orizzonte delle competizioni a un teatro più grande di quello della sola Gran Bretagna. Così lanciò l'idea degli International cross country championships. L'iniziativa trovò fieri oppositori in Inghilterra, tra cui il segretario delle English southern counties, Harry Barclay, ma andò ugualmente in porto. Il primo campionato si tenne il 28 marzo 1903 a Hamilton, in Scozia, e vide la larga vittoria dell'Inghilterra su Irlanda, Scozia e Galles. La squadra inglese, che includeva Schrubb, il miglior mezzofondista dell'epoca, avrebbe continuato a dominare per anni, anche quando gli International cross country championships acquistarono una sembianza internazionale, con la partecipazione ufficiale della Francia. Per la prima volta i francesi presero parte al campionato nel 1907, a Glasgow in Scozia, facendosi onore e terminando nella competizione a squadre al quarto posto su cinque nazioni partecipanti. Nell'ordine di arrivo individuale il nome del primo non anglosassone figurava al tredicesimo posto ed era quello di un atleta destinato a divenire famoso: Jean Bouin.

Già nel 1909 Bouin mise in seria difficoltà l'inglese Edward Wood, terminando la gara appena un secondo dopo di lui sul percorso di Derby (58′03″ contro 58′04″). Due anni dopo cominciò la serie dei suoi successi: tre di seguito, con un largo margine di vantaggio sugli inglesi, rispettivamente William Scott, Ernest Glover e George Wallach. La lezione che si poteva trarre dalle vittorie di Bouin era chiara: per confrontarsi nelle prove di mezzofondo con gli anglosassoni, occorreva partire dal cross country; una volta in grado di contrastarli nelle corse su prati, si sarebbe potuto sperare di contenerli in pista. Bouin aveva la stoffa del vero campione: sarebbe difatti succeduto a Schrubb nella lista dei primatisti del mondo delle 6 miglia e dei 10.000 m, perdendo infine per un solo decimo di secondo la finale olimpica dei 5000 m nel 1912 a Stoccolma, contro il finlandese Hannes Kolehmainen.

La Prima guerra mondiale portò all'interruzione delle competizioni sportive in Europa. Il campionato di cross riprese soltanto nel 1919 con alcuni anni di predominio britannico, interrotti poi nel 1922 di nuovo per opera di un francese: Joseph Guillemot, specialista non soltanto del cross ma anche della pista (nel 1920, ad Anversa, aveva conquistato il titolo olimpico dei 5000 m battendo il finlandese Paavo Nurmi). In seguito Guillemot in diversi International cross country championships contribuì al successo della squadra francese, per la quale gareggiavano anche i primi corridori africani, gli algerini Allemamen Arbidi e Amar Alim Arbidi.

È interessante notare come in quegli anni, che vedevano la dominazione finlandese nelle prove di resistenza in pista, nessun rappresentante di quel paese fosse invitato ai campionati di cross country. È possibile che in questa decisione debba essere visto il tentativo di mantenere la specialità sotto la tutela britannica, che i risultati olimpici sembravano mettere a rischio. Il cross country era stato inserito come disciplina atletica dell'Olimpiade proprio per insistenza della Gran Bretagna. Nell'ottobre 1910, a una riunione dell'Amateur athletic association, Percy Fischer ‒ membro dell'Olympic track committee ‒ aveva potuto annunciare che "grazie ai buoni uffici dei rappresentanti britannici nel Comitato internazionale olimpico, gli 800 m, i 10.000 m di marcia e una gara di cross country sulle 5 miglia sono stati aggiunti al programma dei Giochi di Stoccolma del 1912". Gli inglesi, che cercavano di dare particolare importanza alla disciplina del cross country, di cui si sentivano gli inventori, avrebbero voluto includere anche una prova di steeplechase sulle 2 miglia, ma il CIO si era opposto. L'esito delle gare tuttavia fu quanto mai lontano dalle aspettative britanniche. A Stoccolma vinse Kolehmainen, battendo gli svedesi Hjalmar Anderson e John Eke; nessun inglese arrivò fra i primi otto e primo dei non nord-europei fu un sudafricano, Leonard Richardson, che giunse ottavo nella gara a squadre, la Svezia superò la Finlandia, mentre la Gran Bretagna si piazzò al terzo posto. Ai Giochi di Anversa, nel 1920, Paavo Nurmi dominò anche la prova di cross, mentre il vincitore dell'International cross country championship di quello stesso anno, lo scozzese Jimmy Wilson, fu soltanto quarto con un minuto e mezzo di distacco dal finlandese. Lo stesso copione si ripeté nel 1924 a Parigi: vinse ancora Nurmi e trionfò ancora la Finlandia, davanti a Stati Uniti e Francia, mentre l'inglese Ernest Harper, secondo ai campionati di quell'anno, fu quarto; inoltre la Gran Bretagna, come l'Italia e la Spagna, non riuscì a entrare nella classifica per nazioni, per non aver portato al traguardo almeno tre dei suoi atleti. Quella fu, anche, l'ultima volta in cui il cross country figurò nel programma olimpico: troppe le difficoltà di percorso, troppo il calore estivo e troppi gli atleti ritirati.

Nello stesso tempo, anche gli International cross country championships incontrarono difficoltà di sopravvivenza specialmente per mancanza di fondi necessari a organizzare la competizione. Nel 1923 Irlanda e Galles per ragioni economiche avevano rinunciato a mandare i loro atleti in Francia, dove per la prima volta alle tradizionali cinque nazioni si era aggiunto il Belgio. Nel 1924 i francesi avevano chiesto agli inglesi di programmare la competizione in una località non troppo distante, ma gli organizzatori scelsero per sede Newcastle-upon-Tyne, ai confini tra Inghilterra e Scozia. Ciò provocò una rabbiosa reazione francese, non certo affievolita dalla circostanza che gli inglesi ottennero in gara i primi sei posti. Il monopolio britannico cominciava a creare insofferenza e venne deciso che ogni tre anni la sede del campionato di cross sarebbe stata una località del continente. Nel 1929 gli organizzatori allargarono il numero delle nazioni invitate a dieci, includendo anche l'Italia, il Lussemburgo, la Svizzera e la Spagna. Quest'ultima, pur all'esordio, fu subito capace di un terzo posto nella classifica a squadre, dietro Francia e Inghilterra.

Negli anni Trenta gli inglesi ottennero nove vittorie consecutive come squadra, mentre a livello individuale si affermò il dominio di Jack Holden, trionfatore in quattro edizioni tra il 1933 e il 1939, e secondo nel 1936 quando il campionato fu organizzato a Blackpool, la città natale di Hardwick. Questi, entusiasta e instancabile promotore malgrado l'età, ebbe la soddisfazione di salutare il successo di Bill Eaton, membro dei Salford Harriers, il club da lui stesso fondato.

Lo scoppio della Seconda guerra mondiale impose un altro fermo a tutte le manifestazioni sportive, specialmente in campo internazionale. Tuttavia si era fatto in tempo a programmare una gara juniores, che si tenne all'inizio del 1940 a Parigi, pochi mesi prima dell'invasione tedesca e italiana della Francia. In quell'occasione partecipò per la prima volta a una competizione internazionale il belga Gaston Reiff, futuro campione olimpico dei 5000 m (Londra, 1948), che però concluse la gara soltanto al quattordicesimo posto.

L'International cross country championship riprese a essere organizzato già nel 1946. Si aprì un periodo completamente nuovo nel quale cominciarono a imporsi sempre più numerosi gli atleti non anglosassoni. La Francia presentò Raphael Pujazon, vincitore nel 1946 e 1947, e soprattutto l'algerino Alain Mimoun, un fenomeno in campo atletico. Mimoun vinse quattro titoli di campione del mondo di cross tra il 1949 e il 1956 e in quest'ultimo anno ottenne anche la più importante delle sue innumerevoli medaglie: l'oro olimpico della maratona a Melbourne. Ancora più significativa fu la vittoria, nell'edizione del 1953 che si tenne a Parigi-Vincennes, dello iugoslavo Franjo Mihalic, un segno di come la partecipazione al campionato si stesse allargando ad altri paesi e la riprova che se la dirigenza dell' ICCU (International cross country union) avesse operato di più su questo fronte, e cioè per una vera internazionalizzazione della competizione, il cross avrebbe potuto conquistare nuovi adepti e i nomi di prestigiosi campioni sarebbero potuti entrare nell'albo d'oro della manifestazione. È difatti singolare che la maggioranza dei paesi dell'Europa orientale non venisse invitata agli International cross country championships, sicché alla partenza non si allineavano campioni quali Emil Zátopek o Vladimir Kuts, che invece prendevano parte ad altre competizioni di cross, per es. a quelle organizzate a Parigi dall'Humanité, il giornale del Partito comunista francese, e, dal 1961, dal quotidiano di indirizzo conservatore Le Figaro, o alla 'Cinque mulini', una delle più antiche competizioni di cross italiane, fondata negli anni Trenta a San Vittore Olona, vicino a Milano, da un appassionato di corse a piedi e in bicicletta, Giovanni Malerba.

L'attività di cross in Europa era abbastanza intensa ma si svolgeva senza un vero e proprio collegamento con l'ICCU e con il suo campionato. Talvolta, anzi, i rapporti fra i dirigenti dell'ICCU e gli organizzatori delle varie gare di cross si facevano tesi. La IAAF, che avrebbe dovuto coordinare le diverse attività, rimaneva spesso assente e il suo tentativo di riportare nella propria orbita gli International cross country championships aveva suscitato la risposta sprezzante dei membri dell'ICCU, come se la Federazione internazionale non avesse nessun titolo di intromettersi nelle loro faccende.

Nel 1960 per la prima volta vinse l'International cross country championship, che si svolse a Hamilton, in Scozia, un atleta africano che gareggiava con i colori del suo paese: il marocchino Abdesselem Ben Rhadi. Due anni dopo, il successo andò a un belga, Gaston Roelants. Costui, grande specialista del cross e, in pista, dei 3000 m siepi ‒ di cui divenne campione olimpico nel 1964 a Tokyo ‒ avrebbe ottenuto altre tre vittorie, l'ultima delle quali nel 1972, dieci anni dopo il suo primo successo.

Il 1972 fu l'ultimo anno in cui l'International cross country championship si disputò sotto l'egida dell'ICCU. Si chiudeva definitivamente, così, un lungo periodo nella storia di questa disciplina. Il dominio inglese, d'altro canto, era ormai stato seriamente messo in discussione sul campo di gara ‒ nonostante gli ultimi successi di Mike Tagg e David Bedford ‒ mentre atleti di altri continenti cominciavano a occupare il centro della scena. Il marocchino Ben Assou El Ghazi e il tunisino Mohamed Gammoudi confermavano che il cross poteva essere praticato con successo anche da corridori dell'Africa, per il momento quella del Nord, in attesa che una nuova organizzazione, sotto il controllo della IAAF, desse ad altre nazioni africane l'opportunità di partecipare.

L'allargamento, insomma, era esigenza avvertita da tutti, in primo luogo dai giovani, per i quali la gara juniores, dopo quella del 1940, era stata riorganizzata nel 1961. In questa categoria ci fu, nel 1972 a Cambridge, la sola vittoria italiana in campo maschile: quella di Aldo Tomasini, con uno sprint finale di notevole intensità, dopo una gara tutta condotta da un altro italiano, Franco Fava che, caduto nel tratto finale a causa della fatica, fu anche superato dall'americano Jim Brown. Tuttavia, mentre Tomasini non avrebbe tenuto fede alle promesse, Fava sarebbe risultato il miglior specialista di cross della storia atletica italiana, grazie al quarto posto ottenuto nel campionato del mondo del 1977 a Düsseldorf.

I World cross country championships

L'ICCU tenne il suo ultimo congresso nel 1971 a San Sebastián, in Spagna. La mozione presentata dal rappresentante francese, nella quale si proponeva di trasferire l'organizzazione dei futuri International cross country championships alla IAAF, fu messa ai voti e fu approvata da 7 degli 11 membri dell'ICCU. Il 19 marzo 1972, a Londra, lo IAAF cross country committee, presieduto dal belga Emiel DeClerck, chiese alla IAAF di farsi carico dell'organizzazione del Cross delle Nazioni (così era anche chiamato l'International cross country championship) su una base più ampia di quanto sino ad allora avvenuto, e fece anche notare che, diventando la Federazione internazionale stessa l'ente organizzatore, non avrebbe più avuto senso promuovere eventi rivali, specialmente nell'area dei Balcani e nell'Africa del Nord. La proposta del Comitato venne approvata dal Consiglio della IAAF nel meeting estivo tenutosi a Monaco, e si diede contemporaneamente mandato al Comitato di organizzare il primo Campionato del Mondo nella seconda metà del marzo 1973. Il Comitato stilò anche una serie di regole per gli organizzatori, le federazioni e gli atleti, fissando, tra l'altro, la distanza della gara maschile in 12 km (non più 14,5 come dal 1930 al 1962), e di quella femminile in 4 km. Con la riforma introdotta dalla IAAF in occasione del Congresso di Atene del 1997, il numero dei titoli in palio al Campionato del Mondo fu raddoppiato, con la disputa di due cross 'corti' sia per gli uomini sia per le donne, entrambi sulla distanza dei 4000 m. Ora il programma e le distanze di gara prevedono per gli uomini cross lungo (12 km), cross corto (4 km), junior (8 km); per le donne cross lungo (8 km), cross corto (4 km), junior (6 km). Le norme che attualmente regolano il cross country sono fissate all'art. 250 dello IAAF Handbook. In particolare, sono specificate le caratteristiche del tracciato: "un percorso naturalmente ondulato, con curve dolci e corti rettilinei è da ritenersi il più consigliabile"; esso deve essere previsto "in un'area aperta o boscosa, il più possibile ricoperta di erba, con ostacoli naturali che possono essere utilizzati per preparare un percorso difficile e interessante". Per quanto riguarda gli ostacoli, si dovrà evitare di includere quelli troppo alti, così come fossi troppo ripidi o discese o salite pericolose. Possono essere usati anche ostacoli artificiali, che devono simulare il più possibile quelli naturali.

Il primo IAAF World cross country championship si disputò il 17 marzo 1973 all'ippodromo di Waregem, in Belgio. Se nell'ultima edizione dell'era ICCU gli atleti partecipanti erano stati 197, in rappresentanza di 15 paesi (contro i 41 di 4 paesi per quella inaugurale del 1903), a Waregem ‒ sotto le insegne della IAAF ‒ il numero di atleti al via era già salito a 285 e le nazioni presenti a 21. Per la prima volta risposero agli inviti della IAAF paesi sino ad allora assenti dall'ICCU, come l'URSS, la Germania, la Danimarca e la Finlandia (mentre gli Stati Uniti venivano costretti a rinunciare per mancanza di fondi). La tendenza a un sempre più marcato incremento della partecipazione si sarebbe andata accentuando grazie all'importanza data dalla Federazione internazionale al campionato, specie sotto l'aspetto promozionale. La gara lunga di Waregem fu vinta dal finlandese Pekka Paivarinta, uno specialista delle siepi, davanti allo spagnolo Mariano Haro e al neozelandese Rod Dixon. Se la vittoria di Paivarinta fu a sorpresa, la gara juniores confermò quasi i risultati dell'anno precedente: l'italiano Franco Fava fu quarto, stavolta seguito da Aldo Tomasini, mentre il successo andò allo scozzese Jim Brown, terzo nel 1972. Brown, che aveva 20 anni e 185 giorni, usufruì della regola per la quale nel cross country si considerava junior l'atleta al di sotto dei 21 anni, norma poi eliminata per l'edizione 1974, a Monza. Oltre alla presenza di sei nuove squadre ‒ Austria, Germania Orientale, Kuwait, Norvegia, Polonia, Svezia ‒ il campionato del 1974 vide il trionfo belga, sia nella gara individuale, con Eric de Beck, sia in quella a squadre. Nella corsa juniores arrivò al secondo posto un italiano di grandi qualità, il friulano Venanzio Ortis, che fu battuto da un americano, Rich Kimball, subito dopo scomparso dal mondo dell'atletica. A sua volta, Ortis aveva preceduto un futuro, grande crossista irlandese, John Treacy. Nel 1978 Ortis sarebbe diventato a Praga campione d'Europa dei 5000 m, dopo aver già ottenuto la medaglia d'argento sui 10.000 m.

L'edizione del 1975 si svolse a Rabat, che già nel 1966 aveva ospitato il campionato, in quella parte dell'Africa dove la ricchezza di tradizione e di campioni era garanzia di successo. Affidando l'organizzazione a un paese africano si intendeva incoraggiare quelle nazioni sulla strada dell'atletica, ma anche favorirne la maturazione come promotori di grandi eventi. A Rabat si presentarono 313 atleti di 26 paesi, fra i quali per la prima volta figurarono l'Algeria, l'Australia, l'Egitto, Gibilterra, l'Iran, la Libia, l'Arabia Saudita, il Sudan e la Siria. Il livello della partecipazione maschile fu di elevato valore tecnico: lo scozzese Jan Stewart risultò vincitore allo sprint sullo spagnolo Mariano Haro. Solo una settimana prima, a Katowice, Stewart aveva conquistato il titolo europeo indoor dei 3000 m, a dimostrazione che la corsa in pista, anzi, sulla minuscola pista indoor, poteva utilmente esser accoppiata a quella per i prati. Per la prima volta nella storia del cross, il titolo per nazioni andò alla Nuova Zelanda, guidata da quello straordinario specialista dei 1500 m e del miglio che fu John Walker (quarto). Il Belgio, con l'intramontabile Roelants, arrivò terzo.

Il portoghese Carlos Lopes fu il vincitore dell'edizione successiva, disputatasi a Chepstow, in occasione dell'ottantesimo anniversario della fondazione della Federazione atletica del Galles. Lopes, uno dei più grandi corridori di resistenza nella storia atletica, avrebbe nuovamente vinto il titolo mondiale di cross otto anni dopo, a New York (prima di conquistare il titolo olimpico della maratona a Los Angeles). L'edizione del 1984 segnò una svolta nel numero degli atleti e delle nazioni partecipanti. Primo Nebiolo, difatti, dopo l'esperienza positiva dell'edizione inaugurale del Campionato del Mondo di atletica di Helsinki (1983), aveva voluto estendere a tutte le altre competizioni IAAF il principio in base al quale la Federazione internazionale copriva le spese di viaggio e di pernottamento per una quota di atleti e accompagnatori, secondo parametri stabiliti. Naturalmente, questa innovazione organizzativa fece toccare un record di partecipazione con 40 paesi e 442 atleti. A New York, la squadra italiana fece una buona figura: si piazzò al quinto posto, come già accaduto nel 1976, schierando campioni quali Francesco Panetta (decimo), Alberto Cova (undicesimo), Stefano Mei (cinquantaquattresimo).

L'anno successivo, a Lisbona, Lopes ormai trentaquattrenne, dopo aver rivinto il titolo portando a tre il numero totale delle sue vittorie davanti al pubblico di casa, annunciò che quella sarebbe stata la sua ultima gara: una gara molto bella e molto dura, che si era aggiudicato, più che allo sprint, con un rush finale di quasi un chilometro. Tutta la corsa, lanciata dal suo compagno di squadra Fernando Mamede, primatista del mondo dei 10.000 m, era stata caratterizzata da un ritmo molto elevato, al quale avevano resistito soltanto il keniota Paul Kipkoech e l'etiope Wodajo Bulti.

Quella di Lopes fu anche l'ultima vittoria non africana al campionato del mondo di cross country. I corridori dell'Africa ‒ specie algerini, marocchini e tunisini ‒ si erano annunciati già da tempo come dotati di particolare talento per il cross. Poi furono gli atleti degli altopiani dell'Africa orientale a dare prepotenti esibizioni di vigore atletico. Il primo annuncio si era avuto nel 1982, a Roma. Per quel campionato, che avrebbe dovuto aver luogo a Varsavia ‒ e che fu spostato a causa della proclamazione della legge marziale, sul finire del 1981, in Polonia ‒ venne scelto il terreno di gara dell'ippodromo delle Capannelle. Grande favorito era l'americano Craig Virgin (vincitore nel 1980 e 1981), costretto però alla rinuncia per una colica renale nei giorni precedenti alla gara. In sua assenza, tutti gli occhi erano puntati sul compagno di squadra Alberto Salazar. Questi, difatti, condusse con sicurezza la gara, staccando prima dell'inizio dell'ultimo giro tutti gli avversari, ma non l'etiope Mohamed Kedir, il quale con uno sprint negli ultimi 400 m conquistò il titolo mondiale.

In verità, Kedir avrebbe potuto vincere già nel 1981, l'anno in cui per la prima volta Etiopia e Kenya avevano inviato i loro atleti al campionato. La gara si era svolta a Madrid, all'ippodromo della Zarzuela: i sette atleti della squadra etiope, tra i quali il due volte campione olimpico Miruts Yifter, presero il comando, davanti a Craig Virgin, Fernando Mamede, Rod Dixon, ma per errore si fermarono all'inizio dell'ultimo giro, pensando che il traguardo fosse lì. Resosi immediatamente conto dello sbaglio, Kedir con il compagno Dereje Nedi si mise alla rincorsa degli avversari e riuscì a riportarsi in testa, ma a 200 m dall'arrivo pagò l'enorme sforzo e cedette lasciando la vittoria a Virgin.

L''era africana' vera e propria iniziò a Neuchâtel, in Svizzera, il 23 marzo 1986. Il Campionato del Mondo si disputò, quel giorno, su un percorso assai duro, reso fangoso dalla pioggia torrenziale caduta la notte precedente. I paesi presenti erano ben 57, con le nuove adesioni di Botswana, Cipro, India, Indonesia, Malta, Mauritius, Tanzania e Iugoslavia, e gli atleti, nelle tre categorie di gara (uomini senior e junior, donne senior), 670. Gli uomini senior dovevano percorrere la distanza di 12 km, ma dopo soltanto 3000 m prese il volo John Ngugi, del Kenya. La sua corsa era, per certi versi, unica: falcata amplissima, busto proteso in avanti, quasi dava l'impressione di cadere a ogni passo. Il suo ritmo appariva impressionante: il gruppo dei primi, tra i quali l'italiano Cova (che terminò nono, ma primo degli europei e, dunque, seppur non ufficialmente, campione d'Europa di cross), si sfilacciò rapidamente, lasciando in posizione di immediati inseguitori solo gli etiopi Abebe Mekonnen e Bekele Debele. Il vantaggio di Ngugi crebbe rapidamente, fino a toccare i 19 secondi dopo 7 km, poi si ridusse per il serrare di Mekonnen fino a 11 secondi all'inizio dell'ultimo giro; poco dopo, l'etiope superò il keniota che, però, negli ultimi 300 m lanciò uno sprint inafferrabile e arrivò primo al traguardo con 5 m di vantaggio.

Con quel titolo di campione del mondo Ngugi iniziò la sua seconda stagione di atletica; l'anno precedente aveva corso i 1500 m in 3′37,04″ al Cairo e i 5000 m in 13′18,99″ a Seul. In seguito non batté mai i primati del mondo in pista, ma vi riuscì nel cross. Nel Campionato Mondiale ottenne quattro titoli consecutivi dal 1986 al 1989, sostenendo fiere battaglie con il compagno di squadra Paul Kipchoech, che sarebbe stato campione del mondo dei 10.000 m a Roma davanti a Francesco Panetta, e contribuendo al dominio del Kenya nella classifica a squadre. Guarito da alcuni incidenti muscolari e tendinei, si aggiudicò un quinto titolo nel 1992, a Boston, mettendo termine alla serie positiva (1990 e 1991) di un grande fondista marocchino, Khalid Skah (che, in quello stesso anno, si sarebbe rifatto della sconfitta nel cross con il titolo olimpico dei 10.000 m a Barcellona). Ngugi fu tra i più grandi specialisti di cross di tutti i tempi ‒ in pista, invece, dovette accontentarsi del titolo olimpico dei 5000 m a Seul nel 1988 ‒ ma la sua carriera, oltreché da incidenti, venne offuscata da un caso di doping: in verità, Ngugi non fu mai accusato di aver assunto sostanze illegali, ma di aver rifiutato di sottoporsi a un controllo non annunciato, nel febbraio 1993, quando un incaricato bussò alla porta della sua casa, in Kenya. Il caso fu controverso, ma Ngugi venne ugualmente squalificato per quattro anni, poi parzialmente condonati. Fece alcuni tentativi di ritornare all'agonismo, ma senza gran successo.

William Sigei (che fu anche primatista del mondo dei 10.000 m in 26′52,23″ nel 1994, a Oslo) succedette a Ngugi, divenendo il leader dell'imbattibile squadra del Kenya. Trionfò nei Campionati del Mondo del 1993 e 1994, tenuti rispettivamente ad Amorebieta, in Spagna, e a Budapest. In queste due edizioni, l'Etiopia aveva cercato con particolare tenacia la rivincita schierando il più forte dei suoi giovani fenomeni, Haile Gebrselassie, grande specialista della pista che però non era a suo agio sui percorsi campestri. Tra i componenti della squadra del Kenya si mise in luce invece Paul Tergat. Gebrselassie e Tergat sembravano correre affiancati: nel 1993 l'etiope era settimo e Tergat decimo; nel 1994 Gebrselassie terzo e Tergat quarto. Ma nel 1995 cominciò una nuova storia. Il Campionato del Mondo si svolse a Durham, in Inghilterra: tempo buono, percorso asciutto e veloce, ma con una salita di 80 m, con 30 gradi di pendenza, sulla quale arrampicarsi per ben cinque volte. La squadra keniota impose il ritmo di gara, aiutata anche da un altro grande specialista, il marocchino Salah Hissou, che tuttavia fu sempre costretto a cedere, anche negli anni successivi, alla superiorità di Tergat. Gebrselassie cercò più volte di portarsi in testa, per rallentare l'azione dei pace makers, ma senza successo perché un nuovo atleta del Kenya era sempre pronto a scattare in avanti. Poi fu il momento di Ismael Kirui e Paul Tergat. Lanciato dal compagno, Tergat operò un deciso allungo ottenendo 15 m di vantaggio all'inizio dell'ultimo giro. Il distacco aumentò negli ultimi 2,5 km e la vittoria di Paul Tergat fu inevitabile. Con quattro atleti tra i primi dieci il Kenya si riconfermava la più forte squadra di cross al mondo, Gebrselassie non riusciva a raccogliere che il quarto posto.

Per altri quattro anni, tra il 1995 e il 1999, Tergat dominò il cross, realizzando risultati mai conseguiti da nessun altro. Difficile, difatti, trovare un atleta tanto elegante quanto efficace nelle corse per prati: non c'era fango, non c'erano salite o discese, ostacoli o improvvise giravolte a metterlo in difficoltà. Gli avversari potevano attaccarlo dai primi metri di gara, o attenderlo allo sprint: sempre Tergat imponeva la sua classe, la sua leggerezza e la sua potenza di corsa. A Città del Capo, nel 1996, Gebrselassie tentò ancora l'avventura del cross: distrutto dalla fatica, arrivò soltanto quinto, a 44″ dal keniota. La rivalità fra i due si manifestò in seguito soprattutto in pista e toccò il culmine ai Giochi Olimpici di Sydney 2000 quando Tergat e Gebrselassie diedero vita a una delle più belle corse dei 10.000 m che si ricordino, divisi sul traguardo, a vantaggio dell'etiope, da soli 9 centesimi di secondo.

Nel 1997, il Campionato del Mondo si disputò a Torino. Primo Nebiolo, che voleva togliere il cross country dal confino degli ippodromi e delle periferie delle città per proporlo a un pubblico più vasto e non necessariamente di appassionati, pensò di utilizzare l'antico Parco del Valentino, dove nel primo dopoguerra si erano tenute corse di Formula 1. Poiché il parco non disponeva di sufficiente tracciato erboso, fra il Po e il corso Massimo d'Azeglio si posò sul cemento un largo sentiero d'erba. Fu una corsa appassionante alla quale parteciparono 735 atleti in rappresentanza di 73 paesi e che fu seguita da un pubblico di 15-20.000 spettatori. Tergat vinse in volata, davanti a Salah Hissou.

Sempre per volere di Nebiolo fu introdotta un'altra innovazione dal Consiglio della IAAF del maggio 1997, con l'idea di dare maggiore visibilità al cross, inducendo a parteciparvi gli specialisti non soltanto del mezzofondo prolungato ma anche di quello veloce: si decise di aggiungere alle corse più lunghe di 12 km per gli uomini e 8 per le donne un cross corto di 4 km, uguale per gli uni e le altre. Il campionato passava da un giorno a due giorni di gare. La prima edizione di questo rinnovato Campionato del Mondo ebbe luogo a Marrakech il 21-22 marzo 1998. Un pubblico enorme, calcolato dagli organizzatori in 200.000 persone, si assiepò lungo il percorso per sostenere la squadra marocchina. Ma i kenioti non concessero nulla e dominarono nel cross corto, con la vittoria di John Kibowen sul suo compagno Daniel Komen, primatista del mondo dei 3000 m (7′20,67″ nel 1996 a Rieti), piazzando cinque atleti ai primi cinque posti. Tergat si riconfermò imbattibile sulla classica distanza dei 12 km.

Tergat venne infine battuto a Vilamoura, in Portogallo, nel 2000. Il successo andò al marocchino, ma di passaporto belga, Mohammed Mourhit (che si sarebbe ripetuto l'anno successivo sul percorso di Ostenda, Belgio, reso difficilissimo da fango, pioggia e freddo). Tergat cercava un nuovo record, quello delle sei vittorie consecutive, e aveva chiesto che la squadra lo aiutasse. Ma alla vigilia del campionato Isaiah Kiplagat, presidente della Federazione del Kenya e membro del Consiglio della IAAF, decise di includere nella formazione Charles Kamathi, terminato tredicesimo nelle selezioni, al posto di Joshua Chelanga che invece era giunto ottavo e al quale a norma di regola spettava essere titolare, anche se Kamathi aveva ottime credenziali (oltre ad aver sconfitto tre volte Tergat in cross, era anche leader dello IAAF cross country challenge e, nel settembre del 1999, aveva corso i 10.000 m in 26′51,49″). Il problema, dal punto di vista degli atleti e in particolare di Tergat, era l'arroganza dei dirigenti, che rispettavano o meno le regole a seconda di simpatie o di appartenenza a clan di questo o quell'atleta. Tergat spese l'intera notte della vigilia in discussioni, venne minacciato il boicottaggio e alla fine gli atleti presero la decisione di partecipare soltanto per onorare la gara e il Kenya. Tergat si presentò al via molto teso ma confidando che, allo sprint, sarebbe riuscito a farcela. Invece fu battuto sia da Mourhit, sia dall'etiope Assefa Mezegebu. Fu quella la sua ultima apparizione nel cross.

A Ostenda, nel cross corto, Kenenisa Bekele, un giovane atleta etiope ancora junior (nato il 13 giugno 1982 sullo stesso altopiano di Gebrselassie), conquistò il secondo posto alle spalle di Enock Koech e davanti a Benjamin Limo. L'etiope era il solo che fosse riuscito a inserirsi nella compagine del Kenya, i cui sei atleti si piazzarono tutti ai primi sette posti. Il talento straordinario mostrato da Bekele in quella prova si confermò il giorno seguente nella gara juniores: un trionfo solitario, con un vantaggio ‒ al termine degli 8 km ‒ di 33″ sul keniota Duncan Lebo. Mai, nella storia del cross junior, si era registrato un tale distacco tra il primo e il secondo arrivato. Nel 2002 a Dublino, e poi ancora nel 2003 a Losanna, Bekele diede dimostrazione della sua maturità agonistica vincendo in tutte e due le occasioni sia la gara di cross corto sia quella di cross lungo.

Il cross femminile

Ancor più di altre discipline, il cross country è stato a lungo avversato come pratica sportiva femminile. È vero che in Gran Bretagna, addirittura nel Medio Evo e poi sino ai primi anni del 1800, si registravano sfide tra due o più donne che, indossando lunghi camicioni, si confrontavano nella corsa per le campagne. Ma, in verità, si trattava di manifestazioni folcloristiche, legate a fiere o feste paesane, più che a qualcosa che possa esser accostato alla pratica sportiva moderna. Per lungo tempo, e già nel 20° secolo, a causa della dichiarata misoginia dei primi presidenti della IAAF, l'atletica femminile visse una vita a parte. Infatti la FSFI (Fédération sportive féminine internationale), fondata dalla francese Alice Milliat il 31 ottobre 1921 a Parigi, si fuse con la IAAF soltanto nel 1936. Anche la possibilità di partecipare a competizioni ufficiali di cross country era dunque per le donne quasi inesistente. Una gara internazionale di cross, tuttavia, si tenne saltuariamente negli anni Trenta, proprio sotto la spinta della Milliat. La prima edizione del 1931, a Douai in Francia, fu vinta dall'inglese Gladys Lunn, mentre nella classifica a squadre si piazzarono, nell'ordine, Inghilterra, Francia e Belgio. Dall'edizione del 1932 a Croydon, in Inghilterra, della quale fu ancora vincitrice la Lunn, si passò a quelle del 1935 a Morecambe, sempre in Inghilterra, e del 1938 a Lille, in Francia, dove vinsero, rispettivamente, le inglesi Nellie Halstead e Evelyne Forster. In seguito ci fu una lunga pausa sino alla metà degli anni Cinquanta, quando si ricominciò da Birmingham, nel 1954, dove l'Inghilterra riconfermò, con il successo di Diane Leather, la forza della sua tradizione anche fra le donne. Altre tre edizioni vennero disputate (1955, 1956 e 1957) sempre con vittorie da parte di atlete inglesi.

Ma per la debolezza organizzativa e l'esigua partecipazione queste gare non possono essere accostate alla prima competizione ufficiale, che fu organizzata nel 1967 sotto l'egida dell'ICCU su 3,3 km e vide la vittoria di un'atleta americana di 42 anni, Doris Brown. L'America era, anche nello sport femminile, molto più avanti dell'Europa: l'attività atletica delle donne si era sviluppata sotto la spinta del Vassar College sin dal 1895 e le ragazze americane avevano appreso ad amare e praticare la corsa lunga, per prati o su strada, e ad allenarsi di conseguenza. In occasione di quella vittoria, Brown affermò di percorrere in allenamento 100 miglia (160 km) la settimana. La prova evidente di così seria preparazione venne dai suoi cinque successi, di cui quattro furono consecutivi.

Nel 1970, il campionato femminile si sdoppiò: una gara si tenne a Frederick, nel Maryland (USA), sulla distanza di 4 km e una seconda a Vichy, in Francia, su 3,3 km. Brown vinse il Campionato americano; un'ancora giovane atleta italiana, Paola Pigni, si affermò invece in quello francese.

Nel 1973, anche il cross country femminile passò sotto il controllo della IAAF, divenendo parte integrante degli IAAF world cross country championships, e fu disputato sullo stesso campo di gara di quello maschile. A Waregem, in Belgio, su una distanza di 3,990 km, ci fu gran lotta fra l'inglese Joyce Smith (vincitrice, nel 1972, dell'ultima edizione pre-era IAAF) e la Pigni. Con un finale tenace, come nel suo stile ‒ più anglotedesco che italico ‒ Pigni travolse la resistenza dell'inglese arrivando al traguardo con circa 60 m di vantaggio. Il successo dell'italiana, che confermava quello di tre anni prima, era anche la prova dei notevoli progressi che questa atleta aveva compiuto nel mezzofondo, di cui era stata una pioniera. Nata il 30 dicembre 1945, la milanese Pigni, con ascendenze tedesche per parte materna, aveva cominciato a praticare l'atletica in giovane età, dedicandosi alla velocità e ai 400 m. Successivamente era passata alle prove di mezzofondo veloce approfittando delle iniziali opportunità offerte alle donne di competere su tali distanze. Dotata di non comune forza di volontà e di grande ostinazione nello sport come nello studio, Pigni svolse davvero un ruolo di apripista per tutte le altre atlete: lo provano i suoi record del mondo ufficiali, sui 1500 m e sul miglio (4′12,4″ il 2 luglio 1969 a Milano; 4′29,5″ a Viareggio l'8 agosto 1973) e le migliori prestazioni mondiali ottenute sui 3000 m (9′38,00″ il 2 settembre 1969 a Milano), sui 5000 m (15′53,6″ il 2 settembre a Milano) e sui 10.000 m (35′30,5″ il 9 maggio 1970 a Milano). Lo prova, infine, la medaglia di bronzo olimpica ottenuta, sui 1500 m, ai Giochi di Monaco 1972. Nel 1974, Paola Pigni, che nel frattempo aveva sposato Bruno Cacchi, suo allenatore e commissario tecnico della nazionale italiana, ripeteva a Monza il successo dell'anno precedente, divenendo la prima donna a conquistare per due volte di seguito lo IAAF world cross country championship.

Nel 1975, a Rabat, fu invece un'americana, Julie Brown, a conquistare il titolo. E gli Stati Uniti, nella cui squadra correva ancora l'ormai quasi cinquantenne Doris Brown, vinse anche il Mondiale a squadre, davanti alla Nuova Zelanda e alla Polonia. L'Italia, priva di Pigni, lanciò un giovane talento, che nove anni dopo sarebbe diventata campionessa olimpica: Gabriella Dorio. Nel 1976 e nel 1977 toccò a una spagnola, Carmen Valero, battere la concorrenza sovietica (Lyudmila Kazankina e Tatyana Bragina), mentre per il cross country femminile stava per cominciare una nuova era.

A Glasgow, nel 1978, la norvegese Grete Waitz, al suo debutto nei World cross country championships, impose immediatamente un ritmo fortissimo, procurandosi 200 m di vantaggio dopo 3 km di corsa e terminando la gara, sui 4,700 km, con 30″ di vantaggio sulla seconda arrivata, la romena Natalia Marasescu, a sua volta seguita dalla connazionale Maricica Puica, altra specialista del mezzofondo. Il dominio di Waitz continuò negli anni successivi, e sempre con margini di vantaggio impressionanti: nel 1980, a Parigi, lasciò la sovietica Irina Bondarchuk a 44″. L'anno seguente, a Madrid, Puica, che poche settimane prima era riuscita ‒ prima donna al mondo ‒ a battere Waitz in una prova su strada in Iugoslavia, tentò di ripetere l'impresa anche nel Campionato del Mondo di cross country, ma dopo 3 km fu costretta a cedere alla norvegese che seguì la sua consueta tattica di partire a ritmo sostenuto e continuare, senza soste, a incrementarlo con il passare dei chilometri, per concedersi infine un più rilassato passo sino al traguardo. Alla spalle di Waitz si piazzò l'americana Jan Merrill e, al quarto posto, un'italiana di grande coraggio, Agnese Possamai.

Ciò che non le era riuscito a Madrid, Puica lo realizzò invece a Roma, nel 1982. Prudente, lasciò che Waitz, con Dorio, Possamai e un gruppetto di sovietiche, facessero il ritmo. Sino al secondo chilometro dei 4,6 di gara, rimase in attesa, quindi partì decisamente alla rincorsa e all'ultimo giro, agganciata Waitz, lanciò uno scatto devastante, al quale né la sua concittadina Fita Lovin né Waitz riuscirono a resistere. Arrivarono al traguardo nell'ordine, seguite da Possamai e, in ottava posizione, da Nadia Dandolo. L'Italia a squadre conquistò il secondo posto, come era già successo nel 1974 e 1976.

Waitz, battuta nel 1982, tornò però al successo nel 1983, e nel 1984 conquistò ancora un terzo posto, di nuovo alle spalle di Puica. Nessun dubbio, dunque, che questa norvegese debba essere considerata la più grande crossista di tutti i tempi, con le sue cinque medaglie d'oro, le due di bronzo, e un margine medio di vantaggio, a ogni successo, di 24″.

Un'altra grande specialista del cross fu Zola Budd-Pieterse, una sudafricana che nell'epoca dell'apartheid per gareggiare prese il passaporto inglese. La sua figura minuta e la sua corsa estremamente naturale (sino a preferire di farlo a piedi nudi che con le scarpette) le procurarono non poche simpatie. In verità le sue due vittorie ‒ nel 1985 a Lisbona e nel 1986 nel fango di Neuchâtel ‒ furono fuori dal comune, sia per l'agilità dell'azione sia per il margine di vantaggio: 23″ e 18″. In entrambi i casi si lasciò alle spalle un'americana: la prima volta Cathy Branta e la seconda Lynn Jennings. Fra le atlete battute vi fu anche un'altra grande fondista norvegese, Ingrid Kristiansen, per molti versi erede di Waitz, sia in pista sia nella maratona.

Nel 1987 per la prima volta il Kenya presentò ai campionati del mondo una squadra femminile. L'esordio fu buono, non clamoroso: quinto posto a squadre mentre, individualmente, Margaret Wairimu terminò undicesima, Delilah Asiago ventunesima, Monica Wambui trentasettesima, Leha Malot quarantottesima. L'Europa e l'America si confermarono ancora i continenti più forti nella produzione di crossiste: nel 1988, fu campionessa del mondo la francese della Savoia Annett Sergent, davanti alla scozzese Lyz Lynch e a Kristiansen (che avrebbe poi vinto l'anno successivo, ad Auckland, al suo decimo tentativo); gli Stati Uniti prevalsero, invece, nella classifica a squadre.

Nel 1989, a Stavanger, Norvegia, si disputò per la prima volta, insieme alle altre gare, anche il Campionato del Mondo juniores femminile, sulla distanza di 4 km. Il successo andò alla svedese Malin Ewerlof mentre la squadra del Kenya conquistò il suo primo titolo mondiale, grazie a Ester Saina, Ann Nwangi, Jane Ekimat e Tegla Loroupe, quest'ultima destinata a grandi risultati nella maratona.

Gli anni Novanta si annunciavano, dunque, come gli anni dell'Africa. In quel continente la pratica dello sport da parte delle donne continuava a incontrare problemi d'ordine sociale, economico e culturale, difficili da sconfiggere, ma cresceva anche la spinta di base, una piccola rivoluzione da parte delle giovani che, con sempre maggior forza, reclamavano il diritto a competere come gli uomini. Derartu Tulu, etiope, la prima atleta dell'Africa nera a vincere nel 1992 un titolo olimpico (sui 10.000 m), fu anche, nel 1991 ad Anversa, la prima a salire sul podio del Campionato del Mondo di cross seniores, alle spalle dell'americana Jennings, mentre, tra le donne juniores, Lydia Cheromei, keniota, diventò la più giovane vincitrice di sempre, conquistando il titolo a soli 13 anni e 317 giorni. Scorrendo i risultati di quella gara, si incontrano molti nomi di future campionesse: al quinto posto l'etiope Gete Wami, al quindicesimo l'inglese Paula Radcliffe (che avrebbe vinto l'anno seguente la prova juniores), al trentacinquesimo la rumena Gabriela Szábo.

Nel 1994 arrivò la prima vittoria di una africana nella prova seniores, per merito della keniota Hellen Chepngeno, caporale dell'esercito, ex saltatrice in alto e lanciatrice di giavellotto. Chepngeno prese la leadership della corsa poco dopo il terzo chilometro, assieme all'etiope Merima Denboba, per non lasciarla più. Dietro di lei, l'irlandese Catherina McKiernan, la portoghese Conceição Ferreira e, poi, tre africane: Merina Denboba e, quindi, in sesta e settima posizione le sudafricane, di etnia bianca, Elana Meyer e la Budd-Pieterse, quest'ultima ritornata a correre con la fine dell'apartheid per il suo paese d'origine.

Il dominio africano, e in particolare dell'Etiopia, si rafforzò negli anni a seguire: con Derartu Tulu (1995), Gete Wami (1996) e ancora Derartu Tulu (1997). Ma nel 1998, per merito dell'irlandese Sonia O'Sullivan e dell'introduzione delle due prove di cross corto e cross lungo, l'antica scuola anglosassone tornò alla vittoria. Sul tracciato spettacolare di Marrakech, O'Sullivan, ottima specialista anche in pista, sui 4 km riuscì a battere la marocchina Zahra Ouaziz; sugli 8 km arrivò prima allo sprint con Paula Radcliffe.

I duelli fra Gete Wami, Derartu Tulu e Paula Radcliffe continuarono negli anni successivi, in alternanza di vittorie e sconfitte, dimostrando come in atletica contino solo volontà, disponibilità al sacrificio e talento e come il cross country sia il banco di prova più appropriato per costruire, con fatica e sofferenza, quelle qualità di endurance che Radcliffe, in particolare, ha dimostrato di possedere ai milioni di fan sulle strade di tutto il mondo.

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