ASTROFISICA

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Astrofisica

Bruno Bertotti

(V, p. 89; App. II, i, p. 293; III, i, p. 164; IV, i, p. 182; v. anche astronomia, in questa Appendice)

Già dagli anni Quaranta del sec. 20° l'imponente e continuo sviluppo dell'a., accanto a quello, pur esso importante, dell'astronomia, fece sorgere il problema della definizione e, insieme, delle interazioni tra queste due scienze.

Si ricorda che l'a. nacque, poco dopo la metà del 19° sec., semplicemente come la parte dell'astronomia osservativa basata sullo studio fisico degli spettri della luce emessa delle stelle (spettroscopia stellare); con essa entrarono a pieno diritto nelle ricerche astronomiche tradizionali, cioè di natura prevalentemente geometrica, cinematica e descrittiva, i concetti e i metodi sperimentali della fisica moderna, in particolare quelli delle nascenti fisiche atomica, nucleare e subnucleare. La peculiarità dei metodi usati e soprattutto l'importanza dei risultati conseguiti (tra i quali spiccano l'introduzione del diagramma HR - cioè il diagramma della magnitudine assoluta, come dire della luminosità, in funzione del tipo spettrale, come dire della temperatura superficiale assoluta -, il quale costituisce la base delle teorie sull'evoluzione stellare, e la scoperta dell'espansione cosmologica dell'Universo) conferirono presto all'a. la dignità di disciplina distinta dall'astronomia, ancorché intimamente legata ad essa.

In tempi più recenti, tuttavia, si è assistito a una sorta di inversione di tendenza, e ciò per il fatto che alle consuete osservazioni degli astri nel campo visibile (ciò che attualmente si chiama astronomia ottica) si sono affiancate, con dettaglio sempre maggiore, osservazioni delle radiazioni emesse dagli astri medesimi in altri campi dello spettro elettromagnetico, cominciando dal campo radio negli anni dell'immediato secondo dopoguerra per finire al campo delle radiazioni gamma, all'altro estremo dello spettro. È importante rilevare che nelle discipline così nate (radioastronomia e radarastronomia; astronomia infrarossa, ultravioletta, X e gamma: v. astronomia, in questa Appendice) la separazione tra gli aspetti propriamente astronomici e quelli propriamente astrofisici, quali si erano venuti configurando nel tempo, non era sempre facile e comunque per vari versi non appariva opportuna, talché a. e astronomia cominciarono a essere intesi come sinonimi.

Attualmente questa equiparazione sinonimica dei due termini può ritenersi abbastanza episodica e comunque corrente più in ambienti fisici che astronomici, posto che nei primi l'a. viene intesa come una parte della fisica, e precisamente quella che si occupa di indagare l'Universo e i corpi in esso presenti con le metodologie e le tecniche sperimentali proprie della fisica, mentre nei secondi l'a. è la parte dell'astronomia che studia la natura e l'evoluzione fisica dei corpi celesti, nonché dell'Universo nel suo insieme. È da attendersi che, in conseguenza dei prevedibili sviluppi delle astronomie non ottiche e dell'esplorazione dell'Universo, i settori di comune interesse e le eventuali differenziazioni tra le due discipline finiranno con il precisarsi meglio, se non altro in termini operativi.   *

Astrofisica relativistica

di Bruno Bertotti

Lo studio degli oggetti astrofisici per molto tempo si è svolto nell'ambito della fisica ordinaria, utilizzando la meccanica classica, l'elettromagnetismo e la teoria quantistica, ma senza tener conto degli effetti previsti dalla teoria della relatività; in particolare, per il campo gravitazionale, la teoria dinamica newtoniana dell'azione istantanea a distanza era sufficiente. A. Einstein, con la teoria della relatività generale (RG) del 1915, aveva mostrato che la descrizione corretta della gravitazione è di natura geometrica e non dinamica e che richiede un modello quadridimensionale (lo spazio-tempo) con geometria non euclidea; tuttavia la gravitazione è stata considerata per lungo tempo una struttura astratta di fisica matematica, con piccole e poco numerose applicazioni verificabili sperimentalmente. Anche in seguito ad accurati esperimenti per la verifica delle teorie gravitazionali, le cose sono radicalmente cambiate negli anni Sessanta: attualmente la relatività non solo è parte integrante dell'a., ma senza di essa parecchi oggetti celesti sarebbero totalmente incomprensibili. Quattro scoperte osservative hanno aperto la strada a questo sviluppo. Nel 1963 (M. Schmidt) è stata scoperta una classe di galassie (le quasar, dall'ingl. quasi stellar radio sources) che richiedono una grandissima potenza radiativa confinata in una piccolissima regione spaziale. Nel 1965 (A.A. Penzias, R.W. Wilson e R.H. Dicke) è stata osservata la radiazione cosmica di fondo, evidenza di uno stato primordiale dell'Universo ad altissima densità e temperatura (il Big Bang). Nel 1967 (A. Hewish) è stata scoperta la prima delle pulsar (dall'ingl. pulsating radio sources) stelle collassate con campi magnetici elevatissimi. In questa classe di oggetti stellari ve ne sono alcuni che appartengono a sistemi binari; in particolare, il sistema PSR 1913+16 (J.H. Taylor e R.A. Hulse 1975) ha uno straordinario interesse. L'a. relativistica è caratterizzata anche da fenomeni catastrofici, di rapida variabilità. La ricerca in questo campo ha richiesto lo sviluppo di nuovi strumenti, in grado di rivelare variazioni rapide di luminosità e di raggiungere elevate risoluzioni angolari. Dal punto di vista epistemologico, al contrario dell'astronomia classica che è in buona parte descrittiva, questa nuova disciplina è dominata da modelli teorici e può essere usata (come nel caso della pulsar binaria) per verificare i modelli stessi. L'esempio paradigmatico di questo diverso assetto è costituito dai buchi neri, corpi celesti in cui la gravità è così intensa da impedire l'emissione di qualsiasi cosa, fotoni o particelle che siano. Essi sono per definizione invisibili; ogni conclusione circa la loro effettiva esistenza si può solo basare sull'uso congiunto di osservazioni e modelli teorici. Naturalmente, anche per lo studio dell'Universo stesso sono necessarie le discipline relativistiche; tuttavia in questa voce non si discuterà la cosmologia, ma ci si limiterà a illustrare cinque argomenti cruciali di a. relativistica.

Fasi finali dell'evoluzione stellare

fig. 1

Gli effetti relativistici di un corpo di massa M diventano importanti quando il suo raggio R è dell'ordine del raggio gravitazionale GM/c², dove G è la costante di gravitazione universale e c la velocità della luce nel vuoto: per il Sole esso vale 1,43 km. L'interesse principale dell'astronomia stellare nei tempi recenti è stato diretto allo studio degli stati collassati che le stelle acquistano quando il loro combustibile nucleare si è esaurito, in particolare le stelle di neutroni, con raggio dell'ordine di 10÷20 km, e i buchi neri. Mentre nel loro stato ordinario le stelle si trovano in condizioni stazionarie, in cui il peso degli strati esterni è bilanciato dalla pressione termica all'interno, alla fine della loro vita radiativa esse subiscono un rapidissimo collasso del nucleo in caduta libera su se stesso, accompagnato da una spettacolare esplosione degli strati esterni, che può apparire come una supernova (di tipo ii). Il nucleo, a seconda della sua massa, può dare origine a una 'nana bianca', a una stella di neutroni o a un buco nero. Per l'a. relativistica è particolarmente importante la terza eventualità, in cui le leggi della fisica classica non sono più valide e occorre usare quelle della RG. Un buco nero, per definizione, non è osservabile direttamente; il suo campo gravitazionale è così intenso da impedire l'emissione di fotoni e particelle di qualsiasi natura. Possiamo dire che esso è racchiuso in una superficie che può venire attraversata solo in un senso, dall'esterno verso l'interno, l'orizzonte; nel caso di un buco nero non rotante la superficie è una sfera con raggio eguale al doppio del raggio gravitazionale GM/c². Quindi un buco nero e tutto ciò che sta entro l'orizzonte non è osservabile direttamente; tuttavia, se esso si forma in un sistema binario, in prossimità di un'altra stella, il suo intenso campo gravitazionale attira da quest'ultima del materiale gassoso che nella caduta si riscalda e irraggia. In questo processo la rotazione orbitale iniziale del gas viene fortemente accentuata e si viene così a formare un disco di accrescimento, il cui asse coincide con la direzione del momento della quantità di moto iniziale; nel disco le particelle sono animate da un moto circolare e scendono lentamente verso l'orizzonte (fig. 1). La radiazione così emessa nella banda X costituisce il segno più importante che indica la presenza del buco nero all'interno; in questa maniera sono stati identificati alcuni buchi neri in sistemi stellari binari galattici, in particolare Cygnus X-1.

Pulsar

fig. 2

Le stelle di neutroni sono composte sostanzialmente da neutroni legati dalla forza gravitazionale e hanno densità paragonabili a quelle dei nuclei (sino a 10¹⁵ g/cm³); la loro emissione elettromagnetica è trascurabile. La struttura interna di tali oggetti, in cui la materia si trova in uno stato degenere, ha uno straordinario interesse fisico (fig. 2).

Nella loro formazione si possono generare campi magnetici elevatissimi (sino a 10⁸ T e oltre) e alte frequenze di rotazione (sino a centinaia di Hz); vengono così prodotte grandi quantità di particelle ad alta energia ed è emessa radiazione elettromagnetica da particolari regioni della stella (per es., i poli magnetici); se accade che l'asse magnetico è distinto dall'asse di rotazione (rotatore obliquo), tali regioni ruotano con la stella ed emettono, come un faro, fasci di luce rotanti. Vista da lontano la stella appare intermittente, con un periodo eguale al periodo di rotazione P: abbiamo una pulsar. Il periodo di rotazione in generale aumenta lentissimamente (talora anche in misura così piccola da non essere osservabile) e costituisce spesso uno standard di frequenza di eccezionale stabilità. L'emissione elettromagnetica impulsiva è prevalentemente nel campo radio, ma in parecchi casi si osservano impulsi sincronizzati a frequenze più alte, dall'ottico sino ai campi X e γ. La pulsar più interessante e più studiata è quella situata nella Nebulosa del Granchio che ha la sigla NP 0531+21. La maggior parte delle pulsar ha periodi di emissione dell'ordine del secondo, ma per un'importante classe il periodo P scende a valori di qualche millisecondo e aumenta col tempo.

Particolare interesse per l'a. relativistica hanno le pulsar che fanno parte di un sistema binario. In questo caso la stella ha una velocità nella direzione di osservazione che varia periodicamente con il periodo di rivoluzione orbitale; per l'effetto Doppler, l'impulso periodico emesso viene ricevuto a frequenza più alta nelle fasi di avvicinamento e a frequenza più bassa in quelle di allontanamento. La grande stabilità dell'impulso emesso rende così possibili accuratissime misure della sua velocità orbitale, che è determinata in prima approssimazione dalle leggi di Keplero. Due radioastronomi statunitensi (J.H.Taylor e R.A. Hulse, premio Nobel 1993) hanno ottenuto straordinari risultati con la pulsar PSR 1913+16, che ha un periodo di 0,059 secondi e un periodo orbitale (attorno a un'altra stella di neutroni) di 7 ore e 46 minuti. Questo sistema è diventato un vero e proprio laboratorio, in cui non solo si sono determinate le proprietà dettagliate dei due componenti, ma sono state poste a stringenti verifiche le leggi fondamentali della forza di gravità che lega le due stelle nel loro moto. Anche per questo sistema, come nel sistema solare, le leggi newtoniane sono inadeguate e occorre introdurre le piccole, ma ben determinate, correzioni previste dalla teoria di Einstein; tali correzioni sono state misurate ed è stato trovato un ottimo accordo con le previsioni. Inoltre si è trovato che l'energia orbitale - e così la distanza tra i due membri del sistema - diminuisce lentamente; il consenso unanime degli esperti individua la ragione di tale fenomeno nell'emissione di onde gravitazionali, che così ne traggono un'indiretta e importante evidenza sperimentale.

Nuclei galattici

La scoperta delle quasar, in particolare della 3C 273, ha mostrato l'esistenza, a distanze dell'ordine del raggio dell'Universo, di strutture galattiche con due caratteristiche: una potenza radiativa anche centinaia di volte superiore a quella delle galassie ordinarie e una variabilità temporale su scale di tempo assai brevi, anche solo di qualche giorno o meno. Esse sono un indizio sicuro di piccole regioni nucleari ove è concentrata una macchina radiativa di grandissima potenza. Da allora sono state messe in evidenza altre classi di nuclei galattici attivi (AGN, Active Galactic Nuclei), quali le galassie di Seyfert e gli oggetti di tipo BL Lac, ed è emersa con forza l'ipotesi che nel nucleo delle galassie di norma sia presente un buco nero di grande massa che produce i fenomeni rapidi ed energetici osservati. Si pensa che essi si siano formati nelle fasi iniziali della loro evoluzione, prima ancora della formazione di stelle. Il buco nero non può essere rivelato direttamente, ma solo in base al fatto che i corpi attorno a esso si muovono con elevate velocità (in generale inversamente proporzionali alla radice quadrata della distanza da esso), che risultano spesso accessibili con mezzi spettroscopici. In questa maniera, per es., si è accertata l'esistenza nel nucleo della nostra galassia di un corpo centrale collassato, assai probabilmente un buco nero. La sua massa è stata stimata a 2,45 miliardi di masse solari. Nelle sue immediate vicinanze sono state misurate velocità stellari superiori a 1500 km/s (A. Eckart, R. Genzel 1997). Anche al centro della galassia Andromeda (M 31), che fa parte del gruppo locale, vi può essere un buco nero con una massa di 30 milioni di masse solari. È recente (1994) l'uso per la galassia NGC 4528 di una nuova tecnica spettroscopica, basata sull'analisi di una stretta riga con lunghezza d'onda di 1,3 cm (nella banda delle microonde) emessa dall'acqua; con essa si è raggiunta un'accuratezza nella determinazione della velocità dei corpi di 1 km/s e si è confermata l'esistenza del buco nero centrale.

Parecchi scenari sono stati studiati per descrivere i complessi fenomeni a cui il buco nero nucleare può dar luogo e molti di essi hanno una diretta controparte osservativa. Essi sono in genere basati sulla geometria di Kerr (v. gravitazione, in questa Appendice) e caratterizzati unicamente dalla massa e dal momento della quantità di moto. Un buco nero rotante può emettere simmetricamente lungo il suo asse getti di materia e radiazione che si spingono con collimazione inalterata sino a grandissime distanze. Nei fenomeni frequentemente osservati di incontro e fusione tra due galassie i due buchi neri centrali diventano parte di un sistema binario stretto che perde sempre più rapidamente energia per emissione di onde gravitazionali. Una stella ordinaria in prossimità di un buco nero viene frammentata dall'intensa forza gravitazionale di tipo mareale e i detriti vengono dispersi entro una struttura orbitante a forma di banana. Corpi stellari compatti, quali le stelle di neutroni e i buchi neri, invece, resistono alle forze mareali anche a piccole distanze e, attraverso l'emissione di onde gravitazionali, perdono dapprima ogni eccentricità iniziale e poi scompaiono sotto l'orizzonte. Questo processo genera treni di onde gravitazionali con frequenza e ampiezza crescente, la cui rivelazione è uno degli scopi degli esperimenti a bassa frequenza (v. oltre).

Lenti gravitazionali

La RG prevede una deflessione di un fascio di onde elettromagnetiche da parte di un corpo gravitante, un effetto che è stato verificato con grande precisione con esperimenti nel sistema solare. Nel 1936 Einstein fece notare che ciò può dare origine a una lente che amplifica l'intensità dell'immagine, ma concluse: "non è molto probabile che questo fenomeno venga osservato". Nel 1924, in un lavoro poi dimenticato, O. Chwolson aveva già attirato l'attenzione su un effetto simile. Oggi le lenti gravitazionali costituiscono un capitolo di grande importanza dell'a. relativistica.

Benché la deflessione gravitazionale sia assai piccola per corpi celesti ordinari, il suo effetto sull'immagine di una sorgente viene grandemente accentuato a grandi distanze, purché sorgente, corpo gravitante e osservatore siano con buona approssimazione allineati. Consideriamo nel cielo una sorgente circolare e un piccolo corpo gravitante (talora oscuro) di massa M, distante da essa un angolo ϑ; quando ϑ scende al di sotto di una certa soglia, proporzionale alla radice quadrata della massa, l'immagine della sorgente viene deformata in forma di arco e amplificata, mentre un'altra immagine della stessa sorgente appare dalla parte opposta. Quando l'allineamento diventa perfetto (ϑ=0) le due immagini si fondono a formare un anello concentrico con il corpo gravitante: l'anello di Einstein.

L'osservazione delle lenti gravitazionali richiede grandi distanze e corpi gravitanti di grande massa; esse sono state osservate quando M è dell'ordine di una massa galattica e le due distanze in gioco sono una frazione apprezzabile del raggio dell'Universo. Il primo sistema di questo tipo fu osservato nel 1979 con il radiotelescopio di Jodrell Bank; oggi abbiamo circa 8 esempi di immagini doppie, 9 di archi e 5 di anelli. Essi costituiscono uno strumento di grande importanza per lo studio dei sistemi extragalattici.

Un'altra conseguenza della lente gravitazionale per sorgenti costituite da stelle ordinarie in galassie vicine o nella nostra galassia è stata messa in evidenza nel 1993. Per ottenere un buon allineamento con una probabilità non troppo piccola occorre un elevato numero di corpi gravitanti; si può vedere che le stelle ordinarie non sono sufficientemente numerose. È noto, tuttavia, che la dinamica osservata delle galassie (in particolare la rotazione) richiede che in esse sia presente molta più materia (la materia oscura) di quella osservata. Una possibilità spesso considerata è che essa consista in corpi formati, come le stelle, in seno al gas interstellare per compressione gravitazionale, ma la cui massa, tuttavia, è rimasta al di sotto della soglia (circa 0,1 masse solari) necessaria per l'accensione delle reazioni termonucleari. Tali oggetti, denominati MACHO (Massive Compact Halo Objects), e che potremmo chiamare 'stelle mancate', al pari dei pianeti, non emettono luce e si trovano prevalentemente nell'alone, sede delle condensazioni più antiche. Quando uno di essi attraversa la linea che congiunge l'osservatore con una stella, la luminosità di questa aumenta e poi diminuisce con un andamento previsto dalla teoria (e una scala temporale di una decina di giorni) e indipendentemente dalla frequenza di osservazione. Queste due caratteristiche costituiscono il segno che distingue questo effetto dalla normale variabilità stellare. La scoperta di alcuni fenomeni di amplificazione di questo tipo, che ha richiesto l'analisi automatica della variabilità di milioni di stelle nella Nube di Magellano, costituisce un'importante applicazione delle lenti gravitazionali e fornisce informazioni preziose sulla materia oscura galattica.

Rivelazione di onde gravitazionali

Un'importante differenza tra la fisica newtoniana e la fisica relativistica del campo gravitazionale sta nel fatto che, secondo quest'ultima, il campo ha caratteristiche ondulatorie e una precisa velocità di propagazione, eguale a quella della luce. Le onde gravitazionali trasportano quindi energia e informazione a grandi distanze. A differenza delle onde elettromagnetiche, la loro interazione con la materia è debolissima, il che comporta uno svantaggio e un vantaggio. Il primo consiste nella straordinaria difficoltà per la loro rivelazione, che richiede l'intercettazione di parte della loro energia; ma al tempo stesso, potendo attraversare indisturbate profondi strati di materia, le onde gravitazionali in generale provengono dai nuclei collassati ad altissima densità dei corpi celesti e quindi ci possono offrire informazioni importanti ben difficilmente accessibili alle osservazioni elettromagnetiche ordinarie. La rivelazione di onde gravitazionali emesse da corpi celesti aprirebbe una nuova e rivoluzionaria finestra astronomica; a questo scopo sono dedicati grandiosi progetti in tutto il mondo, in particolare in Italia. Allo stato attuale non vi sono state rivelazioni confermate.

Un'onda gravitazionale, che consiste in un'accelerazione di gravità che differisce da punto a punto con la scala della sua lunghezza d'onda, può venire rivelata misurando le piccolissime deformazioni indotte in un sistema materiale in laboratorio o nello spazio. I rivelatori risonanti sono sensibili solo vicino a una frequenza (attorno al kHz) determinata dalla risonanza di una grossa sbarra metallica; ne sono oggi funzionanti parecchi esemplari (tre in Italia), operanti anche a bassissime temperature. Essi sono già in grado di rivelare onde gravitazionali emesse nelle prime fasi della formazione di supernovae nella nostra galassia. I rivelatori a banda larga invece misurano la variazione nella distanza tra due o più masse libere. Negli esperimenti terrestri in corso di approntamento - in particolare GEO600 di Gran Bretagna e Germania, l'italo-francese VIRGO, e lo statunitense LIGO - la misurazione verrà effettuata mediante un complesso e costoso sistema interferometrico, per distanze tra le masse che vanno da 600 m a qualche km; essi sono sensibili su bande che possono andare da 10 Hz a qualche kHz. Per raggiungere frequenze più basse, in particolare dell'ordine del mHz, occorre andare nello spazio. In questa banda sono stati fatti parecchi esperimenti mediante il sistema radio di satelliti in orbita interplanetaria e altri sono in preparazione con la missione Cassini; la loro sensibilità, tuttavia, è limitata. Interferometri ottici nello spazio (in particolare, il progetto LISA dell'Agenzia spaziale europea) con basi di qualche milione di km potranno permettere grandi aumenti nella sensibilità e nel tempo di osservazione.

bibliografia

Ja.B. Zel´dovič, I.D. Novikov, Reljativistskaja astrofizika, Moskva 1967 (trad. ingl. Relativistic Astrophysics, 1° vol., Stars and Relativity; 2° vol., The Structure and the Evolution of the Universe, Chicago 1971-83).

L. Nobili, Astrofisica relativistica, in Enciclopedia delle Scienze Fisiche, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1992, ad vocem.

P. Colej, F. Lucchin, Cosmology: the origin and evolution of Cosmic matter, New York 1995; I. Robson, Active galactic nuclei, New York 1996; J.A. Peacock, Cosmological physics, Cambridge 1999.

Su argomenti specifici: per gli interferometri per la rivelazione di onde gravitazionali, P.R. Saulson, Fundamentals of Interferometric Gravitational Wave Detectors, Singapore-River Edge (N.J.) 1994; per le lenti gravitazionali, P. Schneider, J. Ehlers, E.E. Falco, Gravitational Lenses, Berlin-New York 1993.

A livello più elementare si consiglia J.-P. Luminet, Les trous noirs, Paris 1987 (trad. it. Firenze 1992).

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