ASSOLUTO

Enciclopedia Italiana (1930)

ASSOLUTO (da absolvo "sciolgo, libero", absolutus omni re, "sciolto da ogni cosa, quindi incondizionato, in sé e per sé stante, compiuto in sé, immutabile, perfetto"; fr. absolu; sp. absoluto; ted. Absolut; ingl. absolute)

Le. G.
F. En.

L'assoluto, in senso empirico, è ciò che è per sé pensato, non in relazione ad altro, anche se in altri rapporti è condizionato o relativo; in senso gnoseologico è ciò che necessariamente è da riconoscere: verità assoluta, valore assoluto; in senso metafisico significa ciò che è al di sopra di ogni differenza ed opposizione finite, rivelantesi attraverso di esse, non condizionato dalle forme del conoscere finito, assolutamente trascendente, pensato solo come concetto limite, inconoscibile nella sua natura o metagnostico. Donde l'assoluto come vita e logica del mondo temporale nella sua sopratemporalità; nel suo sopraessere costituente il vero essere del mondo fenomenico; nel suo contenuto inesauribile o transfinito, ponentesi come la vita del mondo nel suo infinito divenire. Dunque la storia del concetto di assoluto è la stessa storia della filosofia. Ma è stato forse Nicola da Cusa il primo che abbia adoperato sistematicamente la parola "assoluto" per designare l'oggetto ultimo della speculazione filosofica. Il problema dell'assoluto nasce appena si fanno sentire le difficoltà logiche dell'essere che diviene; cosicché, di fronte a ciò che è e che non è nello stesso tempo, si pone ciò che necessariamente è. Di fronte alla natura quale si manifesta ai sensi, sorge la natura determinata dalla ragione. Tutta la filosofia antica è imperniata su questo concetto realistico del mondo; il suo progresso è il progresso nell'elaborazione del concetto di natura, che culminerà nell'ὂν ὄντως di Platone e nella forma delle forme, nella νόησις νοήσεως di Aristotele, con cui Dio resta sempre sostanza: termine del mondo, ma, perché termine che nel suo essere lo contiene, tutto vanificante in sé il mondo; quantunque possa parere che l'immanentismo aristotelico dell'idea abbia valorizzato il mondo, rispetto all'assoluta trascendenza platonica. Il pensiero antico si conclude nello scetticismo; e dopo aver fatto un sovrumano sforzo di abbracciare l'assoluto, come sintesi di oggetto e soggetto, con l'intuizione nel rapimento mistico, a mezzo del neoplatonismo, la vecchia filosofia, profondamente minata dal principio della soggettività, che vi si è già radicato e vi ha acuita la coscienza della contraddizione, si dissolve per cedere il posto al cristianesimo, che ne feconda e trasfigura tutti gli elementi. Centro di riferimento diviene il soggetto, e implicitamente la realtà assoluta è posta come spirituale, non sostanza ma spirito. È questa una conquista definitiva, ma non sì che essa non debba ancora, con asprissimo travaglio, vincere la vecchia posizione intellettualistica, che l'insidia e che ben presto la dominerà. L'assoluto è divenuto spirito: Dio è spirito; ma Dio è concepito come trascendente, essere eterno e perfetto, sostanza o natura infinita. In S. Tommaso Dio è absolutum secundum quod in se est. Aristotele ritorna a trionfare e a porsi come l'ostacolo che il nuovo pensiero dovrà rimuovere.

Con Cartesio si pone l'autocoscienza a principio di ogni conoscenza; e in fondo la realtà si pone come coscienza di sé o come mente che cercando l'essere lo realizza. Ma ci vogliono due secoli di travaglio speculativo prima che questo pensiero maturi la nuova filosofia o il nuovo concetto di assoluto. Da Cartesio, attraverso il dommatismo delle due sostanze, si passa a Spinoza, che tutto risolve nella sostanza, il cui concetto non ha bisogno d'altro per essere formato e che è Dio in quanto essenza assolutamente infinita; e poi a Leibniz, che di questa sostanza spinoziana, "radice indifferente così di pensiero come di estensione, fa uno spirito che chiude in sé il suo universo" (Gentile). Ma questo dommatismo della sostanza o della monade assoluta viene a urtarsi contro le conseguenze scettiche dell'empirismo inglese, che, partito dall'esperienza e quindi dalla omogeneità dell'oggetto al soggetto, non può ammettere altra scienza che non sia analitica, perché non riesce a vedere altro ordine che non sia soggettivo. E così, se l'assoluto non può essere sostanza senza sottrarsi ad ogni possibilità di conoscenza, d'altra parte la conoscenza, se non deve essere un fatto privo di valore, una semplice organizzazione di abitudini psicologiche, non può non contenere elementi assoluti. Cioè deve esserci una radice comune e dell'oggetto e del soggetto. Ed è questa la scoperta copernicana di Kant, per il quale all'universalità comparativa dei concetti rappresentativi viene opposta la validità assoluta di quelli puri o delle forme conoscitive a priori, comune principio e dell'organizzazione della nostra esperienza e di quella degli oggetti; e le idee trascendentali si riferiscono alla totalità assoluta o all'assolutamente incondizionato. Il quale vien poi posto come al di là di ogni possibile esperienza, soprasensibile principio di essa, quindi non oggetto della ragion teoretica, ma rivelantesi immediatamente nell'assolutezza della legge morale. Cosicché in Kant assieme al nuovo è mescolato il vecchio pensiero della realtà o dell'assoluto come essere. E da Kant in poi, attraverso l'elaborazione dottrinale di Fichte, che parte dall'Io assoluto; di Schelling, che chiama assoluto il principio originario delle cose e lo pone come l'identità di natura e spirito, di reale e ideale, afferrabile solo dall'intuizione intellettuale, che è il punto in cui il sapere dell'assoluto e l'assoluto formano uno; di Hegel, per cui Assoluto è l'Idea e questa è assoluto Spirito, l'intuizione antica della realtà come oggetto o dell'assoluto come immobile essere lotterà con la nuova intuizione della realtà come soggetto, costituendone la negatività del processo dialettico. Anche il soggetto del Hegel, non è il vero soggetto, se esso ha davanti un Logos, che forma, svolgendosi, un mondo, una realtà in sé, presupposta da quell'ultima fase del divenire, in cui essa si pone come per sé nello spirito umano. Di qui, dopo lo scandalo della filosofia hegeliana, il ritorno al formale e superficiale kantismo del rifiuto d'ogni metafisica, del conoscere chiuso nell'esperienza con le connesse invincibili violazioni del principio metodologico nel positivismo, nell'evoluzionismo, nel fenomenismo, nel contingentismo, nell'intuizionismo, nel pragmatismo. Ma tanto più vitale e dinamica, dopo tanta esperienza e approfondimento della epistemologia, doveva riaffermarsi la concezione dell'assoluto come soggetto o la trasformazione della sostanza assoluta in soggetto assoluto. Verso questa trasformazione dà l'avviamento l'idealismo critico anglo-sassone nei suoi rappresentanti principali, quali il Royce e il Green. E si deve dire che tocca alla filosofia italiana un posto cospicuo in quella contemporanea per questa trasformazione. Significativo l'idealismo cui è pervenuto il Varisco col suo concetto di Unità o Soggetto assoluto, relativamente immanente e trascendente in ogni particolare soggetto e ad ogni soggetto; e quindi Dio personale in cui tutti siamo inclusi e che ricorda per questo rinascente leibnizismo la metafisica spiritualistica del Royce, per il quale la realtà assoluta è l'esperienza assoluta d'uno spirito autocosciente che tutti comprende. Ma sono gli spiritualisti o neo-idealisti - il Croce e il Gentile - gli eliminatori d'ogni residuo di trascendenza dal hegelismo, soprattutto nella formulazione gentiliana. Essi in quest'opera si vogliono riallacciare alla speculazione di G.B. Vico, in cui vedono la prima chiara affermazione della metafisica della mente; e il secondo alla profonda elaborazione che del hegelismo operò B. Spaventa. Nell'Io gentiliano il pensiero immanentistico compie il suo più grande sforzo. L'assoluto è definitivamente soggetto, anzi il Soggetto, nella cui attualità il mondo tutto si risolve; ma, per questa attualità che è "atto in atto", vi si risolve con un processo dialettico infinito, in cui è la storia, e per cui la stessa storia infine vien vista come il fondamentale dovere dell'uomo di crearla, per realizzarvi all'infinito la propria divinità.

Bibl.: Oltre le opere dei filosofi citati nel testo, il cui pensiero può considerarsi momento essenziale nell'elaborazione del concetto di assoluto, sono anche da consultare: J. F. Fries, System der Metaphysik, Heidelberg 1824; W. Hamilton, Lectures on Metaphysics and Logic, Edimburgo 1874-77; H. L. Manusel, The philosophy of the Conditioned, Londra 1866; F. H. Bradley, Appearence and Reality, Londra 1893; H. Spencer, First Principles, 5ª ed., Londra 1884; E. v. Hartmann, Kategorienlehre, Lipsia 1896; R. Joël, Seele und Welt, Jena 1912; H. Waihinger, Die Philos. des Als Ob, Lipsia 1911; A. Vera, Il problema dell'assoluto, Napoli 1872-82.

L'assoluto nella matematica e nella fisica. - La parola "assoluto", in contrapposto a "relativo" riceve dai matematici e dai fisici alcuni significati precisi.

Anzitutto - chiamandosi "numeri relativi" i numeri reali con segno, che indicano quantità da aggiungere e togliere - si dà il nome di "numeri assoluti" ai numeri senza segno (e però essenzialmente positivi) che esprimono il valore d'una quantità in sé stessa; e si dice quindi "valore assoluto" d'un numero relativo a il numero assoluto corrispondente ∣a∣.

Più generalmente, nella teoria dei numeri complessi - che rispondono a segmenti orientati del piano con un estremo nell'origine, per riguardo alla rappresentazione di Argand-Gauss - si chiama valore assoluto o modulo d'un numero a + bi, la grandezza del segmento rappresentativo, cioè

Per intendere le varie denominazioni che si dànno di misure assolute, proprietà assolute, ecc., giova considerare che in molte questioni intervengono proprietà di figure o in generale di enti fisici o matematici, le quali dipendono da due gruppi di dati, alcuni dei quali si presumono come fissi e necessarî nell'ordine di cui si tratta, mentre altri sono variabili con gli enti che si studiano: allora si distinguono le proprietà "relative" dipendenti essenzialmente anche dai dati variabili, dalle "assolute" dipendenti solamente dai dati fissi.

Questo senso della distinzione si trova già nell'uso comune per cui, paragonandosi più grandezze fra loro, si chiamano misure relative i loro rapporti reciproci, e invece misure assolute le loro misure rispetto ad un'unità che si presume come fissa e conosciuta: così appunto si parla di misure relative delle distanze dei pianeti, intendendo i loro valori riferiti, p. es., alla distanza tra la Terra e il Sole, mentre si dicono misure assolute le loro espressioni per riguardo a un'unità terrestre (p. es. le lunghezze in metri).

Ma un senso più raffinato della distinzione stessa ricorre nelle definizioni di "temperatura assoluta (o naturale)", "misura assoluta (o naturale) delle durate", ecc. Qui s'intende sempre di riferirsi a un criterio di confronto delle grandezze intensive che abbia un valore in sé, indipendentemente dalla particolarità dell'istrumento misuratore (v. temperatura; tempo, ecc.).

All'assoluto, in senso analogo, si fa appello nell'osservazione di Lambert, che, per la geometria euclidea, non esiste una misura assoluta delle lunghezze (poiché queste dipendono dalla scelta d'un segmento-unità affatto arbitrario), mentre esiste una misura naturale o assoluta per gli angoli, che corrisponde all'angolo d'un giro, cioè al fascio di raggi; poiché questa figura deve ritenersi data a priori in ogni considerazione geometrica (v. geometria non euclidea).

Citiamo ancora la nomenclatura di Cayley, ove si tratta della geometria metrica come subordinata alla proiettiva. Qui si osserva che le proprietà metriche delle figure possono ritenersi come proprietà grafiche e proiettive, non delle figure in sé stesse, ma in relazione ad una figura fissa fondamentale: alla quale si dà il nome di "assoluto". L'assoluto del piano è precisamente la coppia dei punti immaginarî coniugati che viene segata sulla retta all'infinito dai circoli, ovvero dalle rette isotrope (x ± iy = 0). L'assoluto dello spazio viene costituito dal cerchio immaginario all'infinito comune a tutte le sfere (v. cerchio; sfera).

Similmente nelle denominazioni newtoniane di "spazio assoluto" e "moto assoluto" s'intende evocare un moto dei corpi in confronto allo spazio (come luogo immobile) che riesca indipendente dalla posizione e dalla variazione degli altri corpi esterni (v. moto).

Infine con la denominazione (introdotta da G. Ricci) di "calcolo assoluto", si designa un procedimento di calcolo per cui le proprietà delle figure sopra una superficie o una varietà più volte estesa vengono determinate in una maniera intrinseca, cioè relativa soltanto alla determinazione metrica fissata sopra di essa e non alla scelta di un particolare sistema di coordinate (v. calcolo assoluto e intrinseca, geometria).

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