ASSOCIAZIONI BIOLOGICHE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)

ASSOCIAZIONI BIOLOGICHE

Giovanna Vitagliano Tadini

Definizione. − Il concetto di a.b. trova a tutt'oggi differenti definizioni: secondo alcuni autori è sinonimo di ''comunità biologica'' (Margaleff 1974 e alcuni dizionari enciclopedici), secondo altri deve essere invece ristretto e riservato a quel gruppo di popolazioni che occupano la stessa area, ma che non sono necessariamente legate da interrelazioni.

Il termine fu usato per la prima volta da A. von Humboldt nel 1805 per classificare un gruppo di vegetali presenti in un dato ambiente. In seguito K.A. Möbius (1877) lo usò per indicare gli organismi costantemente presenti in un banco di ostriche. Più recentemente (Woodbury 1954 e in seguito Brewer 1986) il termine viene adoperato come sinonimo di comunità. Secondo alcuni autori può essere adibito a indicare i primi stadi di sviluppo delle comunità (i cosiddetti stadi serali), secondo altri (Margaleff 1974; Allee e altri 1961) il termine a. deve essere ristretto e riservato a quel gruppo di popolazioni che occupano la stessa area, ma che non sono necessariamente legate da interrelazioni. Le a. sarebbero temporanee, fortuite o al massimo dovute a somiglianze di comportamento (Ricklefs 1979). Secondo questi autori, pertanto, il termine a.b. dovrebbe essere usato esclusivamente in senso descrittivo, per stabilire quali piante o animali sono stati censiti quantitativamente o specificamente in un'area e poi catalogati, anche se non si hanno o non si possono avere informazioni reali sui rapporti funzionali e sui confini dell'area che queste popolazioni occupano. Negli ecosistemi acquatici, per es., i confini tra un'a. e un'altra sono quasi impossibili da delimitare, specie in profondità.

Nella letteratura anglosassone viene sovente usato il termine guild (Pianka 1973; Cody 1974; Adams 1985) per indicare quel gruppo di specie che sono associate − nelle comunità ecologiche − dalla ricerca e dall'uso della stessa classe di risorse alimentari. Nel concetto di a.b. subentra cioè il concetto di unità funzionale, sia pure limitata a un solo gruppo di specie all'interno di tutta la comunità.

La maggiore difficoltà nel dare la definizione di a.b. è quella di stabilire il significato di unità funzionale intesa come sistema. Già a suo tempo E.H. Haeckel (1866) distingueva tre punti che definiscono un sistema biologico: a) morfologico o formale: manifestazione unitaria di forma, di un tutto le cui parti non possono essere separate senza sopprimere il carattere essenziale; b) funzionale o fisiologico: una manifestazione unitaria che può avere, per un tempo più o meno lungo, un'esistenza propria che presenta uno sviluppo, una riproduzione, un'autoconservazione; c) genealogico: manifestazione unitaria nel tempo, costituita da una serie ciclica chiusa di variazioni spaziali.

In questa accezione possono essere trattati come a.b. anche i cloroplasti, i mitocondri, i microtubuli, i ribosomi, i cromosomi, e il concetto di cellula come ''il più semplice organismo integrato nel sistema vivente''.

Un più ampio significato di a.b., derivato dalla storia dell'evoluzione biologica, include i coacervati (Haldane 1932; Oparin 1965), i sistemi proto e precellulari, i procarioti, ecc.

In questa trattazione il concetto di a.b. sarà usato in senso restrittivo rispetto al termine comunità ecologica e a quello che comprende le a. endocellulari, riservandolo esclusivamente a quelle particolari combinazioni di popolazioni (vegetali e animali, pro ed eucarioti) che sono associate da particolari effetti di un organismo su di un altro (Odum 19882).

Generalità. − I trasferimenti di energia. Necessità fondamentale comune a tutti i viventi, senza eccezione, è di procurarsi ininterrottamente energia. L'energia, in qualsiasi modo procurata (fotosintesi, osmosi, mutualismo, predazione, parassitismo), è utilizzata per sviluppare, mantenere, riprodurre l'ordine strutturale e funzionale delle parti e dell'insieme (Odum 19882).

Gli autotrofi sono in grado di trasformare l'energia luminosa in energia chimica e di trarre in seguito l'energia necessaria dai legami chimici dei composti da essi stessi organicati e sintetizzati (zuccheri, grassi, proteine). Tutti gli altri, gli eterotrofi (animali, funghi e batteri), traggono energia dai legami chimici nutrendosi di altri organismi, di parti di essi o di prodotti organici (catena alimentare di pascolo e di detrito).

I cicli biogeochimici. Per edificare la loro struttura (cellulare o tissutale o degli organi) secondo la specifica codificazione genetica, i viventi devono inoltre prelevare dall'ambiente elementi chimici, sostanze inorganiche e organiche altamente specifiche, molte delle quali esistenti nell'ambiente soltanto come prodotti degli organismi viventi. La quasi totalità degli autotrofi e degli organismi della catena di detrito preleva le sostanze direttamente dall'ambiente non vivente restituendole poi a questo con escreti o con la perdita di alcune parti del suo corpo, o con la morte. Gli eterotrofi e alcuni tra gli autotrofi si procurano le sostanze necessarie in parte dal mondo abiotico (per es., acqua e sali in essa disciolti) e in gran parte dal mondo biotico (mediante predazione, parassitismo, mutualismo, ecc.). Anche gli eterotrofi forniscono agli organismi della catena di detrito, mediante escreti, cadaveri, ecc., le sostanze che essi utilizzano come fonte di energia per edificare la loro struttura, rilasciando nell'ambiente sostanze trasformate che rientrano nel ciclo attraverso gli autotrofi.

In definitiva tutti gli organismi viventi sono interdipendenti per l'acquisizione di sostanze specifiche per la loro strutturazione e come ''particolare'' fonte d'energia. Infatti gli autotrofi utilizzano come fonte di energia la luce, mentre alcuni batteri utilizzano l'ammoniaca; gli autotrofi, per strutturare gli amminoacidi e le proteine, utilizzano l'azoto sotto forma di nitrato, altri batteri e le alghe verdi azzurre (Cianoficee) utilizzano l'azoto atmosferico, altri lo ricavano dai nitriti. Troppo lungo sarebbe elencare tutte le interdipendenze nutrizionali esistenti (Pimm e Lawton 1977); basterà dire che la varietà degli organismi e delle loro nicchie trofiche ha portato a complicare le catene alimentari (vegetali, erbivori, carnivori) trasformandole in reti alimentari, sempre più intricate.

Lo habitat. Per habitat s'intende quel particolare ambiente nel quale un individuo, una popolazione, una comunità trovano fattori adatti alla loro sopravvivenza e alla loro diffusione: cibo per sé e per la prole, riparo dalle variazioni ambientali dovute ad aspezioni − cicli stagionali − o cicli pluriennali, riparo dai predatori, ecc. In realtà nessun habitat è identico a un altro (Brewer 1986), anche se molti sono relativamente simili (stagni, laghi, paludi, prati, ecc.); perciò molte popolazioni selezionate per occupare un habitat difficilmente trovano altrove fattori adatti per sé e per la loro prole (Maynard Smith e Price 1973), per cui restano obbligatoriamente associate a quel tipo di habitat e alle altre popolazioni che costituiscono la comunità di quell'habitat.

Le interrelazioni simbiontiche. − I tentativi di classificare le numerose categorie di a. interspecifiche urtano contro la constatazione che ogni a. presenta un tipo di transizione verso altri tipi, con una continuità quasi ininterrotta. Un modo di esprimere i possibili rapporti tra gli organismi riuniti in sistemi può essere quello proposto da P.R. Burkholder (1952), che si può fondare sulla combinazione di tre tipi di interrelazioni: 1) effetto non percettibile: 0; 2) effetto favorevole: +; 3) effetto nocivo: − . Tutti i casi teoricamente possibili sono riuniti nella tabella riassuntiva (v.).

Queste combinazioni possono costituire punti di riferimento, ma in nessun modo distinzioni assolute.

Dato l'elevato numero dei casi, non sarà possibile trattarli tut ti singolarmente. Illustreremo tre soli tipi di interrelazioni: due rapporti antagonistici (la predazione e la competizione) e un rap porto di reciproco vantaggio (il mutualismo), restando sottinteso che gli altri tipi di rapporti rappresentano transizioni graduali tra il mutualismo e la predazione, o meglio, rappresentano momenti evolutivi verso un altro tipo. Si ipotizza cioè che il parassitismo pos sa derivare dalla interrelazione preda-predatore, e che possa evol vere verso il mutualismo, o che viceversa il mutualismo possa de generare in parassitismo, ecc.

Predazione. Nel rapporto preda-predatore può sembrare di primo acchito, anche osservando la tabella, che è solo la vita della preda a dipendere dall'essere o no predata, e che il predatore tragga esclusivamente vantaggio. In realtà anche la vita del predatore dipende dalla sua strategia di predazione. Infatti sovente il comportamento o la struttura della preda (sia vegetale che animale) le consentono di eludere il predatore, che ha assoluta necessità di procurarsi sostanze ed energia. Pertanto il predatore dovrà investire maggiori energie nella ricerca della preda o nel foraggiamento, oppure ricorrere ad altro tipo di preda oppure estinguersi. I rapporti preda-predatore, nel corso dell'evoluzione, diventano sempre più interdipendenti. In alcuni casi la selezione naturale ha favorito quelle prede che sono riuscite, per una particolare costituzione genetica, a eludere i predatori diventando più veloci o tossiche o repellenti o criptiche (v. mimetismo in App. IV, ii, p. 477), riuscendo non solo a sfuggire ai predatori, ma a produrre figli anche loro favoriti dalla selezione naturale. Però, un predatore può a sua volta evolvere e migliorare la strategia di predazione, diventando ancora più veloce della preda, immune alle sostanze tossiche o repellenti, o evolvendo per la capacità di individuare la preda criptica. Le due popolazioni, cioè preda e predatore, coevolvono e restano associate per l'estrema specializzazione. Il massimo di dipendenza associativa, in questo senso, si ha per i predatori monofagi, che traggono cioè il nutrimento da un solo tipo di preda come il nibbio di Everglade che mangia un solo tipo di lumache. Inoltre la vita del predatore dipende non solo dalla densità della preda ma anche dalla competizione intra e interspecifica per quella preda. D'altra parte la sopravvivenza della preda dipende, oltre che dalla capacità evolutiva che la porta a eludere il predatore, anche dalla propria densità-limite. A questa densità-limite la preda trova disponibilità di cibo e di rifugio; al di sopra di essa entra in gioco la risposta funzionale che favorirà l'aumento numerico dei predatori (risposta numerica, Slobodkin 1961).

Competizione. La dipendenza nutrizionale, l'alto grado di adattamento a un particolare habitat, l'elevata capacità riproduttiva, la limitatezza dello spazio ''ecologico'' hanno sovente creato situazioni antagoniste tra individui con identici fabbisogni (stessa nicchia trofica), che occupano un particolare tipo di ambiente (nicchia spaziale), con adatti nascondigli per uso proprio e della prole. Fabbisogni identici sono tipici di individui appartenenti alla stessa specie (competizione intraspecifica), ma anche a specie diverse con identica nicchia ecologica (competizione interspecifica). In quest'ultimo caso frequentemente le due specie non riescono a convivere nello stesso habitat (esclusione competitiva, Gause 1934). Ma esse possono anche evolvere divergendo per alcuni fabbisogni, per es. sfasando il momento della produzione della prole. In questo modo le specie potranno coesistere sovrapponendo parzialmente la loro nicchia ecologica e per tempi più o meno lunghi saranno pertanto sempre ''censite'' in a. competitiva nello stesso habitat.

Mutualismo. Nel rapporto mutualistico entrambe le specie ricavano un qualche vantaggio dalla vita in associazione. Il vantaggio maggiore consiste nella possibilità di procurarsi nutrimento in ambienti dove, separatamente, nessuna delle due potrebbe sopravvivere per: 1) mancanza di nutrimento specifico, che viene fornito a una specie dall'altra, altamente specializzata; 2) incapacità di svolgere una funzione, che viene svolta dall'altra, ma di cui godono entrambe.

Talvolta il beneficio è diverso. Una specie si avvantaggia per il nutrimento, l'altra evita di essere predata, grazie alla presenza (o perché vive all'interno) della specie in a. mutualistica. Talvolta, infine, la prima specie trae il nutrimento direttamente dalla specie in a. mutualistica, ma questa dipende per la procreazione dalla prima. In alcuni casi i tre benefici (nutrimento, difesa, procreazione) sono tutti presenti, talché le due specie sono in strettissima associazione.

Considerazioni conclusive. − Va infine puntualizzato che ogni specie può avere, contemporaneamente, più rapporti simbiotici. Una preda, cioè, può a sua volta predare, può essere in competizione con una o più specie, può avere più di un parassita e può parassitare, può infine avere rapporti mutualistici con altre specie. Lo stesso vale per ogni specie. Si giunge così ad ampliare sempre di più i confini delle a., confini difficili da identificare. Si può pertanto comprendere la discordanza riscontrata tra i vari ecologi e biologi nella definizione di a. biologica.

In quest'ottica va inoltre considerata la giusta apprensione degli ecologi nell'osservare la incauta gestione dell'ambiente fatta da gran parte dell'umanità. Tanto stretta è infatti l'interdipendenza fra i vari organismi, e tanto strette sono alcune a., che il portare a morte una singola specie − sia pure dannosa per alcune attività umane − significa rompere una catena di interconnessioni, a cui la semplice mancanza di un anello fa perdere totalmente il suo significato e la sua forza.

Bibl.: E. Haeckel, Generelle Morphologie der Organismen, Berlino 1866; K. Möbius, Die Auster und die Austernwirtschaft, ivi 1877; J. B. Haldane, The causes of evolution, Londra 1932; G. F. Gause, The struggle for existence, Baltimora 1934; P. R. Burkholder, in American sc., 40 (1952); A. M. Woodbury, Principles of gen eral ecology, New York-Toronto 1954; W. C. Allee, A. E. Emerson, O. Park, T. Park, K. P. Schmidt, Principles of animal ecology, Philadelphia e Londra 1961; L. B. Slobodkin, The growth and regulation of animal population, New York 1961; A. I. Oparin, L'origine de la vie sur la Terre, Parigi 1965; A. Macfadyen, Animal ecology: aims and methods, Londra 1966; J. Maynard Smith, G. R. Price, The logic of animal conflict, in Nature, 246 (1973), pp. 15-18; E. R. Pianka, The structure of lizard communities, in Annual Review of Ecology and Systematics, 4 (1973), pp. 53-74; M. L. Cody, Competition and the structure of bird communities, Princeton (N. J.) 1974; R. Margaleff, Ecologia, Barcellona 1974; J. L. Pimm, J. H. Lawton, Number and trophic levers in ecological communities, in Nature, 268 (1977), pp. 329-31; R. E. Ricklefs, Ecology, New York 1979; J. Adams, The definition and interpretation of guild structure in ecological communities, in Journal of animal ecology, 54 (1985), pp. 43-59; R. Brewer, Principi di ecologia, trad. it., Padova 1986; E. P. Odum, Basi di ecologia, trad. it., ivi 19882.

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