ASTURIE

Enciclopedia Italiana (1930)

ASTURIE (A. T., 39-40)

Riccardo RICCARDI
Pietro ROMANELLI
Rafael MARTINEZ

Regione della Spagna settentrionale, confinante ad O. con la Galizia, a S. col León, ad E. con la Vecchia Castiglia, e bagnata a N. dal Golfo di Biscaglia. Ha 10.894 kmq. di superficie. Montuosa in ogni sua parte (le zone di pianura sono poche e di dimensioni modestissime), essa comprende una sezione del versante settentrionale dei monti Cantabrici (v.), che scendono piuttosto ripidamente fino alla costa, dove alcuni loro contrafforti formano notevoli promontorî, il maggiore dei quali è quello del Cabo de Peñas. La zona più elevata delle Asturie, dal Pico de Miravalles ai Picos de Europa, supera spesso i 2000 m. di altezza (Peña Rubia, 2487 m.; Peña Ubiña, 2417 m.; Picos de Mampodre, 2197 m., ecc.), e ha morfologia aspra e complessa; sono frequenti le gole profonde e le forre selvagge, incise da torrenti precipitosi e ricchi di acque. Il clima è rigido e piovoso, e le cime più elevate restano coperte di neve quasi tutto l'anno. Ancora più aspri e selvaggi sono i Picos de Europa, che si elevano a oriente del Puerto de Pajares - per cui passano la carrozzabile e la ferrovia Gijón-Oviedo-León - e raggiungono i m. 2678 nella Peña de Cerredo. Foreste di faggi e di pini, folte specialmente sui versanti in ombra, e pascoli vastissimi ammantano quasi ininterrottamente queste plaghe elevate, dove la scarsa popolazione (meno di 25 ab. per kmq.) si occupa soprattutto dell'allevamento del bestiame.

La parte centrale delle Asturie, cioè quella compresa tra la zona montuosa più elevata e la zona costiera, ha anch'essa estesi pascoli e vaste foreste; intenso è l'allevamento, che ha fatto sviluppare l'industria casearia. Nei bacini del Nalón e del suo affluente Caudal si trovano i più importanti giacimenti carboniferi della Spagna, che dànno circa la metà della produzione totale di questo paese. Assai fruttuosa è altresì l'estrazione dei minerali di ferro e di zinco. Naturalmente, queste ricchezze minerarie hanno dato vita a varie industrie, soprattutto metallurgiche. La popolazione, molto densa, si occupa anche d'agricoltura, coltivando specialmente granturco, frutta e ortaggi. A occidente del Nalón si estende il bacino del suo affluente Narcea, regione a economia essenzialmente pastorale, poco abitata e con piccoli centri. I centri maggiori sorgono nel bacino minerario o ai margini di esso: Oviedo (ab. 37.000), con fiorenti industrie metallurgiche, è la città più importante delle Asturie e capoluogo dell'unica provincia ch'esse comprendono; sono centri industriali anche Sama de Langreo (ab. 3000) e Mieres.

La costa delle Asturie è, quasi dappertutto, alta e rocciosa, intaccata da piccole rías, fornita di buoni porti. La regione costiera, favorita da un clima umido, con inverni miti ed estati fresche, è ricca di vegetazione e densamente popolata. Fiorente vi è l'agricoltura; caratteristica la coltivazione delle mele, che fornisce la materia prima a varie fabbriche di sidro. La pesca è molto attiva: Avilés (9000 ab.), Luarca, Ribadesella e Llanes sono i porti pescherecci di maggior traffico. Ma la città più importante della costa asturiana è Gijón (ab. 36.000), che esporta specialmente molto carbone.

La popolazione delle Asturie risultò, nel 1926, di 784.000 ab.: la densità è dunque di 72,6 ab. per kmq., molto superiore a quella media della Spagna (44,1). Le maggiori densità si osservano nel bacino carbonifero e tra Oviedo e Gijón (anche più di 250 ab. per kmq.), poi anche nella zona costiera tra Villaviciosa e Luarca, dove si superano i 100 ab. per kmq. Nelle zone più elevate, come s'è visto, si scende invece a densità inferiori ai 25 ab. per kmq.

Le comunicazioni terrestri, data la natura montuosa del paese, sono nel complesso scarse e difficili, soprattutto nelle Asturie occidentali; ben fornita di ferrovie è soltanto la zona mineraria e industriale. Le linee principali sono: la Gijón-Oviedo-León e la Oviedo-Santander. (V. Tav. XXVIII).

Storia. - La provincia romana d'Asturia e Callecia. - Nell'ordinamento delle provincie iberiche fatto da Augusto tra il 7 e il 2 a. C., l'Asturia e la Callaecia, che precedentemente, via via che all'una e all'altra era stata estesa la dominazione romana, avevano appartenuto alla provincia della Hispania ulteriore, e poi alla Lusitania, vennero invece riunite alla Hispania citeriore e costituite amministrativamente in diocesi separata.

Il Kornemann (in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, col. 719) basandosi soprattutto su un passo di Strabone (III, 4, 20) vorrebbe provare che nel primo ordinamento augusteo la Callaecia formava una diocesi a sé e l'Asturia era unita alla Cantabria; la sua ipotesi è tuttavia contraddetta sia pure indirettamente da molteplici informazioni letterarie ed epigrafiche (v. M. Marchetti-Longhi, in Diz. epigr. di De Ruggiero, s. v. Hispania, III p. 808 segg.).

La diocesi comprendeva pertanto la regione estrema occidentale della provincia, tra il mare e il fiume Duero, regione montuosa e difficile, non solo per la configurazione del terreno, ma per l'indole stessa degli abitanti, che più tenacemente si opposero alla penetrazione romana.

La necessità di tenere a freno le popolazioni, da poco e imperfettamente sottomesse, obbligò Augusto e i suoi successori a mantenere nella diocesi un forte presidio militare e cioè un esercito consolare di due legioni, oltre naturalmente alle truppe ausiliarie; dopo Vespasiano rimase una sola legione, la VII Gemina, che mai più si allontanò dalla regione fino alla riforma dioclezianea, dando il nome alla città (Legio-León) sorta a poco a poco intorno al suo accampamento. Il legato della diocesi pertanto ebbe dapprima soprattutto carattere e funzioni militari, e solo in progresso di tempo le funzioni amministrative e giudiziarie presero il sopravvento sulle prime: da allora i due diversi poteri furono talvolta affidati a due persone distinte, talvolta concentrati nelle mani d'uno solo, come ci provano le iscrizioni nelle quali a uno stesso magistrato si dà insieme il titolo di legatus o dux legionis VII Geminae e legatus iuridicus Asturicae (sic) et Callaeciae.

Fra coloro che coprirono questa carica alcuni hanno voluto porre M. Ulpio Traiano (Kornemann, in op. cit., col. 720): ma l'ufficio che questi coprì in Spagna quale legato è tutt'altro che preciso (Paribeni, Optimus Princeps, I, p. 80).

L'estensione della diocesi, la sua posizione geografica piuttosto eccentrica rispetto al resto della provincia e la sua importanza consigliarono Caracalla sul principio del sec. III a fare di essa una provincia autonoma, l'Hispania nova citerior, menzionata in alcune iscrizioni o con questo nome (Corp. Inscr. Lat., II, 2661 [= 5680], 4756, 4788, ecc.), o con l'altro di provinciae Asturiae et Callaeciae (Corp. Inscr. Lat., XIV, 2941); è dubbio tuttavia, sia se tale nuova provincia abbracciasse la sola diocesi dell'Asturia e Callaecia o anche qualche altro territorio attiguo, come il fatto di trovarla più spesso ricordata non con il suo nome originario, ma con quello di provincia nova Hispania citerior lascerebbe supporre, sia se essa avesse breve o lunga durata (v. Not. scavi, 1928, p. 347). È certo tuttavia ch'essa esisteva nel 238, e che d'altro canto compare, e questa volta in via definitiva, con la riforma dioclezianea. Sotto al legato, forse tuttavia soltanto in via provvisoria, viene ricordato un praefectus Asturiae; carattere stabile aveva invece certamente il procurator, incaricato dell'amministrazione finanziaria (procurator Asturiae et Callaeciae [o per Ast. et Call.]): la ricchezza mineraria della regione, che aveva nelle sue montagne miniere d'oro e di rame (Plin., Nat. hist., XXXIII, 78), la presenza d'un esercito numeroso giustificavano la necessità di questo funzionario amministrativo.

Della diocesi, come distretto di arruolamento militare, abbiamo testimonianza nel ricordo di cohortes Asturum et Callaecorum (Corp. Inscr. Lat., XIII, 7036; III, p. 845, D. II, ecc.; v. D. Vaglieri, in Dizion. epigr. di E. De Ruggiero, III, p. 753 segg.); Asturi e Callaeci isolatamente fornivano inoltre il contingente di numerosi altri corpi ausiliarî, sia di fanteria sia di cavalleria.

Con l'ordinamento dioclezianeo, come gia s'è detto, l'Asturia e Callaecia costituì una provincia autonoma, prima retta da un praeses, poi, negli ultimi decennî del sec. IV, da un consularis.

Le città principali comprese nel distretto erano oltre a Legio (León), già ricordata, Bracara Augusta (Braga), Asturica Augusta (Astorga), Lucus Augusti, ecc.

Bibl.: M. Marchetti-Longhi, in E. De Ruggiero, Diz. epigr., s. v. Hispania, III, p. 754 segg.; E. Hübner, in Corp. Inscr. Lat., II (suppl.), p. lxxxvi; id., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, col. 1863 segg.; III, col. 1356 segg.

Il regno delle Asturie. - Caduta sotto l'urto dei musulmani la monarchia visigota, e finite le ultime lotte nazionali di resistenza in Mérida, Toledo e Siviglia, i nobili visigoti, volontarî esuli, si riunirono nelle Asturie di Oviedo. Era questo un territorio percorso da strette valli trasversali, male comunicanti fra loro, appena accessibili dalla parte della Galizia, chiuse a oriente dal massiccio dei Picos de Europa e separate dai piani di León da un'irta catena di montagne. Fu in questo paese che i nobili, lì raggruppatisi, presero nel 718 la decisione di crearsi un re; e la loro scelta cadde su Pelayo, che pose la sua sede a Cangas de Onís.

Allorché l'emiro Alhor apprese che, nel Nord, s'era formato un nucleo d'indipendenti, inviò contro di loro un piccolo esercito, che fu sorpreso e sconfitto (721-725) dalle truppe di Pelagio. Questa, che venne chiamata la battaglia di Covadonga, in realtà non fu altro che la continuazione della resistenza al dominio dei musulmani, incominciata lo stesso anno del loro ingresso nella Spagna; ma per i cristiani acquistò un gran valore rappresentativo e simbolico, per essere stata la loro prima vittoria, e perché, quantunque combattuta in montagna, aveva però costretto i Mori a evacuare la regione orientale delle Asturie. Regnò poi Favila che, secondo i cronisti latini, tenne il potere dal 737 al 739; secondo Ibn Khaldūn, dal 750 al 752. Gli uni e l'altro lo dicono figlio di Pelagio. A ogni modo, il suo regno fu completamente oscurato dal valido impulso che ‛Uqbah, suo contemporaneo e capo dei musulmani della penisola, diede alla conquista. A Favila successe Alfonso I, che rafforzò la potenza asturiana, annettendo la Cantabria e riuscendo a estendere i suoi dominî con l'annessione della Galizia. La sua frontiera è allora sul Duero, mentre tra questo fiume e il Tago l'esteso territorio deserto è campo aperto alle scorrerie degli eserciti delle due parti. Dopo Alfonso, morto nel 757, il figlio Fruela, a cui viene attribuita la fondazione di Oviedo; dopo di lui Aurelio (768-774), cugino di Fruela; poi Silo (774-783), che aveva in moglie una figlia di Alfonso I, e, il 783, Mauregato, che sembra essere stato un usurpatore. Durante il suo governo ebbe luogo nelle Asturie un'invasione di genti di León e di Astorga, capitanate da un capo barbaresco. Morto nel 789 Mauregato, viene proclamato re Bermudo, che, avendo seguito la carriera ecclesiastica, era stato già ordinato diacono. Sotto il suo regno, i musulmani incominciano la "guerra santa", sconfiggendo i cristiani con grandi perdite; Bermudo, persuaso della sua inettitudine, abdica a favore di suo cugino Alfonso (791).

Il regno di Alfonso II, detto il Casto, è di somma importanza, perché la guerra, che fino allora era stata una serie di incursioni e saccheggi da una parte e dall'altra, solo a scopo di preda, fu dai musulmani convertita in una campagna organizzata per colpire mortalmente la potenza asturiana. Così, nel 794, un esercito arabo riuscì a distruggere la capitale del regno e a costringere Alfonso a chiedere aiuto a Carlo Magno. Con questo soccorso, e con quello dei Baschi, il re poté nel 795 opporsi al nemico e l'anno seguente, preso il sopravvento, arrivare fino a Lisbona. Nell'ultima campagna di Alfonso, ch'ebbe luogo l'anno 816, l'emiro di Cordova al-Hakam I, in un ultimo sforzo, giunse al fiume Nalón, ma dovette subito ritirarsene. Alfonso morì nell'842, e il suo lungo regno e le sue relazioni dirette con Carlo Magno lasciarono tracce profonde nelle cronache contemporanee e nella letteratura, come prova chiaramente la leggenda dell'eroe Bernardo del Carpio. Notevole, anche, il regno di Ramiro, figlio di Bermudo il Diacono, che successe ad Alfonso. Rivolte interne e incursioni di pirati normanni nelle regioni costiere turbarono questo regno; ma nell'846 Ramiro tolse León agli Arabi. Egli si rese celebre per gli edifizî che costruì, tra cui primeggiano le chiese di S. Maria de Naranco e di S. Michele a Oviedo. Secondo alcuni storici, avvenne sotto di lui la famosa battaglia del Clavijo, in virtù della quale i cristiani, vincitori con l'aiuto dell'apostolo S. Giacomo, si liberarono dall'obbrobrioso tributo delle cento donzelle. Fu istituito in tale occasione il "voto di S. Giacomo".

Il regno di Ordoño I, figlio e successore di Ramiro, segna un nuovo indirizzo della monarchia asturiana, che si dedica ora a consolidare le conquiste e a ricostruire e ripopolare le città. Occupato il paese abbandonato, il regno si va estendendo verso il sud, con nuove conquiste. Nell'860, ha luogo la più famosa campagna di Ordoño contro Muza, potente sovrano arabo nel Nord, durante la quale il re asturiano s'impadronisce di Abelda, Coria e Salamanca, e assoggetta il signore di Toledo. Alfonso III il Grande (866-909) sale al trono mentre lo stato musulmano è più scosso che mai. Le numerose sollevazioni lo vanno sminuzzando in tanti piccoli territorî quasi indipendenti, come Badajoz, Mérida, Toledo, Saragozza, che, col loro atteggiamento, favoriscono i rapidi trionfi del re cristiano: sicché nell'880 tutta la Galizia e gran parte del Portogallo sono soggette al re delle Asturie. Questi, nell'882, comincia a ripopolare Zamora, Simancas, Dueñas e i campi goti; e così, al principio del sec. X, la frontiera naturale dei territorî cristiani sulla linea del Duero può dirsi stabilita saldamente. Detronizzato dal figlio Garcia, Alfonso ottennè un'ultima vittoria sugli Arabi, quindi si ritirò nella piazzaforte di Zamora dove morì. Con lui può dirsi propriamente terminata la monarchia asturiana, perché i suoi successori stabilirono la corte a León (v. león, Regno di).

Per quel che concerne l'organizzazione interna del regno, la monarchia asturiana fu erede legittima della monarchia visigota, in cui il sovrano esercitava potere assoluto e illimitato, così nell'ordine economico come in quello amministrativo. I suoi primi re non furono se non capi militari, senza che esistesse una legge di successione alla corona, la quale continuò ad essere elettiva, come nel periodo visigoto. Né fu presa nessuna disposizione ufficiale per renderla ereditaria: anche perché in un'epoca come quella l'autorità regia non avrebbe potuto passare a un fanciullo, senza pericolo per la sicurezza dello stato. Il figlio dunque non raccoglieva necessariamente l'eredità politica del padre, se non era in grado di guerreggiare; e se era molto giovane, veniva allontanato dal trono, temporaneamente o per sempre. Così Alfonso II, figlio di Fruela, salì al trono 23 anni dopo la morte del padre. Anche i figli bastardi potevano regnare; e le donne, al contrario di ciò che avveniva nel regno dei Franchi, non erano totalmente escluse: Alfonso I successe a Favila, perché aveva in moglie la figlia di Pelagio. Alla fine del sec. VIII e al principio del IX, lo stato asturiano incominciò a darsi un'organizzazione. I suoi re non condivisero mai il trono con i propri fratelli né si associarono i loro figli, come avevano fatto i re visigoti: ma, sull'esempio di questi, furono assistiti da un certo numero di nobili, che formavano la loro corte abituale. Così ebbero al fianco un conte palatino, forse di origine franca, uno strator, che ereditò l'ufficio di connestabile, e un notaro. Nelle provincie i re erano rappresentati da conti.

Alla corona spettava il diritto di convocare l'esercito. Tutti erano soggetti al servizio militare, sotto pena di severe punizioni in caso d'infrazione. Anche la giurisdizione suprema spettava al tribunale regio. I re s'ingerivano continuamente nell'organizzazione e nel regime interno della chiesa, fino al punto di nominare essi direttamente i vescovi e di tenerli soggetti al proprio potere, senza cedere loro nessuno dei diritti della corona. Le risorse economiche della monatchia asturiana provenivano dai dominî che formavano il patrimonio regio, a cui si aggiungevano le contribuzioni pubbliche e il prodotto delle confische pronunziate dal re in determinate occasioni.

Col tempo, anche nelle Asturie si sviluppa l'organizzazione feudale. Anche qui, si ebbero concessioni regie di benefici alla chiesa e ai nobili: e la guerra, che da principio aveva determinato nelle mani dei capi militari accentramento di prerogative e attribuzioni che costituirono la loro sovranità, divenne poi, di mano in mano che il territorio dello stato si andava accrescendo con le conquiste, motivo di rinuncia ad alcuni diritti sovrani. Ed ecco le immunità e le giurisdizioni patrimoniali, concesse a laici ed ecclesiastici, sia sopra i servi, sia sopra i coloni, esercitate mediante agenti subalterni assistiti dal concilium o assemblea degli abitanti.

Meritano infine ricordo talune manifestazioni di cultura nelle Asturie, avanti il mille. Comincia con la chiesa di S. Eulalia di Covadonga (sec. VIII) l'architettura detta asturiana, che precorre la romanica, in cui si perde, verso la metà del sec. XI. Dentro le linee visigote che, segue anche con maggiore povertà, acquista nel sec. IX caratteri proprî, sia sotto l'influsso dei maestri comacini, provenienti dalla Lombardia, sia per le innovazioni normanne e, più ancora, per l'influenza dell'architettura araba. Nelle chiese asturiane, che son tutte a vólta, quindi piccole, possono distinguersi il periodo da Pelayo ad Alfonso il Casto in Oviedo, sec. VII (arte oscura e poverissima, come nella chiesa di S. Eulalia a Valenza), quello da Alfonso il Casto ad Alfonso III il Grande, sec. IX (sviluppo dell'architettura asturiana sotto l'influenza di elementi nuovi: esempî, le chiese di S. Michele de Lillo, di S. Maria de Naranco e di S. Cristina de Lena); infine, quello che sta fra il sec. IX e il X e che segna l'apogeo con le chiese di Valdediós e le costruzioni monastiche di Cordova, di Escalada, di Sahagún, ecc., che il Gomez-Moreno assegna però all'arte mozarabica.

Minore importanza hanno le altre arti. Nella scultura decorativa, si possono citare le decorazioni in rilievo di S. Michele, S. Maria de Naranco, S. Cristina de Lena, nonché alquante lapidi sepolcrali che presentano bassorilievi, di cui alcuni sembrano tratti da dittici pagani, altri da avorî orientali, sia per lo stile, sia per la tecnica. La pittura è rappresentata dalla decorazione di manoscritti e da pitture murali di alcune chiese; l'oreficeria, dalle croci conservate nel tesoro della Cámara Santa di Oviedo, che ricordano le croci visigote. Quanto a cultura letteraria, essa s'era rifugiata nei monasteri e nelle chiese. San Beato de Liébana scrisse un celebre commentario all'Apocalisse, conservatoci in varî codici, che per l'apparato bibliografico dimostra nell'autore il possesso di una ricca biblioteca. Nella cattedrale di Oviedo, nell'anno 882, vi erano 41 codici. A León, cominciò a formarsi la biblioteca durante il regno di Ordoño I, il cui confessore donò un numero considerevole di manoscritti al monastero di Sahagún. Anche nei monasteri della Galizia e del Portogallo esistono ricche biblioteche.

Bibl.: Per le fonti v. B. Sánchez Alonso, Fuentes de la historia espanola é hispanoamericana, 2ª ed., Madrid 1927, n. 1020 segg., a cui si rinvia pure per la bibl. particolare. V. specialmente: X. de Cardaillac, La bataille de Roncesvaux, in Revue des Pyrénées et de la France méridionale, XXII (1910), pp. 18-31, 166-191, 425-443, 639-657; C. Sánchez Albornoz, Estudios de la Alta Edad Media. La potestad real y los señoríos en Asturias, León y Castilla. Siglos VIII al XIII, in Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, s. 3ª, XXXI (1914), pp. 263-290; E. Hinojosa, El elemento germánico en el derecho espanol, Madrid 1915; Z. García Villada, La batalla de Covadonga en la tradición y en la leyenda, in Razon y Fé, L (1918), pp. 312-318, 413-422; L. Barrau-Dihigo, Étude sur les actes des rois asturiens, 718-910, in Revue Hispanique, XLVI (1919), pp. 1-192; id., Recherches sur l'histoire politique du royaume asturien 718-910, in Revue Hispanique, LII (1921), pp. 1-360; J. Maciel, A lenda do rei Ramiro, in O Instituto, LXIX (1922), pp. 404-409; C. Sánchez Albornoz, Las behetrías: la encomendación en Asturias, León y Castilla, in Anuario del derecho espanol, I (1924), pp. 158-236; G. T. Rivoira, Architettura musulmana, Milano 1914, p. 330 segg.; M. Gomez-Moreno, Iglesias mozarabes, Madrid 1919, pp. 71 segg.

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